Il ratto delle Sabine - Il Professor Trombone

Siamo nel settecento avanti Cristo? Perbacco! In pieno Rinascimento.

Cavalier Aristide Tromboni

Inizio riprese: settenbre 1945, Studi Capitani e Via degli Avignonesi, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 23 novembre 1945



Titolo originele Il ratto delle Sabile (Il Professor Trombone)
Paese Italia - Anno 1945 - Durata 80 min - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia - Regia Mario Bonnard - Soggetto Mario Amendola, Giorgio Moser - Sceneggiatura Mario Amendola, Mario Bonnard - Produttore Capitani Film Roma - Fotografia Giuseppe La Torre - Montaggio Gino Talamo - Musiche Cesare A. Bixio, Giulio Bonnard - Scenografia Mario Rappini


Totò: il cavalier Aristide Tromboni - Luisa Alleani: Ermenegilda Tromboni - Carlo Campanini: il maestro Ernesto Molmenti - Clelia Matania: Rosina - Laura Gore: Paolina - Mario Pisu: Alberto Randoni - Claudio Ermelli: Germani - Giuseppe Rinaldi: Emilio - Aldo Silvani: Tancredi - Lia Corelli: Mariannina, la figlia di Tancredi - Mario Castellani: il proprietario del teatro - Fosca Spadari: la figlia di Tancredi - Giuseppe Spadaro: Turiddu, il macchinista - Aristide Garbini: Bartolomeo - Ciro Berardi: il brigadiere dei Carabinieri - Italo Pirani: il direttore della scuola - Erminio Spalla: Giovanni, il carrettiere - Olga Solbelli: Matilde


Soggetto

Aristide Tromboni e la sua scalcagnata compagnia d'attori sono a caccia di scritture e soprattutto di cibo. In un paesino di campagna conoscono il professor Molmenti, ansioso di mettere in scena il suo delirante dramma storico, "Il ratto delle Sabine". Tromboni si offre di rappresentare in teatro, a patto che il professore paghi in contanti costumi e scenografi. Molmenti chiede che l'autore del dramma rimanga anonimo, ma quando due attori abbandonano la compagnia accetta di sostituirli salendo sul palco con la sua fedele cameriera, la stolida Rosina. Tra costumi ridicoli e attori inadeguati (il nome del re dei sabini da Tazio diventa "Gaetano") la recita va incontro ad un sonoro fiasco.

Critica e curiosità

Tratto dalla commedia Der Raub der Sabinerinnen di Franz e Paul von Schönthan riadattato da Mario Bonnard (regista e sceneggiatore) e Mario Amendola (sceneggiatore), il film fu realizzato nell'autunno del '45 negli studi Capitani in via degli Avignonesi a Roma, dentro gli stessi ambienti in cui Rossellini aveva girato gli interni di Roma città aperta, poco prima. L’abito, fracchettino e bombetta, è ormai definitivo, gli atteggiamenti più decisi e aggressivi: per vent’anni, salvo piccole eccezioni, il personaggio Totò sarà come nel film di Bonnard, un po’ guitto e un po’ signore, un po’ furbo e un po’ astruso, assillante, rompiscatole, un tantino sadico con chi non merita il suo rispetto, le autorità in prima fila.

La versione originale della pellicola non esiste più. Girato in fretta e con scarsi mezzi in un periodo drammatico per l'Italia, il film fu poi rimontato, rimaneggiando il negativo originale, per preparare una nuova edizione uscita nel '50 col titolo "Il professor Trombone", l'unica esistente oggi. Per la prima volta appare al suo fianco nel grande schermo Mario Castellani, suo partner in rivista dal '27 e da lì a poco la sua più fedele e famosa spalla cinematografica. Da notare fra gli interpreti un allora giovanissimo Giuseppe Rinaldi, più noto quale attivissimo doppiatore di tantissimi attori, hollywoodiani e non.

"I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997


Così la stampa dell'epoca

Un film con Totò rappresenta sempre una garanzia per un'ora di buonumore. E infatti ieri il pubblico ha riso dal principio alla fine nel veder riprodotta sullo schermo una commedia tanto cara all'indimenticabile Musco. Non mancano la trovate, non mancano gli atteggiamenti propri del comico che riscuote tante e così vive simpatie. La recitazione è scorrevole e sono stati ammirati la brava Matania, l'ottimo Campanini, la Gore, il Rinaldi, la Corelli, l'Aliani, il Silvani a tutti gli altri. Molto chiara la fotografia. Impeccabile il sonoro.

