Francini Anacleto (Bel Ami)

Anacleto Francini Bel Ami

Pseudonimo di Anacleto Francini, (Marradi - Firenze 25 agosto 1887 - Torino, 18 giugno 1961) è stato un giornalista, commediografo e poeta. E' stato autore insieme a Ripp (Luigi Miaglia) di alcune delle più importanti riviste di Totò.

Biografia

Come egli stesso scrisse, di una bella famiglia italiana, nacque a Marradi, in casa Carloni, n. 110, da Alessandro, possidente, e Maria Consolini, atta a casa, il 25 agosto 1887. Frequentò la scuola elementare del Capoluogo. In una foto della terza elementare (10 giugno 1894 in località la Torrre) si nota Anacleto Francini accanto a Dino Campana, nipote del loro maestro Torquato Campana. A compimento delle elementari fu inviato a Firenze presso l’Istituto Salesiano per proseguire gli studi e vi compì il ginnasio ed il Liceo. Nel 1946 la famiglia Francini si trasferì a Firenze.

Gli studi, il giornalismo

Anacleto, diciannovenne, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Urbino, dove il 29 giugno del 1910, conseguì la laurea in legge. Permettetemi, qui, di fare alcune considerazioni su fatti e cose apparentemente insignificanti, ma anticipatrici di indole e vocazione del “nostro” dottore in legge. Durante gli studi in Firenze, Anacleto, con passione e talento, collabora ad un periodico fiorentino, il “GIOVEDI’”, e si profila tutto campo la preferenza del Nostro per il giornalismo, sollecitata da un animo libero, mal disposto a freni burocratici, a comodi convenzionalismi, a ipocrisia conformistica, all’aridità di codici e codicilli dell’avvocatura. Poi, da universitario, fondò a Marradi un giornalino umoristico “Il Marciapiede”, a disposizione locale, dove, tra l’altro, compaiono i primi saggi lirici franciniani. Fu, però, ad Urbino, che pensò e scrisse una commedia – operetta in tre atti (come supplemento al n. 5 del “Marciapiede”) che fu rappresentato nell’agosto del 1910 al Teatro degli Animosi. “Il Marciapiede alla ribalta”, rappresentato più volte e sempre salutato da calorosi applausi ed apprezzamenti. Nell’agosto 1911 farà seguire “Zibaldone” o “Epidemiade”, rivista comico– satirica sterilizzata in due atti, sempre nel settecentesco Teatro degli Animosi e sempre suffragato da simpatia e battimani calorosi: La “Nazione” di Firenze, datata 12 agosto 1911, con articolo, “Bagni e Villeggiatura”, di Luigi Cataldi, informa: “L’altra sera si aprì il Teatro degli Animosi con la nuova operetta “Marradineide”, che l’amico Anacleto Francini ha scritto, rinnovando completamente l’altra rivista, che l’anno scorso esilarò i Marradesi. E anche questa volta veramente brillante e pieno di allegria e d’arguzia, come non poteva non uscire dalla mente vivace, fantastica, spigliata dallo spirito, direi, quasi indiavolato del simpatico autore; onde le arriderà la più lieta sorte, se bene abbia dato origine a polemiche il fatto della scelta del soggetto, giacché è presa garbatamente in amena burletta la paura degli abitanti per un caso di morte sospetta qui avvenuta”. Per tutto quanto sopra riferito si capisce quale indirizzo preferenziale il nostro dottore in legge intenda dare alla sua futura attività. Pare di capire che aborrirà le aule di pretura ed esalterà le redazioni giornalistiche e le sale teatrali. Presto, molto presto, infatti, Anacleto Francini fu redattore a “L’Ettore Fieramosca”, quotidiano fiorentino concorrente del “La Nazione” dove arrotò i feri del mestiere per un’alta reputazione giornalistica ed affinò capacità letterarie ed artistiche per una grande affermazione. Arriva, poi, al “Panaro” di Modena e ancora a Firenze, al “Tempo” ed infine approda alla “Gazzetta del Popolo” di Torino, come redattore capo, e collaboratore al “Pasquino”periodico satirico della città. Sarà, spesso, inviato speciale e corrispondente di altre testate umoristiche de quegli anni.

