Giuffrè Aldo
(Napoli, 10 aprile 1924 – Roma, 26 giugno 2010) è stato un attore e drammaturgo italiano; anche doppiatore, regista e scrittore. Ha scritto infatti quattro romanzi, tre dei quali editi dalla casa editrice Guida di Napoli. Noto al grande pubblico anche per il suo sodalizio artistico con il fratello Carlo Giuffré.
Biografia
Arrivò direttamente dal teatro, dove visse una lunga gavetta che gli consentì di sperimentarsi in diversi stili espressivi, sviluppando una grande versatilità che lo fece oscillare con estrema facilità dal comico al drammatico. Il debutto teatrale fu del 1947 con Napoli milionaria la compagnia di Eduardo De Filippo, che fu per lui il suo primo grande maestro, ma non l'unico: importanti furono nel suo percorso anche Giorgio Strehler e Cesco Baseggio. Nel giugno del 1979 un'operazione alla corda vocale sinistra lo privò della sua pastosa voce, ma non gli impedì di continuare nella recitazione.
È stato sposato con l'attrice Liana Trouché, morta in circostanze drammatiche in un incidente stradale accaduto mentre si trovava su un'Alfa 6 assieme al collega attore Gino Bramieri, che era alla guida (i due stavano portando avanti le repliche teatrali dello spettacolo di Terzoli e Vaime Felici e contenti, diretti da Garinei e Giovannini).
Giuffré è morto all'età di 86 anni all'Ospedale San Filippo Neri di Roma la notte del 26 giugno 2010, e riposa al cimitero di Prima Porta.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
Nei due precedenti articoli abbiamo riportato rispettivamente le nostre impressioni sullo spettacolo di Franca Valeri «Le catacombe», e il nostro colloquio con l’attrice stessa ; oggi vi parleremo invece del protagonista maschile della commedia, Aldo Giuffrè. Avvicinando Aldo Gluffrè nel suo camerino al Teatro comunale, abbiamo immediatamente avvertito un senso di serenità, Giuffrè non è un «tribolato», un attore afflitto da elucubrazioni intellettualistiche, non è un bambolotto che diveggia, non è un posatore agitato e complesso, ma un uomo calmo, equilibrato sicuro di sè (senza essere tronfio), cordiale, spontaneo e soprattutto intelligente e maturo spiritualmente.
Un vero uomo, insomma! Che rarità! Ci ha accolti con la maggior naturalezza e con la più schietta cordialità: dopo cinque minuti parlavamo come vecchi amici dello spettacolo da lui interpretato, di teatro, ecc.
Dopo averci detto di essere in arte dal '47 (professionalmente, inquantochè prima lavorava alla Radio come speaker) e di essere sposato felicemente da dieci anni (purtroppo senza aver avuto figli) con una donna molto in gamba, quadrata, attenta, sua ottima consigliera e che sa vedere cose che a lui fuggirebbero — una donna molto carina, aggiungiamo noi che la abbiamo vista — seduta discretamente in un angolo del camerino — l'attore ha acceso una sigaretta.
— Ecco le prime cose che si ripetono in ogni intervista — ha concluso soffiando fuori il fumo — ora mi dica lei quello che vuol sapere.
— Poiché ha parlato di interviste, ci dica... le interviste la scocciano?
— a seconda dei giornalisti che le le fanno ! Taluni sono troppo indiscreti... ma comunque in genere rispondo sempre volentieri; meno che al telefono. Questo tipo di intervista non mi va proprio, io devo poter vedere una persona in faccia mentre le parlo! Quando poi mi tengono al telefono delle ore intere, perdo addirittura la pazienza... nonostante io sia molto calmo !
— Ecco una domanda quasi indiscreta, signor Giuffré, diciamo, quanti armi ha ?
— Non è poi indiscreta — ribatte l'attore giocherellando con la cintura della vestaglia di seta verde — ho 39 anni.
— Abbiamo molto ammirato la tua interpretazione de «La ragazza di campagna» lei era eccezionalmente spontaneo e naturale in quella parte.
— Le dirò, era una parte tagliata apposta per le mie possibilità. Un simile felice incontro capita raramente nella carriera di un attore, purtroppo! lo prendo tutto il mio lavoro sul serio, badi bene! e anche se dovessi recitare l’elenco del telefono cercherei di non essere monocorde... ma certo ne «La ragazza di Campagna» ce l’ho messa tutta. Inoltre avevo a fianco due grandi attori quali la Proclamer e Santuccio e anche questo conta. Ora non ho in vista che opere minori, alla TV. ma spero sempre che il miracolo possa ripetersi un giorno o l'altro.»
— Che ne pensa di questa commedia? Il personaggio di Bruno la convince ?
— Premettendo che sono un sincero ammiratore della Valeri attrice—autrice!, se la parte non mi piacesse non esiterei a dirlo, anzi non la avrei neppure accettata. Tutta la commedia mi piace, nel suo assunto artistico, e la figura di Bruno, considerata ua un punto di vista speciale non è affatto antipatica, naturalmente bisogna precaria come un «dlvertissement»; divertire se stessi oltreché il pubblico: non è poi egoistico, non le pare? Io da un pezzo desideravo recitare con la Valeri e l’idea di un lavoro in chiave ironica, mi tentava parecchio. Secondo me «Le Catacombe» hanno pregi straordinari.
— Com’è il suo carattere, signor Giuffrè ? — l’attore ci guarda con i suoi bellissimi occhi neri, poi si alza e girella per il camerino, mentre poi osserviamo il suo corpo maschio e asciutto: la camicia immacolata che spunta sotto la vestaglia, i capelli lucidi ma non atrocemente imbrillantinati. Non forziamo il suo silenzio. Ad un tratto si ferma ed esplode: — Come posso descriverle il carattere? Non sono proprio certo di conoscerlo a fondo...