«Il Messaggero», 5 dicembre 1945


Totò, mimo personalissimo dalle doti eccezionali, non è davvero fortunato col cinematografo: infatti fino ad oggi, non s'è ancora incontrato con un regista capace di valorizzare le sue qualità. E tanto meno c'è riuscito Mario Bonnard che, mettendo svogliatamente insieme tutto il campionario dei più vieti e volgari luoghi comuni su guittalemme, ha, con questo Il ratto delle Sabine, reso un pessimo servizio al popolare comico; e non a lui soltanto. Sicchè Totò, sia pure in celluloide, ha dovuto registrare - non certo al suo attivo - i primi fischi sonori della sua vita d'attore.

Dopodichè c'è solo da aggiungere che, con film come Il ratto delle Sabine, non si può davvero affrontare la grande offensiva cinematografica straniera, prevista per la seconda metà del 1946.

Gaetano Carancini, «La Voce Repubblicana», 6 dicembre 1945


Le clausole dell'armistizio non contemplano, purtroppo, ii divieto d'insistere ancora a "sfruttare" Totò per il cinematografo. È un comico che sarebbe giusto non sottrarre al clima del varietà, al fuoco della ribalta, al contatto diretto coi suo pubblico, alla comunicativa immediata dei suoi lazzi e dei suoi estemporanei cachinni. Pensare a un Totò attore nel senso completo della parola è una delle tante aberrazioni della corrente retorica teatral-cinematografìca. E pensare, in ogni caso, a un Totò capace, con la semplice efficacia della sua maschera, di risollevare le sorti d'uno squallido, volgare, stupido, copione significa voler rendere un cattivo servizio al beniamino delle platee del Valle o del Quattro Fontane.

A ogni modo questo Ratto delle Sabine ha indubbiamente diritto al brevetto del più insulso, aberrante film prodotto dalla "cinematografia" italiana postbellica. Una sequela di cretinerie, di sinistri luoghi comuni, per i quali sarebbe stato inutile sprecare non diciamo pellicola ma anche carta igienica. Con siffatta produzione si osa parlare di "rinascita", e i noleggiatori hanno lo stomaco e la responsabilità d'incoraggiare tentativi del genere; quando ci risulta che film improntati a serietà d'intenti artistici e morali incontrano difficoltà d'ogni sorta per avviarsi verso una fase di realizzazione, e da parte di personaggi sul cui conto e sulla cui attività non è detto che non si debba ritornare. In quanto a questo impresentabile Ratto, aggiungeremo che Quartetto pazzo e Cosimiro sono stati vendicati e la loro memoria largamente riabilitata. Ed è quanto dire.

Ta (Vincenzo Talarico), «L'Indipendente», 7 dicembre 1945


Da anni ripetiamo - e sentiamo ripetere - che, dopo Petrolini, Totò è, tra tutti gli attori italiani, il vero attore, l'autentico attore-creatore. E si citano - a sostegno di questa tesi le più famose pantomime dell'"attore fantasista", alcune macchiette giustamente famose, alcune uscite piene d'estro, la espressività dei suoi gesti essenziali. Dopo aver visto al cinema i cinque o sei film da lui interpretati, e specialmente dopo questo Ratto delle Sabine, è lecito porsi una domanda. Un vero attore-creatore, un attore cosciente dei suoi mezzi e delle sue capacità espressive, si assoggetterebbe così facilmente ad essere coinvolto nei più squallidi e irresponsabili prodotti del cinema italiano?

Antonio Pietrangeli, «Star», Roma, 15 dicembre 1945


Fa dispetto e disgusto incontrarsi con simili film confezionati secondo la tipiche insegne della cretineria umane. Non abbiamo lo spazio per allestire un processo, quindi siamo costretti a dire che «Il ratto delle Sabine» è una pacchiana antologia cinematografica dove le più elementari esigenze della macchina da presa sono davvero ridotte ad un ruolo pietoso. Bonnard, il regista, ha tentato di creare una specie di allucinazione metafisica attorno alla faccia di Totò, ma nemmeno in questo è riuscito a sollecitare una smorfia di consenso.

t.cl., «Il Lavoro», 15 febbraio 1946


Mario Bonnard, il regista dei drammoni, ha voluto anche lui provare il gusto di fare cose da pazzi avvalendosi di Totó. Più volte è stato detto come questo mimo, questa moderna marionetta che sui palcoscenici non teme rivali, sullo schermo non aderisce agli effetti cinematografici. Quel che di lui, della sua comicità, risulta nella proiezione dei gesti, e della mimica è puro bagaglio teatrale. [...] La parte meno fiacca del film è appunto nella movimentata rappresentazione del dramma in versi. Alcune inquadrature hanno il sapore della vecchia farsa mentre altre riflettono la satira delle comuni passioncelle provinciali. Clelia Matania, a fianco di Totò e Campanili, giuoca la sua parte con divertente trasporto.