La guerra

Intanto in Europa, si levano venti e burrasche di guerra. Anche l’Italia viene interessata dall’uragano e il 24 maggio 1915, rotti i rapporti con la “Triplice Alleanza” (Italia , Austria, Ungheria e Germania), si schiera a fianco della “Piccola Intesa” (Francia – Inghilterra). Il dott. Anacleto Francini, già sottotenente di complementi in forza al 4° Reggimento Fanteria di Corso dei Tintori, Firenze, la sera del 28 marzo 1915 lascia Torino, per richiamo alle armi, alla volta di Firenze. Richiamato, dunque, col grado di Tenente, viene avviato al fronte, dove si guadagna sul campo i gradi di Capitano e una medaglia d’argento al valor militare. Il 15 aprile 1916, sul Monte Osvaldo, cadde prigioniero e fu internato a Mathausen, in Austria, poi, portato in Ungheria nel campo di concentramento di Ostffyasszonyfa, dove, mal sopportava la monotonia prigionale, fondò un giornale per tenere sempre vivi i suoi soldati, “l’Eco di Ostffyasszonyfa”, ricordato ed elogiato moltissimo sulla “Domenica del Corriere” con ampia documentazione fotografica. Tentò, anche, la fuga, ma senza fortuna. Mi raccontava la sorella Bettina, che , quel tentativo mancato gli aveva procurato un grosso dispiacere, non per l’insuccesso dell’impresa, ma per le sanzioni disciplinari comminate alla sentinella ungherese poco attenta e comminande ai colpevoli di altre eventuali disattenzioni. Aveva potuto leggerle, conoscendo bene la lingua, su un grande foglio affisso al comando, quando rientrato forzatamente al campo. Lui, oltre a tener desto il suo spirito giornalistico, si dedicò allo studio delle lingue straniere, scrisse canzoni nostalgiche e patriottiche; inviò, clandestinamente, corrispondenze di guerra al “Corriere della Sera”. Il Capitano Francini fu liberato dalla prigionia nel 1919 e congedato col grado di Maggiore.

 

Scrittore e autore

Il dott. Anacleto rientrò alla “Gazzetta del Popolo” di Torino e riprese, a pieno ritmo, il suo lavoro per riscattarsi dall’ozio, secondo lui, impostogli dallo stato di prigioniero di guerra. Sentiva dentro una particolare apertura la teatro e fu, soprattutto, in quella direzione che rivolse tanta parte della sua attività giornaliera. Dopo aver stretto forti legami di amicizia con artisti e letterati dell’immediato dopoguerra torinese, che aveva cambiato radicalmente la vita di tutti, nel 1920, cominciò a scrivere riviste, sotto la pseudonimo di “Bel Amì” e a lanciare l’idea di una nuova forma di spettacolo, più sfarzosa, luccicante, canora, divertente, mondana, priva di volgarità. Diversa, insomma, da quella fino ad allora in voga. Vi riuscirà e affosserà nella più cupa foschia la famosa “Turlupineide” di Renato Simoni e il “Marcopoleone”di Giovacchino Forzano, fino ad allora sulla cresta dell’onda al Trianon di Via Viotti, Dante e Adriana Resta recitavano commedie piemontesi. Eugenio, loro figlio, studente universitario e aspirante attore, intuì che “Bel Amì” avrebbe potuto e saputo tradurre in rivista i racconti dialogati, pubblicati sul “Pasquino”. E si fece crociato di questa possibilità, aiutato dal pittore Giovanni Manca, che avrebbe disegnato le scene e i figurini, mentre l’Avvocato Miraglia avrebbe addolcito i caustici versi franciniani con piacevoli melodie. Il Nuovo genere di spettacolo, imbastito di garbata satira, nacque e riscosse un clamoroso successo. Il 3 aprile 1920 al Trianon con “Mancatemi di rispetto, signore”, satira mordacissima dei fatti del giorno, era arrivata la rivista, nuovo genere di espressione teatrale e si era, altresì, costituito il binomio “Bel Amì– Rip”, che durerà nel tempo. Le operette di questo nostro geniale personaggio furono condotte alla popolarità dai più celebri artisti del varietà nelle maggiori città italiane. Anche Parigi, dove Francini si recava spesso, esaltò l’arte scenica spettacolare del nostro “Bel Amì”. Oltre ottanta furono i libretti composti da fantasia e gusto raffinato e numerose compagnie teatrali se ne disputavano preferenza e rappresentazione. Ben dodici compagnie, tutte famose, portavano in scena, contemporaneamente, la produzione franciniana e in quelle compagnie i nomi più belli e prestigiosi del momento: la bravissima Dina Galli con la compagnia Casaleggio, Isa Bluette, la splendida soubrette, Emma Sanfiorenzo; Mistinguette, la Wandissima Osiris, Erminio Macario e Totò (Principe De Curtis). Ma i lavori di più brillante successo: “No così non va”, e, invece, andò divinamente, poi, “Sua eccellenza la spugna”; “Madama Follia”; “Imputato, alzatevi” (portato sullo schermo cinematografico da Erminio Macario) e tanti altri ancora. Tra questi va sottolineato: “Ripassate domani”. “Bel Amì” amava burlarsi, benignamente, del pubblico, il suo pubblico: un modo tutto suo per tenerselo amico. Si racconta che un giorno al Trianon fu affisso sul cartellone (la civetta teatrale) uno striscione che portava: “Ripassate domani” la folla cominciò a tumultuare e si calmò soltanto quando le fu spiegato che quel “Ripassate….” Era il titolo della nuova rivista. Francini scrisse anche commedie musicali e tra tante: “Il piccolo divo”, “la signora canapè”, “Il grillo del castello”, “Femmine di lusso”. Come se non bastasse, fu poeta e autore di drammi in versi e canzoni di gran successo vedi la famosa “Creola”, cantata, ancor oggi in Italia e fuori. La sentiremo, credo, anche qui, in questo nostro evento, sicuri di rendere gradito omaggio allo spirito del grande autore. Nonostante quanto sopra descritto, Francini non soffocò la sua vocazione giornalistica sotto i caldi guanciali dei successi teatrali. La mantenne, fieramente, in mostra sulla “Gazzetta del Popolo” con una rubrica di attualità: “la finestra sulla strada”, che era letta con notevole interesse e vivamente commentata. Sarà, poi, raccolta in un volume intitolato: “vergini, spose, furbi ed imbecilli”. Voglio anche aggiungere che “Bel Amì” pur nella molteplicità di impegni, non dimenticò mai la sua terra natale. Settimanalmente, sulla “Romagna Toscana” scriveva trafiletti e anche poesie in dialetto, per essere sempre presente. Completava così la sua pluralità di interessi ed affetti. Logicamente, le sue migliori creazioni erano destinate al teatro piemontese, più vicino all’ambiente adottato per ragioni di vita.


