Stoppa Paolo

Paolo Stoppa1

(Roma, 6 giugno 1906 – Roma, 1º maggio 1988) è stato un attore cinematografico, attore teatrale e doppiatore italiano.

Biografia

Esordisce in teatro nel 1927 e nel giro di pochi anni passa dal ruolo di generico a quello di attore brillante. Dal 1938 al 1940 fa parte della compagnia del Teatro Eliseo di Roma, interpretando personaggi assai complessi del repertorio classico e moderno. Nota è la sua appartenenza alla Massoneria, nell'obbedienza della Piazza del Gesù.

Teatro

Proprio in questa famosissima compagnia incontra l'attrice Rina Morelli, che diventerà la sua compagna nella vita e sulla scena; insieme formeranno, per trent'anni, una delle coppie più affiatate del teatro italiano. Dopo la guerra conosce il regista Luchino Visconti, dall'incontro si determinerà uno dei più importanti fenomeni teatrali del dopoguerra: il trio Stoppa-Morelli-Visconti metterà in scena acclamate rappresentazioni di pièce di celebri autori, come Čechov, Shakespeare e Goldoni.
Affermatosi come uno dei più completi attori italiani, Paolo Stoppa si impone come grande attore versatile, capace di passare con disinvoltura dai ruoli impegnati a quelli leggeri, con un carattere personalissimo delle interpretazioni, frutto del suo tipico incedere recitativo, energico e sincopato.
Negli anni sessanta l'attore è all'apice della sua arte teatrale: valga per tutte l'impagabile interpretazione di Gaev in Il giardino dei ciliegi di Cechov (1965), diretto da Visconti.
Nel 1976 proprio la morte di Rina Morelli e di Visconti risulteranno per lui traumatiche. Nel luglio del 1978, con l'abile regia di Giorgio De Lullo, fa il suo grande rientro a teatro durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto, al Teatro Caio Melisso, con una amara commedia americana "Gin Game" interpretata magistralmente insieme a Franca Valeri.
Successivamente, per la regia di Patroni Griffi interpreterà anche L'avaro di Molière; mediocre sarà invece il risultato quando si farà dirigere dal giovane Memè Perlini in Il mercante di Venezia (1980). Con un soprassalto d'orgoglio, nel 1984, ormai alla fine di una carriera esemplare, farà in tempo a essere un inedito Ciampa ne Il berretto a sonagli, diretto da Luigi Squarzina.
Malato da tempo di leucemia muore a Roma il 1º maggio del 1988.

Cinema

In campo cinematografico fornisce grandi interpretazioni in Miracolo a Milano (1951), Rocco e i suoi fratelli (1960), Viva l'Italia (1961), Il Gattopardo (1962), La matriarca e C'era una volta il west (1968).
Un altro ruolo noto dell'attore è quello del nonno di Teresina Fedeli, interpretata da una giovanissima Jodie Foster nel film Casotto di Sergio Citti (1977).
Da sottolineare, a fine carriera, le interpretazioni di papa Pio VII ne Il marchese del Grillo e di Savino Capogreco, un avarissimo usuraio che verrà poi truffato dai goliardici compari, in Amici miei - Atto II di Mario Monicelli.

Radio
Numerose le partecipazioni alla prosa radiofonica sia dell'EIAR che della Rai. In particolare tra gli anni sessanta e settanta è protagonista in coppia con Rina Morelli degli sketch comici Eleuterio e Sempre tua, rubrica che andò per lungo tempo in onda nella trasmissione domenicale Gran varietà.

Televisione

Insieme a Rina Morelli esordisce in televisione nel ruolo di Carlo Day nello sceneggiato Vita col padre e con la madre (1960).
Soprattutto negli anni settanta è il protagonista di diversi sceneggiati televisivi di successo: nel 1970 interpreta Antonio Meucci nello sceneggiato Antonio Meucci cittadino toscano contro il monopolio Bell, dedicato alla figura dello scienziato inventore del telefono, e nel 1972 presta il volto al commissario Bärlach ne Il giudice e il suo boia e ne Il sospetto, entrambi tratti da romanzi di Friedrich Dürrenmatt. A questi lavori seguirà lo sceneggiato ESP, nel ruolo del sensitivo Gerard Croiset.
Nel 1974 interpreta il commissario Carlo De Vincenzi negli episodi della serie televisiva Il commissario De Vincenzi: Il candeliere a sette fiamme, L'albergo delle tre rose, Il mistero delle tre orchidee, tratti dai romanzi di Augusto De Angelis (la serie avrà poi un seguito nel 1977 con altri tre episodi), mentre nel 1974 è l'abile truffatore Alves dos Reis in Accadde a Lisbona, che ripercorreva la vicenda dello scandalo della Banca del Portogallo.
Nel 1975 offrirà una memorabile interpretazione nel ruolo di Don Ippolito con funzioni di "coro greco" nel celebre sceneggiato L'amaro caso della baronessa di Carini.
Nel 1983 riprenderà il personaggio di Arpagone nella trasposizione televisiva de L'avaro di Molière, nella quale darà una delle sue più convincenti prove recitative.

Doppiaggio

Inizia l'attività di doppiatore alla metà degli anni trenta, voce di Fred Astaire, nei film Voglio danzar con te e Non sei mai stata così bella.
Ha dato la sua voce anche ad attori come Richard Widmark, Kirk Douglas e Paul Muni, oltre a numerosi altri.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca



Alle volte Paolo Stoppa sembra un pretino, anzi un chierico, cosi dimesso e intimidito quale appare se non muove parola e sorride con infantile candore; quasi verrebbe voglia di assicurarsene, cercando in sul cucuzzolo del suo capo il tondino della prima tonsura.

