Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1949



Indice degli avvenimenti importanti per l'anno 1949

Maschera d'Argento agosto 1949

6 settembre 1949 Antonio de Curtis è presidente della giuria per l'elezione di «Miss Roma»

Indice della rassegna stampa dei film per l'anno 1949

I pompieri di Viggiù (Distribuzione 6 aprile 1949)

Yvonne la nuit (Distribuzione 19 novembre 1949)

Totò cerca casa (Distribuzione 5 Dicembre 1949)

L'imperatore di Capri (Distribuzione 7 Dicembre 1949)

Totò le mokò (Distribuzione 17 Dicembre 1949)


Totò

Articoli d'epoca, anno 1949

20 Mag 2017

Eduardo, Totò e Napoli milionaria: una verità complicata

Eduardo, Totò e Napoli milionaria: una verità complicata Il 1949 per Eduardo De Filippo è un anno intenso di lavoro di sceneggiatura. Il 26 marzo Antonio de Curtis gli invia una lettera: Caro Eduardo,mi ha scritto Carlo Ludovico Bragaglia che hai…
Maurizio Giammusso, Daniele Palmesi, Federico Clemente
6496
13 Gen 2014

I pompieri di Viggiù (1949)

I pompieri di Viggiù Se la conosco? Tutta no, ma quasi. Se non c'era quel pesce vi avrei conosciuta tutta...Totò Inizio riprese: 1948-1949, Teatri della FarnesinaAutorizzazione censura e distribuzione: 6 aprile 1949 - Incasso Lire 397.000.000 -…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
8388
20 Gen 2014

L'imperatore di Capri (1949)

L'imperatore di Capri Elena di Troia. Troia, Troia... questo nome non mi è nuovo.Antonio De Fazio Inizio riprese: luglio 1949, Esterni Capri (Na), interni Stabilimenti Titanus, RomaAutorizzazione censura e distribuzione: 7 dicembre 1949 - Incasso…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
7212

Il marchese Antonio de Curtis, ultimo rampollo di una antichissima famiglia, è assai diverso da quel grande comico che sulla scena il pubblico conosce ed ama come Totò. Rigido, misurato, gentilissimo, estremamente serio, parla a voce bassissima. Ci troviamo nel salotto della sua magnifica casa ai Parioli ed io gli ho già fatto qualche domanda.

- Le canzoni, già, le canzoni… mi piacciono, non c'è che dire. Sono, diciamo, una musica di secondo ordine. Una musica utilitaria, ecco, ma accessibile a tutti: e sotto quest'ultimo aspetto le canzoni sono senz'altro in testa a tutti gli altri generi di musica.

Comprendo benissimo ciò che Totò vuol dire, ma l'argomento merita di essere sviscerato:

- Come ha detto, Marchese?

- Ecco, il mio parere è che in tutte le forme di spettacolo in qualsiasi modo il pubblico sia chiamato ad ascoltare, vedere, giudicare, far… da pubblico Insomma, c'è il genere cosiddetto plateale che piace alla massa ma non ai palati delicati; c'è il genere cosiddetto fine che piace ad una esigua minoranza di critici, esteti, ecc. Ma lascia completamente indifferenti tutti gli altri. L'ideale è il genere che soddisfi incondizionatamente tutti.

Mi piace sentirlo parlare, con quel suo tono basso e cortese e quello spiccato accento napoletano, per questo chiedo:

- Non potrebbe spiegarsi con qualche esempio?

- Ma certo… la musica classica, da camera, sinfonica piace a pochi intenditori e buongustai. Il teatro di Ibsen, lo stesso, la comicità cinematografica di Stan Laurel e Oliver Hardy manda in visibilio la massa ma fa storcere il naso agli esigenti, e così via. Di contro, per rimanere nei generi presi ad esempio, ecco qua: il teatro di Shakespeare piace a tutti, la comicità di Charlie Chaplin piace a tutti, la musica di Verdi piace a tutti.

Magistrale, che vede pare? Ma insisto:

- Verdi, d'accordo… ma noi parlavamo di canzoni…

- Non sembri irriverente ciò che dico, ma Verdi è il più grande compositore di canzoni, oltre al resto, si capisce. La Messa di Requiem e l'Otello sono capolavori, d'accordo, ma sempre per quella minoranza. Ma tutti, assolutamente tutti, almeno una volta al giorno, fischietteranno o canteranno: La donna è mobile… oppure: Alfredo, Alfredo di questo cuore… oppure: Va’ pensiero sull'ali dorate…

Non vi pare che Totò abbia ragione? A me sembra di sì. Giungere al cuore di tutti, popolino e persone fini dall'istruzione completa, ecco il segreto.

Shakespeare, Verdi, Chaplin e Totò ci sono riusciti. Beati loro.

Antonio de Curtis, 1949


«Canzoniere della Radio», gennaio 1949


Roma, dicembre

Totò aspetta ancora il suo regista. Nel corso di parecchi anni vari registi si sono provati a fargli fare il cinematografo. Il primo, o uno dei primi, è stato Palermi con il « San Giovanni decollato ». Si videro in quell’occasione le grandi possibilità che aveva Totò di trasferire sullo schermo i personalissimi effetti del suo estro, la sua leggera e aerea follia, le sue evasioni dalla realtà che si esplicano in certi giri d'occhio, in certi suoi improvvisi e silenziosi fervorini durante i quali l’attore sembra uscire dal mondo e navigare nell’etere.

L’effetto di queste sue reazioni di fronte agli avvenimenti è straordinariamente comunicativo e fa sempre centro arrivando in maniera irresistibile a tutte le categorie di spettatori, dal più raffinati intellettuali ai ragazzini dei cinema rionali. Totò è tutto lì. Egli non può essere costretto in un personaggio normale sia pure comico. Perchè egli dia tutti i risultati di cui è capace dev'essere sempre lui in contrapposto alla situazione alla quale lo si mette di fronte qualunque essa sia. Bisogna provocare le personali reazioni del personaggio Totò.