Particolarmente al Teatro Michelotti in Torino, dove “Bel Amì” era di casa, e dove, si dice, il grande statista Giolitti, assieme all’anziano industriale Agnelli, andava a sentirsi mettere in burla garbata dal Francini e a compiacersi direttamente con lui per le battute sempre azzeccate, sempre delicate e pulite. Quando per raggiunti limiti di età lasciò la “Gazzetta del Popolo” per ritirarsi, come suol dirsi, a vita privata, tutti sapevano, quanto sarebbe stato refrattario all’oziosità e all’isolamento dalla intensa quotidianità, prese, infatti, subito ad occuparsi di programmi radiofonici e presso la RAI, torinese si dedicò ad una rubrica domenicale, che durava quarantacinque minuti. Insieme a Dino Falconi, sempre per la Radio Italiana, scrisse una trama avventurosa. I due si alternavano, settimanalmente, al microfono, sviluppando una spassosa e avventurosa vicenda, che si proponeva di lasciare in imbarazzo il compagno avversario al punto di compromettere la prosecuzione della vicenda stessa. Durò oltre un anno questa trasmissione accompagnata da grandissimo ascolto ed apprezzamento. Il nostro importante personaggio, che aveva assimilato le trasgressione dei movimenti culturali degli anni dieci e venti, intellettuale, anticonformista, antifascista, come si ricava dal periodico “I quattro venti” (saggio sulla situazione della rivista alla soglia degli anni cinquanta), che ce la conferma, non si è mai arrestato sul suo modo di pensare e criticare. Badate bene: nonostante le sforbiciate della censura su riviste e cartelloni teatrali, minacce di confino per autori ed interpreti, correzioni di testi (perfino quelli delle canzoni) al fine di opprimere ogni opposizione al regime, Francini, spirito libero era e spirito libero intendeva restare. E a denti stretti, scriveva, criticava, sottolineava, sfotteva, crescendo la già grande notorietà. Era un coraggioso.

