Dov'è la libertà?
Salvatore Lo Jacono
- Scheda del film
- Soggetto, Critica & Curiosità
- L'intervento della censura - I documenti
- Galleria fotografica
- Le location del film, ieri e oggi
- Locandine
Scheda del film
Titolo originale Dov'è la libertà?
Paese Italia - Anno 1952 - Durata 95 min - B/N - Audio sonoro - Genere satirico - Regia Roberto Rossellini - Soggetto Roberto Rossellini - Sceneggiatura Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli, Vincenzo Talarico - Produttore Carlo Ponti e Dino De Laurentiis - Fotografia Aldo Tonti, Tonino Delli Colli - Montaggio Jolanda Benventuti - Musiche Renzo Rossellini - Scenografia Flavio Mogherini
Totò: Salvatore Lo Jacono - Vera Molnar: Agnesina - Nyta Dover: la maratoneta di danza - Franca Faldini: Maria - Leopoldo Trieste: Abramo Piperno - Antonio Nicotra: maresciallo - Salvo Libassi: un altro maresciallo - Giancarlo Zarfati: bambino nel vicolo - Giacomo Rondinella: un carcerato - Ugo D'Alessio: un giudice - Mario Castellani: pubblico ministero - Vincenzo Talarico: avvocato difensore - Fernando Milani: Otello Torquati - Eugenio Orlandi: Romolo Torquati - Giacomo Gabrielli: Torquato Torquati - Andrea Compagnoni: Nandino, il cognato - Augusta Mancini: la signora Teresa - Ines Fiorentini: la sora Amalia - Thea Zubin: Dea, la cameriera - Fortunato Misiano: un pensionato - Pasquale Misiano : un pensionato - Nino Misiano: un pensionato - Pietro Carloni - Armando Annuale - Andrea De Pino - Maria Bon Roseto - Ines Targas - Fred e Aronne
Soggetto, Critica & Curiosità
Soggetto
Nel periodo poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Salvatore Lojacono (Totò), un modesto barbiere, esce di galera dopo aver scontato una lunga pena per aver ucciso un suo amico che insidiava sua moglie. Purtroppo l'uomo non sa dove andare ma, dopo qualche vicissitudine e contro ogni sua aspettativa, viene accolto dai parenti della moglie, ormai defunta. Salvatore pian piano viene a scoprire che la famiglia che lo ha accolto si è arricchita con i soldi rubati agli ebrei deportati nei lager dai nazisti, che la sua defunta moglie e chi la insidiava non erano altro che amanti, e che la ragazza che gli avevano presentato, a servizio della famiglia, è incinta di un altro. Amareggiato e deluso dalla vita, pianificherà il suo ritorno in prigione.
Critica e curiosità
Le riprese del film iniziano il 10 marzo, in piazza Augusto Imperatore, dove Ennio Flaiano riscrive precipitosamente le scene abbozzate da Rossellini sul rovescio di una busta. Antonio de Curtis è felice di girare con un regista come Rossellini; spera in un cambio di rotta dei recensori, e confida apertamente in uno sbocco commerciale in Nord America. Col suo metodo istintivo e confusionario, il regista di Roma città aperta sta stravolgendo il soggetto di partenza, in cui l’ex barbiere Lojacono (Totò), in prigione per omicidio, passava anni per mettere a punto un’evasione vanificata da un condono imprevisto; ha deciso di concentrarsi solo sulla seconda parte, nella quale Totò, scontato il suo debito con la giustizia, trova fuori un’umanità egoista e decide di tornare dietro le sbarre: un capovolgimento totale, geniale, di Guardie e ladri.
Si tratta di uno dei film più travagliati di Totò, poiché, dopo aver girato alcune scene, Rossellini si disinteressò della pellicola.
Alla prima bozza della sceneggiatura collaborarono Antonio Pietrangeli, Vincenzo Talarico, Vitaliano Brancati ed Ennio Flaiano. Rossellini tenne di poco conto quanto scritto e decise quasi tutto al momento, di getto, quasi improvvisando. Addirittura Ennio Flaiano ricevette l'incarico della collaborazione al film il primo giorno delle riprese: sarà così fino al termine della lavorazione, Flaiano lavorerà in "presa diretta" su set abbozzando i dialoghi quasi in diretta. In questo modo la struttura orginale della sceneggiatura cambiò sensibilmente e così facendo Rossellini rese il lavoro difficile a tutti.
