Padovani Lea

(Montalto di Castro, 28 luglio 1923 – Roma, 23 giugno 1991) è stata un'attrice italiana.

Di padre vicentino e madre nativa di Tuscania (VT), Lea Padovani nel 1944 lasciò l'Accademia d'arte drammatica di Roma per debuttare come soubrette nella rivista Cantachiaro, di Garinei e Giovannini e l'anno seguente fece parte della compagnia di Erminio Macario in Febbre azzurra, riscuotendo grande successo e dimostrando anche ottime doti di attrice.

Nel 1946 cominciò la sua lunga e fortunata carriera di attrice teatrale nella commedia I parenti terribili di Jean Cocteau. Nel 1953 fu al fianco di Ruggero Ruggeri in una tournée a Londra e a Parigi con Enrico IV e Tutto per bene. Il 15 luglio 1954 fu premiata con un Nastro d'argento speciale per le sue interpretazioni teatrali.



Dalle teche RAI, Luigi Silori nel 1959 intervista la grande attrice Lea Padovani sul personaggio di Cleopatra da lei interpretato nell'opera "Cesare e Cleopatra" di G.B. Shaw, andata in onda nel 1956. Lea Padovani, è stata senza dubbio una delle più grandi attrici teatrali della seconda metà del Novecento. Ha interpretato parti fondamentali in molti classici, accanto ad attori "monumento", da Ruggiero Ruggieri a Renzo Ricci, da Lawrence Olivier a Fosco Giachetti; si è cimentata anche nella rivista, accanto a Erminio Macario e nel cinema dove ha recitato come co-protagonista accanto a Mastroianni, Sordi, Totò, Girotti, De Sica, Sernas e tantissimi altri. In televisione ebbe uno straordinario successo verso la fine degli anni cinquanta per aver ricoperto ruoli da protagonista in sceneggiati "storici" quali "Piccole donne", "Romanzo di un giovane povero" e "Ottocento". Ebbe una tormentata storia sentimentale con Orson Welles, di cui fu musa ispiratrice negli anni del suo lungo soggiorno romano. In questa intervista, Lea Padovani duetta con Luigi Silori con il suo tipico stile diretto e sincero.


Negli anni cinquanta prese parte a vari romanzi sceneggiati in televisione, tra i quali Piccole donne, Il romanzo di un giovane povero, Ottocento.

Poco prima della morte l'attrice ha raccontato allo scrittore Renzo Allegri il suo incontro con Padre Pio avvenuto verso la fine degli anni cinquanta. Motivo dell'incontro la richiesta di aiuto per il grande amore della donna - il cui nome non era stato rivelato - che era malato di tumore. Dopo aver consultato numerosi medici, sia in Italia che all'estero, le risposte erano sempre le stesse, all'uomo non restavano che pochi mesi di vita. Restava solo una cosa da fare, provare con l'intercessione divina e fu per questo che la Padovani si rivolse al frate che con il suo carattere schietto non le diede una immediata risposta positiva. Al primo seguirono altri incontri e una lunga confessione alla fine della quale la donna comprese che per salvare l'uomo che amava avrebbe dovuto lasciarlo. Così fece e la malattia misteriosamente scomparve.

Nel 2006 il regista Oliver Parker dette alla luce il film Fade to Black, tratto dal romanzo "Dissolvenza al nero" di Davide Ferrario, che si ispirava ad una storia romanzata coinvolgente l'attrice, interpretata nel film da Paz Vega, e il grande regista Orson Welles, interpretato da Danny Huston.

Nel 2012 è stato inaugurato a Montalto di Castro dal sindaco Sergio Caci e l'assessore alla cultura Eleonora Sacconi il teatro intitolato a Lea Padovani.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Lea Padovani, rassegna stampa

Lea Padovani 276 Sergio Sollima, «Film d'oggi», 9 giugno 1945

Tipi e caratteri: Lea Padovani

Tipi e caratteri: Lea Padovani Se l'ammissione continua, per ogni cinematografia, di nuovi elementi è fattore decisivo di continuità e di miglioramento, per quella italiana è addirittura condizione indispensabile di vita, ora che il problema primo…
Lea Padovani 460 Alfredo Todisco, «L'Europeo», anno VI, n.44, 29 ottobre 1950

Dodici ore con Lea Padovani: una martellata nel bagno

Dodici ore con Lea Padovani: una martellata nel bagno “È la prima volta che amo veramente”, le disse Orson Welles; “finora ho considerato le donne come un bicchiere di vino o come un piatto di carne per quando si ha fame” Roma, ottobre Giorni fa,…
Lea Padovani 319 Sandro Volta, «Tempo», anno XIX, n. 41, 10 ottobre 1957

Lea Padovani potrebbe rubare la Gioconda

Lea Padovani potrebbe rubare la Gioconda Lea Padovani, che si prepara a una lunga separazione dal cinema, ha approfittato del suo attuale soggiorno parigino per approfondire la sua vera passione: la pittura Parigi, settembre Lea Padovani, appena ha…

Lea Padovani sul tetto che scotta

Lea Padovani 332 Franco Vegliani, «Tempo», anno XX, n.5, 30 gennaio 1958
Lea Padovani sul tetto che scotta E’ stata rappresentata per la prima volta in Italia, dalla Compagnia Cervi - Padovani - Ferzetti con la regia del francese Rouleau, la “tragedia…

Lea Padovani, la gatta sul tetto che scotta

Lea Padovani 45 Carlo Terron, «Le Ore», anno VI, n.247, 1 febbraio 1958 - Fotografie di Carlo Cisventi
Lea Padovani, la gatta sul tetto che scotta Per la prima volta rappresentata in Italia la moderna tragedia di Tennessee Williams. Sconfitta di un resistente. Chi sa garantisce…

Una rosa per Lea Padovani

Lea Padovani 252 Domenico Meccoli, «Epoca», anno IX, n.428, 14 dicembre 1958
Una rosa per Lea Padovani Liverpool, dicembre Ogni sera, a Liverpool, nel suo camerino del Nero Shakespeare Theatre, assaporando gli applausi che la salutano al termine della…