Dopo la morte avvenuta a Torino il 18 giugno 1961, molti giornali e la Radio commemorarono questo nostro importantissimo personaggio della carta stampata e dello spettacolo. Anche la Televisione, celebrando la nascita della rivista teatrale, lo ha menzionato a dovere, come il primo ad averla concepita ricca di fantasiosa messinscena, con fastosità coreografica, in un vortice di luci, colori e musiche. Non solo. Ma di averla portata sulle ribalte dei maggiori teatri per un nuovo fascino. Con Francini scompare una delle ultime figure di quella scapigliatura artistica caratterizzante la “belle epoque” piemontese, alla quale, ancor oggi, molti pensano con nostalgia. Con Francini scompare “un toscano austero, della vecchia razza, non mai contento di quello che fa, un autentico e vigorosissimo temperamento d’artista; un altissimo ingegno”, come lo aveva definito l’amico poeta Dino Campana. E di questo ingegno Marradi deve essere sempre più fiera ed orgogliosa. A profonda meditazione vi ripresento la didascalia del suo ricordino di morte. “Visse di poesia Trovò sempre conforto ad ogni male Donò a piene mani Le ricchezze del suo spirito Facendo fiorire a sé d’intorno Buon umore e serenità”. Mandiamo a memoria questo prezioso messaggio, specchio della molteplicità e intensità di opere di questo nostro Grande; che ha onorato il suo paese non soltanto con sublimità di pensieri e di fatti, ma anche con la semplicità dell’uomo comune da sempre legato alla sua casa, alla sua terra. Onoriamo questo grande concittadino, sempre vivo tra noi, che posò per sé e per Marradi la sua pietra preziosa nel grande edificio dell’Unità d’Italia.


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

1942 06 17 Stampa Sera Ripp Bel Ami

— Ci sono — annunzia il fattorino — due francesi... — Avanti. Ma chi sono? — Non ho capito bene. Ma due nomi che si sentono spesso. Dicono che vengono da Torino... — Fai entrare.
E vediamoli, questi due francesi che vengono da Torino. Ma è tutto il contrario: sono due torinesi che vengono dalla Francia. Ripp e Bel Ami.

Isa Bluette l'ha scampata...

Giovanni Miaglia ed Anacleto Francini sono, a quei giorni, i superstiti rappresentanti dell'ultimo Ottocento letterario, ultimo in ordine cronologico voglio dire, quello rimasto attaccato alla tradizione dello pseudonimo forestiero: Yorick, Gandolin, Tartarin, Bergenet, Yambo, triplcpattc, Gil Blas... Tutti fior di fiorentini genovesi abruzzesi napoletani illustri, come sapete, nella Repubblica delle lettere e delle arti nostrane. — Ciao, ciao. Sicché venite da Parigi? — Ma già. Vi abbiamo accompagnato la Bluette a misurarsi i costumi che s'è fatti per la nostra rivista. — L'ha scampata bella, sai, povera Isa. — Che le è successo ? — Niente le è successo. Ma poteva capitarle quello che è capitato, proprio l'ultimo giorno della nostra permanenza a Parigi, alla signorina... Mi fanno il nome della celebratissima attrice drammatica italiana, anche lei lassù, per ritirare e portarsi in Italia i costumi che s'era fatti per la Signora dalle Camelie. Questa nostra attrice illustre, per malaugurato consiglio d'un nostro connazionale, vecchio amico patrono guida accompagnatore e prezioso cavalier servente d'attrici ed attori nostri in gita alla città-luce d'un tempo, a chi si era rivolta, la signorina X, per ottenere una facilitazione di ordine doganale, all'atto che avrebbe ripassato i confini per tornare in Italia. Nientemeno che al nostro Ambasciatore. L'Ambasciatore d'Italia s'intende che accolse la nostra primadonna con tutta la diplomazia riservata al suo grado: stette a sentirla, poi le offrì un tè e le consegnò una lettera che l'attrice — lei disse — avrebbe potuto esibire alle autorità italiane di frontiera. Scende le scale dell'Ambasciata, la signorina X, e, colta da compr-ensibile curiosità, vuol leggere che cosa ha scritto Sua Eccellenza. Ha scritto presso a poco: «...per cui sarei grato se le autorità doganali italiane volessero applicare il massimo della tariffa, per la signorina latrice della presente, la quale è venuta in Francia per farsi confezionare il suo vestiario... ». Parigi, maggio 1921.