Nei vari film dei quali egli è stato protagonista, gran parte di questi è andata sempre perduta e ciò perchè, interpretando personaggi che non siano soltanto lui, Totò appare un comico come ce ne sono tanti, un attore brillante di ordinaria amministrazione che non merita si faccia un intero film sulla sua persona. Un film che riuscisse a mettere a fuoco quelle qualità, che poi rappresentano la vera personalità di Totò, direbbe qualcosa di nuovo nel campo del film comico. Questi problemi non si è posti Mattoli con Fifa e arena, farsa di corrente e sbrigativa fattura congegnata su misura con una serie di situazioni molto tese nelle quali Totò, in seguito ad alcuni equivoci obbligati, viene sottoposto ai più esasperati adattamenti: vestito da donna su un aereo nel ruolo di hostess, costretto suo malgrado a toreare in una corrida a Siviglia. Alcuni episodi fanno ridere. Ma la farsa cinematografica per Totò rimane ancora da fare. [...]

Ercole Patti, «L'Europeo», anno V, n.1, 2 gennaio 1949


«Reggio Democratica», 12 gennaio 1949


AL «LUX» — Ieri sera, alle 21, è andata in scena l'attesa rivista «C'era una volta il mondo» di Galdieri. Il pubblico era numerosissimo, accorso con il desiderio di ridere e veder belle donne. E' stato accontentato. Totò, con la sua consueta mimica, si è prodigato a tutto spiano. Applausi a lui e ai suoi compagni: Mario Castellani, Isa Barzizza, Elena Elena Giusti. Da stasera replica.

«La Stampa», 19 gennaio 1949


C’ERA UNA VOLTA IL MONDO al Lux — Quando Totò e Galdieri si prendono a braccetto, il successo è assicurato. Non importa se lo spettacolo ricalca i temi di un anno fa e se qualche quadro denuncia quindi le rughe del tempo. Non importa se in qualche momento (il ballo delle nazioni, il fuori velario dei due vecchietti) il cattivo guato fa capolino. E’ tale e tanta l'intelligenza dell'autore e l'inesauribile comicità di Totò che i piccoli néi vengono presto dimenticati e la rivista fugge via agile, leggera, veloce come un diretto di cui Totò è il dinamico macchinista. E scusate se è poco.

Con lui sono la fine ed elegante Elena Giusti che ci ricorda le settecentesche porcellane di bisquit, la scattante Isa Barzizza, il simpaticissimo Castellani, la Serra, il Riva, la graziosa Cerchiai e tutti gli altri. Un saluto particolare alla bravissima Silva che ritorna ai palcoscenici dopo oltre due anni d’assenza. Teatro accogliente e gremito, applausi e risate a non finire.

Vice, «L'Unità», 19 gennaio 1949


1949 01 21 La Stampa C era una volta il mondo T

«La Stampa», 20 e 21 gennaio 1949


1949 01 25 La Stampa C era una volta il mondo T

1949 01 27 La Stampa C era una volta il mondo T

«La Stampa», 24, 25 e 27 gennaio 1949


Dopo la sua serata d'onore, il popolare comico ha dovuto lavorare fino all'alba per il nuovo film.

Gli occhi del signore grasso cominciarono a velarsi: nelle luce abbagliante del palcoscenico le figure danzavano confusamente, prive di’ contorni. Dopo aver sbuffato per tre ore ed essersi contorto paurosamente in preda a violenti accessi di riso su una poltrona del teatro durante lo spettacolo della rivista di Totò, il pingue spettatore fu colto da un improvviso e subdolo attacco di sonno.

La riviste terminò verso l’una; il teatro si sfollò lentamente. Afflosciato nella poltrona di quarta fila il signore grasso era rimasto solo. Ma d'improvviso le luci sul palcoscenico si riaccesero: un nugolo di uomini vestiti con grembiuli e tute comparvero trasportando essi, scenari, supporti e cavalletti. C’era Totò, c’era Dapporto, Nino Taranto, Wanda Osiris e con essi le loro compagnie di riviste. Anche la platea fu invasa da giovanotti con occhiali, signore anziane e uomini con barda. Nessuno si curò del dormente: una signorina insinuatasi nella fila di poltrone gli pestò un piede.

1949 01 28 Gazzetta del Popolo I pompieri di Viggiu f1

Il signore grasso sobbalzò e aprì gli occhi fissandoli imbambolati: vide un uomo piccolissimo che attraversava velocemente la sala reggendo una scala lunga lunga. Poi si udì un « ciak » e una voce gridò: « Si gira ». L’orchestra attaccò un motivo cadenzato e sul palco si ripetè una scena della rivista. Fu interrotte. Ricominciò una volta, due, sedici volte di seguito. Erano le riprese del nuovissimo film « I pompieri di Viggiù », di Mattali. Sono le avventure di un grosso vigile del fuoco, Carlo Campanini, il quale capita in un teatro di varietà inseguito da tutta la sua squadra, convinto ch’egli sia in procinto di spegnere un incendio di proporzioni allarmanti. Nel film sono ritratti i quadri culminanti delle riviste delle quattro compagnie citate. Di quella di Totò viene girata le scena finale con Castellani, Riva, Bertucci, Isa Barzizza ed amici. Per tre notti consecutive tutta la compagnia dopo la rappresentazione serale si è trattentua fino alle otto del mattino a provare sotto la severa direzione del regista Mattoli.

Tutto questo per òil signore che s’era addormentato ieri sera in una poltrona di quarta fila non lo sapeva: non capiva nulla, guardava solo sgomento il palcoscenico, poi l’operatore, poi di nuovo il palcoscenico. Il teatro sfolla nuovamente (era ormai l’alba). Le ballerine uscirono aggrappate ai loro cavalieri, e molti uomini barcollavano dal sonno. Solamente Totò, soddisfatto perchè le scene sono ormai ultimate, uscì fresco e saltellante. Fu lui a trascinarsi dietro il signore grasso e ed accompagnarlo benevolmente, ma con fermezza, fuori del teatro.

f. c., «Gazzetta del Popolo», 28 gennaio 1949


1949 03 04 Corriere della Sera Bada che ti mangio R L intro

Spettacolo ricco di coreografie e di costumi. Buon gusto e sfarzo sono i suol elementi caratteristici. Un complesso di ballerine e di figuranti, elegante e armonioso, fa da contorno a Totò, il quale con le risorse che l'hanno reso beniamino di chi ama la risata facile, ha suscitato anche ieri sera con la sua buffoneria di maschera pulcinellesca, frequenti risate. La parte coreografica è la meglio riuscita. Per essa non sono state fatte economie. Vestiari di pregio e scene di bei colori, offrono una festa per gli occhi. Le musiche vivaci sostengono balli e sfilate. Lo sfolgorante quadro degli scacchi, quello pittoresco spagnuolo, quello della fontana, sono tra i più fantasmagorici. Il testo manca di mordente, sebbene muova da uno spunto ameno e attuale che ha per protagonista un Adamo atomico, impersonato da Totò, che si presenta come uomo meccanico. Applausi molti e calorosi al Totò, alla Barzizza, alla Giusti, al Castellani, alla Brown e a tutti quanti. Alcune scenette dialogate sono di troppo: qualcuna è di dubbio gusto. Teatro gremito e la «Celere» a regolare l'ingresso. Stasera replica.