Lea Padovani vince la censura inglese

Lea Padovani 360 «Tempo», anno XXI, n.2, 13 gennaio 1959 - Fotografie di Mario Dondero
Lea Padovani vince la censura inglese Il lord Ciambellano ha tolto il veto che Impediva la rappresentazione della “Rosa tatuata” nel pubblici teatri. Lea Padovani potrà così…

LEA PADOVANI. Nota attrice del teatro e del cinema. Lea Padovani ha partecipato a numerosi film italiani e a film di coproduzione e ha interpretato film in lingua inglese. È stata fra l’altro protagonista di un episodio che rivela la diversità di trattamento riservata agli attori stranieri in Italia e negli altri Paesi. Giungendo a Londra per interpretarvi Cristo fra i muratori, la Padovani non aveva, ancora il permesso di soggiorno e dovette riprendere l'aereo per Parigi a causa delle disposizioni che tutelano il lavoro degli attori inglesi : «Bisognerebbe» ha detto la Padovani «che gli interessi degli attori italiani fossero almeno più efficacemente difesi da una migliore organizzazione sindacale.

In quasi tutti i Paesi gli attori di nazionalità straniera non ottengono il permesso di soggiorno se non hanno già un regolare contratto; da noi. gli stranieri vanno e vengono, si trattengono quanto vogliono e aspettano tranquillamente. sulla piazza, un’occasione favorevole, senza bisogno di nessun contratto. Questo non è giusto: il trattamento dovrebbe essere reciproco.» Agli effetti artistici Lea Padovani non crede che le co-produzioni possano nuocere al nostro cinema. «Secondo me in Stazione Termini è stato De Sica ad imporre il suo gusto e le sue concezioni ai due interpreti americani e non viceversa.»

«Epoca», 13 giugno 1954


1957 Tempo Lea Padovani intro

Lea Padovani è nata in Maremma da genitori veneti. Ha frequentato l’Accademia di Arte drammatica negli anni 1943-1945. Dopo aver cominciato a recitare nella compagnia di Macario è passata alla prosa e al cinema. Ha recitato in quaranta film ed è stata a Londra e a Parigi con la compagnia di Ruggeri. Attualmente è impegnata alla TV di Milano e si prepara a girare il film di Cayatte: "Occhio per occhio".

1957 Tempo Lea Padovani f1Domanda - Saprebbe dirmi un'azione che sarebbe capace di compiere fra vent’anni e non adesso?

Risposta - Perdonare.

D. - Mi dica per favore l’equivalente storico nei secoli deci-monono e c'ecimottavo dei fenomeni (di costume) Gina Lollobrigida e Sofia Loren?

R. - Innumerevoli, in tutti » secoli passati. Anche la sola bellezza naturale è arte.

D. - Una delle frasi che più comunemente si sente ripetere è che la sola cosa che oggi interessi in Italia sia "Lascia o Raddoppia?”. Ne esiste per lo meno, secondo lei, un’altra?

R. - E’ un calunnioso luogo comune. Ci sono perlomeno due altri milioni di cose che interessano gli italiani. E nessuno lo sa.

D. - Qual è nella vita la cosa che la incuriosisce maggiormente?

R. - La sincerità e la lealtà; a causa delle rarissime volte in ' cui mi è dato di riscontrarle.

D. - Chiamata da Dio, aila vigilia di un secondo diluvio universale, ad assumere le funzioni di un nuovo Noè, come allestirebbe la sua Arca?

R. - Tutto sommato, penso che Vallestirei proprio come Noè.

D. - Di quale fra i nostri antenati le piacerebbe essere il Mentore in una visita su questa terra?

R. - Di nessuno che sia passato alla storia. Un bimbo, possibilmente sveglio, e basta.

D. - Quale itinerario vorrebbe fargli seguire?

R. - La conoscenza degli uomini e la maggiore estensione umana nei loro rapporti.

D. - Con gli attributi di quale dei suoi contemporanei (tre nomi) ritiene sia possibile conseguire il successo nella vita?

R. - Dipende dal genere di successo.

D. - Quale degli avvenimenti di cui in questi anni siamo stati testimoni, è il più cinematografico?

R. - L’affodamento dell’Andre a Doria.

D. - Una ragazza di cosidetta piccola virtù pronunciò un giorno, mentre si guardava allo specchio la frase seguente: « Mi trucco, mi trucco e sembro sempre giovane lo stesso ». Questa frase suscitò in me la più grande impressione. Vuole aiutarmi a spiegarmela?

R. - 1 ) Non credo molto alla autenticità del fatto. 2) Come esiste un infantilismo psichico esiste anche un infantilismo fisico e in entrambi i casi non c'è nulla da fare.

D. - Secondo quale particolarità psicologica sarebbe in grado di distinguere un americano da un italiano?

R. - Basta la cravatta. Sulla psicologia di un uomo rivela di più una cravatta che un interrogatorio di terzo grado.

D. - Qual è secondo lei, il colmo dell’idiozia umana?

R. - Quando si è giovani, non accontentarsi della gioventù, quando si è belli non accontentarsi della bellezza, quando si è intelligenti non accontentarsi dell’intelligenza.

D. - Se Umberto di Savoia le chiedesse in tutta sincerità di dargli un consiglio, che cosa gli direbbe?

R. - E lei lo darebbe un consiglio ad un re?

D. - Saprebbe suggerirmi una domanda la cui risposta mi dia la possibilità di rivelarmi l’uomo imbecille?

R. - Qualsiasi risposta e qualsiasi domanda lo possono rivelare. L'imbecillità e l'amore sono due cose al mondo che non si riesce a nascondere.

D. - Qual è secondo lei la cosa che meglio esprime il nostro tempo?

R. - L’interesse, purtroppo.

D. - Chi è a suo giudizio l’uomo più nefasto che sia mai esistito?

R. - Molti, ahimè! E talvolta non sono nemmeno stati i più malvagi ma proprio certi benefattori fanatici in buona fede.

D. - Qualche tempo fa una madre mi chiese se avrei potuto "fare qualcosa per sua figlia che a suo parere aveva tutti gli attributi necessari per essere avviata nella carriera cinematografica". Avendo avuto

seguito occasione di conoscere e di interrogare questa ragazza mi sentii rispondere: « Io attrice! Ma nemmeno per sogno ». Vuol traimi per favore la morale?