— Sicché, scrivete una nuova rivista? — Sì, ma del nostro genere: niente politica, niente personalità. — Una rivista fantasia, solito nostro. — Vedo. Titolo? — Le Mille ed una Donna. Fantasia, come vedi subito. Le donne della Compagnia di Achille Maresca saranno si e no un paio di dozzine. Dovresti farci i costumi. Meno quelli della Bluette, che se li fa fare, comie sai, a Parigi. E mono quelli di Totò, che si porta i suoi dal Varietà. — Totò passa in rivista? — Apposta per noi. Saia una rivoluzione. Vedrai che rivista. — Ditemene qualche cosa. — Ecco: il primo quadro deve essere un ambiente di fantasia. Perciò Cuba, oppure il fondo del mare, come meglio credi. Forse starebbe meglio un giardino, dato che vi devono nascerle e crescere delle rose. — Direi anch'io. — Poi si passa ad una gelateria. O un negozio di barbiere. Per noi è indifferente, vero Ripp?, dato che Totò vi canta una macchietta di barbiere-gelatiere, mestiere abbinato, assai comune in Ispagna... — Perchè abbiamo dimenticato di dirti che siamo in Ispagna. —- Piccolezze. L'amaro tè di Margherita Gautier - Quel che c'era di veramente fantastico in certe fantasie - Perchè i cinesi non fischiano a teatro — Ci sono — annunzia il fattorino — due francesi... — Avanti. Ma chi sono ? — Non ho capito bene. Ma due nomi che si sentono spesso. Dicono che vengono da Torino... — Fai entrare. E vediamoli, questi due francesi che vengono da Torino. Ma è tutto il contrario: sono due torinesi che vengono dalla Francia. Ripp e Bel Ami. Isa Bluette l'ha scampata...

Nasce "Creola"

Subito dopo, occorrerebbe un quadro bizzarro assai. Di assoluta fantasia: non ci abbiamo ancora pensato. Vedi tu. Sta qui il bello delle riviste di fantasia, che uno può sbizzarrirsi come crede. Basta solo un po' di fantasia, vero Bel Ami? — Sicuro. Per esempio una scula luminosa. O un Tutto-blu. O una biblioteca. O una spiaggia del I8I1O. Io non ho preferenze. E tu Ripp ? — O per me, fai tu. L'importante è che ci sia questa grande scatola di cipria. — Come, come? — Oppuvs una gran pianta di banane. Sai, è per la nuova canzone nostra che deve lanciare la Isa: il ritornello è una parola sdrucciola. Pensavamo per questo a Cipria. Ma potrebbe essere benissimo Creola. O bumbola. O Forbice. O Briscola. Indifferente. Ma una foresta tropicale non mi dispiacerebbe affatto. Fu proprio così o in circostanze assai somiglianti, che nacque Creola, una delle più indovinate ed aggraziate cannoni di Ripp e Bel Ami, create quasi tutte dalla povera cara Isa Bluette. A parte Ripp e Bel Ami (che di fantasia avrebbero potuto aprire serie di negozi standardizzati) sta di fatto che codeste riviste « a grande spettacolo » succedute dal '24 in poi alle riviste politiche, avevano questo, di fantastico: che la parte fantasia era gentilmente riservala al figurinista ed allo scenografo.