Ma egli porta i capelli lisci e scuri talmente impomatati che gli formano sul capo una calotta lucida compatta impenetrabile; egli porta due baffetti sottili e punzecchianti (ciò lo affermano le donne che si fanno baciare da lui) che sembrano tirargli su il labbro; egli ha il naso invadente e imperioso come un corno da caccia; egli ha gli occhi piccoli, acuti come due spilli c mobilissimi, da furetto. Certamente Paolo quand'era ragazzo avrà frequentato un oratorio e avrà servito la messa suonando piano il campanello al momento dell'Elevazione: nei ricordi della sua adoloscenza ci dev'essere un odore di sacre-stia e un sapore dolciastro di ostia, come c'è un vivo ricordo di museo e di galleria che, dopo tutto, sono parenti stretti delle chiese. Non dimentichiamoci che Stoppa appartiene ad una antica famiglia romana d'antiquari (è nipote di Augusto Jandolo), gente la quale non vuote che la tradizione nella discendenza si estingua. Quindi Stoppa aveva già una porta aperta : quella d'un negozio d'antiquario.

Ma si sa com'è la vita, prende gli uomini e li porta via, per strade impensate: e Stoppa che poteva finire sugli altari o al Babuino è finito invece sul palcoscenico. Meglio per noi.

* * *

La sua camera è presto detta: a diciassette anni entra nella Scuola di Recitazione, quattro anni dopo, al saggio finale. Silvio D'Amico invita anche gli attori che recitano in quel momento nei teatri romani e Paolo Stoppa, che credeva di dover stimare quadri e mobili per tutto il resto della sua vita, è subito scritturato come «generico» dalla Capodaglio che aveva compagnia con Racca e Olivieri; poi passa nella compagnia Gandusio, quindi in quella degli spettacoli gialli, in seguito va con Ricci, fa parte della Compagnia del Teatro di Milano, di quella di Picasso, si affianca alla Galli e infine s'installa nella Compagnia del Teatro Eliseo (il buon Torraca, che ha avuto buon naso, ora non lo molla più). La navigazione è terminata: Stoppa (al pari di Cervi e della Morelli) ha gettato da tre anni le àncore nel sicuro porto di Via Nazionale con buon profitto, e in estate parte in crociera, tra Cinecittà e Tirrenia, per interpretare non meno di otto film.

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Paolo Stoppa è il «brillante» piu completo e dotato di tutto il Teatro italiano, e non intendo nel significato tradizionale che si dà al vecchio ruolo, cioè come macchietta, sovrapposizione di un tipo e di un carattere voluto e manierato che si appiccica all'attore come un francobollo: egli era tale torse dieci anni fa, quando doveva dare più ascolto agli altri che a, se stesso, c tale appare (ma questa volta opportunamente, perché deve rappresentare proprio quel tipo di attore oggi tramontato) nel film Orizzonte dipinto diretto da Guido Salvini; intendo al contrario definire Stoppa «brillante» solo per la corda ch'egli è destinato a far vibrare : la corda del riso, la gaiezza scintillante ma non fatua che finisce sempre per lasciare un po' d'amaro in bocca c un po' di pena nel cuore. Guardatelo bene in faccia, anche se fa l'allocco, il tontolone, il melenso, il pasticcione, il balordo, lo scavezzacollo, il cascamorto; guardatelo bene in faccia e vi accorgerete che sempre una certa mestizia l'accompagna, nell'espressione nelle parole nel gesto.

Ogni attor comico cova e nutre nel suo intimo il desiderio e l’aspirazione di riuscire ad interpretare una parte drammatica, ed è qui che va misurata veramente la sua arte. Per far ridere bisogna prima saper piangere; è la filosofia dei pagliacci da circo. Per altra guisa nel vero, nel puro nucleo storico dell'arte drammatica, sono idealmente congiunte le maschere greche a quelle della commedia dell'arte. L'attore completo non ha specializzazioni, non ha limiti, non ha confini : l'attore per esser tale deve saper governare i sentimenti umani, vale a dire i propri sentimenti senza distacco, passare dal pianto al riso e dal riso al pianto con naturale processo, con innato istinto. Giungere a quest'apice, per un attore è giungere alla maturità della propria arte; quanto al resto, per l'avvenire, è tutta questione di sfaccettature, di cesello.

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Io ora mi domando per quale ragione devo aspettare ancora dieci anni a dichiarare che Paolo Stoppa è un attore completo e che è il nostro più moderno attor comico. Tanto lui lo sa e il pubblico, all’ingrosso, se n'è accorto. Per la verità devo pur riconoscere che la critica ha adempiuto al suo ufficio segnalandolo più volte con molto onore (c'è chi ha parlato del. la «sua gran giornata» e chi del «suo anno teatrale», cioè di questo in corso), tuttavia non ha spiegato al pubblico come va intesa la sua particolare comicità. Il pubblico, infatti, ricordiamocelo bene, va guidato, istruito, catechizzato.

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Paolo Stoppa entra in scena, non ha ancora detto parola e ormai attira su di sé tutta l’attenzione degli spettatori, li obbliga a concentrarsi su lui. Osservatelo artentamente: sembra che prima di spiccare una battuta, egli voglia sentirsi coi piedi ben piantati sulle tavole del palcoscenico. No, non ha parlato, eppure egli recita di già con l'intera persona : snello, tutto nervi (anche se il suo aspetto è pacioso), guarda la platea con il volto in bilico tra la serietà ed il sorriso, pare mastichi qualcosa (sono le prime parole che deve pronunziare) e sotto la pelle s'inizia il gioco fisionomico: è un frequente e vario contraisi dei muscoli facciali che s'apparecchiano a partecipare anch'essi alla rappresentazione. Infine Stoppa parla, comincia a recitare con una disinvoltura fatta in parti eguali d'intelligenza e d'istinto istrionico; le parole gli escono dalla bocca strascicate, grevi, insistite; alle volte fa il gesto di scrollarsele di dosso e allora rimbalzano sonore dalla scena in platea e volano su verso il soffitto, festevoli, come tanti palloncini colorati. Il personaggio così va formandosi nell'aria, la platea lo fiuta e lo respira ed è presa ben presto dalla euforia come se si trattasse di un gas esilarante : ride, allora, ma non seni, pre a tempo e a luogo.