Se la mia presenza t’imbarazza Aldo, me ne vado, così sarai più sincero!!! — interloquisce sua moglie, e caricatasi di alcune giacche da rinfrescare, parte in cerca della stiratrice. Giuffrè abbozza un sorriso; ma appare pensieroso — Sono volubilissimo — esordisce con decisone — di puro temperamento latino, facile alle fiammate subitanee destinate a smorzarsi presto.
— Fiammate di che genere? — indaghiamo prudentemente.
— Artistiche, perbacco! Volevo dire che di solito dopo quindici giorni una commedia mi annoia e le repliche diventano un supplizio... Questa volta non è accaduto nulla di tutto questo, dopo cinque mesi mi diverto ancora.
— sembra soddisfatto ; noi insistiamo — Dunque fiammate sentimentali non ne lamenta? E’ un marito sostanzialmente fedele? Il matrimonio non l’ha mai deluso?
— Ecco tre domande micidiali — borbotta l’attore mezzo serio, e accende un'altra sigaretta — Non parliamo anzitutto di fedeltà sostanziale; per me un matrimonio o va bene o va male, e se va male non lo si subisce. Quindi compromessi e tradimenti... pardon! evasioni sentimentali intese a mascherare la delusione di un’unione fallita non ne concepirei... Fiammate dunque non ne lamento. Posso nutrire degli interessi per altre persone (di sesso femminile — specifica —), comunque non ho mai conosciuto una donna che mi facesse rimpiangere di essere legato e mi facesse desiderare la libertà.
Io sono felice con mia moglie e quando siamo divisi, sento molto la sua mancanza Non sono un Don Giovanni, come vede, e generalmente non approfitto delle «occasioni» che mi capitano .. forse proprio perchè sono occasioni! Io nella donna, cerco qualcosa di più importante c di più profondo di una qualunque attrazione fisica; in tutti i miei sentimenti e nelle mie manifestazioni affettive sono profondo... Inoltre non mi va di essere tentato o vezzeggiato da una donna che s’interessi a me di riflesso alla mia, sia pur modesta, popolarità; insomma che mi veda e mi valuti e magari mi desideri, poiché mi trovo esposto in questa vetrina allettante che è il mondo dello spettacolo: scena, video e schermo. Io voglio che una donna s’interessi esclusivamente a me per quel che valgo e non per quel che sembro o per quel che di me può vedere esteriormente; per farle un esempio, una donna dovrebbe guardare a me. non come ad Aldo Guiffrè attore, ma magari ad Aldo Giuffrè garzone di macellalo. Capisce cosa intendo? Ma tutto ciò resta legate ai grandl sentimenti ...per quanto riguarda la simpatia e l’ammirazione spicciole, beh naturalmente son un po’ vanitoso anch’io — dice con scarsa convinzione — poiché sono attore!!! e quindi non mi dispiacciono affatto.
— Dunque non i del tutto allergico ai complimenti — osserviamo.
— Fatta astrazione per la ammirazione mielata e di nessun costrutto che possono tributare ad un attore anche coloro che d’arte non capiscono niente, non sono logicamente allergico alle lodi. Sarebbe inumano, se lo fossi. Comunque preferisco (artisticamente parlando) i complimenti degli uomini, sia detto senza offesa e senza risentimento ai professionisti... della lode e della critica! perchè trovo che gli uomini sono più sinceri e più spontanei; non ci sono finalità recondite nelle loro parole (parlo di uomini normali!!). Non che le donne non possano essere in buona fede, intendiamoci, ma anche quando lo sono, è impossibile disgiungerle dalla loro femminilità che in un certo senso ce le pone di fronte... senza la giusta prospettiva. Infatti come un uomo che voglia complimentarsi con un artista, cantante, attrice, o scrittrice, non sa rendersi avulso dal di lei falcino (sempre che si tratti di una bella donna) ed è pertanto soggetto a creare una mescolanza indistinta nei suoi complimenti, senza poter egli stesso scernere l’esatta molla che li ha provocati nè dire fino a che punto sia sincero lodandone l’attività specifica, cosi una donna che si rivolge ad un attore, riesce difficilmente a localizzare in lui la dimensione artistica neutralizzandone quella umana... E’ un discorso lungo, lo lasciamo? — dice franco; lo accontentiamo.
— Ci sembra di capire che lei non i un superficiale nelle sue valutazioni umanistiche, signor Giuffrè. Prova interesse ad accostare gente nuova?
— Provo un interesse generico. ma purtroppo trovo raramente gente che mi possa interessare. E ciò mi addolora, perchè lo sogno di conversare con qualcuno che sappiaa agganciare il mio spirito con panoramiche assai più ampie e vive delle normali scontate verbosità di cui oggi si riempiono salotti, teatri e strade... Mi annoiano le serate con gli amici, i balli ecc. L’arte del conversare di cui si va smarrendo li gusto e la formula, ha per me più fascino di qualunque divertimento. Per conversare però non intendo parlare di calcio o del torace delle dive...
— Che ne pensa dell'ambiente teatrale?
— Le persone che compongono questo ambiente sono spesso tali da deludere, specialmente coloro che le accostano con proterva fiducia. Il teatro non' dovrebbe offrire delusioni, essendo un mondo assai diverso da quello del cinema ; invece purtroppo, forse perchè ci si ostina a non parare gli urti, convinti che non si tratti di vere gomitate (o peggio di calci...) non mancano i tiri mancini, gli spintoni, e se non si sta in guardia, anche i capitomboli... eufemisticamente parlando!
— Lei si sentirebbe di lasciare il teatro?
— Non potrei farlo mai. Se proprio dovesse andar male in tutti i sensi e la carriera non fosse più possibile, cercherei un altro lavoro... nello stesso ambiente. Nonostante i suoi difetti, è un ambiente che amo e che è parte integrante della mia vita. Lasciandolo, non sarei più io».