e. p., «Corriere della Sera», 1 marzo 1949


Totò e la sua grande compagnia di riviste daranno stasera la prima assoluta della nuova rivista di Michele Galdieri «Bada che ti mangio». I biglietti venduti per il primo spettacolo valgono per stasera, quelli venduti per il secondo, domani venerdì, quelli per il terzo valgono per la serata di domenica, quelli per il quarto lunedi e quelli per il quinto martedi 5.

I biglietti per la rappresentazione di sabato 5 (Carnevalone) e quelli per la diurna di domenica 6 sono in vendita da stamane.

«Avanti», 3 marzo 1949


Spettacolo ricco di coreografie e di costumi. Buon gusto e sfarzo sono i suol elementi caratteristici. Un complesso di ballerine e di figuranti, elegante e armonioso, fa da contorno a Totò, il quale con le risorse che l'hanno reso beniamino di chi ama la risala facile, ha suscitato anche ieri sera con la sua buffoneria di maschera pulcinellesca, frequenti risate. La parte coreografica è la meglio riuscita. Per essa non sono state fatte economie. Vestiari di pregio e scene di bei colori, offrono una festa per gli occhi. Le musiche vivaci sostengono balli e sfilate. Lo sfolgorante quadro degli scacchi, quello pittoresco spagnuolo, quello della fontana. sono tra i più fantasmagorici.

Il testo manca di mordente, sebbene muova da uno spunto ameno e attuale che ha per protagonista un Adamo atomico, impersonato da Totò, che si presenta come uomo meccanico. Applausi molti e calorosi al Totò, alla Barzizza, alla Giusti, al Castellani, alla Brown e a tutti quanti. Alcune scenette dialogate sono di troppo: qualcuna è di dubbio gusto. Teatro gremito e la «Celere» a regolare l'ingresso. Stasera replica.

e. p., «Corriere della Sera», 4 marzo 1949


La strategia degli spettacoli di rivista va assomigliando a quella della guerra navale. Siamo ancora nell'epoca delle navi — o dei quadri — di grande tonnellaggio. Ogni rivista che si rispetti dispone almeno di sei o di otto quadri da 35.000 tonnellate, con la tendenza di portare il tonnellaggio alle 45.000 e alle 51.000 tonnellate. Sono le coreografie colossali che richiedono un dannatissimo lavoro del macchinisti dietro ai siparietti, per montare scale, per spalancare cupole celesti, per far salire palloni stratosferici al cielo. La manovra di questi colossi è lenta, i palcoscenici sono piccoli: immaginate di dover far entrare in dieci minuti la squadra americana nel porticciolo di Portofino, quando i cannoni da 381 entrano in azione, l'effetto è sicuro; ma la loro azione deve essere preceduta e intercalata, per ragioni tecniche. da quelle di collegamento delle scene minori, dei dialoghi alla ribalta, dei couplets. Per questo l'ammiraglio deve disporre di una massa di manovra di incrociatori da battaglia, di incrociatori leggeri o tascabili, di torpediniere e di sommergibili. Se non trova nulla di meglio, per riempire le pause dell’attesa può anche ricorrere ad un tenorino in abito da passeggio, che percorre lentamente la passerella, gorgheggiando e sospirando, o mandare in platea tre ragazze a collocare cappellini fioriti sulle teste di alcuni spettatori, possibilmente calvi. L’ammiraglio sa in anticipo che una buona parte del naviglio leggero è votata al sacrificio, e rientrerà alla base con un siluro nella pancia o addirittura si inabisserà.

La nuova rivista di Totò, o meglio, la nuova rivista che Michele Galdieri ha ideato per Totò era in prova da quasi un mese e mezzo e la prima rappresentazione ha subito quattro rinvìi. Galdierl avrà voluto fare qualcosa di più di ciò che avevano fatto, per Vanda Osiris, Garinei e Giovannini, cosi come Macario aveva voluto, a sua volta, schiacciare anche lui la sua antica compagna di ribalta con l’opulenza del suo spettacolo. E’ una gara a chi spende più - la media dei quaranta o cinquanta milioni è ormai modesta - a chi la lo spettacolo piu sontuoso e più lungo, a chi richiede, per frenare il pubblico agli ingressi, i maggiori contingenti della «Celere». Ieri sera, al Nuovo, il controllo dei biglietti, avveniva alle porte della galleria del Toro: un secondo controllo agli ingressi abituali. Il teatro era iperesaurito da una ventina di giorni. Squadre di spettatori appartenenti all’aristocrazia siciliana erano arrivate in i volo da Palermo. Lo spettacolo, iniziato alle 21.12, é finito alle due di notte: e alle 2.10 la sala non era ancora sgombrata dalle squadre dei più accaniti entusiasti. Si é pure superata, come durata dello spettacolo, quella del Lutto si addice ad Elettra: il Parsifal ha, in confronto, quasi la durata di un avanspettacolo.

Il sogno del «grandi della rivista» è di raggiungere, nella loro gara, le luci dell’alba. Giova, alla rivista, questa tendenza al gigantismo? Giovano, queste proporzioni elefantesche? Si manovrano bilanci da ministero; gli spettacoli, per ammortizzare il capitale, devono essere replicati per un anno. Il varo di ogni rivista assomiglia alla partenza di una flotta che debba scoprire un nuovo continente: è preceduto da lunghe notti di insonnia, da prove tempestose; gli impresari perdono la voce; le attrici diventano afone per l’orgasmo; si richiedono dei records ai vestiaristi e ai sarti; e la nevrastenia, probabilmente, plana per un buon mesetto, con le sue ali sinistre, nel ciclo delle prove. E’ probabile che, immersi nel colossale fino alla gola, gli stessi autori perdano il controllo degli effetti. Uscito dal teatro l'ultimo spettatore, comincia un nuovo lavoro: quello del tagli. Solamente messa a confronto con il pubblico la rivista mostra le sue falle e le infiltrazioni d’acqua.