L'autore, o gli autori, si riservavano solamente alcuni diritti: » diritti d'autore. Ecco perchè, mentre fin'allora questi spettacoli sono nati nel cervello dei giornalisti c dei poeti, con l'avvento della fantasia, il luogo di nascita si trasferisce nei laboratori di sartoria teatrale e nei saloni di scenografia. Uno, fra questi, ai proporzioni ciclopiche (in esatta corrispondenza con quelle del suo titolare, il pittore Guido Galli, è a Milano, negli anni che qui si rievocano, il cantiere, l'arsenale, il vulcano non solo di Mille ed una donna ma di mille ed una fantasia. E' qui che nascono le torri babilonesi di Terremoto (Ramo e Rota), gli emisferi rotanti del Mondo e sua moglie (Panconi e Francini), le follie di Madama Follia (Ripp e Bel Ami), la giostre viventi del Pupo Giallo (Mazzucato), le sarabande di Peccati e Virtudi (Rapetti e Marcitesela), le innumeri mirabilia di Straccinaria (Simoni e Fraccaroli). E' in questo salone milanese di Guido Galli che sono nati e cresciuti i sipari di piume, i sipari di specchi, i sipari di fosforo, i sipari, di pietre, i sipari di fiori, di pizzo, di merletto. E' qui che una mattina l'autore Guido di Napoli, il geniale creatore del Teatro della Girandola, papà di tutte le riviste d'avanspettacolo (quando le riviste erano uno spettacolo, sia pure davanti ad un film) è capitato una mattina con gli occhi fuori della testa, e pure con un'idea di sipario, assolutamente inedita. — Il sipario cinese... il sipario cinese... — egli riesce a dire affannosamente. — Che roba è? — Ecco qua. Distribuiremo alla porta, come si usa in parecchi centri della Cina, una pallina di piombo per ogni spettatore che entra. — Beh? — Usanza pratica e di buon gusto. Ogni spettatore, cui non piaccia qualche cosa dello spettacolo, lascia cadere la sua brava pallina in un apparecchio collocato di fronte a lui. — E allora? — Lasciate?!!!' dire. L'apparecchio conduce ad un sistema di leve sotterranee, in comunicazione col sipario, di piombo pure lui. Appena i voti di sfiducia avranno raggiunto un certo peso, il sipario cala automaticamente e non può risollevarsi che all'indomani, dopo la vuotatura del condotto sotterraneo.

Scoperta di Macario

L'annosa questione del fischio o del non fischio a teatro si sarebbe risolta fin d'allora, abbastanza brillantemente, caro Palmieri. Nossignori. Si oppose il Comando dei Pompieri, non s'è mai capito perchè. Sicché, mentre gli autori del tempo sudano mille ed una camicia a far lavorare la fantasia degli scenotecnici (forse risale a quei giorni l'iniziativa di Braguglia, d'offrire a questi poveri scenotecnici almeno un Sindacato, tanto per gradire) non meno fervidamente lavora la fantasia dei capicomici italiani del genere rivista. E' il tempo in cui l operetta inizia la sua parabola discendente, e qualche capomico operettajo pensa d'attaccarsi alla rivista. Sarà primo, come s'è raccontato, Achille Maresca. L'erede del nome illustre, lun bel giorno è percosso da un'idea luminosa. Non bisogna sottilizzare, su questa luminosità d'ùlea venuta ad Achille, industriale a quei giorni dì lampadine elettriche ed altri accessori. L'idea sua si chiama Macario. Illuminarsi (a filamento metallico) di codesta idea felicissima, prendere il treno e piombare a Torino, tutto è fatto elettricamente.

Ma a Torino lo attende una scossa. Non ci fa caso, la premiata ditta in materiali d'illuminazione: la scossa è costituita dagli impegni di Macario, impegnatissimo, fin dalla più tenera infamia. E non è cosa di breve durata, come ogni scossa che si rispetti: un impegno lunghissimo, una specie di impegno a vita, o qualche cosa di simile. — Ma io ti promuovo primo comico grottesco... — Sarebbe? — Ecco: io penso che in una compagnia di rivista occorrano due comici di primo piano: il comico stilè (— scrivo foneticamente, per economia generale) ed il comico grottesco: il comico stilè sarà con me Nato Navarrini: il grottesco sarai tu. Quello deve recitare, cantare, ballare, far V amoroso, il brillante, l'avventuroso... — Ed io allora? — Tu farai invece tutto quello che vuoi. Basterà che ti presenti. Non avrai una parte scritta appositamente: ti si dirà: «A questo punto entri tu...». — Entro io. E faccio quel che mi pare. — Nè più nè meno. — Comodo. E quanto mi dai? — Siccome farai quello che vuoi, io ti darò quel che vorrai tu, si capisóe, — Questo poi è comodissimo. E quando si comincia, quando si comincia? — C'è bisogno di dirlo? Quando vuoi tu. — Oh, per parte mia, faccio conto di aver già cominciato. Fammi un assegno cosi e così. E buon viaggio. Ci vediamo a Milano fra sette giorni. A proposito, la sai la differenza fra Cristoforo Colombo e me? — No. — Nemmeno io. Forse perchè non c'è nessuna differenza.

Luciano Ramo, «Stampa Sera», 17 giugno 1942



Riferimenti e bibliografie:

  • Renato Ridolfi in "Anacleto Francini", Editrice Marradi Free News