— E il pubblico qualche volta la delude, signor Giuffrè?
— No, quando è ben educato. Infatti io non supporto la mala creanza ; comunque il male checché molti ne dicano, non sta nel pubblico. Romanticamente si può dire che non esiste crisi di pubblico bensì di compagnie ben affiatate. — Giuffrè si muove nervosamente sulla sedia, stritolando quasi la sigaretta che stringe fra le dita.
— Lei è nervoso? — chiediamo — a dispetto del suo aspetto tranquillo?
— Sono un apprensivo, è assai diverso. Non per seguire la moda del momento, ma dovrei precisare meglio: un nevrotico.
— Davvero non si direbbe — osserviamo — forse lei si compiace ora di darci la risposta fasulla che non manca mai in ogni intervista !
— Che vuol dire? — chiedo con subitaneo interesse.
— Si, ogni intervistato si compiace qualche volta di farsi gioco di chi l'intervista e del pubblico, dando risposte completamente differenti dal vero.
— E come, fate a distinguere il vero dal falso? — incalza l’attore che palesemente si diverte. “
— E’ semplice: partiamo dal presupposto che tutto sia falso, o quasi — rispondiamo con candore... Ma Giuffrè ride e mostra di non credere a questo Pirandelliano concetto; poi si fa serio e dice, nel salutarci — Vero e falso! in fondo sono utopistici e incerti nei loro confini... meglio lasciarli aggrovigliati insieme: disgiunti potrebbero deludere assai di più. E dopo tutto chi può distinguere le facce spesso simili di una medaglia? — E se ne va, assorto...
Ci sarebbe molto da dire e molto da riflettere su questa frase, drammatica nel suo simbolismo, ma noi quella sera d sentivamo frivoli e non avevamo voglia di pensare, perciò siamo tornati alla nostra poltrona ben decisi a ridere con la Valeri e con i suoi personaggi. Ma non già di loro, come qualche maligno potrebbe credere!
Gabriella Panizza, «Gazzetta di Mantova», 23 maggio 1963
Carlo e Aldo Giuffrè, i più celebri fratelli del teatro italiano, raccontano le loro difficoltà. «Abbiamo dovuto prendere questa decisione», dice Carlo «perché non siamo riusciti a trovare una commedia giusta per tutti e due» - «Ci sarebbe piaciuto portare in scena i testi che fecero il successo di Eduardo e Peppino De Filippo, ma non è stato possibile perché i loro eredi non ce l'hanno permesso» - «La prima volta che recitammo insieme fu in una commedia di un giovane autore allora sconosciuto: Maurizio Costanzo»
Milano, aprile
Aldo e Carlo Giuffrè, i due fratelli napoletani in cui molti hanno visto i naturali credi della mitica coppia formata da Eduardo e Peppino De Filippo, alzano bandiera bianca. Il 30 aprile, quando termineranno le repliche della commedia A che servono questi quattrini? di Armando Curcio, uno dei loro acclamati "cavalli di battaglia", scioglieranno il loro sodalizio e se ne andranno ciascuno per conto proprio. Il motivo? La mancanza di un repertorio in cui possano giostrare alla pari e l’impossibilità di crearsene uno nuovo, scrìtto su misura per l’uno e per l’altro.
ANNI DI MISERIA
«Purtroppo», mi dice con amarezza Carlo Giuffrè «i tempi sono cambiati in teatro. Nessuno, oggi, vuole rischiare su testi inediti Ci abbiamo provato, ma siamo stati costretti a fare marcia indietro. Non ci davano le "piazze". Per sopravvivere, dovremmo avere la disponibilità delle commedie che fecero il successo di Eduardo e di Peppino De Filippo. Per esempio: Non ti pago, Natale in casa Cupiello, Sik Sik l'artefice magico. Le abbiamo chieste con insistenza, rischiando di diventare perfino noiosi, ma la risposta è sempre stata negativa. Francamente, non ne capisco la ragione. Noi siamo convinti che potremmo farle molto bene. Non a caso, artisticamente parlando, siamo nati alla scuola di Eduardo De Filippo»
Carlo Giuffrè, classe 1928, è il più giovane dei due fratelli. Gli spettatori televisivi lo hanno appena visto nello sceneggiato L'ombra del Vesuvio, dove faceva la parte di un capo della camorra. E’ lui che mi racconta la storia della sua famiglia e del suo sodalizio artistico con Aldo: una storia che è un "romanzo" a volte tragico, a volte felice, ma sempre teso sul filo di un’avventura umana in cui vita e teatro si legano in un nodo indissolubile.
«Sono nato in una famiglia unita e felice», comincia Carlo Giuffrè. «Mio padre, Vincenzo, era un musicista. Suonava il contrabbasso nell'orchestra del Teatro San Carlo. Mia madre. Maria, era pugliese di orìgine e apparteneva a una famiglia nobile decaduta. Il mio nonno materno, infatti, aveva il titolo di barone. Eravamo quattro figli, due femmine, io, e il primogenito Aldo, nato nel 1924. Naturalmente, dato lo stipendio piuttosto modesto che percepiva mio padre, in casa non c’era moho da scialare. Noi, però, eravamo contenti lo stesso perché mia madre conosceva a meraviglia l’arte di far bastare i pochi soldi che le toccava amministrare. Insomma, pur nelle ristrettezze economiche, tiravamo avanti con quella dignità e quel decoro che erano tipici di certa borghesia napoletana di una volta»
«E poi? Che successe di questa famiglia felice?»