In base ad una testimonianza di Aldo Tonti l'opera fu completata, a partire dalle scene del Tribunale, dopo circa un anno principalmente da Mario Monicelli (cosa smentita dal regista a Sebastiano Mondadori). Probabilmente Tonti confuse il giovane Monicelli con l'altrettanto giovane e promettente Federico Fellini, circostanza da lui confermata. Nonostante questo, Rossellini risulta essere l'unico regista accreditato del film. Al regista reduce dal disastroso Macchina ammazzacattivi viene dato dalla Ponti - De Laurentis questa seconda possibilità ma visti gli esiti Ponti decide di non voler più lavorare con lui. Il film uscì due anni dopo, nel marzo del 1954.
Nei doppiaggi, si distingue la voce di Alberto Sordi che doppia Andrea Compagnoni e Nino Manfredi uno dei ballerini della maratona. Da segnalare la partecipazione dei fratelli Fortunato, Pasquale e Nino Misiano, nel film i cinici componenti la famiglia Torquati, nella vita produttori cinematografici. Presente anche la giovanissima Franca Faldini, reduce dalle ribalte Hollywoodiane.
All'atto della distribuzione del film Mario Piperno, un superstite del campo di concentramento di Auschwitz, chiede al questore di Roma il sequestro della pellicola poiché si sente diffamato dalla figura dell'ebreo Abramo Piperno (Leopoldo Trieste).
Così la stampa dell'epoca
«Questo film è il frutto di una insolita collaborazione: protagonista ne è infatti Totò e regista Roberto Rossellini. Da questo binomio era lecito aspettarsi o tutto o nulla: la scintilla della reciproca comprensione tra autore e interprete poteva scoccare o non scoccare, istantaneamente determinando la riuscita o meno del film. Invece, cosa strana, il film non è nè bello nè brutto: la storia si svolge dignitosamente e lentamente, tranquilla e inutile, senza infamia e senza lode. E se non fosse per qualche sequenza molto originale e qualche smorfia di umana espressività, non ci si renderebbe neanche conto di essere dinanzi a un grande regista e a un grande comico. [...] Tutto è raccontato in modo piuttosto disuguale. Alcuni episodi veramente ben riusciti, come l'incontro del protagonista con una passeggiatrice e «l'evasione all'incontrario» che egli organizza per rientrare clandestinamente in carcere, si impongono per una bellezza di immagini degna veramente di miglior causa. Ma queste pagine felici sono poi tenute assieme da un tessuto connettivo alquanto opaco, in mezzo al quale il microscopio della buona volontà non riesce a individuare che cellule dal contorni confusi. Cosi la profonda tristezza della vicenda non arriva ad esprimersi in modo abbastanza compiuto da persuadere e commuovere, malgrado la buona volontà di Totò che, per presentare una maschera autenticamente tragica, rinuncia qui al solito repertorio dei suol ben noti lazzi, e di un gruppo di attori (la brava Nyta Dover, Vera Molnar. Franca Faldini, Leopoldo Trieste e Giacomo Rondinella) i cui personaggi raramente assumono una concreta evidenza umana. Bella la fotografia.»
Vice, «Il Messaggero», 27 marzo 1954
«[...] Totò, che impersona la figura di un barbiere il quale ha ucciso la moglie per difenderne l’onore, spiega al giudici, che vogliono condannarlo per aver tentato d’occupare un luogo pubblico (il carcere), che a questa decisione è pervenuto dopo aver scoperto le brutture d’un mondo che egli credeva pieno di gioie. Roberto Rossellini ha raccontato questa storia con toccante umanità, creando un personaggio cosi vivo e nuovo da aderire perfettamente alla vasta gamma di cui Totò dispone. Il film ha qualche lacuna e qualche lentezza, ma si fa vedere con piacere e con interesse per l’originalità della vicenda, il gusto con cui è narrato e per la buona interpretazione del protagonista.»
