Sanremo 1960: doveva essere un Festival rivoluzionario

1959 Sanremo 1959

1959 12 27 Domenica del Corriere Sanremo 1959 intro

Perchè Totò ha abbandonato la presidenza della giuria. Su ventotto autori prescelti, nove soltanto nuovi per Sanremo. Maneggi strategici delle Case editrici. Il ritorno di Angelini e Nunzio Filogamo. Quasi tutti giovanissimi i cantanti.

Roma, sera dell’otto dicembre. Il principe Antonio De Curtis, Griffo, Focas, Gagliardi, eccetera (in arte Totò) abbandona l’Istituto «Luce» con il cappotto addosso, il cappello in testa e il viso scuro. Ai giornalisti dice: «Ho abbandonato i lavori conclusivi della giuria del Festival di Sanremo, perchè non sono d’accordo su alcune cose». Il vice-presidente Renato Mariani, il segretario Vittore Querél gli si fanno attorno, gli dicono: «Principe, ritorni... tutto è finito, ormai». Totò è irremovibile — «Perbacco, non sono un pagliaccio», aggiunge — e se ne va, sbattendo la porta. Il verbale conclusivo della giuria non porterà la sua firma. Sarà firmato dal vice-presidente Mariani. Le venti canzoni per il decimo Festival di Sanremo, beninteso, sono proclamate. Eccole:

E’ VERO di Nìsa-Bindi

NOI di Malgoni

NOTTE MIA di Zanfagna-De Martino

PERDONIAMOCI di Bertini-Di Paola

COLPEVOLE di Seracini

INVOCO TE di Mosetti

LIBERO di Modugno

AMORE SENZA PAROLE di Pameri-Mascheroni

QUANDO VIEN LA SERA di C. A. Rossi

VENTO, PIOGGIA E SCARPE ROTTE di Gori

GRIDARE DI GIOIA di Fanciulli

SPLENDE IL SOLE di Ponenti

IL MARE di Pugliese-Vian

AMORE, ABISSO DOLCE di Testoni-Gigante

ROMANTICA di Rascel

SPLENDE L’ARCOBALENO di Tumminelli-Di Ceglie

E’ MEZZANOTTE di Pallesi

PERDERTI di Pinchi-Bassi

NON SEI FELICE di Van-tellini

A COME AMORE di Alfredo Rossi.


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A Totò piaceva moltissimo una canzone di Falpo, intitolata «Parole». Falpo è un impiegato romano che fa, anche, canzoni. Non è nuovo al Festival di Sanremo; nel 1956 una sua canzone, «Ho detto al sole», si classificò al quinto posto. Ma il più grande successo come compositore l’ha avuto ai tempi duri della guerra, la sua canzone si chiamava «Addio duna». Era tristissima, diceva: «Juna, per questo addio non devi piangere, attendi pure il mio ritorno e vedrai che un lieto giorno tutto a noi sorriderà...».

Faceva commuovere gli uomini al fronte e le ragazze rimaste a casa, sole. Totò sosteneva che «Parole» avrebbe dovuto essere scelta per Sanremo, gli altri undici giurati erano di parere opposto e Totò se n’era andato, con la faccia scura, indignato. Totò dice che, ugualmente, «Parole» avrà un grande successo. A dispetto della commissione del Festival.

Totò può essere un facile profeta. Ma non sarebbe, certo, la prima volta che una canzone non ammessa a Sanremo conquista una travolgente fortuna. «Come prima», per esempio, urlata e singhiozzata da Tony Dallara nei «juke-boxes» di tutta Italia, fu bocciata dalla commissione per il Festival 1958. Il suo autore, Di Paola, a Sanremo, quest’anno, ci sarà. E sarà uno dei pochissimi nomi nuovi.

Quando un Festival si chiude, dopo gli abbracci, i baci e la distribuzione delle coppe (se ne distribuiscono tante, che pare quel gioco napoletano, «tu me dai ’na coppa a mè e io te dò ’na coppa a tè») c’è, sempre, qualcuno che, autorevolmente e solennemente, dichiara: «Basta con il vecchiume, l’anno prossimo aria nuova, finestre e porte aperte alla nuova ondata eccetera». L’anno dopo, naturalmente, le cose vanno, esattamente, come l’anno prima. E quest’anno? Vediamo gli autori, imo per imo.

Un niagara di canzoni

Bindi — il ragazzo genovese che s’è fatto una fortuna con «Arrivederci» e sarà, anche, processato per aver danneggiato, alla maniera dei «teddy-boys», una macchina — ha partecipato al Festival 1958 con «I trulli d’Alberobello». Ed è considerato un autore nuovissimo. E gli altri?