S'ingannerebbe, a questo punto, chi pensasse che Stoppa ricalca i passati modelli, gli antichi (e barbogi) virtuosi del ridere: il disordine dei vecchi comici arruffoni non fa per lui. Egli che è un discendente diretto di Stenterello e di Pasquino messi insieme (anche Pasquino alle origini può essere considerato una «maschera» sebbene poi le sue sorti siano state tutte politiche ed abbia avuto per palcoscenico una piazza), al pari di Gandusio ch'è l'ultimo Arlecchino, al pari di Tofano ch'è l'ultimo Pinocchio (il suo Bonaventura non è che una derivazione di Pinocchio e questi, a sua volta, di Stenterello), al pari di Melnati ch'assomma in sè l'eredità di Pulcinella e di Scaramucce; infine, egli che è una maschera moderna per sensibilità per natura per istinto e quindi come le maschere della Commedia dell'arte appartiene ad una vera e propria mitologia del carattere umano, ha uno stile inconfondibile.

Logicamente, dovendo egli diventare personaggio, di volta in volta un determinato personaggio, è necessario che trovi in esso la materia per disegnarlo, per costruirne scenicamente il carattere, per entrare nel particolare e farne il ritratto senza (— attento, Stoppa ! —) senza mai sconfinare nel tipo astratto generico manieroso. Quando la materia, nel personaggio da interpretare e perciò nella commedia, non c'è. Stoppa rasenta proprio codesto pericolo: di cadere cioè nell'anonimo del tipo, di insistere più nel colore che non nel disegno. E' un terreno molto sdrucciolevole, codesto, e non vorrei che Stoppa insistesse a percorrerlo, perchè alla fine il troppo colore lo potrebbe far cadere nel dialettale. E qualche volta ciò è avvenuto o per cattiva regìa, o per inconsistenza del testo, o perchè Stoppa stesso s'è lasciato prender la mano. Gli attori sono anche uomini, con i loro i dubbi, le loro incertezze, i loro squilibri.

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Più traverso la scorciatoia del doppiato che non per la larga strada del teatro, Paolo Stoppa è giunto anche al Cinema. Dopo due brevi apparizioni in Re Burlone (1935) e in Marcella (1938) sono seguite due sfilze di parti in ben sedici film; otto nel 1939 e otto nel 1940 e precisamente, Assenza ingiustificata, Frenesia, Trappola d'amore, Un’avventura di Salvator Rosa, Le sorprese del vagone letto, Pazza di gioia, Un mare di guai, L’amore si fa così, Amami Alfredo, Melodie eterne, [...]

«Film», 26 aprile 1941


Uno e centomila, Paolo Stoppa. E come definirlo altrimenti, luì che ha interpretato più di 80 film, che ha recitato innumerevoli commedie, che ha dato vita a personaggi e tipi sempre vivi, sempre convincenti e caratteristici. Lo conoscete bene, Paolo Stoppa, e se in cominciamo a dire che ha fatto questo film e quello, che ha recitata questa commedia, e interpretato quel dramma, siamo certi che direte: «ma lo sappiamo, lo conosciamo bene, Paolo Stoppa».

Quest’anno il Nastro d'Argento è stato attribuito a lui e la «motivazione» è quanto mai sintomatica: «per il complesso delle sue interpretazioni cinematografiche». Infatti, la giuria, esaminando l'attività cinematografica dell'attore nel corso dell'anno, di fronte ad una diecina di interpretazioni, tutte ottime, di fronte a dei tipi, a dieci caratteri tutti creati in modo impareggiabile dall'attore, si è veramente trovata nell'imbarazzo della scelta.

Alla cerimonia della consegna, che si è svolta al cinema Fiamma di Roma, tra i grandi assenti, c'era proprio Stoppa impegnalo al teatro Eliseo con La locandiera; allora una rappresentanza della giuria con presidente e giornalisti, si è recata al Teatro per decorarlo ed esprimergli tutta la stima del mondo giornalistico e della critica italiana.

1952 12 10 Film d Oggi Paolo Stoppa f1Paolo Stoppa divide la sua attività artistica fra il cinema ed il teatro, A destra, Stoppa intervistato dalla radio in occasione della consegna del «Nastro d'argento» mentre lavorava all'Eliseo nella «Locandiera» diretta da Luchino Visconti

Quest'anno, oltre a Paolo Stoppa, gli attori premiati sono stali Anna Magnani e Totò. Certamente la Critica ha voluto premiare il Cinema italiano, quello aulico e qualificato; la Critica ha voluto tributare tutta la sua solidarietà ai professionisti, a quegli allori che possano interpretare film realisti, surrealisti, comici e brillatili, tutti i film insomma, senza subire l'influenza dì complessi, di scuole e di mode. Come vedete, qualche volta, anche le cose serie sono considerate e premiate in questo stranissimo mondo e, almeno questa volta, siamo certi che il pubblico ha condiviso l'opinione dei «tecnici»; il pubblico sovrano che ha sempre affettuosamente seguito Paolo Stoppa, giudicandolo uno dei più seri, sensibili, artisticamente inquieti attori di questo nostro inquietissimo tempo.

Califano, «Film d'oggi», 10 dicembre 1952

1953 04 01 Film d Oggi Paolo Stoppa intro 

Nel bagaglio artistico di Paolo Stoppa c’era una lacuna che non poteva non essere colmata. Attore poliedrico, intelligente, moderno. Paolo Stoppa nella sua ormai lunga carriera sempre ascendente si può dire abbia calcato le tavole di tutti i palcoscenici di prosa e frequentato tutti gli Studi cinematografici. Ha dato sempre «spettacolo» sia davanti alle platee teatrali che sugli schermi. Allo spettacolo, inteso nel significato più vasto della parola, mancava però un anello: la Radio. E Stoppa, con quell’anello, ho oggi chiuso la catena portando anche al microfono quella indistruttibile passione che è per lui sempre nuova linfa di vita.