Si spiegano cosi i malumori che ieri sera, durante il secondo tempo della rivista il pubblico del Nuovo ha fatto sentire con una certa insistenza, seguiti subito appena il «quadro» lo soddisfaceva, addirittura da raffiche di entusiasmo. Capita anche nei grandi pranzi che fra l'una e l’altra grande portata l’invitato debba attendere, e si infastidisca di sgranocchiare i grissini che, appunto per ingannare l’attesa, sono collocati elegantemente in un piattino d'argento: per dimenticare poi il suo malumore appena arriva il tacchino ripieno al tartufi. Ieri sera grissini squisiti, offerti anche da ragazze molto carine, non sono riusciti graditi.

I riempitivi erano, in verità, troppo deboli al confronto con i grandi quadri, alcuni dei quali di un fasto e di un'eleganza d’eccezione. Il pubblico voleva Totò, o la scena di vasto e grandioso effetto: le romanze. I duettini, i terzettini, i couplets lo stancavano subito, qualche volta anche a torto. Poche volte un quadro di rivista è stato applaudito come quello delle fontane, che con i loro zampilli salgono e si aprono a ventaglio e si colorano a suon di musica in un panorama d’acque crosciami. Eppure un momento prima io stesso pubblico zittiva.

«Bada che ti mangio» va sottoposto ad una energica cura dimagrante. Ha tutta la materia e là qualità di uno spettacolo di classe europea. Michele Galdieri, Totò e Remigio Paone avranno certamente capito dove bisogna lavorar di forbici. Se ne gioverà anche la amenissima comicità di Totò, che potrà avere più spicco se gli sketchs saranno piu brevi. Bisogna elogiare senza riserve la parte coreografica, le scene, e i costumi, le ballerine soliste Floria Torrigiani, Leighth Williams, Ginger Stuart, Franchlna Cerchiai, la Barzizza per gli schietti accenti da attrice che ha trovato nella scena del tabarin esistenzialista, Adriana Serra per il colore delia recitazione, Elena Giustl per la sottile grazia del canto, della danza, degli abiti.

Il Riva per la sua animosa resistenza, Charlie Beal per le sue virtù di pianista. Snelliti i quadri ed epurati il dialogo e la scena di qualche effetto di umorismo troppo scatologico — i vasi da notte e i W. C., tanto per chiamare le cose con il loro nome, visto che, in un anno di repliche, dovrebbero far la delizia di almeno 400.000 spettatori — lo spettacolo filerà ogni sera al successo.

O.V. (Orio Vergani), «Corriere dell'Informazione», 5 marzo 1949


«Avanti», 6 marzo 1949


«Corriere dell'Informazione», 9 marzo 1949


Roma 9 marzo, matt.

Alle tante agitazioni di questi ultimi tempi si aggiunga ora quella dei capi comici delle compagnie di riviste, operette e varietà, causata dallo scontento serpeggiante negli ambienti del teatro minore per la esclusione di quest'uitimo dalle sovvenzioni statali. Del comitato di agitazione, che terrà domani un comizio di protesta alla sala Pichetti, fanno parte fra gli altri Totò, Macario, Nino Taranto, Dante Maggio. Pietro De Vico.

«Corriere della Sera», 10 marzo 1949


Il robot è la nuova macchietta di Totò nella rivista "Bada che ti mangio", andata in scena la settimana scorsa a Milano. Nelle vesti metalliche dell'uomo meccanico Totò ha trovato modo di concentrare ancora una volta la nota comicità. L'automatismo dei gesti, già notato in Pinocchio, è qui portato alle estreme possibilità, per sempre dominato dalla maschera esilarante. Ma Totò è stato un po' sacrificato dal copione. Poche scene per lui e non tutte di quell'umorismo vivido e sostenuto di cui è capace (ricordate la scena del vagone letto nella precedente rivista?). I critici più severi hanno scritto che la vena comica della autore, Galdieri, si è rivelata stanca. Alla "prima" il sipario è calato alle 2 del mattino: materia in esuberanza. La seconda sera è terminata alle una; svaltita, ne ha guadagnato e gli applausi sono stati più nutriti. Essa rappresenta il maggior sforzo del teatro della rivista per diventare "successo di coreografia e dominio di buon gusto". C'è una scena durante la quale il pubblico applaude ininterrottamente, quella delle fontane colorate, realizzazione veramente grandiosa. Per l'occasione il palcoscenico del Nuovo era tutto una grande fontana i cui getti, illuminati alternativamente nelle tinte più delicate, diffondevano la "Rapsodia in blu" di Gershwin, con l'altalenare ritmico degli zampilli. Questa fontana è costata a quattro milioni di lire.​

«Tempo», 12 marzo 1949


Ne ha bisogno De Sica, per il suo nuovo film.


Roma, marzo

Fra un paio di mesi Vittorio De Sica comincerà a girare un nuovo film. I suoi collaboratori stanno attualmente lavorando alla sceneggiatura. Sono press'a poco gli stessi che hanno sceneggiato - Ladri di biciclette ». De Sica è fedele come pochi altri registi alla propria « équipe », dalla quale si è staccato Sergio Amidei per passare al rango di produttore. La compongono ora Cesare Zavattini, Suso D'Amico, Adolfo Frane! e Mario Chiari. Il film s’intitolerà « Totò il buono », il cui soggetto, com’è noto, è di Zavattini. Benché in origine questo soggetto sia stato scritto proprio per il comico Totò, egli però non sarà il protagonista del film, perchè De Sica e Zavattini non intendono fare nè una farsa nè una satira, dove l’attore potrebbe avere buon gioco, ma una favola moderna in cui tutto quello che appare comico sfuma con tratti più o meno lievi nell’allegoria.

Il personaggio principale del film, come si presenta nel nuovo soggettò, non ha nullo di simile alla personalità comica di Antonio De Curtis, creata per far ridere fin dal primo affacciarsi dell’attore sulla ribalta o sullo schermo, e non gli somiglia neppure fisicamente. Il Totò di De Sica sarà invece un giovane di diciott’anni, un tipo quasi angelico di ragazzo, che crede il mondo fatto di gente come lui.