Mascheroni è stato a tutti i festival, nessuno escluso, dal 1951 al 1959; Testoni ha partecipato ai nove festival con quindici canzoni, Pallesi con quattro canzoni, Pinchi con sei, Bassi con due, Tummìnelli e Di Ceglie con una, Panzuti con cinque, Rossi con otto, Panzeri con dieci, Modugno con tre, Seracini con otto, Nisa con tre, Malgoni con tre, De Martino con una, Bertini con tre, Gigante con due.

Su ventotto autori, di nuovi a Sanremo, ce ne sono nove, soltanto: Zanfagna, Di Paola, Masetti, Fanciulli, Pugliese, Vian, Rascel, Vantellini, Alfredo Rossi.

Le case editrici, poi, sono sempre le stesse, quelle che a Sanremo, dal 1951 al 1959, hanno fatto il bello e il cattivo tempo. A esse s’è aggiunta, però, una casa cinematografica romana, che negli anni scorsi si era specializzata nelle serie dei «Pane, amore, e...» e dei «Poveri ma belli».

I lavori della commissione si sono svolti a Roma, all'Istituto Luce, a due passi dalla villa di Totò. Gli altri commissari erano: i maestri Albanesi e Marinuzzi junior, l’ingegnere Manlio Baron (in rappresentanza delle case discografiche), Filippo Bellobuono (detto Filibello, in rappresentanza dei «parolieri»), il compositore Fioreno Carpi, il giornalista Roberto Leydi, Renato Mariani (sovrintendente del Maggio musicale fiorentino), l’avvocato Paolo Dell’Erba (in rappresentanza degli editori), il maestro Carlo Rustichelli (autore di «colonne sonore» cinematografiche), il giornalista Angelo Prattini, il giornalista Vittore Querél. Le canzoni inviate erano 435, un niagara.

La capitale della musica leggera, si sa, è Milano e da Milano, in quei giorni, erano partiti per Roma emissari più o meno occulti. La stanza delle riunioni era tassativamente proibita ai «non addetti ai lavori», come nemmeno il poligono missilistico di Cape Canaveral. Ma si dice che un editore milanese, o un suo amico, per poter avvicinare i commissari abbia adottato un audace e pericoloso travestimento, quello da carabiniere.

Piani di battaglia

Si dice, anche, che ima bellissima e sconvolgente danna, una specie di Mata Hari o di mademoiselle Docteur della musica leggera, facesse la spia per conto di un altro editore. Saranno storie, forse, ma il Festival di Sanremo è un affare talmente grosso che merita, persino, un camuffamento da carabiniere.

La prima battaglia, ormai, è finita. Un gruppo si è rivolto a un legale, dicono che il verbale della commissione dev’essere invalidato perchè manca la firma del presidente. Ma, quasi certamente, della protesta non se ne farà niente. Le venti canzoni scelte dalla commissione andranno a Sanremo. E qui ci sarà l'ultima, definitiva battaglia, condotta senza esclusione di colpi.

In finale entreranno le dieci canzoni che, complessivamente avranno ottenuto i maggiori suffragi nelle due prime serate. La giuria in sala non avrà la maggioranza dei voti. Gli stati maggiori delle case editrici già sono al lavoro per escogitare piani di battaglia, espedienti tattici, dispositivi strategici. Ancora una volta dovranno «ungere» le giurie. Ma come, se quella in sala è numericamente inferiore alle esterne?

I gruppi discografici che si contendono il primato, comunque, sono pochissimi, meno delle dita di una mano. Fra gli autori, favoritissimo, è Modugno. Il baffuto «don Munì» canterà, naturalmente, la sua canzone. E lo stesso farà Rascel.

Le orchestre dovrebbero essere quelle di Angelini e Trovajoli. Il ritorno di Angelini è polemico e nostalgico. Il maestro torinese è uno strenuo difensore delia melodia dolce e carezzevole (eppure — era il 1920 — fu uno dei primi a importare il jazz, linguaggio musicale nuovissimo, in Italia) in questa nostra epoca di «urlatori» e di «gutturatori delie taverne».

Con Angelini a Sanremo tornerà Nunzio Filogamo, il presentatore che con l’erre moscia di Aramis parla dello «sciabordio dell’acqua sui fianchi lunati della barca» e, con le mani in alto come un profeta, saluta «gli amici vicini e lontani».

E questo doveva essere un Festival rivoluzionario. La sola rivoluzione, forse, sarà fra i cantanti, che dovrebbero essere quasi tutti giovanissimi. Nilla Pizzi non ci sarà. La «regina» è stata deposta.

Angelo Falvo, «Domenica del Corriere», anno LXI, n.52, 27 dicembre 1959 - Disegni di Walter Molino


Domenica del Corriere
Angelo Falvo, «Domenica del Corriere», anno LXI, n.52, 27 dicembre 1959 - Disegni di Walter Molino