«Il Popolo», 27 marzo 1954
«Nell'opera di Rossellini il tema degli uomini privi di cristiana carità è certo tra i più fondamentali. Di solito però egli poeticamente se ne vale per giungere a conclusioni implicitamente o esplicitamente positive attraverso un drammatico procedere di argomentazione polemiche. Nel film di oggi, invece, il tema è sentito in tono minore, con scarsi approfondimenti umani in un clima che, pur mirando all'apologo, non trova mai una sua esatta morale. [...] il pubblico segue l'azione con un certo interesse vuoi per quel clima spesso caricaturale che la domina, vuoi per la presenza di Totò nelle vesti del protagonista: un Totò amarissimo, acido, acre, ancora piuttosto inedito. Al suo fianco Vera Molnar, Nyta Dover, Leopoldo Trieste, Giacomo Rondinella, Franca Faldini e Vincenzo Talarico.»
G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 marzo 1954
«Da qualche tempo Rossellini si pone problemi sempre più generati dell'umanità e del vivere civile. "Dov'è la libertà" si chiede stavolta ed esemplifica con la storia di un detenuto che, dopo aver trascorso 22 anni in carcere, ne esce. [...] Riassunto paradossale inspiegabile ed inspiegato. Tutto il film si svolge traballando, e cade da posizione e situazioni moralistiche a situazione e farsesche senza alcun nesso. I vari tipi sono introdotti nella vicenda casualmente, senza logica narrativa, e non riescono a dir nulla che appaia un po' intelligente, o almeno grottesco, satirico, o qualcos'altro. Nulla. Un film sconcertante, questo di Rossellini: sconcertante proprio per la gravissima sperequazione che vi si avverte fra il nome insigne del regista (e quelli degli sceneggiatori), ed il risultato. E' sconcertante questa vacanza della intelligenza e dell'animo, questa disattenzione ad ogni elemento realistico, questa trasandatezza di linguaggio. In definitiva spiace dolorosamente il disprezzo - è una parola grossa ma chiarisce il nostro pensiero - verso il pubblico e i suoi sentimenti. Il personaggio principale è interpretato da Totò, che riesce a sorreggere qua e là la tenue vicenda con il suo abile gioco mimico.»
l. c., «L'Unità», 27 marzo 1954
«Il proprietario di una nota casa di spedizioni romana, Mario Piperno, ha fatto chiedere lori dal suo avvocato al questore di Roma la sospensione della programmazione del film "Dov’è la libertà", di cui è regista Rosselllni e protagonista Totò. Il Piperno ritiene di aver identificato se stesso e la tristissima vicenda vissuta dalla sua famiglia al tempo dell’occupazione tedesca in uno degli episodi del film.
Nella pellicola. Infatti, è descritta tra l'altro la storia di un tale Abramo Piperno che fu internato dai tedeschi nel campo di concentramento di Auschwitz insieme con la sua famiglia. Sua moglie Ester, suo padre, sua madre e un suo fratello furono uccisi; unico superstite. lui. Perchè mai, al suo ritorno, non rese noto il nome del suoi delatori? Il film, alla fine, lo spiega con la frase: «Anche Abramuccio si era messo d’accordo con i suol aguzzini per non pagare le tasse ». Ora, l'autentico signor Piperno — che non si chiama, come nel film Abramo, ma il cui nome è Mario — ha riconosciuto nell'episodio, come si è detto, la sua vicenda, anche per numerosissime coincidenze: la data della deportazione (ottobre ’43), il luogo della deportazione, il numero del congiunti deportati e la loro qualità di parentela con il Piperno, il nome — Ester — della moglie. l'età del Piperno allorché avvenne il tragico fatto (circa 35 anni) ed ; infine il fatto che fu lui soltanto il superstite. E' assolutamente lesivo — sostiene la parte In causa — affermare, alla conclusione del film, che quel tal Piperno «si era messo d’accordo con i propri aguzzini». Di qui il ricorso diretto a ottenere un provvedimento che valga a porre termine alla programmazione del film, provvedimento che potrebbe preludere al sequestro o comunque alla soppressione delle scene incriminate.»
«Corriere della Sera», 6 aprile 1954
«Anche con "Dov’è la libertà?" come con "Europa ’51", Roberto Rossellini ha voluto fare un film polemico. In tutt’altra chiave, naturalmente, e con diversi mezzi, adatti al suo interprete maggiore, che è Totò, stavolta. In "Europa '51", la protagonista, in segno di protesta contro la società ipocrita e cattiva, si appartava, stanca e nauseata, in una casa di cura per psicopatici; qui, Totò, tornato libero dopo ventidue anni di prigione, la di tutto per rientrarvi; la compagnia del galeotti gli sembra preferibile a quella della gente che ha la fedina penale senza macchia. La libertà è nella segregazione, ossia nella rinuncia ad ogni rapporto con il prossimo.