Il film si svolgerà a Milano, in un quartiere simile a quello dell’Ortica; naturalmente si tratterà di una Milano che sta fra il cielo e la terra, o meglio, fra la realtà e l’immaginazione, ohe in questo caso è la candida immaginazione di Totò.

La voce di De Sica dirà:

« C’era una volta, nella città di Milano, una vecchia chiamata Lolotta che viveva sola in una casetta vicino al Naviglio e tutte le mattine all’alba scendeva nel suo orticello ad inaffiare i fiori... ». E una mattina la vecchia trova un bambino sotto una foglia di cavolo. Cosi al buon Totò è piaciuto di venire al mondo e di scegliersi la propria madre. Ma, dopo pochi anni di vita felice, la vecchia si ammala e muore. Totò è già un ragazzo, che rimasto solo al mondo entra in un collegio di orfani. Qui impara un mestiere e a diciotto anni uscirà marmista, con un impiego che lo a-spetta. Sembra che la vita gli si presenti attraverso una prospettiva abbastanza agevole; senonchè il giovane commette subito gli errori cui è spinto dal suo carattere ingenuo e ottimistico, e viene licenziato. Senza lavoro, Totò si fa i propri amici fra altri come lui, gente che assalta i passanti dicendo; « O la borsa o la vita mia», puntando l’arma verso il proprio cuore. « Come sarebbe a dire? » chiedono gli assaliti, E l’assalitore: « O il portafoglio o mi uccido ».

Con questi amici Totò è andato a costruirsi la baracca in un prato abbandonato, vicino alia scarpata della ferrovia. Li, in poco tempo, nasce uno di quei villaggi fatti con vecchie lamiere, che appunto dal finestrino del treno si vedono talvolta entrando in una grande città. Ciascuno vive come può, di elemosina o facendo qualche lavoretto. Totò continua, in proprio, il suo mestiere di marmista, e rivela perfino qualche velleità di scultore, tanto da mettersi a fare statue di gesso, ammirato soprattutto da una ragazza muta che si è innamorata di lui. Nella piccola comunità nessuno sospetta di vivere su un terreno ricchissimo; basterebbe che qualcuno facesse un buco un po’ più profondo atri normale per vedere scaturire una colonna di petrolio. E difatti così avviene. Ma i poveracci devono fare i conti con i potenti. C’è un ricco industriale che acquista subito il terreno e che vuol mandar via quelli delle baracche, i quali invece non si muovono, non sapendo dove andare. Vengono usati stratagemmi, però senza risultato. Entra allora in azione la forza pubblica con lancio di gas lacrimogeni.

A questo punto Totò si sente chiamare dalla voce materna. Lolotta gli consegna una colomba, rubata ai prati del cielo, perchè egli possa sconfiggere i suoi nemici. Con quella colomba, qualunque desiderio di chi la possiede si trasforma in realtà. Totò farà quindi molti miracoli: il primo, di far tornare i gas lacrimogeni sul viso di chi li ha lanciati, poi di dar vita ad una statua di gesso, che si trasforma subito in una bella fanciulla senz’anima, che tresca con tutti; infine di accontentare i desideri innocenti dei suoi amici. Ma proprio quando i poliziotti, con grande spiegamento di forze, attaccano il villaggio, accolti dalle risa degli abitanti che si sentono sicuri del fatto loro, proprio allora gli angeli portano via la portentosa colomba a Totò. Così tutti vengono arrestati, caricati nei cellulari e condotti verso le carceri di San Vittore. Ma Lolotta, con un secondo atto d’indisciplina che preoccupa seriamente gli angeli, riesce a consegnare ancora una volta la colomba a Totò, che ne approfitta per liberare sè e i suoi compagni dalla prigione. Essi verranno inseguiti fino a piazza del Duomo, nel momento in cui una squadra di spezzini sta pulendo il lastricato. I fuggiaschi, sull’esempio di Totò e della ragazza muta, che in quegli istanti ha improvvisamente acquistato la parola, strappano le scope di mano agli spazzini, vi montano a cavallo e come le streghe dell’antica leggenda si involano da questa terra per non farvi più ritorno.

Questa, per linee assai sommarie, la favola che De Sica racconterà sullo schermo. Ne uscirà un film notevolmente diverso da quelli che avevano ispirato finora questo regista, ma non poi del tutto diverso. Anche attraverso il racconto schematico e inadeguato che ne abbiamo fatto ora. risulta abbastanza chiaro che il mondo e i personaggi del nuovo film sono sempre quelli da lui prediletti, nè cambia di molto la conclusione morale. Evidentemente De Sica vuol dire le stesse cose di prima, ma con altro umore e con la voglia di far divertire il suo pubblico. Intanto sta cercando un giovane di diciotto o vent’anni, cui affidare la parte di Totò, e una ragazza altrettanto giovane, ma bellissima e disposta a dare alla sua bellezza la stupidità di una statua concepita da un innocente scalpellino come Totò.

G. Visentini, «L'Europeo», anno V, n.11, 13 marzo 1949

1949 03 19 Corriere della Sera Bada che ti mangio T«Corriere dell'Informazione», 19 marzo 1949

 


I POMPIERI DI VIGGIU'

Distribuzione: 6 aprile 1949

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


Totò può mettere lo spettacolo di iersera tre i più fausti della sua fortunatissima carriera di comico. L'Adriano era gremito in modo così strabocchevole che spettatori avevano occupato i corridoi e s’erano arrampicati perfino sulle balaustre e le scalette della pedana. Per oltre quattro ore — chè tanto dura lo spettacolo — dalla platea al loggione non s'è fatto che ridere e applaudire. La rivista di Michele Galdieri «Bada, che ti mangio», per quanto con un filo conduttore cosi leggero e fragile da perdersi net variare delle coreografie, tra la ridda dei colori e nell'accavallarsi degli sketches, è piaciuta in ogni quadro. Tutti gli interpreti bravissimi, sono stati calorosamente festeggiati e chi ha colto la palma del trionfo è stato Totò.