Il «recitare» è una seconda natura di Paolo Stoppa, intendendo per recitazione una naturalezza istintiva, una comunicativa pronta, che fa dell’attore un amico del pubblico ohe gli sta di fronte e che riesce ad attanagliare a sè con i suoi sguardi i gesti, le parole. Quando ciò avviene nell’interpretazione dei personaggi i più diversi, lontani per temperamento e sensibilità, mutevòli nelle loro espressioni e per ciò che dicono o vogliono far intendere, il recitare diviene Arte. E non v’è dubbio che Paolo Stoppa sia ormai da considerare un Artista. Un vero Artista, chè egli dedica allo studio dei caratteri e della personalità dei personaggi che fa vivere il poco tempo, ed è invero molto poco, che il lavoro teatrale, cinematografico ed ora anche radiofonico, gli lascia libero.

1953 04 01 Film d Oggi Paolo Stoppa f1

Non è infatti la prima volta che Stoppa si trova a dover contemporaneamente recitare in teatro, girare un film e magari doppiarne un altro. Gli è capitato recentemente; all’Eliseo era alle prese con la locandiera e con Tre sorelle, ai Teatri di posa del Tiburtino interpretava come protagonista Non è mai troppo tardi; per di più si era buscato, col freddo, una otite fastidiosissima che lo obbligava a cure violente per essere in condizione di poter assolvere ai suoi impegni teatrali e cinematografici.

Di Non è mai troppo tardi. Stoppa ci ha detto di non aver visto neppure un metro di pellicola; glie n’è mancato assolutamente il tempo. Ma il personaggio gli era piaciuto e lo ha sentito. Ce ne parla con un certo compiacimento, illuminandosi nel volto quando ce ne narra la vicenda triste, drammatica, umana: quell’Antonio Trabbi chiuso nel suo amore per il denaro, nemico degli uomini, solo nella vita che gli ruota intorno e di cui non sente il prepotente richiamo; quel sogno angoscioso che gli fa rivivere per intero gli anni trascorsi fin dalla fanciullezza, l’orrore del suo operato, del male che ha fatto al prossimo; quel lento risvegliarsi della sua coscienza che, finita In notte, riapre il suo cuore e il suo animo al primo sole in un a-nclito di bontà. Il dramma di Dickens è il dramma di questo personaggio e il film che Piero Regnoli ne ha tratto è ormai pronto ad uscire su tutti gli schermi. Stoppa attende di vederlo, con una certa ansietà, che è propria di ogni interprete coscienzio so e di ogni attore che è prima di ogni altra cosa giudice di se stesso.

Progetti? Attività futura? Tanti e tanta che già gli impegni arrivano alla fine dell'anno. Dopo il festival della prosa a Bologna, ancora a Milano con la compagnia di Luchino Visconti. Quindi a Roma, all’Eliseo, con una novità di Diego Fabbri. Poi cinema, soltanto cinema: tre film in Francia. Il primo, Madame de..., diretto da Max Ophuls, interpretato insieme a De Sica, Charles Boyer, Danielle Darrieux: un altro Nemico pubblico N. 1, con Fernandel, diretto da Jules Dassin, con esterni a New York, il terzo in Normandia diretto da Grémfllon, in «Cinemascope».

Ritorno a Roma e inizio del suo contralto con la Film Costellazione, con Il diavolo nella bottiglia. Non possiamo fare a meno di rivolgergli la domanda di rito: tenterà la regìa?

Ci sorride. No, finché farà l’attore. Si é sempre battuto per questo e rimane fedele al principio che non si possono contemporaneamente fare le due cose senza che l’una attività danneggi l’altra. Quando sarò abbastanza vecchio per fare l’attore, cercherò di farmi un nome anche come regista. Perchè la regia mi attrae e... ti dirò, ho rinunciato o malincuore alla proposta di dirigere una edizione de Il barbiere di Sicilia di Paisiello al Maggio Musicale Fiorentino.

— Niente teatro, allora?

— Per quest’anno no. Ma non credere che lo abbandoni. Renè Clair, entusiasta de La locandiera, che egli reputa il più bello spettacolo di un’opera classica inteso e realizzato con mentalità, intelligenza e gusto moderni, ha stuzzicato la mia vanità, consigliandomi di interpretare L Avaro di Molière.

E gli brillano gli occhi di contenuta soddisfazione. E’ un piacere sentirlo parlare, nel suo studio severo dove tutto parla d’Arte. Sembra che reciti, ed è davanti a noi, seduto vicino all’enorme caminetto. E’ in noi la sensazione inversa di quando siamo a teatro. Allora recita e sembra che ci parli così, come fa ora. fra una sigaretta e l’altra, davanti a una tazza di thè.

E questo è il miglior elogio che possiamo fare di Paolo Stoppa. Artista.

Sandro Reanda, «Film d'oggi», 1 aprile 1953


Paolo Stoppa è nato a Roma nel 1906. Si iscrisse all’Università in legge e per qualche tempo assistette il nonno, il famoso Augusto Jandolo, poeta romanesco, nella sua galleria antiquaria. Entrò nella compagnia "Capodaglio-Racca-Olivieri” dopo avere completato gli studi presso l’Accademia d’Arte drammatica. Entrato nel cinema nel ’39 ha interpretato da allora circa 150 film. In compagnia con la Morelli e per la regia di Luchino Visconti, ha dato intelligenti interpretazioni di personaggi del teatro americano moderno. Vive a Roma.

1957 Noi donne Paolo Stoppa f1Domanda - Dovendosi costruire una statua dedicata alla stupidità umana, su chi cadrebbe la sua scelta, perchè lo scultore se ne serva come modello?

Risposta - Su uno specchio (è di moda l’arte astratta).