Solo apparentemente, nel processo imbastito in questo film, (l’imputato è Totò; il vero atto d’accusa à lanciato contro la società, ossia contro noi, voi e Rossellini. Tutti, insieme, siamo colpevoli d’insincerità, d’infingardia, di disonestà; il che, detto così brutalmente, implica una generalizzazione paradossale e denuncia, con le intenzioni, anche il tono del film, che è satirico. Di una satira (riconosca Rossellini, autore del soggetto, come della regia) che sembra sovvertitrice ed è abusata e convenzionale. Se si vuol dimostrare che la gente davvero savia sta in manicomio e la gente davvero per bene sta nel penitenziario, non è una tesi anarchica, è il luogo comune di tutti gli amareggiati, un sarcastico aforisma che si ripete da sempre.[...] Più strano sembra che Rossellini abbia fatto un film cosi sbandato e discontinuo, in bilico fra il dramma e la beffa, e non mai dramma veramente e non mai beffa. Qua e là, qualche buona inquadratura, ben curata dal regista e dall’operatore Tonti; qualche buon momento di Totò e del suoi compagni, specialmente di Nyta Dover, fra le molte donne del film. Ma l’insieme non appartiene al genuino Rossellini; è squallido, mal connesso e non significante. Bisogna appagarsi delle Intenzioni; il regista stavolta, progettava un grottesco, voleva divertirsi. La prossima volta, non ne dubitiamo, si riprometterà di divertire i suoi spettatori.»
lan., (Arturo Lanocita) «Corriere della Sera», 28 aprile 1954
«La libertà è nelle prigioni, sostiene paradossalmente Salvatore Loiacono, protagonista di questo film di Roberto Rossellini. Proprio il giorno prima della presentazione di "Dov'è la liberta", il regista aveva affermato, davanti ai pubblico dei «lunedi letterari», di ritenersi in perpetua ricerca, non pago del cospicui frutti raccolti in passato. Toni farseschi, scorci realistici/motti di spirito, situazioni buffonesche e patetiche: c'è di tutto in "Dov'è la libertà", che ha molti difetti ma non è senza dubbio scevro di originalità. [...] "Dov’è la libertà" si giova di alcune lepide invenzioni, di un paio di situazioni imbroccate e di una controllata interpretazione di Totò, che conferisce alla figura di Salvatore accenti di intelligente comicità. Come film appare però slegato ed incerto; manca soprattutto di «vis comica». Si direbbe che il soggettino è troppo inferiore alle qualità del regista; forse Roberto Rossellini ha voluto concedersi un «divertimento», che a noi appare troppo al disotto delle sue possibilità di regista. E' un po come se Coppi partecipasse per un capriccio a una gara domenicale di «Juniores», Tra l'altro, il problematico, teso difficile Rosselllni che tutti conosciamo, difficilmente potrebbe imbroccare un film dai significati modestamente paradossali come "Dov'è la libertà". Gli difetta la necessaria inclinazione. Non si è ridanciani a comando: le «teste leggere» lo sono in genere contro la loro volontà.»
P. B., «Corriere d'Informazione», 29 aprile 1954
«Chi non noterà nel film di Rossellini gli stessi tipi umani e gli stessi ambienti che ci ha offerto Moravia nei suoi Racconti romani? (...) La forza di Rossellini è nel descrivere la realtà, non nel capovolgerla. E infatti, il suo film è dominato da un contrasto tra la favola della vicenda e la sua esecuzione verista. Per fortuna, però, Rossellini riesce continuamente a far dimenticare la favola. Egli d’istinto si tuffa nella realtà. Come narratore cinematografico egli è nato per ritrarre il vero, il vero che è stato capace di scoprire, di sorprendere. Parlare per apologhi non è affar suo. E in Dov’è la libertà? Roberto Rossellini ci ha dato stupendi quadri dal vero. Parliamo della balera suburbana – dove si fa la maratona di danza; dell’infimo dormitorio dalle pareti lebbrose dove Totò va ad alloggiare dopo uscito di prigione; e di quella famiglia di affaristi e strozzini che vive nell’appartamento carpito a ebrei deportati. Ricordiamo la giovanissima “serva” dall’aria ingenua di cui Totò sembra innamorarsi e che gli rivelerà di essere incinta. In lei, qualsiasi sentimento è assente, e la creatura che porta nel seno le ispira solo queste squallide parole: “Ne ha da scucì de quattrini”, alludendo al padrone che la prese minorenne. Anche qui siamo nella “materia” cara allo scrittore Moravia. Totò è stato attore intelligente, sensibile. Rossellini gli ha ispirato uno dei personaggi più belli della sua carriera. Qui non siamo al macchiettismo spicciolo in cui, troppo di frequente, cade il principe dei comici. In questo personaggio c’è un’anima. E se “fa ridere di meno” è perché commuove e convince di più (...)»