«Bada che ti mangio» vuole essere un avvertimento e più encora una sintesi burlesca delle vicende, spesso cannibalesche della vita moderna, dove il più forte aggredisce il più piccolo. Il prepotente ha ragione del mite e tutti gli appetiti si scatenano nel grande banchetto delle ambizioni umane. In questo tema Totò ha un ruolo di personaggio surrealista: è l'eroe atomico. Che cosa abbia potuto tirar fuori, da un simile personaggio Totò, non staremo a dire, nè sarebbe cosa facile. Il lepidissimo comico degli inesauribili slogamenti stavolta ha superato se stesso, dandoci un burattino di carne ed ossa quale non si era mal visto nelle nostre ribalte. La sua meccanica e poliedrica comicità è straripata violenta e continua, suscitando fino allo spasimo ondate di ilarità. Data la stura al fuoco d'artificio delle sue parossistiche trovate, non ha concesso al pubblico un attimo di respiro.

L’ora e lo spazio non consentono di elencare i quadri della rivista che hanno incontrato maggiore successo; sono troppi. La rivista presentata in una sfarzosissima cornice sfolgorante di luci e di colori, con dovizia di ottime e gustose coreografie di Gisa Geert, ha indubbiamente superato quanto finora s'era fatto in queste genere di spettacoli. Il quadro delle fontane luminose, con i poderosi multicolori getti d’acqua, ha mandato il pubblico in delirio.

Particolarmente divertenti sono apparsi il quadro del cabaret degli esistenzialisti e lo sketch del commissario, una gustosa satira della polizia di Scelba. Indovinato e ricchissimo di costumi scenari il quadro della partita a scacchi tra capitale e lavoro.

Dovremmo ora elencare i bravi interpreti, con Isa Barzizza, Elena Giusti, Mario Castellani e Mario Riva in testa: ma anche questo elenco sarebbe troppo lungo. Tutta Roma accorrerà a vedere questo eccezionale spettacolo e giudicherà. Da stasera le repliche.

«Il Paese», 5 maggio 1949


Roma, maggio-giugno 1949


Elena Giusti, la bellissima «soubrette» della compagnia di Totò, il noto comico, e le altre attrici della compagnia, sono state prese di mira da una banda di abili truffatori. Anzi, si può dire che tutta la compagnia che recita all’«Adriano» ne è stata vittima. La banda era capeggiata da un tipo dall’aspetto molto signorile, il quale ha iniziato la propria attività contemporaneamente alle recita della compagnia di Totò. La sua prima vittima è stata una coreografa, Gisa Geert, alla quale aveva proposto addirittura di sposarla, facendole balenare la possibilità di trasferirsi con lui in Spagna.

Una sera però la Geert si accorse che le era scomparso un bracciale d’oro di valore rilevante e il tizio, di cui si ignora ancora il nome, il giorno seguente le promise di donarle un altro bracciale. Naturalmente tutto questo rimase allo stato di promessa. Contemporaneamente, per non perdere tempo, il truffatore, facendosi passare per un ricco ar gentino corteggiava le altre ballerine della compagnia, promettendo ad ognuna di esse scritture
ad Hollywood. Invitandole a cena, le derubava del poco che possedevano.

Quasi contemporaneamente perveniva alla «soubrette» della compagnia, la signorina Elena Giusti, una telefonata da parte della casa di mode Antonelli, che sollecitava la signorina a ritirare il ricco corredo che era stato per lei ordinato da un suo incaricato e che ammontava al valore di circa un milione. La signorina Giusti, naturalmente cadeva dalle nuvole, poiché non aveva ordinato nulla.

Apprendeva cosi che un signore elegante sempre lo stesso truffatore, aveva ordinato alla casa di mode gli abiti per la Giusti, esibendo un assegno di un milione di lire per il pagamento, guardandosi bene dal consegnarlo, ma cogliendo anzi l’occasione per chiedere, con la scusa di non avere altro denaro spicciolo, un prestito di ventimila lire, da conteggiarsi nel conto complessivo dell’ordinazione.

«Gazzetta del Popolo», 13 maggio 1949


Roma, venerdì sera.

La Compagnia di riviste di Totò è stata presa di mira da una banda di abili truffatori. Il capobanda, un individuo dall'aspetto signorile, aveva cominciato la sua attività, contemporaneamente alle recite della compagnia di Totò. Aveva cominciato cioè avvicinando la coreografi Glsa Geert, alla quale aveva proposto nientemeno che le nozze. L'abile lestofante aveva fatto balenare alla signorina la possibilità di trasferirsi con lui in Spagna, polche il tipo si faceva passare per gentiluomo spagnolo.

Una sera però la Geert si accorse che le era scomparso un bracciale d'oro di valore rilevante. Il tizio, di cui si ignora il nome, il giorno seguente le promise di donarle un bracciale di gran lunga superiore come bellezza e come valore. Naturalmente, tutto questo rimase allo stato di promessa.

Contemporaneamente, per non perdere tempo, il falso nobile spagnolo, facendosi questa volta passare per un ricco argentino, corteggiava altre ballerine della compagnia promettendo ad ogauna di esse scritture a Hollywood. Regolarmente le invitava a cena e le derubava del poco che possedevano.

Allarmata per la ripetizione dei furti, una delle giovani finiva per telefonare all'Hotel Flora dove il tipo asseriva di abitare Ma all'Hotel Flora nessuno lo aveva mai visto nè conosciuto. Quasi contemporaneamente perveniva alla «soubrette della Compagnia, Elena Giusti, una telefonata da parte della casa di mode Antonella La casa sollecitava la signorina a ritirare il ricco corredo che era stato per lei ordinato da un suo inviato e che ammontava al valore di oltre un milione.

La signorina Giusti, naturalmente, cadeva dalle nuvole: lei non aveva mai ordinato niente a nessuno e non capiva cosa mal volesse la casa di mode. Si apprendeva allora che lo stesso tizio o qualcuno da lui Inviato si era recato alla casa Antonelli e aveva ordinato vestiti per la signorina esibendo un assegno di un milione di lire per il pagamento.
Naturalmente l'individuo ai guardava bene dal consegnare l'assegno, anzi, colta l'occasione, chiedeva, con la scusa di non avere denaro spicciolo, un prestito di 20 mila lire, da conteggiarsi nel conto complessivo dell'ordinazione. Dopo di che si eclissava. Da quel giorno l'argentino-spagnolo è latante e la polizia lo ricerca.

«Stampa Sera», 13 maggio 1949


Totò all'Adriano. Se Totò non ha trovato ancora secondo il suo merito, un suo regista e una sua storia cinematografica, dominava però la rivista con il suo fortunato vampo di battaglia. Ma con Bada che ti mangio, pretenziosa quanto scipita rivista di Michele Galdieri, Totò perde molti punti nei confronti di altri protagonisti di rivista, come ad esempio la Wanda Osiris. Quando nell'ultima rivista della Osiris era buon gusto, arguzia, freschezza di riferimenti e spunti polemici, altrettanto qua è banalità, cattivo gusto, pigri luoghi comuni.