«Fu annientata da un evento tragico: la morte di mio padre. Era il 1936. Mio padre ci lasciò che aveva appena 47 anni. E mia madre si trovò all'improvviso senza un soldo, senza mezzi di sostentamento, senza uno straccio di pensione, perché allora le cose non erano come adesso. Che fare? Mia madre non aveva un mestiere, non s era mai occupata d'altro che del marito e dei figli. Tuttavia si fece coraggio, prese in pugno la situazione, riuscì a trovare lavoro come guardarobiera al Grand Hotel così salvò la famiglia. Ma era la miseria. E c’erano troppe bocche da sfamare. A malincuore, mi mise in un collegio che accoglieva i figli dei poveri»
«Ci sei rimasto molto?»
«Fino all’età di 14 anni. Una tristezza. Una sofferenza che non ti dico. Tagliato fuori dalla famiglia, mi sentivo sperduto. Ma ritornarci era una pena, specie quando scoppiò la guerra e le condizioni di vita a Napoli divennero terribili. Allora non lasciai il collegio nemmeno per le feste di Natale, perché soffrivo troppo nel vedere la fatica con cui mia madre cercava di farci trovare un pasto decente»
«Come è nata in te la passione per il teatro?»
«In collegio, per distrarci, organizzavano ogni tanto delle recite. lo vi partecipai. Costruivamo il palcoscenico riunendo insieme i comodini delle nostre stanze. Fu durante una di queste recite che nacque in me la passione per il teatro. Avevo 12 anni. Ricordo che volli dare subito a mia madre la grande notizia. Le scrissi: "Ho scoperto quello che voglio fare nella vita: farò l’attore". Non sapevo, allora, che anche mio fratello Aldo aveva avuto la stessa "illuminazione", ma in un ambiente diverso. Lui il teatro lo aveva scoperto recitando in una sala parrocchiale del nostro rione»
«Che successe poi?»
«Aldo prese il diploma di ragioniere, si trovò un impiego, cominciò per prima cosa a dare un aiuto concreto alla famiglia. Io, che intanto ero tornato a casa, mi iscrissi al liceo. Ma chi aveva voglia di studiare per una professione che sapevo che non avrei mai fatto? Mi guardavo sempre attorno pensando al teatro. Aldo faceva la stessa cosa. Ed ecco che un giorno gli capita il colpo di fortuna: lo scrittura nientemeno che Eduardo De Filippo. Intanto io prendo il coraggio a due mani e dico a mia madre: "Che ci sto a fare in questa Napoli che è uscita tutta disastrata dalla guerra? Vado a Roma a frequentare l'Accademia d’arte drammatica". Cera un concorso da fare e da vincere. Riuscii secondo, dopo Gianrico Tedeschi. Così mi trasferii nella capitale con una borsa di studio. Mi davano trentamila lire al mese. Buona parte di questi soldi li mandavo a mia madre»
«Così hai fatto i tre anni dell'Accademia?»
«No. Quei corsi non li ho finiti. Sono venuto via prima, affascinato da Eduardo De Filippo il quale, dopo avermi dato un’occhiata un giorno che ero andato a trovare mio fratello, scritturò sui due piedi anche me. Con Eduardo, allora, si faceva il vero teatro. Di sera si recitava una commedia, di pomeriggio se ne provava un’altra. Noi stavamo, appunto. provando La paura numero uno quando si ammalò un anziano attore che recitava la sera in Le voci di dentro. Eduardo non stette lì a pensarci. Mi chiamò, mi ordinò di sostituirlo. Avevo vent’anni, ma mi toccò ubbidire, perché gli ordini di Eduardo non si potevano discutere. Così andai in scena, trasformato col trucco in un vecchio quasi cadente che doveva pronunciare, con una vocina flebile, la malinconica battuta: "Ai miei tempi!". Ecco: la mia carriera è cominciata cosi»
«Quanti anni sei rimasto con Eduardo?»
«Due soltanto. Ma sono stati anni fondamentali per la mia formazione di attore, come del resto lo sono stati i quattro che Aldo è rimasto con questo grande maestro della scena. In seguito, Aldo e io abbiamo seguito vie diverse. Lui ha recitato, tra l’altro, con grandi registi come Luchino Visconti e Giorgio Strehler. Io, invece, a un certo punto sono entrato nella famosa Compagnia dei Giovani, dove sono rimasto ben otto anni, imparando tutto quello che c’era da imparare da uomini come Romolo Valli e Giorgio De Lullo, che sono stati i miei successivi maestri»
«Perché poi ti sei riunito con Aldo, facendo "ditta" con lui?»
«Adesso te lo dico, ma prima devo fare una premessa. Mentre portavo avanti la mia camera di attore teatrale, il cinema mi aveva dato più di un’occasione per farmi conoscere. Tra l'altro, nel 1969, il regista Mario Moni-celli mi aveva voluto nel film La ragazza con la pistola, di cui era protagonista Monica Vitti. Ebbene, forse proprio sull'onda del successo di questo film Angelo Rizzoli mi fece un’allettante offerta, che però mi avrebbe costretto a lasciare il teatro. La cosa mi lasciò perplesso. Pensa e ripensa, decisi di rifiutarla, anche se Giorgio De Lullo, col quale mi consigliai, mi aveva invece suggerito di accettarla. Ma come chiudere il discorso senza un ragionevolte motivo? Lì per lì mi venne un’idea: sparai, per l'ingaggio, una cifra astronomica»
«E allora?»
«Angelo Rizzoli ci rimase di sasso. Disse a Monicelli: "Ma chi è questo giovane pazzo?". Però, prima di chiudere la partita, mi volle conoscere. Così ci incontrammo a Milano, andammo a colazione insieme, parlammo. E sai quale fu il risultato? Rizzoli mi diede la cifra richiesta; io firmai il contratto e passai armi e bagagli al cinema. Era il 1970. Sugli schermi cinematografici facevano il pieno i film comico-erotici. Ne girai non so quanti, uno dopo l’altro, fino ad averne la nausea. Poi veramente non ne potei più. Allora, senza badare alla fortuna che buttavo via, presi il telefono e chiamai Aldo. Gli dissi, a bruciapelo: "Dobbiamo fare compagnia insieme". Ecco: il nostro sodalizio, la "ditta" teatrale "Fratelli Giuffrè", è nata così»
«E dove debuttaste?»