Vice, «L'Europeo» Milano, 9 maggio 1954
«[..] Dov'e' la libertà ? ha subito [..] parecchie traversie. Le denuncia tutte, naturalmente, nelle slegature del racconto, nell'approssimazione di alcuni episodi, nelle disparità di tono. [..] Il film si snoda su questo mezzo tono fra il burlesco e il serioso, ma è sempre verso il primo dei due elementi che si finisce per scivolare, nonostante le consuete acrobazie di Totò ; e quando ciò accade ogni cosa rovina, in un grottesco autentico e involontario [...]»
Fernaldo di Giammateo
«[...] Nel film non esiste né il grottesco satirico, né una farsa libera di sovrastrutture. Di tale impaccio risente lo stesso Totò che, privato dì pretesti validi, sia pure su un piano esteriore, fatica a tenere in piedi il fantoccio protagonista [...] SÌ aggiunga che da un punto di vista sintattico, grammaticale e tecnico, il film, come spesso accade quando Rossellinì «non ne ha voglia» o esce dall'ambito che è suo, sembra l'opera di un principiante, dal quale assai poco ci sia da sperare per l'avvenire [...]»
Giulio Cesare Castello, «Cinema», Milano, 31 maggio 1954
«Dev’essere stato tutt’altro che facile montarlo e non si può nemmeno dire se i volonterosi che hanno provato ci siano riusciti, perché del film non si capisce quasi niente. [...] Del resto, se vi capita tra le mani il fascicoletto pubblicitario distribuito dalla Lux, provate a dargli un’occhiata: troverete che il soggetto era alquanto diverso. Inoltre troverete fotografie di scene che nel film non ci sono: e non ci sono non per un intervento della censura [...] ma proprio perché, fatti i conti, egli non era più capace di ficcarcele dentro. [...] Dov'è la libertà appartiene dunque al periodo dei film di Rossellini che non si capiscono e non si possono montare. Un esempio abbastanza clamoroso fu già quello della Macchina ammazzacattivi. Con quest’altro lo sfacelo dell’artista è completo. [...] La verità è che non si può far del cinema con il dilettantismo e la strafottenza; le intuizioni di un paio di minuti non bastano. Poi occorre un paio d’anni per cercar di mettere assieme il materiale. [...] Anarchia e misticismo [...] si danno la mano [...] confermando la decadenza di colui che fu uno dei più grandi registi del cinema italiano».
Guido Aristarco, «Cinema Nuovo», 15 maggio 1954.
«Resterà sospeso il chiarimento di qualche fatto, non però degli stati d’animo, che maggiormente importano: è probabile che brani previsti si siano omessi nella realizzazione o tolti al montaggio. [...] Ugualmente il film risulta unitario nella sua intonazione grottesca, sorretto dall’audacia stilistica della deformazione. [...] Le fasi deformate in senso espressionistico non esauriscono però il racconto, e anzi la singolarità del film si rivela proprio nel continuo inserimento di dati desunti da una puntuale osservazione della realtà [...]. Tutto il dramma si inscrive sulla maschera di Totò, martoriata e mobilissima [...]. Intensi attimi lirici [...]. Dovè la libertà? è opera originale, non indegna certo del fortissimo artista che l’ha firmata».