R. - Che in molti casi i figli sono migliori dei genitori. E’ un sospetto del resto, che ho sempre avuto.

D. - Qual è secondo lei l’equivalente femminile contemporaneo di Giovanna d’Arco?

R. - Non esiste.

D. - Una delle frasi che ci siamo assuefatti a sentire è: il mondo si divide in due categorie, i buoni e i cattivi, gli intelligenti e gli imbecilli, eccetera. Segue lei pure questa consuetudine? Se sì mi vuole dire in quale modo e secondo quali categorie è solita distinguere l’umanità?

R. - E' il modo più assurdo e arrischiato di giudicare quello e ci fa prendere le maggiori cantonate. E’ invece questione di proporzioni. Ciò che più importa è che dalla mescolanza del bene e del male, di ingegno e di stupidità esca un amalgama quanto più umano possibile. Rilegga "L’idiota" di Dostoiewski e se ne renderà conto.

D. - Qual è secondo lei "le mal du siècle"?

R. - L’indifferenza.

D. - Qual è secondo lei il più gyave difetto di queste domande?

R. - Di voler essere originali.

D. - Esiste secondo lei una opera d’arte, letteraria o pittorica, a noi contemporanea che, alla medesima distanza prospettica, potrebbe avere lo stesso valore della "Divina Commedia" o della "Cena" di Leonardo?

R. - Dipenderà forse dalla mia ignoranza, ma non ne vedo alcuna. E c’è anche da chiedersi se la domanda sia legittima; se, voglio dire, identità spirituali e morali di questo genere corrispondano a una autentica realtà.

D. - Ha seguito lei queste interviste?

R. - Quasi tutte.

D. - Quale le è sembrata, per ciò che concerne le risposte, la più sincera?

R. - Riteniamo che siano tutte sincere: pur di saperle interpretare.

D. - Qual è secondo lei la differenza tra Manon Lescaut e Nanà?

R. - Secondo me Manon possiede una ricchezza umana e poetica che Nanà non si sogna nemmeno.

D. - Qual è secondo lei la differenza tra fascino e sex-appeal?

R. - Fascino è una bella parola che si riferisce ad una bella realtà. Sex-appeal è una realtà talvolta volgare espressa con un termine ancora più volgare.

D. - Esiste un complimento capace di infastidirla quanto un insulto?

R. - Si, un complimento ipocrita.

D. - Qual è la cosa che rende maggiormente ridicolo un uomo agli occhi di una donna?

R. - Lasci perdere, non si tratta di una sola.

D. - Condannata all’inferno, per quale colpa ritiene di potervi essere destinata?

R. - L’orgoglio, ammesso e non concesso che l'orgoglio sia un peccato capitale.

D. - Emil Ludwig diceva: « A due cose l’imperatore non seppe mai rinunciare: al suo lettuccio da campo e all’acqua di colonia ». Esistono particolari del genere cui non saprebbe rinunciare senza grande sforzo?

R. - Quando fosse necessario so che saprei rinunciare a qualsiasi particolare del genere.

D. - Esiste un attore (o una attrice) con il quale ha sempre desiderato e mai potuto girare un film?

R. - Laurence Olivier.

D. - Esiste un personaggio che ha sempre sognato e mai potuto interpretare?

R. - Si, me stessa fino in fondo.

D. - Qual è la domanda più indiscreta che secondo lei possa essere rivolta ad una donna?

R. - Non posso rispondere. Sarebbe talmente indiscreta la risposta che dovrebbe censurarla.

D. - Un suo film viene vietato ai minori di sedici anni. Qual è la sua più immediata e istintiva reazione?

R. - Se si tratta di un bel film compiango i minori di sedici anni; se si tratta di un brutto film li invidio. In entrambi i casi però il provvedimento è irritante come una violenza fatta al mio diritto di libertà.

D. - Per quale motivo secondo lei abbiamo, secondo la stampa, un paio di matrimoni del secolo ogni anno?

R. - Per assoluta mancanza di fantasia.

D. - Se le rimanesse mezza ora di vita che cosa farebbe?

R. - Alcune telefonate alle persone che amo. Dopo pregherei Dio di non lasciarmi sopraffare dalla paura.

D. - Quale epigrafe vorrebbe avere sulla sua tomba?

R. - Non ci ho mai pensato, faccia lei purché sia breve.

D. - Qual è il colmo dell’infelicità umana?

R. - La mancanza di speranza.

D. - Se le fosse concesso un atto di potenza assoluta come lo esplicherebbe?

R. - Regalando la felicità a tutti senza eccezioni e sarebbe meno difficile di quanto sembra: in fondo la felicità non è che uno stato d’animo.

D. - Qual è delle domande che fin qui le ho rivolto, la più insidiosa?

R. - Nessuna, non si preoccupi.

La risposta che più mi ha colpito di Lea Padovani è quella relativa alla domanda: "Saprebbe dirmi un’azione che sarebbe capace di compiere fra vent’anni e non adesso?”. Dice la Padovani: "Perdonare”. La prova dell’assoluta sincerità di questa risposta è data da tutto l’insieme dell’intervista dove una cosa almeno è chiara, quanto poco ella abbia saputo perdonarmi di averle rivolto questa serie di domande. Il motivo di tanta incapacità al perdono dovrebbe essere — lo dice lei stessa allorché le domando per quale colpa ritiene di poter essere mandata all’inferno — determinato dall’orgoglio. E un’altra volta, si ha una riprova della sua assoluta sincerità in quanto ella si sente subito dopo il dovere di soggiungere: "Ammesso e non concesso che l’orgoglio sia un peccato capitale”. Tale affermazione che mette in dubbio un principio non certamente inventato da me, rappresenta in un certo senso una splendida risposta ma ad una altra domanda che ancora non ho fatto e anzi me la suggerisce: "Qual è secondo lei il colmo dell’orgoglio umano?”.