«Debuttammo a Milano, al Teatro Nuovo, dopo alcune recite preparatone in provincia», risponde Carlo Giuffrè. «E la cosa curiosa è che la prima commedia che mettemmo in scena con il nostro marchio di famiglia era una novità assoluta di un giovane allora pressoché sconosciuto: Maurizio Costanzo. Questa commedia si intitolava Un coperto in più ed era stato Aldo a scoprirla. Ricordo che mi disse: "Questo ragazzo, questo Costanzo, ha tanta voglia di teatro. Perché non cominciamo proprio con lui, dandogli l’opportunità di cimentarsi col pubblico?» L'idea mi piacque e la condivisi senza riserve»
«Non trovaste difficoltà a piazzare la commedia di un autore sconosciuto?», domando a Carlo Giuffrè.
«Erano altri tempL La nostra scelta, infatti, fu allora avallata da quel grande impresario che era Remigio Paone, il quale non a caso ci mise a disposizione il suo teatro. Figurati la sua gioia quando la commedia si rivelò un grande successo. Insomma, non potevamo avere, per la nostra avventura, un inizio più felice. Il resto fu come una favola. Dopo avere conquistato Milano, conquistammo Roma, Napoli, e tante piccole città di provincia»
«Quanto tempo durò questo clima da favola?»
«Due anni. Quando finirono le repliche della commedia di Costanzo, ci si impose in modo drammatico il problema del repertorio. Per nascita, per vocazione, per scelta culturale noi sentimmo di essere legati alla grande tradizione teatrale di Napoli. Quello della commedia di Costanzo era stato un caso unico e irripetibile. Ma dove trovare i copioni da mettere in scena? Eduardo, a cui subito ci rivolgemmo, ci negò le sue opere. "Devo lasciarle a mio figlio Luca", fu la sua risposta. E allora? Per il momento, parlo del 1974, ci salvammo recuperando due farse di Antonio Petito, il famoso Pulcinella che incontrò una tragica morte sul palcoscenico. Fu come una seconda nascita. E’ grazie a Petito, infatti, che Aldo e io ci siamo rivelati quali genuini interpreti del repertorio napoletano»
UN TERNO SECCO
«Quanti spettacoli avete fatto insieme tu e Aldo?»
«Sei, a partire dal 1972. Oltre a quelle di Costanzo e Petito, abbiamo messo in scena opere di Armando Curdo e del settecentesco Pietro Trincherà. Così, salvo due interruzioni dettate da motivi diversi, abbiamo tenuto in vita la "ditta" fino ad oggi. E quante cose sono successe nel frattempo! Nella primavera del 1979, mentre recitavamo a Roma, Aldo improvvisamente perse la voce. Lo sostenni dicendo io le sue battute. Poi, quando chiudemmo la stagione, lo costrinsi a farsi ricoverare in una clinica milanese, dove gli venne diagnosticato un cancro a una corda vocale. Aldo fu operato in giugno. Il chirurgo disse che se avesse tardato solo di dieci giorni non sarebbe sopravvissuto»
«E poi?»
«Aldo, in quella drammatica circostanza, dimostrò di possedere una forza straordinaria. Appena dimésso dall'ospedale, in agosto, girò un film con me. Non aveva un filo di voce. Ma nel cinema, si sa, si possono fare miracoli col doppiaggio. Il problema era il teatro. In settembre dovevamo cominciare le prove della commedia A che servono questi quattrini? di Armando Curcio. L'impresario temeva che non ce la facesse. Voleva sciogliere la compagnia. Io mi feci garante per mio fratello. E lui la spuntò. Anzi quel poco di voce roca che riuscì a recuperare divenne, in un certo senso, una nuova componente della sua arte di attore. Ma le nostre disgrazie private non finirono qui. Nel 1980 morì nostra madre. Poi, nel 1981, la moglie di Aldo, l'attrice Liana Trouché, perse la vita in un tragico incidente d’auto: la macchina, nella quale viaggiava con Gino Bramieri, uscì di strada. Pensa con che cuore mio fratello continuò le recite della commedia Quando l'amore era mortal peccato di Pietro Trincherà. Ma quello dell'attore, a volte, è anche un mestiere crudele: qualunque cosa ti capita, non ti puoi fermare»
«Tu e Aldo avete dei figli?»
«Aldo ha una femmina, Jessica, che adesso ha 25 anni. Io ho due maschi, Francesco e Vincenzo, che hanno rispettivamente 15 e 13 anni. Li ho avuti da mia moglie Lilli, che ho sposato nel 1972 e che è figlia di un famoso "doppiatore", Giulio Panicali. Mio suocero è un uomo stupendo, che porta magnificamente i suoi 85 anni. Un particolare curioso: sia mia moglie che i miei due figli sono nati nel mese di marzo: lei il giorno 2, Vincenzo il 9 e Francesco il 25. Io trovo che la cosa ha un sapore di Cabala. Da buon napoletano ne ho ricavato un temo secco, 2-9-25, che gioco al Lotto, puntualmente, tutte le settimane»
«Avete già dei programmi in vista dello scioglimento del vostro sodalizio?»
«Aldo si concederà un periodo di riposo. Io mi guarderò attorno. Con la fine della nostra "ditta" divento un attore a disposizione. Forse farò compagnia per conto mio, forse accetterò una buona proposta se mi verrà fatta»
«E se ti venisse offerto in un'altra compagnia, di fare una commedia di Eduardo De Filippo, accetteresti?»