D. - Qual è la domanda più stupida che in un’intervista le sia mai stata rivolta?

R. - Signor Stoppa lei recita?

D. - Qual è la differenza tra il Festival di Cannes e quello di Venezia?

R. - Nessuna, entrambi sono agli sgoccioli.

D. - Qual è, secondo lei, il male del secolo?

R. - L’autodistruzione.

D. - Come spiega che i lavori americani moderni siano si può dire conosciuti dal nostro pubblico solo attraverso interpretazioni della "Stoppa-Morelli"?

R. - Forse esagera: ci sono autori, per esempio, O’Neill, che noi non abbiamo rappresentato. Quelli che rappresentiamo ci sono parsi i più vicini a un ideale di tragedia odierna, moderna, quotidiana, dell’uomo comune, che è anche il nostro.

D. - Come spiega che anche nelle sfere intellettualmente più elevate ricorra più frequentemente di quanto non si creda il fenomeno della superstizione?

R. - E’ stato detto che la superstizione è il magazzino delle verità.

D. - Qual è, secondo lei, il colmo dell’infelicità umana?

R. - L’aspettarsi qualcosa dagli altri.

D. - Ritiene che le Mostre cinematografiche, i Festival in genere siano utili, inutili o addirittura nocivi?

R. - Forse saranno utili ancora per qualche tempo agli enti turistici, ma la loro forza d’attrazione è cessata, e così la lor,o funzione d’avanguardia e informazione culturale; in un mondo in cui l’informazione è ormai fulminea, le novità non aspettano più i Festival.

D. - Esiste un monumento a Roma che, se ciò le fosse possibile, acquisterebbe per sè?

R. - Se va avanti cosi, le Catacombe.

D. - Esiste un’attrice con là quale ha sempre desiderato (e mai potuto) interpretare un film?

R. - Sì. Rina Morelli.

D. - Chi è, secondo lei, il più infelice dei nostri contemporanei?

R. - L’uomo della Luna, che in questo momento non sa che gli sta per succedere.

D. - Qual è il luogo comune, che l’infastidisce di più?

R. - "Purtroppo, siamo in Italia".

D. - In una equazione in cui i termini noti siano ''cinema teatro televisione”, saprebbe ritrovarmi l’incognita?

R. - La telepatia: era il modo con cui i nostri nonni vedevano le cose lontane.

D. - Da che cosa nasce, nell’animo di un individuo, il bisogno di recitare?

R. - Dalla presenza degli altri.

D. - Chi è, secondo lei, il primo attore della storia?

R. - La prima nuvola.

D. - Quali colpe, errori, debolezze umane suscitano in lei maggiori indulgenze?

R. - I delitti, gli errori, le debolezze, le infamie dei miei personaggi.

D. - Qual è l’azione che rimpiange maggiormente di aver compiuto nel corso della sua vita?

R. - Riserbo questa rivelazione per le mie memorie.

D. - Ricomincerebbe la sua vita da capo? Se si, in che direzione?

R. - Sì, ma questa volta vorrei leggere prima il copione.

D. - Condannato all’inferno, per quale colpa ritiene potrebbe esserci destinato?

R. - Già, non sappiamo come la pensino lì sugli attori. Corro rischio d’andare a finire coi simulatori. Ma conto sull’intercessione del mio buon Silvio d’Amico, il Virgilio degli attori.

D. - Per Un vecchio generico che abbia per tutta la vita cercato inutilmente il successo e fosse rimasto invece nell’o-' scurità più desolante, quale argomento sceglierebbe onde alleviarne lo sconforto?

R. - Potrei dirgli i versi del Belli: «L’ommini de sto monno sò ll’istesso - che vvaghi de caffè nner mascinino: - c’uno prima, uno doppo, e un antro appresso, - tutti cuanti però vvanno a un distino».

D. - Qual è, secondo lei, la esatta misura della ricchezza di un individuo?

R. - La capacità di dimenticarsene.

D. - Che cosa intende lei per film italiano?

R. - Nulla. O meglio, un film italiano esiste, nei riguardi dei produttori, dei finanziatori, della dogana. Ma per me, il film può essere o bello o brutto. Insomma dire di un film soltanto che è italiano finisce con l’essere un giudizio negativo. Umberto D non è un film italiano, come l’Uomo di Aran non è un film araniano, e il Monello non è un film americano. Dopo il neorealismo noi abbiamo film locali, non un film italiano.

D. - Qual è nel senso da lei precisato il film più italiano che sia stato prodotto?

R. - Evidentemente quello che meno è riuscito ad essere universale.

D. - Che cosa acquista e che cosa perde un attore di teatro passando a recitare alla televisione?

R. - Acquista in ubiquità, e nel numero degli spettatori, perde il senso di pienezza che dà una platea piena di spettatori.

D. - Qual è, secondo lei, il personaggio letterario femminile che più difficilmente può essere interpretato da un’attrice sulla scena (ossia più difficilmente trasferibile dalla letteratura al teatro)?

R. - Le monache del Boccaccio.

D. - Che cosa manca, secondo lei, agli italiani per essere felici?

R. - Uno sputnik personale (per ciascuno).

D. - Qual è il loro principale difetto?

R. Il timore di passare per fessi.

D. - In possesso di una formula capace di fare esplodere il mondo, che uso ne farebbe?

R. - La depositerei alla Società protettrice degli Animali.

D. - Dovendo far visitare l’Italia a un russo, a un francese e a un americano, quale itinerario vorrebbe fargli rispettivamente seguire?

R. - Credo che di questi tempi, un buon giro turistico dei cimiteri di guerra, di cui l’Italia è ampiamente provvista da Canne alle Alpi, sarebbe altamente istruttivo per tutti e tre.