Enrico Roda, Tempo», 1957


1959 Noi donne Lea Padovani intro

La brava attrice, che sta interpretando in questi giorni il romanzo sceneggiato di Salvator Gotta, ci ha parlato del suo lavoro alla TV che nel 1960 la porterà quasi quotidianamente sui teleschermi

Lea Padovani abita sulla via Aurelia Antica. E’ una strada incantevole, a un tiro di schioppo dalla cupola di San Pietro, fiancheggiata da ininterrotte fila di mura dietro le quali si intravede appena il verde di ville patrizie e di conventi secolari. I rumori giungono fin quassù ovattati dallo spazio e dal fogliame degli alberi annosi. Ma è una quiete assai precaria. Basta suonare un campanello, e risponde l’abbaiare furioso di un cane. Al primo, d’improvviso, si aggiunge un secondo e poi un terzo finché tutti i cani dei dintorni, in virtù di una sconosciuta e istintiva solidarietà, si associano alla protesta contro lo estraneo che ha usato turbare la serenità di questi luoghi, frequentati esclusivamente da frati, principi, mendicanti, cani e attori del cinema.

La sua villa non ha la sontuosità descritta da Montanelli nel suo «ritratto» televisivo. Rispetto all’immagine che ne ha dato la TV, guadagna in buon gusto quel che perde in magnificenza e ricchezza. Un bel giardino, con uno spiazzo ingombro di calcina, come è delle case delle attrici, perennemente in via di restauro, vialetti di ciottoli, una piscina, di questa stagione vuota. La casa vera e propria, è graziosissima e confortevole. Una vecchia dépen-dance, dimora per domestici, o scuderia. forse, rifatta in modo civettuolo, arredata con pochi mobili ma tutti di un gusto sicuro, e funzionali. Tutt’intorno alle pareti del salon-cino, quello stesso che hanno visto i telespettatori, scaffali con libri.

"Il mio paese è questo"

In questa casa, fino a qualche tempo fa, ha abitato Beiinda Lee. E’ qui che l’attrice inglese si è fatta fotografare immersa nella vasca piena di buon latte scremato. Erano gli imperatori, una volta, ad assistere ai riti consimili. Oggi sono i fotografi rappresentanti di Sua Maestà il pubblico, sempre indulgente con le attrici molto belle. Beiinda Lee ha abitato nella villetta durante il soggiorno inglese della padrona di casa.

Lea Padovani, che è vissuta più di un anno in Inghilterra e stenta un po’ a ritrovarsi nel clima e nell’ambiente italiano, ci parla dei suoi successi nel teatro inglese con una fierezza immodesta ma sincera. Due anni di spettacolo con La rosa tatuata di Tenessee Williams, nella parte di emigrata italiana, la stessa che fruttò l’Oscar ad Anna Magnani. Scorriamo i ritagli dei giornali inglesi ove si parla di lei in termini che smentiscono il luogo comune della tradizionale freddezza britannica. «Straordinaria», — scrive un critico — l’Italia non ci aveva mandato nulla di simile da Emma Gramatica in poi». Gli inglesi conobbero Emma Gramatica più di venti anni fa, e la ricordano ancora.

1959 Noi donne Lea Padovani f1Lea Padovani negli studi della TV

Ora, Lea Padovani è tornata per restare, almeno per un lungo periodo: il primo motivo è di carattere sentimentale. Lea Padovani è fidanzata da alcuni anni, e il fidanzato, durante il periodo della permanenza in Inghilterra, ha affrontato il viaggio in aereo una volta alla settimana. Ciò che costituisce una bella fatica. E una bella spesa anche: ottanta sterline la settimana, 150 mila lire circhi, di solo viaggio. Ma è stato anche un motivo professionale, a riportare Lea Padovani in Italia. «Il teatro inglese — dice — è splendido, raffinato, colto, di altissimo livello. Ma il mio paese è questo, e un’attrice fuori del suo paese è come un fiore trapiantato in una serra. Bisogna respirare l’aria di casa, avere attorno la propria gente, perchè questa è la nostra vita, e l’ispirazione del nostro lavoro».

Lea Padovani sarà l’attrice televisiva del 1960. Fra tutte le offerte ricevute al suo ritorno, ha preferito la TV. «Manco da tanto tempo, e c’è pericolo che il pubblico si dimentichi di me. Ho bisogno di farmi vedere, di tornare nelle case della gente. E solo la televisione mi offre la possibilità di stabilire un contatto immediato con il grande pubblico». Dopo Ottocento di Salvator Gotta, attualmente in programma, Lea Padovani interpreterà, nel volgere di sette-otto mesi, Francillon di Alessandro Dumas figlio. E’ una commedia che ai suoi tempi, venne scritta nel 1887, apparve rivoluzionaria o quasi. Ne è protagonista una donna, la quale accetta il suo uomo solo a patto di essere rispettata nella sua dignità di creatura umana e di sposa. Dichiara, fra l’altro, di pretendere da lui la stessa fedeltà che egli esige da lei; e il giorno in cui s’accorge di essere tradita, dice allo sposo di aver fatto altrettanto. Poi, in un secondo momento, allo spettacolo della disperazione dell’uomo, certa ormai di aver affermato un principio che ritiene sacro, fornirà le prove della sua innocenza.

Un programma nutrito

La storia, ritorna, come si vede, un po’ nei vecchi binari del teatro borghese, ma l’appassionata fierezza di Francillon ancora oggi ha qualcosa da insegnare. Forse, una volta tanto, i dirigenti della TV hanno scelto bene. Il temperamento e la fierezza di Lea Padovani ben si addicono a un personaggio che è fra i meno banali del teatro di quel periodo, di quello di Dumas in particolare.

Dopo Francillon, Lea Padovani interpreterà la riduzione di un racconto di Lower Skold, Carlotta, quindi il primo romanzo sceneggiato di autore moderno, Ragazzo mio, di Saroyan. Una storia ambientata in America fra le due guerre mondiali.