«L’accetterei come il "terno secco" della mia vita», risponde Carlo Giuffrè. «Io, nonostante tutto, per Eduardo nutro una grande, sincera venerazione. Non dimenticherò mai quello che lui mi disse nel 1976, quando un giorno ci incontrammo negli studi della televisione, a Roma. Mi disse: "Ho una cosa importante per te". "Che cosa?", domandai. "Filumena Marturano ", rispose. "L'ho promessa a Valeria Moriconi e tu sei l'unico che può fare, accanto a lei, il personaggio di Domenico Soriano". Purtroppo, l’operazione voluta da Eduardo allora non andò in porto. E adesso, come attore mi sento orfano: intendo dire orfano dei personaggi di Eduardo che continuano con insistenza a popolare e a ossessionare la mia fantasia»
Giuseppe Grieco, «Gente», anno XXXI, n.17, 1 maggio 1987
Il 15 febbraio prossimo cadono i cento anni dalla nascita di Totò, e Aldo Giuffrè, suo compagno di campanile e di avventure (sono almeno una decina i film girati insieme), è pronto a commemorarlo. Intanto è in scena in questi giorni al Teatro Ghione, dove rimarrà fino all'11 di questo mese, un applaudito allestimento de «Il medico dei pazzi» di Scarpetta, di cui Giuffrè fu interprete assieme al grande comico anche al cinema. Oggi è lui a vestire i panni dello zio in visita al nipote che gli ha spillato denaro per anni, raccontandogli di essersi laureato in Medicina e di aver aperto una clinica psichiatrica, e cerca di convincerlo che quest'ultima sia la pensione di Napoli in cui risiede.
Oltre a recitare, qui Aldo Giuffrè ha curato un adattamento del testo: «Anche Scarpetta è un’attrazione di passaggio, nel grande viaggio del teatro che parte dalla Commedia dell’Arte. Ha dunque bisogno di essere oliato, aggiornato, senza per questo ricorrere a jeans, minigonne o altre forzature», spiega. «All'idea principale, quella della pazzia, sono comunque rimasto fedele. Sulla follia non si può scherzare, ma giocare sì. E attraverso l’ironia un po’ trapela, in fondo, anche il dolore. L’assunto vuole che i pazzi veri siano quelli più insospettabili. quelli che non sono qualificati come tali. Su questo inciampa la credulità del protagonista, quel Felice Sciosciammocca nato per ridere della borghesia (laddove i lazzi di Pulcinella erano indirizzati al popolo)».
In questo momento il sipario del Ghione consiste in un’immensa fotografia di Aldo Giuffrè e Totò insieme tratta dal film «Il medico dei pazzi», e dalla medesima fonte provengono le voci registrate che introducono la commedia, commentata da musiche di Strauss. Il giorno del centenario, quando la pièce raggiungerà Napoli, il foyer del Politeama sarà occupato da una mostra curata da Orio Caldiron, che raggiungerà Roma nel corso della prossima stagione (quando Aldo Giuffrè proporrà al pubblico una nuova edizione di «Miseria e nobiltà»).
«Allestita dal nostro scenografo Toni Stefanucci. l’esposizione sarà ricca di carte. Immagini, oggetti personali e costumi. Dal baule di scena di Totò con i tight, le bombette e le scarpe sformate, fino alla dichiarazione del suo cardiologo che imponeva gli orari di lavoro da rispettare sul set: non prima delle 14, mai oltre le 20», racconta Giuffrè, che così riassume la grande lezione del comico scomparso: «I miei tre maestri sono stati Eduardo, che mi ha insegnato il mestiere. Strehler, dal cui ho appreso il rigore e Baseggio, dal quale ho imparato la semplicità con cui va usato il mezzo. Totò aveva in sé il germe di tutte queste indicazioni e ne era un esempio straordinario».
Direttore artistico dell’Ente Antonio De Curtis, Giuffrè dice ancora: «Totò non è mai morto, anche il suo cinema non si può definire davvero cinema; se cosi fosse ce ne restituirebbe un’ombra, invece qualcosa nel suo genio continua a vivere e rinnovarsi. Sono persino contrario a che gli si eriga un monumento, come ai caduti: Totò invece è sempre fra noi».
Margherita d’Amico, «Corriere della Sera», 6 gennaio 1998
La radio
Entrò in radio non ancora ventenne, quando fu assunto presso la sede di Napoli come annunciatore. Passato alla Rai di Roma, dai microfoni di via Asiago annunciò, il 25 aprile 1945, la fine della guerra.
Non dimenticò mai, tuttavia, la radio, ai cui microfoni interpretò radiodrammi e testi teatrali, da La fidanzata del bersagliere (1960) a O di uno o di nessuno di Pirandello (1965), da Il compleanno di Pinter (1965) a Improvvisamente una notte di Paso (1967), da I corvi del signor Walsh di Sheimer a Il malato immaginario di Molière, passando per trasmissioni di intrattenimento come Gran varietà, Voi ed io (1970) e Ciao domenica (1974).
Il teatro
Tornato a Napoli, recitò dal 1947 al 1950 nuovamente nella compagnia di Eduardo De Filippo (Filumena Marturano, Questi fantasmi!, Le bugie con le gambe lunghe, Le voci di dentro, La grande magia, La paura numero uno) con la quale rimase fino al 1952, abbandonandola di tanto in tanto per interpretare, nonostante il suo passato artistico "dialettale", i grandi classici del palcoscenico come Čechov e Goldoni, nelle elaborazioni di Luchino Visconti e Anna Magnani.
Affrontò ancora il teatro in lingua nel 1950, debuttando a Roma con Andreina Pagnani in Chéri di Colette. Dopo aver lavorato con Luchino Visconti a Roma e Puecher a Napoli, si trasferì al Piccolo Teatro di Milano, offrendo una memorabile interpretazione in Le notti dell'ira (1956, per la regia di Strehler).