D. - Per quale ragione, in Italia, non si è mai tanto parlato di "costume” come dalla fine della guerra in poi?

R. - Perchè prima si parlava altrettanto ininterrottamente di ”costume fascista".

D. - Che cosa augura a se stesso?

R. - Di sopravvivere all’ultima guerra.

D. - E in genere all’umanità?

R. - Che la prossima guerra sia veramente l’ultima.

D. - A che cosa attribuisce principalmente il successo delle rubriche televisive aperte al pubblico?

R. - Vecchia storia: Panetti et circenses.

D. - Qual è, secondo lei, la cosa che meglio esprime il nostro tempo?

R. - La progressiva scomparsa del cavallo.

D. - In quali occasioni, signor Stoppa, lei sente di essere "meno se stesso” ossia in obbligo di recitare una parte?

R. - Per strada: costretto a recitare da parte di Stoppa.

D. - Costrettovi, con quale argomento sosterrebbe l’innocenza di Giuda?

R. - (Con argomenti professionali). Signori della Corte, Giuda non ha fatto che recitare la parte che gli è stata affidata. Non è la sua forse la parte del ”malvagio” nella più grande e vera Sacra Rappresentazione della storia? Se non ci fosse stato lui, la sua parte sarebbe andata a un altro: un traditore ci voleva. Egli si è quindi sacrificato per tutti; ha recitato fino all’ultimo la sua parte, e in modo soddisfacente: come si conviene al malvagio della tragedia, si è tolto la vita: e ha fatto il suo dovere. Ma egli non è più colpevole di sir Laurence Olivier quando recita Riccardo III, o del pupo nella parte di Gano di Maganza. Propongo quindi che il processo sia prorogato siile die. Fino al Giudizio Universale. Quando si alzerà quel grande sipario, solo allora sapremo veramente qual era la parte di Giuda.

D. - Esiste una parte che pur adattandolese psicologicamente e fisicamente non accetterebbe di interpretare per nessuna ragione?

R. - Una in un film pomografico.

D. - Qual è il male più grave che affligge il teatro italiano?

R. - La voce che sia morto.

D. - Ed il cinema?

R. - Il neodialettalismo, figlio del neorealismo.

D. - Qual è nella vita la cosa che l’incuriosisce di più?

R. - Il finale.

D. - Qual è il più grave difetto di queste domande?

R. - La loro improbabilità.

D. - A lei di rivolgermi l’ultima.

R. - Che vuol sapere da me sul serio?

Queste interviste durano ormai da due anni; le personalità, italiane e straniere che ho interrogato assommano a un centinaio e più, e se dovessi, una volta tanto rispondere io, alla domanda: « Chi, fra le persone da lei intervistate, è, secondo lei il pessimista, non avrei esitazioni a dire Stoppa». Forse il termine "pessimista” non è nemmeno del tutto adeguato. Va inoltre fatto osservare che il pessimismo di Stoppa si tinge di disperazione proprio la dove la risposta non è data, intenzionalmente, con serietà. E’ qui il caso di parlare di disperata ironìa, e la risata assume direi la secchezza e la tragicità di certe battute pirandelliane. Dirò finalmente che in nessuna di queste risposte si denuncia l’attore e che un attore non reciti quando è fuori del palcoscenico ha di per sè del miracoloso. In ogni caso è un lusso, un lusso paragonabile a quello di un gran signore che si vesta dimessamente.