Marcello Clemente, «Filmcritica», 1954
Totò si ribella all'Italietta ipocrita: «Dov' è la libertà?» di Rossellini
«Lo storico e unico incontro tra Roberto Rossellini e Totò non fu tra i più felici. Il regista di Roma città aperta spesso era assente dal set, i soldi mancavano e il film venne finito da Monicelli, che girò la scena del tribunale. «Dov' è la libertà?» (1954) è comunque importante ed emblematico per capire gli umori degli anni 50, e per questo è presente nella rassegna domenicale «Capolavori sconosciuti» curata da Paolo Mereghetti. Una cappa plumbea di conformismo è calata sul Paese, la censura è più forte che mai. E Salvatore Lojacono (Totò), che esce di prigione dopo vent' anni (aveva commesso un delitto passionale), si ritrova circondato da ipocriti e farabutti. La conclusione (alla sceneggiatura collaborano Brancati, Flaiano e Pietrangeli) non è una sorpresa, ma è così paradossale e provocatoria che è stata ripresa più di una volta nel nostro cinema.»
Alberto Pezzotta - "Corriere della Sera", p.52, 13 marzo 2005
I documenti
Lavorando con Roberto Rossellini, ho fatto una scoperta; come dire ho riconosciuto in me stesso una verità che, fino a ieri, non mi aspettavo potesse offrirmi il cinematografo. E che cioè nella realtà idealizzata è possibile fare arte vera. Per la prima volta infatti, ve lo ripeto, ho sentito che il peso della mia parte non era tutto sulle mie spalle. Siamo in due, stavolta, ad interpretare il film: Rossellini ed io. Ho dovuto purtroppo ripensare in questi giorni a tutto il mio passato lavoro, quando in certi films poco ci mancava che mi dovessi caricare sulle spalle anche la macchina da presa.
Totò, Una mia breve confessione, “Il Grillo”, n. 1, 28 maggio 1952 (Busta T09, fase. ‘Totò’, Fondo Calendoli, Biblioteca della Fondazione Cineteca di Bologna.)
Rossellini fa scrivere la sceneggiatura del suo film a quattro persone che ci si mettono d'impegno, poi butta la sceneggiatura, va a pesca e comincia il film come gli pare.
Ennio Flaiano
Rossellini, che ogni tanto aveva altro da pensare, telefonava e diceva: 'Chi c'è libero per girare?'. 'Ci sono io'. E così per esempio, la telefonata di Misiano l'ho girata io. Succedevano spesso cose così.
Lucio Fulci
Roberto si era ammalato, mi pare, i produttori mi pregarono di concludere in qualche modo il film. Una sequenza minuscola, solo un paio d'inquadrature: Totò che saltava in testa all'avvocato Talarico e gli mordeva l'orecchio, tutto qua. Ma ioero ugualmente intimidito e a disagio. Come tutti, gli dicevo: 'Senta principe, potremmo fare così, ecco, principe, lei viene avanti...'. E allora Totò mi ha guardato con quei dolcissimi occhi da rondone e mi dice: 'Voi mi potete chiamare Antonio.' Era un'investitura; sia pure per pochi minuti ero diventato il suo regista.
Federico Fellini
Dov’è la libertà? [...] è piuttosto un derivato di Europa ’51, perché è un tentativo di esaminare la stessa situazione. Poi c’era quel personaggio straordinario che è Totò. Il film, come si vede oggi, è molto mutilato, molto alterato, era molto più crudele. Questo tentativo di addolcirlo che hanno fatto i produttori gli toglie peso. Del resto non sono film importanti, sono solo esperimenti.
Roberto Rossellini
Nel film vi sono tre accenni di canzoni di Totò:
Casa mia cantata da Giacomo Rondinella
Uocchie ca' me parlate che Totò canta rivolto a Maria (Franca Faldini)
Me songo 'nnammurato...c'aggi 'a fa che Totò dedica alla giovane Assuntina
In extremis, un attimo prima del ciak mi sussurrò: ‘Leopoldo, mi potreste ripetere che cosa ci ha detto Roberto, la cosa ultima che ha detto a me?’. E mi confidò che in esterni, in mezzo alla gente, con i ragazzini che facevano chiasso e si buttavano addosso, lui perdeva la testa, non si raccapezzava. ‘Ogni volta è una sofferenza, io sto bene in teatro, quando esco per le strade mi suiciderei’. Cercai di recuperare le indicazioni del regista; domandammo un attimo di riflessione prima del ciack e ci scambiammo i consigli, gli accorgimenti. Poi di colpo la folla ammutolì e partimmo. Roberto disse sottovoce alla segretaria: 'Prima buona'. Flaiano, onnicomprensivo, mi disse: 'Siete due mostri'.