Nella stagione teatrale 1972-1973 iniziò a recitare insieme col fratello Carlo (nella commedia Un coperto di più di Maurizio Costanzo), con il quale formò poi una compagnia durata circa dieci anni.
Il cinema
L'approdo al cinema avvenne nel 1947, mentre ancora lavorava con Eduardo De Filippo. Esordì nel film drammatico Assunta Spina di Mario Mattoli, con Anna Magnani dimostrando di essere in grado di cimentarsi anche con un genere così intenso.
Recitò in altri vari film tra cui Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica (1963) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone, passando per innumerevoli film con Totò fino alle commedie degli anni settanta. La sua ultima apparizione cinematografica fu in La repubblica di San Gennaro di Massimo Costa (2003).
Nel corso della sua lunga carriera, circa sessant'anni, Aldo Giuffré ha ricevuto numerosi premi in campo teatrale, cinematografico e televisivo, tra i quali per due volte il Premio Simpatia (1974 e 1984) in Campidoglio e il David di Donatello per il film Mi manda Picone di Nanni Loy.
La televisione
Dal 1960 si dedicò soprattutto alla televisione: inaugurò nel 1961 le trasmissioni del secondo canale con La trincea di Dessì e continuò prendendo parte a numerose commedie e conducendo alcune trasmissioni di varietà grazie alle sue doti di attore che si rivelarono al pubblico del piccolo schermo nelle numerose apparizioni in spettacoli di prosa. Partecipò anche ad originali e sceneggiati televisivi, tra cui La figlia del capitano (1965), nel ruolo del tenente Svabrin, e gli episodi della serie Le avventure di Laura Storm. Nel 1973 condusse il varietà Senza rete (programma televisivo).
Filmografia
Cinema
Assunta Spina, regia di Mario Mattoli (1948)
L'imperatore di Capri, regia di Luigi Comencini (1949)
I cadetti di Guascogna, regia di Mario Mattoli (1950)
Vita da cani, regia di Steno e Monicelli (1950)
Napoli milionaria, regia di Eduardo De Filippo (1950)
Tototarzan, regia di Mario Mattoli (1950)
Totò sceicco, regia di Mario Mattoli (1950)
Filumena Marturano, regia di Eduardo De Filippo (1951)
Totò terzo uomo, regia di Mario Mattoli (1951)
Il padrone del vapore, regia di Mario Mattoli (1951)
Guardie e ladri, regia di Steno e Monicelli (1951)
La macchina ammazzacattivi, regia di Roberto Rossellini (1952)
Cinque poveri in automobile, regia di Mario Mattoli (1952)
La figlia del diavolo, regia di Primo Zeglio (1952)
Un turco napoletano, regia di Mario Mattoli (1953)
Capitan Fantasma, regia di Primo Zeglio (1953)
Ti ho sempre amato!, regia di Mario Costa (1953)
Villa Borghese, regia di Gianni Franciolini (1953)
Carosello napoletano, regia di Ettore Giannini (1954)
Il medico dei pazzi, regia di Mario Mattoli (1954)
Le signorine dello 04, regia di Gianni Franciolini (1955)
Totò all'inferno, regia di Camillo Mastrocinque (1955)
Racconti romani, regia di Gianni Franciolini (1955)
Peccato di castità, regia di Gianni Franciolini (1956)
I giorni più belli, regia di Mario Mattoli (1956)
Malafemmena, regia di Armando Fizzarotti (1957)
Rascel marine, regia di Guido Leoni (1958)
Lui, lei e il nonno, regia di Anton Giulio Majano (1959)
I magliari, regia di Francesco Rosi (1959)
Juke box - Urli d'amore, regia di Mauro Morassi (1959)
I piaceri del sabato notte, regia di Daniele D'Anza (1960)
Il carabiniere a cavallo, regia di Carlo Lizzani (1961)
Il re di Poggioreale, regia di Duilio Coletti (1961)
I due nemici, regia di Guy Hamilton (1962)
Il segugio, regia di Bernard Roland (1962)
I due della legione, regia di Lucio Fulci (1962)
Le quattro giornate di Napoli, regia di Nanni Loy (1962)
I cuori infranti, episodio La manina di Fatma, regia di Vittorio Caprioli (1963)
Il giorno più corto, non accreditato, regia di Sergio Corbucci (1963)
Adelina, episodio di Ieri, oggi, domani, regia di Vittorio De Sica (1963)
Ercole, Sansone e Maciste, regia di Pietro Francisci (1963)
Totò contro il pirata nero, regia di Fernando Cerchio (1964)
I marziani hanno 12 mani, regia di Castellano e Pipolo (1964)
Due mafiosi nel Far West, regia di Giorgio Simonelli (1964)
L'idea fissa, episodio L'ultima carta, regia di Gianni Puccini (1964)
Letti sbagliati, episodio Il complicato, regia di Steno (1965)
Gli amanti latini, episodio Il telefono consolatore, regia di Mario Costa (1965)
Usi e costumi, episodio di Made in Italy, regia di Nanni Loy (1965)
Spiaggia libera, regia di Marino Girolami (1965)
La fabbrica dei soldi, regia di Jean-Claude Roy, Juan Estelrich e Riccardo Pazzaglia (1965)
Le sedicenni, regia di Luigi Petrini (1965)
Il buono, il brutto, il cattivo, regia di Sergio Leone (1966)
I diamanti che nessuno voleva rubare, regia di Gino Mangini (1967)
Questi fantasmi, regia di Renato Castellani (1967)
La più bella coppia del mondo, regia di Camillo Mastrocinque (1968)