Ma Lea Padovani ha un altro progetto, che accarezza da lungo tempo. Ha proposto alla TV di interpretare Mariana Pineda, uno splendido dramma di Garcia Lorca, la storia di una nobile donna spagnola di un secolo fa che, accanto al suo uomo, partecipa alla lotta contro la tirannide. «Romanza popolare», la definì lo autore. E in effetti la storia di Mariana Pineda, la donna che cuce la bandiera della libertà per il giorno dell’insurrezione, ha la bellezza e il calore di un canto popolare. Lea Padovani spera di poter portare sui teleschermi la storia di Mariana Pineda, magari alla fine del suo programma.

1959 Noi donne Lea Padovani f2Lea Padovani insieme a Giorgio Fantoni e Virna Lisi durante le prove del romanzo sceneggiato «Ottocento».

Il 1960, auspice la televisione, potrebbe essere l’anno di Lea Padovani. Come durante l’anno in corso la TV ha valorizzato attori come Enrico Maria Salerno e Giorgio Albertazzi, così il prossimo anno potrebbe essere quello di Lea Padovani. La TV potrebbe restituirci la magnifica attrice che conoscemmo in Cristo fra i muratori, storia, anche questa, ambientata fra gli emigrati italiani in America, o in Roma ore 11, di De Santis. Lea Padovani ha il temperamento, e il volto, di una attrice popolare. Ma ha anche bravura, mestiere, cultura. Il cinema italiano la scoprì, nell’immediato dopoguerra, e trovò in lei un felice punto d’incontro fra l’esigenza di far apparire sullo schermo un volto vero di donna in carne ed ossa, e quella di utilizzare attrici colte e sensibili. In questo senso, il nome di Lea Padovani va collocato a fianco di quello di Anna Magnani. Poi, così come è avvenuto per la Magnani, l’imperversare dei fusti, delle bulle, l’invasione delle ragazzette dei concorsi di bellezza hanno immerso il cinema italiano in un clima di penoso dilettantismo. E Lea Padovani ha preferito applicare altrove quella serietà professionale che l’Italia, ogni tanto, sembra incapace di apprezzare. E’ andata in Inghilterra. Accogliendola al suo ritorna in Italia, la TV ha fatto un buon affare. Si è assicurata una buona carta, e resta solo da augurarci che sappia giocarla come si deve.

Arturo Gismondi, «Noi donne», 1959


1960 Noi donne Lea Padovani intro

«Noi donne», 1960 - Lea Padovani


1991 06 24 Corriere della Sera Lea Padovani morte intro1

ROMA — Lea Padovani è morta ieri per arresto cardiocircolatorio. In questi giorni l’attrice — che era nata a Montalo di Castro (Viterbo) nel 1924 — stava provando «L’imperatrice della Cina», in cartellone per il prossimo Festival teatrale di Todi. Per far fronte a questo nuovo impegno si era sottoposta, sei giorni fa, a un check up (tre anni fa aveva avuto un ictus) i cui risultati erano stati positivi. Il funerale si svolgerà a Roma, domani alle 10, nella chiesa degli artisti, in piazza del Popolo.

Lea Padovani era riuscita a entrare nel mondo dello spettacolo grazie a una borsa di studio frequentando l'Accademia d’arte drammatica. Nel 1944 aveva esordito nella rivista con Macario, partecipando quindi ad altri spettacoli comico-musicali con Anna Magnani e Umberto Melnatl. Nel 1946 debuttò in prosa dove ebbe un primo, significativo successo personale nella commedia «Un uomo come gli altri» con Luigi Cimara e Lilla Brignone, cui seguì «I parenti terribili» di Visconti.

Lea Padovani proseguì in teatro nelle compagnie di Andreina Pagnanl, Sandro Ruffini, Rina Morelli e altre. Si dedicò quindi al cinema, salvo sporadici ritomi alle scene, dopo una prima esperienza nel 1945 con «L’innocente Casimiro» di Carlo Campogalliani. Nella sua carriera cinematografica ha interpretato più di 50 film fra i quali «Roma ore 11» di Giuseppe De Santis, «Tempi nostri» di Alessandro Blasetti, «Cinema d’altri tempi» di Steno, «Fascicolo nero» di André Cayatte, «Pane, amore e...» di Dino Risi. In Tv negli anni Cinquanta interpretò commedie e romanzi sceneggiati, tra i quali «Piccole donne», «Il romanzo di un giovane povero», «Ottocento». Negli stessi anni anche in teatro fu gratificata con «Il sogno di una notte di mezza estate» e «La gatta sul tetto che scotta» a fianco di Gino Cervi e Gabriele Ferzetti.

È stata un’attrice imprevedibile: all’apice del successo abbandonò la carriera per l’amore. Vent’anni fa, infatti, diede l'addio allo schermo e alle scene per sposare Aldo De Francesco, un uomo molto più giovane di lei. Qualche anno fa, abbandonata dal marito, tornò allo spettacolo: ottenne un notevole successo con la commedia «Tragedia popolare» e interpretò il film «La puttana del re» di Alex Corti.

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Nelle oltre 500 pagine della biografia «Orson Welles» di Barbara Leaming non figura il nome di Lea Padovani. Eppure tante fotografie di fine estate del '48 ritraggono insieme a Venezia il regista e l'attrice sulle scale del Palazzo del cinema: il Genio e la Bella, titolò qualche giornale. Lui aveva 33 anni e giganteggiava; lei, minuta e graziosissima, di anni ne aveva 25 (o 28, secondo altre fonti). Si tenevano per manina e sembravano destinali a diventare una nuova coppia reale del cinema. Seguì invece la repentina separazione: e in un succedersi di tempeste pubbliche e private l'ambito ruolo nel film «Othello» passò a Suzanne Cloutier. Delle scene girate dalla Desdemona che non fu emergerà forse, un giorno o l'altro, qualche «pizza» dagli archivi.

Il breve e sterile incontro con il mercuriale Orson può essere assunto a simbolo di una carriera che, pur suscitando consensi e speranze, non risultò forse all'altezza delle aspettative. Nella parabola di Lea ci furono momenti magici, ma il segno dominante rimase quello della discontinuità, di una perpetua irritazione o della frustrazione. Da ventenne aveva abbandonato l'Accademia d'arte drammatica per sfilare in «puntino» sulla passerella delle riviste di Anna Magnani, Macario e Taranto; ma subito dopo si era imposta per aggressività e talento nella storica messinscena di «I parenti terribili» di Cocteau, manifesto del nuovo teatro di Luchino Visconti.