Leopoldo Trieste, nelle sue memorie rievocando le riprese al portico d’Ottavia
Al film lavorò la gente più impensata, è stata una lavorazione molto caotica, come d’altronde erano sempre caotiche le lavorazioni con Rossellini. I due si adoravano, non dipendeva da incompatibilità ma da un certo disordine di vita, dalla genialità del regista. E' vero che il film è stato ultimato da più persone, così com’è vero che Rossellini l’ha scritto o riscritto praticamente al momento: ogni tanto si appartava e buttava giù su foglietti quattro cose... Era un modo di lavorare piacevolissimo per chi c’era perché era sempre una sorpresa, però, indubbiamente... Per Totò avrebbe potuto essere una bellissima cosa, poteva dargli un passaporto per il mondo.
Franca Faldini
Il film risulta essere un apologo profondamente sfiduciato, ma carico di un’esasperazione tematica interessante e decisamente controcorrente nel panorama rosa del neorealismo di allora, il suo pessimismo spinge al grottesco e al paradossale anche l’interpretazione di Totò, ma tra regista e attore non c’è scambio, non c’è, si direbbe, abbandono reciproco il film ne risente, non quaglia.
Goffredo Fofi
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Ho il sospetto che in alcune interviste, stufo di essere sottovalutato, Totò dicesse all'intervistatore ciò che riteneva il tipo volesse sentirsi dire, piuttosto che quello che lui pensava davvero. Infatti, fra i suoi film che il Principe sosteneva di prediligere, c'era questo, anche perché diretto da Roberto Rossellini. Peccato che il film sia brutto, noioso, con il nostro che interpreta il solito personaggino patetico (perché lo considerava un passo in avanti rispetto al "burattino" del teatro di rivista... allora era questo che si credeva).
- Amo il cinema didascalico di Rossellini e i suoi film sul “disagio”, ma questa pellicola con Totò la trovo esteticamente brutta, narrativamente sconclusionata e con una tesi di fondo a dir poco semplicistica: ma si può trovare realmente la vera libertà in carcere? Mah... Rossellini non credeva al progetto, la sceneggiatura cambiò spesso di mano, molte battute furono improvvisate sul set e sembra che l’aiuto regista Lucio Fulci e addirittura Fellini abbiano girate diverse scene come quelle del processo. Insomma, una babele, un'occasione gettata al vento.
- Tra i meno diffusi del Principe, questo lavoro, a cui han messo mano diversi registi a parte Rossellini, ha il pregio di mostrare un Totò intenso ed espressivo spogliato dai suoi consueti ruoli comici. Grosso punto debole è la sceneggiatura, che a tratti appare efficace ma in molti punti sembra trascinare a fatica gli eventi della storia fino alla conclusione, che nella sua tragicomicità riporta il registro dalle parti della commedia. Il Principe cerca di fare bella figura, ma, come spesso è accaduto nella sua carriera, è abbandonato a se stesso.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Lojacono scopre la verità su Torquati.
Le incongruenze
- Agnese sul terrazzo appende al filo i fazzoletti. Uno di questi è appoggiato sopra a due mollette, ma nell'inquadratura successiva le mollette non ci sono più, anzi il fazzoletto che stende poco dopo torna a essere quello sopra le due mollette.
- Totò è sul terrazzo con Agnese e le passa un fazzoletto che la ragazza appende al filo. Dopo qualche secondo suona la porta e Totò si accinge ad andare ad aprire, ma proprio in quel momento consegna di nuovo il fazzoletto (lo stesso già appeso poco prima) ad Agnese.
- Totò, all'inizio del film, dice che gli sono rimasti 180 giorni di carcere da scontare. Più tardi, però, gli giunge inaspettata la notizia che gli sono stati condonati più di 1000 giorni, ed è subito libero.
www.bloopers.it
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L'intervento della censura - I documenti
La censura
La Commissione esprime parere favorevole e la Società Lux Film comunica di aver effettuato il taglio, allegato, riguardante il funzionario di Pubblica Sicurezza. Contenzioso tra la Produzione Ponti-De Laurentiis e L’unione delle Comunità Israelitiche Italiane, secondo la quale erano presenti nel film 'alcune sequenze offensive per l'ebraismo'.