Certo, certissimo... anzi probabile, regia di Marcello Fondato (1969)
Scacco alla regina, regia di Pasquale Festa Campanile (1969)
Con quale amore, con quanto amore, regia di Pasquale Festa Campanile (1970)
Cerca di capirmi, regia di Mariano Laurenti (1970)
Quando le donne avevano la coda, regia di Pasquale Festa Campanile (1970)
Quando gli uomini armarono la clava e... con le donne fecero din don, regia di Bruno Corbucci (1971)
La strana legge del dott. Menga, regia di Fernando Merino (1971)
Ettore lo fusto, regia di Enzo G. Castellari (1972)
La violenza: quinto potere, regia di Florestano Vancini (1972)
Furto di sera bel colpo si spera, regia di Mariano Laurenti (1973)
Gli eroi, regia di Duccio Tessari (1973)
Il tuo piacere è il mio, regia di Claudio Racca (1973)
Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, regia di Luca Davan (1973)
Pasqualino Cammarata... capitano di fregata, regia di Mario Amendola (1974)
Il testimone deve tacere, regia di Giuseppe Rosati (1974)
Sesso in testa, regia di Sergio Ammirata (1974)
Prostituzione, regia di Rino Di Silvestro (1974)
Colpo in canna, regia di Fernando Di Leo (1974)
Gente di rispetto, regia di Luigi Zampa (1975)
La signorina X, episodio di Chi dice donna dice donna, regia di Tonino Cervi (1976)
L'adolescente, regia di Alfonso Brescia (1976)
La prima notte di nozze, regia di Corrado Prisco (1976)
Oh, Serafina!, regia di Alberto Lattuada (1976)
Tre sotto il lenzuolo, regia di Michele Massimo Tarantini (1979)
Ciao marziano, regia di Pier Francesco Pingitore (1980)
Zappatore, regia di Alfonso Brescia (1980)
Carcerato, regia di Alfonso Brescia (1981)
Per favore, occupati di Amelia, regia di Flavio Mogherini (1982)
Mi manda Picone, regia di Nanni Loy (1984)
L'ultima scena, regia di Nino Russo (1988)
Mortacci, regia di Sergio Citti (1989)
Scugnizzi, regia di Nanni Loy (1989)
Rosa Funzeca, regia di Aurelio Grimaldi (2002)
La repubblica di San Gennaro, regia di Massimo Costa (2003)
Televisione
Madre allegria, regia di Anton Giulio Majano, trasmessa il 24 dicembre 1954.
I masnadieri di Friedrich Schiller, regia di Anton Giulio Majano, trasmessa il 2 ottobre 1959.
Tre poveri in campagna, regia di Peppino De Filippo, trasmessa il 25 settembre 1960.
Macbeth di William Shakespeare, regia di Alessandro Brissoni, trasmessa il 4 novembre 1960.
Tenente Sheridan (2 episodi, 1959-1960)
Racconti dell'Italia di ieri - Terno secco (1961) Film Tv
La trincea (1961) Film Tv, regia di Vittorio Cottafavi
Racconti dell'Italia di oggi - Una lapide in Via Mazzini (1962) Film Tv
Operazione Vega (1962) Film Tv
Scherzoso ma non troppo (1964) Film Tv
Antonello capobrigante calabrese (1964) Film Tv
La maschera e il volto (1964) Film Tv
La potenza delle tenebre (1965) Film Tv
La figlia del capitano (1965) Serie Tv
La sera del sabato (1966) Film Tv
Le avventure di Laura Storm (7 episodi, 1965-1966)
L'idolo delle scene (1967) Film Tv
Il mestiere di vincere (1968) Miniserie Tv
Nero Wolfe (1 episodio, 1969)
Quel negozio di Piazza Navona (1969) Miniserie Tv
Aeroporto internazionale (1 episodio, 1985)
Il morso del serpente, regia di Luigi Parisi - film TV (1999)
Suherio (2004) Film Tv
L'inferno della Poesia Napoletana - Versi proibiti, ma tanto graditi[1]
Doppiaggio
Renato Baldini in Il mulatto, Gli scontenti
Armando Francioli in Cani e gatti
Vincenzo Musolino in Due soldi di speranza
Antonio Cifariello in Pane, amore e…
Armando Curcio in Suor Maria
Giacomo Furia in Suonno d'ammore
Renato Carosone in Maruzzella
Fausto Cigliano in Classe di ferro
Sergio Bruni in Serenata a Maria
Walter Santesso in El Alamein
Franco Fabrizi in Adorabili e bugiarde
José Juarez in La sfida
Lex Barker in La scimitarra del saraceno
Aldo Bufi Landi in Il mattatore
Serge Reggiani in Tutti a casa
Jack Palance in Il giudizio universale
Philippe Leroy in Leoni al sole
Vittorio Caprioli in A porte chiuse
Francisco Rabal in I tromboni di frà Diavolo
Rod Steiger in Le mani sulla città
Herbert Lom in La capanna dello zio Tom
Joachim Fuchsberger in Io la conoscevo bene
Jean Marais in Fantomas contro Scotland Yard (solo nel ruolo di Fantomas)
Livio Lorenzon in Io non protesto, io amo
Robert Webber in Qualcuno ha tradito
Vittorio De Sica in Colpo grosso alla napoletana
Charles Bronson in I cannoni di San Sebastian
Frank Wolff in L'amore breve
Mario Adorf in Gli specialisti
Fabio Testi in Il carabiniere
Doppiatori
Pino Locchi in Capitan Fantasma, Il buono, il brutto, il cattivo, Ercole sfida Sansone
Giuseppe Rinaldi in Due mafiosi nel Far West
Note
^ CD - L'inferno della poesia Napoletana - Aldo Giuffrè (ristampa-mag-2006) :: CD - COMICI :: MusicaNapoletana.com
Riferimenti e bibliografie:
- Gabriella Panizza, «Gazzetta di Mantova», 23 maggio 1963
- Giuseppe Grieco, «Gente», anno XXXI, n.17, 1 maggio 1987