Enrico Roda, «Tempo», 1957


«Radiocorriere TV», 1962 - Paolo Stoppa


"Si, torno al teatro. Ma non sono sicuro di farcela", «Radiocorriere TV», 1977


Filmografia

Cinema

L'armata azzurra, regia di Gennaro Righelli (1932)
Quella vecchia canaglia, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1934)
Aurora sul mare, regia di Giorgio Simonelli (1934)
Il serpente a sonagli, regia di Raffaello Matarazzo (1935)
Re burlone, regia di Enrico Guazzoni (1935)
L'aria del continente, regia di Gennaro Righelli (1936)
L'anonima Roylott, regia di Raffaello Matarazzo (1936)
Marcella, regia di Guido Brignone (1937)
La dama bianca, regia di Mario Mattoli (1938)
Frenesia, regia di Mario Bonnard (1939)
Assenza ingiustificata, regia di Max Neufeld (1939)
L'amore si fa così, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1939)
Un'avventura di Salvator Rosa, regia di Alessandro Blasetti (1939)
Un mare di guai, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1939)
Ricchezza senza domani, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1940)
Le sorprese del vagone letto, regia di Gian Paolo Rosmino (1940)
Pazza di gioia, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1940)
Trappola d'amore, regia di Raffaello Matarazzo (1940)
Amami Alfredo, regia di Carmine Gallone (1940)
La canzone rubata, regia di Max Neufeld (1940)
Melodie eterne, regia di Carmine Gallone (1940)
Il sogno di tutti, regia di Oreste Biancoli e László Kish (1940)
Una famiglia impossibile, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1940)
L'orizzonte dipinto, regia di Guido Salvini (1941)
Giuliano de' Medici, regia di Ladislao Vajda (1941)
L'allegro fantasma, regia di Amleto Palermi (1941)
La corona di ferro, regia di Alessandro Blasetti (1941)
Cenerentola e il signor Bonaventura, regia di Sergio Tofano (1941)
L'ultimo ballo, regia di Camillo Mastrocinque (1941)
Se non son matti non li vogliamo, regia di Esodo Pratelli (1941)
La famiglia Brambilla in vacanza, regia di Carl Boese (1941)
Non mi sposo più, regia di Giuseppe Amato (1942)
Se io fossi onesto, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1942)
Regina di Navarra, regia di Carmine Gallone (1942)
A che servono questi quattrini?, regia di Esodo Pratelli (1942)
Gioco pericoloso, regia di Nunzio Malasomma (1942)
La bisbetica domata, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1942)
Don Giovanni, regia di Dino Falconi (1942)
La signorina, regia di László Kish (1942)
Rossini, regia di Mario Bonnard (1942)
Don Cesare di Bazan, regia di Riccardo Freda (1942)
Non ti pago!, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1942)
Romanzo di un giovane povero, regia di Guido Brignone (1942)
Acque di primavera, regia di Nunzio Malasomma (1942)
Giorni felici, regia di Gianni Franciolini (1942)
Sette anni di felicità, regia di Roberto Savarese (1942)
Divieto di sosta, regia di Marcello Albani (1943)
Fuga a due voci, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1943)
Il nostro prossimo, regia di Gherardo Gherardi, Aldo Rossi (1943)
Incontri di notte, regia di Nunzio Malasomma (1943)
Il treno crociato, regia di Carlo Campogalliani (1943)
Gente dell'aria, regia di Esodo Pratelli (1943)
Grattacieli, regia di Guglielmo Giannini (1943)
Sant'Elena, piccola isola, regia di Renato Simoni (1943)
4 ragazze sognano, regia di Guglielmo Giannini (1943)
I nostri sogni, regia di Vittorio Cottafavi (1943)
Apparizione, di Jean de Limur (1943)
Ti conosco, mascherina!, regia di Eduardo De Filippo (1943)
Il fiore sotto gli occhi, regia di Guido Brignone (1944)
Finalmente sì, regia di Ladislao Kish (1944)
Canto, ma sottovoce..., regia di Guido Brignone (1945)
Quartetto pazzo, regia di Guido Salvini (1945)
Che distinta famiglia!, regia di Mario Bonnard (1945)
Biraghin, regia di Carmine Gallone (1946)
Un americano in vacanza, regia di Luigi Zampa (1946)
Addio, mia bella Napoli!, regia di Mario Bonnard (1946)
Io t'ho incontrata a Napoli, regia di Pietro Francisci (1946)
Il marito povero, regia di Gaetano Amata (1946)
Aquila nera, regia di Riccardo Freda (1946)
Il principe ribelle, regia di Pino Mercanti (1947)
La fumeria d'oppio, regia di Raffaello Matarazzo (1947)
Che tempi!, regia di Giorgio Bianchi (1948)
I cavalieri dalle maschere nere, regia di Pino Mercanti (1948)
Vogliamoci bene!, regia di Paolo William Tamburella (1949)
I peggiori anni della nostra vita, regia di Mario Amendola (1949)
Maracatumba... ma non è una rumba, regia di Enzo Trapani (1949)
Il figlio di D'Artagnan, regia di Riccardo Freda (1949)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
Sambo, regia di Paolo William Tamburella (1950)
La bellezza del diavolo, regia di René Clair (1950)
Donne e briganti, regia di Mario Soldati (1950)
Il ladro di Venezia, regia di John Brahm (1950)
Senza bandiera, regia di Lionello De Felice (1951)
Buon viaggio, pover'uomo, regia di Giorgio Pàstina (1951)
Abbiamo vinto!, regia di Robert Adolf Stemmle (1951)
Miracolo a Milano, regia di Vittorio De Sica (1951)
La nostra pelle (Le cap de l'espérance), regia di Raymond Bernard e Raffaele Andreassi (1951)
Il tallone d'Achille, regia di Mario Amendola, Ruggero Maccari (1952)
Roma ore 11, regia di Giuseppe De Santis (1952)
Processo alla città, regia di Luigi Zampa (1952)
Papà diventa mamma, regia di Aldo Fabrizi (1952)
Moglie per una notte, regia di Mario Camerini (1952)
Cani e gatti, regia di Leonardo De Mitri (1952)
Art. 519 codice penale, regia di Leonardo Cortese (1952)
Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952)
I sette peccati capitali - episodio Avarizia ed ira - regia di Eduardo De Filippo (1952)
Wanda, la peccatrice, regia di Duilio Coletti (1952)
Le belle della notte (Les belles de nuit) regia di René Clair (1952)
Il sole negli occhi, regia di Antonio Pietrangeli (1953)
Scampolo '53, regia di Giorgio Bianchi (1953)
Prima di sera, regia di Piero Tellini (1953)
La passeggiata, regia di Renato Rascel (1953)
Non è mai troppo tardi, regia di Filippo Walter Ratti (1953)
Gli eroi della domenica, regia di Mario Camerini (1953)
Ci troviamo in galleria, regia di Mauro Bolognini (1953)
Stazione Termini, regia di Vittorio De Sica (1953)
La voce del silenzio, regia di Georg Wilhelm Pabst (1953)
Puccini, regia di Carmine Gallone (1953)
Bufere, regia di Guido Brignone (1953)
Il ritorno di Don Camillo (Le retour de Don Camillo), regia di Julien Duvivier (1953)
Il nemico pubblico n. 1 (L'ennemi public no 1), regia di Henri Verneuil (1953)
Sinfonia d'amore, regia di Glauco Pellegrini (1954)
Gioventù alla sbarra, regia di Ferruccio Cerio (1954)
L'ombra, regia di Giorgio Bianchi (1954)
Mizar, regia di Francesco De Robertis (1954)
Destini di donne, (Destinées), regia di Christian-Jaque (Destinées) (1954)
L'amore di una donna (L'amour d'une femme), regia di Jean Grémillon (1954)
Carosello napoletano, regia di Ettore Giannini (1954)
Allegro squadrone, regia di Paolo Moffa (1954)
La bella Otero, regia di Richard Pottier (1954)
Uomini ombra, regia di Francesco De Robertis (1954)
Casa Ricordi di Carmine Gallone (1954)
L'oro di Napoli, regia di Vittorio De Sica (1954)
I sette peccati di papà (J'avais sept filles), regia di Jean Boyer (1954)
Siamo uomini o caporali?, regia di Camillo Mastrocinque (1955)
Ragazze d'oggi, regia di Luigi Zampa (1955)
Il padrone sono me, regia di Franco Brusati (1955)
Donne sole, regia di Vittorio Sala (1955)
Destinazione Piovarolo, regia di Domenico Paolella (1955)
Il conte Aquila, regia di Guido Salvini (1955)
Il tesoro di Montecristo (Le Comte de Monte-Cristo), regia di Robert Vernay (1955)
La corrida dei mariti (Le printemps, l'automne et l'amour), regia di Gilles Grangier (1955)
La bella di Roma, regia di Luigi Comencini (1955)
La bella mugnaia, regia di Mario Camerini (1955)
Una pelliccia di visone, regia di Glauco Pellegrini (1956)
Mio zio Giacinto (Mi tío Jacinto), regia di Ladislao Vajda (1956)
La nonna Sabella, regia di Dino Risi (1957)
Arrivederci, Dimas (Los jueves, milagro), regia di Luis García Berlanga (1957)
Vacanze a Ischia, regia di Mario Camerini (1957)
La legge, regia di Jules Dassin (1959)
Avventura a Capri, regia di Giuseppe Lipartiti (1959)
Gastone, regia di Mario Bonnard (1960)
La contessa azzurra, regia di Claudio Gora (1960)
Cartagine in fiamme, regia di Carmine Gallone (1960)
Era notte a Roma, regia di Roberto Rossellini (1960)
Le tre eccetera del colonnello, regia di Claude Boissol (1960)
Rocco e i suoi fratelli, regia di Luchino Visconti (1960)
È arrivata la parigina, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
La giornata balorda, regia di Mauro Bolognini (1961)
Viva l'Italia!, regia di Roberto Rossellini (1961)
La minaccia, regia di Gérard Oury (1961)
Che gioia vivere, regia di René Clément (1961)
Vanina Vanini, regia di Roberto Rossellini (1961)
Il giudizio universale, regia di Vittorio De Sica (1961)
Il giorno più corto, regia di Sergio Corbucci (1962)
Un appuntamento per uccidere (Horace 62), regia di Andrè Versini (1962)
Boccaccio '70, regia di Luchino Visconti (1962)
Il Gattopardo, regia di Luchino Visconti (1963)
Becket e il suo re (Becket), regia di Peter Glenville (1964)
La vendetta della signora (The Visit), regia di Bernhard Wicki (1964)
...e venne il giorno della vendetta (Behold a Pale Horse), regia di Fred Zinnemann (1964)
... poi ti sposerò (Un monsieur de compagnie) (1964)
Il marito è mio e l'ammazzo quando mi pare, regia di Pasquale Festa Campanile (1966)
Caccia alla volpe, regia di Vittorio De Sica (1966)
C'era una volta il West, regia di Sergio Leone (1968)
La matriarca, regia di Pasquale Festa Campanile (1968)
Le avventure di Gerard (The Adventures of Gerard), regia di Jerry Skolimowski (1970)
Jus primae noctis, regia di Pasquale Festa Campanile (1972)
Ettore lo fusto, regia di Enzo Girolami (1972)
Rugantino, regia di Pasquale Festa Campanile (1973)
5 matti vanno in guerra (Les bidasses s'en vont en guerre), regia di Claude Zidi (1974)
Nerone, regia di Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore (1977)
Casotto, regia di Sergio Citti (1977)
La mazzetta, regia di Sergio Corbucci (1978)
Il marchese del Grillo, regia di Mario Monicelli (1981)
Testa o croce, regia di Nanni Loy (1982)
Amici miei - Atto II°, regia di Mario Monicelli (1982)
Domani si balla!, regia di Maurizio Nichetti (1983)