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Fascicolo | Lista dialoghi sottoposti a censura | Presentazione lavoro alla commissione censura |
Le location del film, ieri e oggi
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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo | |||
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Il carcere di Portofino nel quale era detenuto Salvatore Lo Jacono (Totò) e che sarà oggetto di un tentativo di "invasione" da parte dello stesso, deciso a ritornare in galera dopo esser stato scarcarato, disgustato da ciò che aveva vissuto fuori dal carcere, è il Castello Aragonese di Baia (Bacoli, Napoli), situato in Via Castello 39 e visto anche in Cadaveri eccellenti (1976), dove pure sarà spacciato per carcere. | |||
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Il cortile dell’ora d’aria. | |||
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La piazza dove, la sera dopo essere uscito dal carcere nel quale aveva trascorso ventidue anni di dentenzione, Salvatore Lo Jacono (Totò) si aggira smarrito cercando il Teatro Augusteo, non sapendo che nel frattempo era stato demolito, è Piazza Augusto Imperatore a Roma. Qui vediamo Totò guardarsi attorno alla ricerca del teatro. | |||
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Sulla destra transita il passante che indicherà a Totò il luogo dove si trovava l’Augusteo. | |||
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Guardando nella direzione indicatagli Totò vede il Mausoleo di Augusto, collocato nel bel mezzo della piazza: il Teatro Augusteo è realmente esistito in questo luogo e si trovava esattamente all’interno del monumento; inaugurato nel 1780, fu demolito nel 1937, periodo nel quale fu costruita la stessa piazza. | |||
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Il vicolo dove Salvatore Lo Jacono (Totò) consegna a Giacomo (Rondinella) i due barattoli di latte in polvere che aveva comprato su suo incarico e dove scoprirà che i soldi che gli aveva dato per acquistarli erano falsi è Vicolo de’ Renzi a Roma, all’altezza dello sbocco nell’omonima piazza. Totò ora arriva in quel luogo provenendo da Via del Cipresso. | |||
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L'abitazione dove, dopo esser uscito dal carcere, Salvatore Lo Jacono (Totò) prende alloggio in una camera in affitto si trova in Via della Pelliccia 38 a Roma. Questo (A) è l’ingresso, visto nella scena dove Totò viene scacciato dall’abitazione, dopo che la padrona di casa l’aveva sbattuto fuori dalla camera e costretto a passare la notte sulle scale. Uscito dall’abitazione Totò s’incammina verso Vicolo del Piede. Il posto è stato individuato grazie alla vista dal balcone della camera di Totò verso il campanile della basilica di Santa Maria in Trastevere, esattamente in asse con il fotogramma (il punto rosso indica il punto dove si trovava la camera presa in affitto da Totò) | |||
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La strada dove, mentre sta vagando senza meta dopo esser stato scacciato dall’affittacamere, Salvatore Lo Jacono (Totò) si imbatte in un gruppo di buoi diretti al mattatoio e, credendosi inseguito dalle bestie, si mette a correre spaventato è Via di Monte Testaccio a Roma, proprio all’esterno del celebre ex mattatoio del Testaccio. | |||
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Il controcampo, con Totò che fugge nella direzione opposta. | |||
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Dopo una lunga rincorsa, che nel film dura pochi istanti ma che viene lasciato intendere durata un po’ di più, ritroviamo le bestie all’esterno del mattatoio... ossia a nemmeno cento metri di distanza dal punto dove avevamo visto Totò fuggire via! | |||
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La casa dove abita Abramo Piperno (Trieste), l’ebreo al quale i parenti della moglie di Salvatore Lo Jacono (Totò) avevano rubato tutto durante la deportazione nei lager, si trova in Via del Portico d’Ottavia a Roma. Questo è l’ingresso. Accanto al portone si trova il bar dove Totò va a cercare Trieste: in realtà si tratta della rinomata trattoria Da Giggetto al Portico d’Ottavia (B) | |||
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Infine, ecco Totò e Trieste che si incamminano verso il Portico d’Ottavia (D), del quale viene mostrato un piccolo scorcio. |
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Un intruso a Cinecittà" - Leopoldo Trieste - Eri, Torino 1985
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fofi) - Feltrinelli, 1977
- Documenti censura - cinecensura.com