«Cine Sport», 6 marzo 1946


La buffa ma in fondo amara parte del capocomico Tromboni ha sedotto anche Totò. Egli non ha fatto dimenticare certo Ermete Novelli nè Antonio Brunorini, ma ha posto tutta la sua caratteristica, ammiccante comicità al servizio della famosa commedia della guitteria adattata allo schermo. tuffandosi da ultimo nella vera e propria farsa. Mario Bonnard deve essere stato felice di lasciarlo fare. Carlo Campanini è un piacevole autore e Clelia Matania disegna con vivacità e sapore un'originale figurina.

«Corriere della Sera», 30 marzo 1946


Totò è un personaggio in cerca d’autore, un elemento della natura che aspetta di essere utilizzato.

Orio Vergani, "Il ratto delle Sabine", «Film d’oggi», n. 14, 6 aprile 1946


Totò è comico insignificante: ed elevato dalla squisitezza degli esteti a dignità di Maschera.

E. Ferdinando Palmieri, "Sette giorni", «Film», n. 6, 13 aprile 1946


Il ratto delle Sabine (1945), che va in onda stasera (Rete uno, ore 21.30), è il secondo film del ciclo dedicato a Totò. Diretto da un estroso artigiano della comicità, Mario Bonnard, e sceneggiato da un non altrettanto fantasioso autore di rivista, Mario Amendola, il film riporta Totò, ai suoi albori cinematografici, sul palcoscenico dell’avanspettacolo Ma nella buia provincia ove la storiella è ambientata, non si rappresentano allegre commediole con procaci donnine. Il ratto delle Sabine, che dà titolo al film, è un tremendo melodramma, concepito da un disgraziato drammaturgo che vuol risollevare le sorti delia sua scalcinata compagnia.

Il ratto delle Sabine, con le sue piccole pretese, fu tutto sommato un copione troppo ferreo per lo scalpitante Totò. messo qui a dura prova. Del resto, il film — interpretato, inoltre, da Clelia Matania, Carlo Campanini, Aldo Silvani, Mario Pisu — non ottenne il successo sperato. Tuttavia, questo apologo straccione di guitti affamati, a quanto risulta, ispirò successivamente Lattuata e Fellini al momento di realizzare Luci del varietà. Certo, «Fellini è un’altra cosa», ma perché negare un qualche merito a questo disgraziato Ratto delle Sabine?

«L'Unità», 19 ottobre 1979


«Otto Totò» (rete 1 - ore 21,30) - nel ciclo dedicato a Totò va in onda il secondo film della serie, diretto da Mario Bonnard nel 1954: «Il ratto delle sabine». Accanto a Totò, Clelia Mata-nla, Carlo Campanini, Mario Pi-su. La trama: una compagnia di terz’ordine fa la fame in un paese. Dati gli incassi magri, ricorre al copione che il maestro del luogo ha in un cassetto, «Il ratto delle sabine», e riesce ad attirare il pubblico. Ma la conclusione è il solito fiasco. Forse, il significato di questo film sta in una frase che disse una volta Totò: «Non si può far ridere se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo...». Comunque, nemmeno il film, a suo tempo, fu un successo.

«Il Piccolo di Trieste», 19 ottobre 1979


TORINO — Carlo Campanini, 73 anni appena compiuti, toma con la memoria sul set di Il ratto delle Sabine, Roma 1945. «Totò era proprio scocciato. Mi disse sottovoce: "Questi scherzano, ma io, maestà lo sono veramente! E domani ti faccio vedere...". Mi portò gli incartamenti araldici: aveva fatto tutta la trafila, marchese conte principe...». Durante una scena del film che vedremo stasera in Tv, Totò, capocomico di una compagnia di guitti affamati, mette in scena (per sopravvivere) un dramma in versi, li ratto delle Sabine, opera del professore del paese, che è Carlo Campanini. A Totò spetta il ruolo del re; la gente, anche sul set, si diverte, ma l'attore, geloso del suo sangue blu, s’inquieta.