Televisione

Vita col padre e con la madre (1960) miniserie TV
Demetrio Pianelli (1963) miniserie TV
Questa sera parla Mark Twain (1965) miniserie TV
I corvi (1969) miniserie TV
Antonio Meucci cittadino toscano contro il monopolio Bell (1970) miniserie TV
I Buddenbrook (1971) sceneggiato televisivo
Il giudice e il suo boia (1972) film TV
Il sospetto (1972) miniserie TV
ESP (1973) miniserie TV, regia di Daniele D'Anza
Così è se vi pare (1974) film TV
Il commissario De Vincenzi (1974) miniserie TV
Accadde a Lisbona (1974) miniserie TV
L'amaro caso della baronessa di Carini (1975) miniserie TV
Il commissario De Vincenzi 2 (1977) miniserie TV
Nero su nero (1978) miniserie TV

Prosa televisiva RAI

Vita col padre, regia di Mario Ferrero, trasmessa il 14 dicembre 1956.
Vita col padre e con la madre, regia di Daniele D'Anza, trasmessa il 7 febbraio 1960.
Caro bugiardo di Jerome Kitty, trasmessa il 4 marzo 1963.
Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, regia di Sandro Bolchi, trasmessa il 10 novembre 1968.
I corvi di Henry Becque, regia di Sandro Bolchi, trasmessa il 7 gennaio 1969.
La tigre e il cavallo di Robert Bolt, regia di Mario Landi, trasmessa il 30 dicembre 1969.
Romolo il grande, regia di Mario Landi, trasmessa il 23 aprile 1971.
Così è se vi pare di Luigi Pirandello, regia di Giorgio De Lullo, trasmessa il 13 settembre 1974.
L'avaro di Molière, trasmessa nel 1983.
Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, regia di Luigi Squarzina, trasmessa il 20 dicembre 1985.

Prosa radiofonica RAI

Pigrizia di Eligio Possenti e Sabatino Lopez, regia di Guglielmo Morandi, trasmessa il 15 novembre 1951.
Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello, regia di Corrado Pavolini, trasmessa nel 1954.

Doppiatore

Kirk Douglas in Sfida all'O.K. Corral, Le vie della città
Fred Astaire in Voglio danzar con te, Non sei mai stata così bella
Jack Carson in Il romanzo di Mildred
Richard Widmark in Il bacio della morte, La giostra umana, Strada senza nome, Destinazione Mongolia
Cary Grant in Il mio amore eri tu
Wendell Corey in Il terrore corre sul filo, Delitto senza peccato
Jack Carson in Il romanzo di Mildred

Onorificenze

Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Roma, 2 giugno 1975