In prospettiva si potrebbe dire che l’esempio della Magnani rappresentò la folgorazione nella vita della ragazza di Mori-tallo di Castro, sempre pronta a confermarsi nei momenti ispirati come una piccola Magnani magari all’altezza di quella grande. Lo fu certo in «Cristo fra i muratori» (1949) di Edward Dmytryk, dal romanzo populista di Pietro Di Donato, la sua prova più apprezzata: purtroppo era un film controcorrente, girato in Gran Bretagna da rifugiati delle liste nere hollywoodiane, e negli USA non trovò grazia.

Ancora alla Magnani si rifannò il personaggio della dattilografa di «Roma ore 11» (1951) di De Santis e soprattutto la madre moraviana con troppi figli a carico che gira varie chiese della Capitale, in coppia con il marito Mastroianni, per liberarsi dell’ultimo nato: «Il pupo», un episodio da antologia nel film «Tempi nostri» ('54) di Blasetti, fece vincere a Lea la Grolla d'oro.

E sempre nel filone si inserisce la commedia di Tennessee Williams «La rosa tatuata», con cui Anna aveva vinto l'Oscar tre anni prima, portata dalla Padovani sulle scene di Londra, in lingua inglese, nel '59. Da noi era stata invece applaudita l'anno prima in «La gatta sul tetto che scotta».

Sullo spirare del decennio, ancora prima di compiere i 40 anni, l'attrice sembra smarrire la diritta via: saranno il carattere difficile, la mancanza di occasioni giuste o la precoce mutazione fisica che viene impietosamente cancellando i segni dell’antica bellezza, fatto sta che la sua attività diventa più occasionale attraverso teatro, cinema e tivù. A prove recalcitranti o indifferenti si alternano episodi di ritrovato respiro, interpretazioni da ricordare; e a sostenere l'attrice c'è sempre un selezionato drappello di «fans» irriducibili.

Dai resoconti teatrali emergono fra le altre cose un bellissimo «Pellicano» di Strindberg datato '81; e la «Donna Rachele» impersonata con grinta nella beffarda «Tragedia popolare» di Mario Missiroli a Spoleto (1988). A ben vedere, insomma, il bilancio di questa tormentala vita d’artista finisce per rivelarsi tuli'altro che irrilevante.

Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 24 giugno 1991


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ROMA. Lea Padovani è morta sabato notte nella sua abitazione per un improvviso attacco di cuore. L'attrice, che avrebbe compiuto 69 anni a luglio, in questi giorni stava preparando uno spettacolo teatrale per il Festival di Todi, «L'ultima imperatrice», per la regia di Lucio Gabriele Dolcini. L'Accademia, la rivista, il cinema e poi ancora il teatro: la sua carriera fu discontinua ma piena. Interpretò una cinquantina di film e vinse un Nastro d'Argento e una Grolla d'Oro. Indipendente e decisa, Lea Padovani fu spesso paragonata per il temperamento ad Anna Magnani. Le cronache rosa si occuparono a lungo di lei ai tempi della relazione con il regista Orson Welles. Un ritratto della donna e dell'attrice nelle testimonianze della sorella Lia e dei registi Risi e Lizzani.

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1991 06 24 La Stampa Lea Padovani morte f1Lea Padovani è morta nella notte tra sabato e domenica per un improvviso attacco cardiaco. Il medico curante, un amico di famiglia, aveva trascorso con lei molte ore della giornata di sabato trovandola in ottime condizioni: l'ictus che l'aveva colpita anni addietro era stato completamente superato tanto che un controllo delle sue condizioni fisiche di pochi giorni fa l'aveva incoraggiata a tornare in scena. Stava preparando per il Festival di Todi «L'ultima imperatrice», per la regia di Lucio Gabriele Dolcini, regista di opere liriche occasionalmente tentato dal teatro. Il suo ruolo era quello della protagonista, la madre di Pu-Y, il personaggio al quale Bernardo Bertolucci ha dedicato il film «L'ultimo imperatore».

E proprio i costumi del film avrebbero dovuto essere usati per questo allestimento previsto in scena il 30 agosto. Ma da professionista scrupolosa Lea Padovani aveva già cominciato a preparare la parte, non accettando di presentarsi alle prove senza sapere bene il suo ruolo. «Invece - racconta la sorella Lia, una volta anche lei attrice - ha appena fatto in tempo, intorno alle due e mezzo di notte, a chiamare il nostro amico medico». I funerali saranno domani mattina alla chiesa degli Artisti alle 10. Lea Padovani era nata a Montalto di Castro il 28 luglio del '23, ma aveva vissuto e studiato a Roma dove era stata allieva dell'Accademia Silvio D'Amico a fianco di Vittorio Gassman e di Luigi Squarzina.

Era attrice di testa più che cuore, un'intellettuale che sapeva confrontarsi con i registi, una persona ricca di temperamento, ma anche spiritosa, colta, preparata. La sua capacità di recitare anche in inglese e in francese l'aiutò molto a farla accettare dalle produzioni internazionali allestite dagli americani, ma la grande notorietà in Italia l'ebbe quando, agli albori della televisione, interpretò con Anton Giulio Majano i grandi romanzi sceneggiati. «Pensava con la sua testa, in anticipo sui tempi e sulle mode», dicono di lei gli amici. E così è rimasta tutta la vita, in un'altalena continua tra i momenti di grande popolarità dovuti ai successi, e i momenti di totale silenzio, dovuti ai suoi periodi di fuga in barca sul mare. Carlo Lizzani, che l'aveva conosciuta sul set di «Il sole sorge ancora» di Aldo Vergano, ne parla come di una figura «anomala». «Per il cinema una come lei era un'eccezione: non era una ragazza uscita dai concorsi delle miss come si usava nel dopoguerra, né una favorita di regime come se n'erano viste durante il fascismo, e neppure una faccetta candida da telefoni bianchi.