Il pubblico numeroso ha cercato con la più volenterosa disposizione di divertirsi, e Totò non ha lesinato la sua grande tecnica di comico per compensarli di tanta cordialità. Lo spettacolo ricchissimo di costumi, di messinscena, di ballerine, di stelle di rivista di primo piano fra cui Isa Barzizza, Elena Giusti, Adriana Serra, Dorina Coreno, ecc. inizia da stasera le sue repliche.

Socrate, «L'Unità», 30 maggio 1949


Roma, martedì sera.

Del celebro comico Totò si parlerà alla Camera. Ma i rappresentanti del popolo non si occuperanno nè delta sua bazza nè della sua inarrivabile comicità che manda in visibilio le platee.

A Montecitorio Totò comparirà idealmente, nella veste di imputato. E a ben considerare, l'Imputazione non è lieve: insieme all'autore della rivista Buon appetito, che con tanto successo interpreta ora in un teatro romano, Totò è accusato di «espressioni ingiuriose verso II Parlamento», reato perseguibile ai sensi dell’art. 290 del Codice Penale.

Il deputato napoletano Nello Caserta, avvocato e filosofo, che ha chiamato sul banco dagli accusati il suo conterraneo Totò con una Interrogazione a Da Gasperi e Scelba, afferma che le «espressioni ingiuriose verso il Parlamento — perseguibili in base al Codice Penale — sono chiara manifestazione di una mentalità antidemocratica e incivile».

A chi gli chiedeva spiegazioni su questo suo perentorio giudizio, l'On. Caserta ha risposto vibratamente: «Proprio così: mentalità antidemocratica a incivile. In quanto democrazia e civiltà hanno diritto ad accusare specificamente gli indegni di rivestire cariche politiche, ma non consentono la dlffamazione collettiva e anonima che infanga i singoli parlamentari e discredlta la fondamentale istituzione di una nazione libera».

Coma si vede Totò, al secolo principe De Curtis, ha di che preoccupersi, tanto più che l'interrogante chiede al presidente del Consiglio e al ministro dell'Interno «quali provvedimenti hanno preso o intendono prendere» contro lo stesso Totò e l'autore della rivista in cui al denigra il Parlamento.

Vittorio Statera, «Nuova Stampa Sera», 15 giugno 1949


Totò non c’entra. Egli non è responsabile di aver vilipeso il Parlamento, l'istituzione basilare dei paesi democratici. L’inarrivabile comico ci scrive infatti una lettera per precisarci che la rivista «Buon appetito» in cui sono contenute offese al Parlamento non fa parte dei suo repertorio, ma di quello di un altro comico: «Carlo Dapporto». «Io — dice in sostanza Totò — non conosco affatto il copione della rivista e pertanto non posso essere accusato di aver vilipeso il Parlamento».

Totò, al secolo principe De Curtis, precisa poi che nella rivista che egli interpreta, mai si soffermò nella satira politica e delle istituzioni democratiche. E gli va dato atto di tutto ciò. L'equivoco nacque per una Interrogazione del deputato democristiano Nello Caserta al Presidente del Consiglio e al Ministro dell'Interno contro alcune battute, riferentesi ai parlamentari, contenute nella rivista «Buon appetito» che a Montecitorio si riteneva interpretata da Totò, mentre, come questi precisa, lo è da Dapporto.

Vittorio Statera, «Nuova Stampa Sera», 21 giugno 1949


Sopra: «L'Unità», 6 agosto 1949 - A destra: «Momento Sera», 8 agosto 1949

1949 08 08 Momento Sera Maschere d argento


Nella festa per l'assegnazione delle «Maschere d'argento» non si sa come un premio toccò a tutti quanti.

Roma, agosto.

Una giuria di giornalisti specializzati ha distribuito sabato scorso le «Maschere d'argento» ai protagonisti dell’arte varia, ni comici, ai musicisti, alle subrette, alle spalle, ai fantasisti, definizioni divenute ormai classiche, serissime. Fu una festa lunga, complicata, che Nino Caprioli organizzò con estrema abilità, mescolando, in una cornice borghesemente mondana, tutti gli elementi necessari alla riuscita di una grossa rivista teatrale. Scelse, a sfondo, la pineta del Foro Italico, che, duramente illuminata di verde, divenne falsa quanto un fondale, e tutto intorno la piscina coperta, i campi del tennis inondati di luna, le attrezzature sportive, il ristorante, il bar, sembravano pronti ad accogliere i quadri intitolati «Ed ora... un buon tuffo!» oppure «Dagli, racchetta mia!».

Totò, esemplarmente vestito da gentiluomo napoletano, recitava con serenità il suo ruolo numero 2, quello di Altezza Imperiale bizantina: non appena si toglie la bombetta o l’armatura, non appena rinuncia all’elaborata balbuzie del suo ruolo numero 1, Totò assume le caratteristiche elegantemente mostruose del riassunto storico, e la sua bazza, cosi utile in scena per esprimere ammirazione nei riguardi di Isa Barzizza, gli riesce preziosa nella vita privata, per stabilire un parallelo con il naso dei Borboni, o il labbro degli Absburgo. Anche Walter Chiari ha adattato le sue mansuete follie, la sua elaborata speltinatura ad apparizioni insomma private: seduto con Marisa Maresca in uno sfolgorante abito verde sull'orlo della pista rotonda dove, dopo il ballo, i premiati si inoltravano per ricevere la «Maschera», Walter Chiari sembrava pronto a recitare uno sketch: invece spari, con la «Maschera», con la Maresca e con modestia, sottraendosi alla piccola esibizione di Ognuno. Il maestro Danzi, Nino Taranto ed Alberto Sordi furono i più applauditi.