Da una commedia recitata in teatro da Angelo Musco, il regista Mario Bonnard («bravo ma pigro. Diceva «Fai tu, Carlino...») ricavò in fretta un film comico. «Girammo nel teatrino di via degli Avignonesi. Proprio li, Rossellini vi stava girando, a pezzi e bocconi, Roma città aperta. Io intanto facevo contemporaneamente con Soldati Le miserie del signor Travet. Per il film con Totò ebbi 200 mila lire: tante, uno sproposito...».

Ora recita in un altro teatrino, la sala Gobetti da Torino. Recita in piemontese Paletto Gioanin, americano ’d Mongardin a fianco di un giovane e dotato comico torinese, Franco Barbero. Fanno coppia da cinque anni, nove commedie rappresentate a teatri, esauriti, storie subalpine di ruspante fragranza comicosentimentale.

In questo stesso teatrino, 300 posti al primo piano di via Rossini, sotto la Mole, nacque nel ’55 con Nico Pepe lo Stabile torinese, De Bosio vi allestì i primi Ruzante, Moravia (Il mondo è quello che è) e Natalia Ginzburg (Ti ho sposato per allegria) vi presentarono le loro novità di teatro. Campanini sorride: «E proprio qui ho studiato corno. Nel ’24, per tre mesi. Poi mi misi a cantare. Intanto lavoravo in una fabbrica di molle e come compagno di tornio avevo un giovanotto balbuziente. Mi presentai a un impresario come baritono e venni assunto come comico, grazie all’imitazione del balbuziente. Andammo in America. Ho cominciato così. Sono nato a Torino, povero, in via Principe Amedeo, quartiere allora malfamato per via delle case chiuse. Mio padre era tranviere e morì giovane: dovetti arrangiarmi...».

— Ancora Totò. Eravate amici?

«Abbiamo fatto tanti film insieme, I due orfanelli resta il migliore. Fuori lavoro, Totò non frequentava nessuno. Ma era buono, aiutava gli attori sfortunati pagando affitti e conti in trattoria senza dirlo in giro. E si innamorava spesso. La Pampanini? Beh si, l’aveva corteggiata. Magari s’era illuso. Lei gli disse durante 47 morto che parla che lo considerava solo un padre, un fratello. E Totò, in uno sfoga notturno, scrisse Malafemmena».

— E quante volte lei ha dato del cretino a Walter Chiari?

«Centinaia... Vieni avanti, cretino. E venivano anche gli applausi. L'imitazione dei fratelli De Rege ci ha dato successo e lavoro. In Australia non sapevano dell'esistenza dei De Rege e attribuirono a noi l’invenzione dei personaggi...-.

— E i suoi film?

«Più di 100. Ora li trasmettono alle Tv private e la gente mi riconosce per strada. Anche perché ho messo in testa un po’ di Brill (e si passa la mano nel capelli diventati scuri per esigenze di copione). Per il ruolo di Leone in Addio giovinezza c’erano quattro candidati: Nino Besozzi, Umberto Melnati, Paolo Stoppa e Carlo Romano. Scelsero me, che venivo dall'avanspettacolo...».

— Ha recitato accanto a Totò, Macario, Chiari: si considera una buona «spalla»?

«Non direi "spalla": sono un caratterista che recita in coppia. Ma la coppia è sempre esistita, nel teatro comico.

—Si sente in debito o in credito con la vita?

«Scherza? Meglio di cosi non poteva andare. Ho quattro figli e cinque nipoti. Recito da mezzo secolo, sono in pensione da 13 anni ma continuo a lavorare. Un solo, grandissimo dolore, la scomparsa di mia moglie. Una grande fortuna, l’incontro con Padre Pio e la mia conversione. Ecco come passo il mio tempo libero, parlando al prossimo di Padre Pio. Non una conferenza, ma una confessione».

La voce gli si incrina di commozione. Poi si spande il cerone sul volto, un po’ di rossetto sulle guance e entra in scena. Lo accoglie il tradizionale applauso di sortita. Succede cosi da mezzo secolo

Dino Tedesco, «Corriere della Sera», 19 ottobre 1979



Foto di scena, video e immagini dal set


  Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997