Lea Padovani aveva un volto autentico e naturale, unito a un temperamento combattivo. Allora di attrici così c'era solo Anna Magnani: e a lei la Padovani era paragonata di frequente, in quegli anni». E le cronache rosa del tempo sottolineavano ancora di più questo confronto perché si diceva che proprio per Lea Massimo Serato avesse abbandonato Anna. Ma la storia d'amore di Lea che più fece scalpore sui giornali fu quella con Orson Welles. Welles - racconterà molti anni dopo la stessa attrice - era un cultore della bellezza femminile italiana, e lei era una tipica bruna mediterranea. Lui si innamorò al primo incontro, sottoponendola a un corteggiamento implacabile e plateale. «Mi arresi diceva Lea Padovani - per- Una relazione travolgente con il regista Orson Welles Lea Padovani in una foto recente. Sotto, l'attrice insieme con Orson Welles nel settembre del '48 al Festival di Venezia La carriera che era un uomo al quale non si poteva opporsi». Nel '51 Welles la volle sul set di «Otello» ma lei dopo qualche settimana lo abbandonò perché si era innamorata di un altro. Humphrey Bogart disse che era stata la sola donna a lasciare Welles.

Lea Padovani era fatta così. Sosteneva di aver deciso di far l'attrice perché le pareva il modo più veloce per conquistare soldi e ricchezza e poi godersi la vita come le pareva. Non fu perciò una stravaganza inaspettata quella di lasciare, a metà degli Anni Sessanta, una carriera brillante ma faticosa per andarsene a vivere con Aldo De Francesco, un uomo avventuroso con il quale è rimasta vent'anni girando il mondo in barca, con lunghe soste prima nella casa in California poi in quella di Miami. Un'esistenza intervallata solo di tanto in tanto da brevi appari zioni in televisione o nel cinema, «perché le portavano via poco tempo». Era perfino diventata capitano di lungo corso e per tre volte aveva attraversato l'Atlantico sulla sua barca. Dino Risi, che la diresse a fianco della Loren e di De Sica in «Pane, amore e...», la ricorda come una donna libera e romantica. «Non accettava compromessi, non faceva commercio della sua bellezza, non si piegava alle leggi del mercato. Ha avuto la carriera che ha voluto». Negli ultimi cinque o sei anni, finito il rapporto con il suo compagno, era tornata a vivere a Roma ripartendo proprio dal teatro. Non aveva rimpianti.

Simonetta Robiony, «La Stampa», 24 giugno 1991


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1991 06 24 La Stampa Lea Padovani morte f2Due immagini contrastanti evoca nel ricordo il nodi Lea Padovani: da me una parte la giovane e bellissima subrettina nella rivista «Febbre azzurra» (1945), dall'altra la grintosa matrona di «Tragedia popolare» (1988) di Mario Missiroli. Tra le immagini trascorrono oltre quarant'anni, ma è come se ne fossero passati molti di più: perché la Padovani, una e due, era come se si fosse sdoppiata, travestita e deformata. Per un capriccio del caso o per un'interna decisione autodistruttrice. Nel momento del trapasso di questa brava attrice, che costringe a un sommario bilancio della sua attività, si vorrebbe sovrapporre e fondere la doppia immagine, riconciliare le memorie divergenti e recuperarne la continuità.

Ma non è facile. Nata a Montalto di Castro nel '23 sotto il segno del Leone (alcune fonti la datano 1920), Lea imboccò la carriera dalla porta principale, quella dell'Accademia d'arte drammatica; però subito si stancò di studiare e favorita dal fisico passò in rivista, con la Magnani, Macario e Taranto. Per poi svicolare ancora in quello stesso anno 1946 che vide tanti miracoli italiani, in un film di scuola neorealista come «li sole sorge ancora» di Vergano e in uno spettacolo che fece scandalo come «I parenti terribili» di Cocteau-Visconti. Aveva molti numeri: la gioventù, il fascino, un talento grezzo ma disponibile; e tanta voglia di sfondare in un panorama più vasto, magari recitando in inglese. La grande occasione sembrò brillare con l'affettuosa amicizia che la legò a Orson Welles, pronto ad assegnarle la parte di Desdemona nel suo «Otello» cinematografico; ed altrettanto pronto a togliergliela quando il legame si sciolse (la fece poi Suzanne Cloutier).

Però Lea in qualche modo aveva ormai messo piede nel cinema internazionale e nel '49 ebbe finalmente l'offerta della sua vita: la protagonista di «Cristo fra i muratori», dal romanzo di Pietro Di Donato, girato a Londra da Edward Dmytryk, uno dei «dieci di Hollywood» perseguitati dal senatore McCarthy. Purtroppo in Usa il film fu negletto e non ha ancora avuto il revival che merita. Dopo la parziale delusione londinese, l'attrice riprese il lavoro passando da un film all'altro con un impegno che le meritò nel '54 un Nastro d'argento. Non si possono certo ricordare tutti i suoi titoli (una cinquantina) e molti non lo meritano, tuttavia prove eccellenti furono quelle in «Roma ore 11» (1951) di De Santis e soprattutto di «Il pupo» in «Tempi nostri» di Blasetti, dove a fianco di Mastroianni impersonava l'eroina di un «racconto romano» di Moravia con una vena da mater dolorosa che le fece vincere la Grolla d'oro. Sul calare della richiesta cinematografica tornò al teatro, recitando Tennessee Williams in Italia («La gatta sul tetto che scotta») e a Londra («The rose tattoo»), sfidando la Magnani che con questo personaggio aveva da poco vinto l'Oscar.

Alessandra Levantesi, «La Stampa», 24 giugno 1991


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«L'Unità», 24 giugno 1991


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L'addio a Lea Padovani Si sono svolti ieri a Roma nella chiesa degli Artisti di piazza del Popolo i funerali dell'attrice Lea Padovani, morta domenica scorsa a 70 anni. Alla celebrazione funebre dell'interprete di «Una gatta sul tetto che scotta», di sceneggiati televisivi come «Piccole donne» e «Ottocento», di oltre 50 film, c'erano i fratelli Lia e Arturo, i nipoti e molti attori.

Tra gli altri, Didi Perego, Silvio Spaccesi, Gastone Pescucci, Gabriele Dolcini, Renato Sarpa, Claudio Guarino, che durante la funzione ha letto la «Preghiera degli artisti». Confuso tra i 200 presenti, il marito di Lea Padovani, Aldo De Francesco. Per sposarlo l'attrice abbandonò le scene per circa vent'anni. Tornò al teatro dopo il fallimento del matrimonio. Un lungo applauso ha accompagnato l'uscita del feretro dalla chiesa. Tra gli intervenuti, Luciana Cristofori, che condivise con la Padovani l'attività di nuotatrice a livello agonistico.

«La Stampa», 26 giugno 1991


Teatro di rivista

Cantachiaro (1944), con Anna Magnani, Marisa Merlini, Enrico Viarisio.
Febbre azzurra (1945), con Erminio Macario, Ugo Tognazzi

Filmografia

L'innocente Casimiro, regia di Carlo Campogalliani (1945)
Il sole sorge ancora, regia di Aldo Vergano (1946)
Il diavolo bianco, regia di Nunzio Malasomma (1947)
Che tempi!, regia di Giorgio Bianchi (1948)
I cavalieri dalle maschere nere, regia di Pino Mercanti (1948)
Una lettera all'alba, regia di Giorgio Bianchi (1948)
Cristo fra i muratori, regia di Edward Dmytryk (1949)
Due mogli sono troppe, regia di Mario Camerini (1950)
Taxi di notte, regia di Carmine Gallone (1950)
Atto di accusa, regia di Giacomo Gentilomo (1950)
Tre passi a Nord, regia di William Lee Wilder (1951)
La grande rinuncia, regia di Aldo Vergano (1951)
I due derelitti, regia di Flavio Calzavara (1951)
Fiamme sulla laguna, regia di Giuseppe Maria Scotese (1951)
Totò e le donne, regia di Steno e Mario Monicelli (1952)
Papà ti ricordo, regia di Mario Volpe (1952)
I figli non si vendono, regia di Mario Bonnard (1952)
Don Lorenzo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1952)
Roma ore 11, regia di Giuseppe De Santis (1952)
Una di quelle, regia di Aldo Fabrizi (1953)
Cinema d'altri tempi, regia di Steno (1953)
Donne proibite di Giuseppe Amato (1953)
Tempi nostri - Zibaldone n. 2, regia di Alessandro Blasetti (1954)
La tua donna, regia di Giovanni Paolucci (1954)
Il seduttore, regia di Franco Rossi (1954)
Guai ai vinti, regia di Raffaello Matarazzo (1954)
Gran varietà, regia di Domenico Paolella (1954)
Napoli è sempre Napoli, regia di Armando Fizzarotti (1954)
La moglie è uguale per tutti, regia di Giorgio Simonelli (1955)
Fascicolo nero, regia di André Cayatte (1955)
La contessa di Castiglione, regia di Georges Combret (1955)
Pane, amore e..., regia di Dino Risi (1955)
Solo Dio mi fermerà, regia di Renato Polselli (1957)
La maja desnuda, regia di Henry Koster e Mario Russo (1958)
Pane, amore e Andalusia, regia di Javier Setó (1958)
La noia, regia di Damiano Damiani (1963)
Frenesia dell'estate, regia di Luigi Zampa (1963)
Germinal, regia di Yves Allégret (1963)
Candy e il suo pazzo mondo, regia di Christian Marquand (1968)
Ciao Gulliver, regia di Carlo Tuzii (1970)

Doppiatrici

Lydia Simoneschi in L'innocente Casimiro, I figli non si vendono, Atto d'accusa, Fascicolo nero
Dhia Cristiani in Due mogli sono troppe, Guai ai vinti
Clara Bindi (dialoghi) e Tina Centi (canto) in Napoli è sempre Napoli
Rina Morelli in La maja desnuda

Teatro di prosa

I parenti terribili (1946-47), di Jean Cocteau, regia di Luchino Visconti
Enrico IV (1953), di Luigi Pirandello, con Ruggero Ruggeri
Tutto per bene (1953), di Luigi Pirandello, con Ruggero Ruggeri
La gatta sul tetto che scotta (1957-58), di Tennessee Williams
Ruy Blas (1966), di Victor Hugo, con Arnoldo Foà, Warner Bentivegna, Mario Valgoi
Il testimone (1966), di Arnoldo Foà, con Arnoldo Foà, Mario Valgoi

Prosa radiofonica RAI

Daniele fra i leoni di Guido Cantini, regia di Anton Giulio Majano, trasmessa il 28 aprile 1958.

Prosa televisiva RAI

Daniele tra i leoni regia di Anton Giulio Majano, trasmessa il 14 ottobre 1955.
I dialoghi delle Carmelitane di Georges Bernanos, regia di Tat'jana Pavlovna Pavlova, trasmessa il 2 novembre 1956.
L'ufficiale della guardia di Ferenc Molnár, regia di Tat'jana Pavlova, trasmessa il 7 dicembre 1956.
L'incorruttibile di Hugo von Hofmannsthal, regia di Giorgio Albertazzi, trasmessa il 30 giugno 1985

Sceneggiati televisivi RAI

La bisbetica domata, regia di Daniele D'Anza (Rai 1954)
Piccole donne, regia di Anton Giulio Majano (1955)
Il romanzo di un giovane povero da Octave Feuillet, regia di Silverio Blasi (1957)
Ottocento, regia di Anton Giulio Majano (1959)
Ragazza mia, regia di Mario Landi (1960)
La quinta donna (1980)
Il treno per Istanbul (1980)
L'amante dell'Orsa Maggiore, regia di Anton Giulio Majano (1983)


Riferimenti e bibliografie:

  • Alfredo Todisco, «L'Europeo», anno VI, n.44, 29 ottobre 1950
  • Cinema, 10 luglio 1954
  • Sandro Volta, «Tempo», anno XIX, n. 41, 10 ottobre 1957
  • Franco Vegliani, «Tempo», anno XX, n.5, 30 gennaio 1958
  • «Tempo», anno XXI, n.2, 13 gennaio 1959 (Fotografie di Mario Dondero)