Del resto tutti si comportarono benissimo. La giuria aveva mostrato una grande sottigliezza, premiando, pressappoco, tutti, e Macario, ignorato nella sua qualità di attore, fu esaltato nella sua qualità di regista, e le signore si sentirono tutte apprezzate, magari per ragioni insolite, Luisa Poselli, infatti, fu collocala tra le attrici, con Maria Donati e Dolores Palumbo, e, se Marisa Maresca ebbe la «Maschera» di subrette, Isa Barzizza venne «segnalata». Si acclamarono i piccoli Di Stefano, l'anziano Harry Feist, l'assente Cario Dapporto, ed il presente Guglielmo Barnabò: e col passare delle ore, mentre gli spettatori comuni, affaticati, partivano, gii altri, ventili dopo aver recitato nei consueti spettacoli serali, restavano tranquillissimi, freschi, attenti.

Si conoscevano tutti, fra loro, atavicamente, dinasticamente, una serie infinita di stanze ammobiliate, di copioni, di successi, di difficoltà, di matrimoni,di tavole calde, di collane e di polizze, di furori e di passioni, li univa nelle complicazioni tenere delle grosse parentele. Nino Capriati, l'organizzatore, e Mario Riva, il presentatore, provvedevano con continua sagacia ad alternare l’ironia e l'emozione, ugualmente indispensabili: e quando, verso le quattro del mattino, Riva annunciò che un dono di profumi e di dolci sarebbe stato offerto ad una subrettina debilitante, perchè si chiama Ondina di San Giusto, allora tutti capirono che la perfezione era stata raggiunta, con il tocco definitivo, patriottico e familiare.

Irene Brin, «Corriere della Sera», 13 agosto 1949


«Il Piccolo di Trieste», 7 settembre 1949


1949 09 06 Gazzetta del Popolo Toto Foto L

«Gazzetta del Popolo», 7 settembre 1949


«La Gazzetta del Popolo», 7 settembre 1949


«L'Araldo dello spettacolo», novembre 1949


1949 11 23 La Stampa Bada che ti mangio T L

1949 11 24 La Stampa Bada che ti mangio T L

1949 11 24 La Stampa Bada che ti mangio R titolo intro

Pubblico strabocchevole al Teatro Alfieri e applausi che si sono prolungati sino oltre la una e mezza. Insomma dopo lo spettacolo vi è stato un altro spettacolo, anche perché una voce, nell'altoparlante aveva assicurato che vi sarebbe stato il servizio tranviario. Infatti c'era. Se non vi fosse stato la gente sarebbe tornata in teatro a pretendere un terzo supplemento, tanta era la violenza dell'acqua che veniva giù scrosciando.

Totò, dunque, dopo la rivista Bada che ti mangio, quando già aveva quasi esaurito il suo personale e… inesauribile programma, poiché si trovava ad avere tra le mani la bacchetta direttoriale, intonava e faceva intonare al pubblico che lo aveva asserragliato sulla passerella, le canzoni alpine. E allora lo spettacolo, dal palcoscenico, passò in platea ove, gentili e tremebonde vocine di signore, davano lo spunto delle strofe. E la rivista era stata bella, ricca, anzi ricchissima, forse anche stracarica di ricchezza.

1949 11 24 La Stampa Bada che ti mangio foto

Notevole, sotto un punto di vista tecnico il getto dell'acqua sul palcoscenico, lanciato da una fontana monumentale.
L'acqua vera cangiante di colore, sorgente da una dozzina di tubature, si alzava e si abbassava sul ritmo di uno dei più noti ritmi di Gershwin. La sequenza dei numerosissimi quadri, condotta con ritmo veloce e preciso, non ha dato respiro al pubblico che si diletta a tal genere di spettacoli. Oltre a Totò, più che mai lepido e spassoso, specialmente quando indossa il suo caratteristico tight, Lia Origoni, elegante munita di una bella voce e di molta grazia, il Lauri, la Molfesi hanno avuto la loro larga parte di applausi.
Il "fantasista" Campos, di una comicità meccanica irresistibile ha mandato gli spettatori in visibilio. Da questa sera Bada che ti mangio inizia le repliche.

e.q. (Enrico Quaglietti), «La Stampa», 23 e 24 novembre 1949


YVONNE LA NUIT

Distribuzione: 19 novembre 1949

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


1949 11 24 Gazzetta Sera Toto intro

TOTO’, il comico delle « quisquilie » e delle « pinzellacchere », ha ieri sera inventato un nuovo termine, ovvero il nuovo aggettivo sarchiaponico, derivandolo dal dialettale nomignolo napoletano Sarchiapone, cioè tipo goffo, nel fisico e nelle azioni, che è o pretende di essere scaltro ed è invece più tonto che furbo. Naturalmente Totò ha, del suo sarchiaponico, fatto ieri sera stessa, in scena, le prime variazioni possibili: la sarchiaponata (azione da Sarchiapone) e sarchiaponare (verbo). Remigio Paone, partenopeo, è preoccupato: Totò dice spesso la verità, non soltanto sul palcoscenico.

LILIANA DE CURTIS, la sedicenne figlia di Totò, oramai una gentile e bella signorinella, questa volta non è venuta col babbo al debutto torinese. La principessina è rimasta a Roma, con la mamma, nell'appartamento ai Parioli. Ma gli ha scritto: « Caro papà, Natale si avvicina... » ecc. ecc. Totò mostra la lettera con molto paterno orgoglio e con finta apprensione: « Questi figli!... Come costano i figli! ». Totò, di figli, ha soltanto Liliana.

1949 11 24 Gazzetta Sera Toto f1

TOTO', principe di Bisanzio, ha con sè in Compagnia, un conte: l’attore Galeazzo Bentivoglio di Bologna, e una marchesina: la giovanissima, brava e graziosa ballerina Floria Torrigiani, fiorentina. « Meglio bene accompagnati che soli », sostiene Totò.

RUDY, direttore di scena della Compagnia Totò, austriaco calato in Italia con gli Schwartz oltre vent’anni fa, parla la nostra lingua in modo barbaro. Richiestogli il perchè di questa sua inspiegabile pecca, ha risposto: «Cosa volete. Ho sempre a che fare con le straniere ». Totò è intervenuto per dirgli: « Sei sarchiaponico. La verità è che le italiane non vogliono avere a che fare con te ». Evidentemente Rudy non si era spiegato bene.

Il trovarobe, «Gazzetta Sera», 25 novembre 1949


TOTO' CERCA CASA

Distribuzione: 5 Dicembre 1949

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


L'IMPERATORE DI CAPRI

Distribuzione: 7 Dicembre 1949

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film



1949 12 08 La Stampa La vergine di Tripoli T L

«La Stampa», 8 dicembre 1949


«La vergine di Tripoli» è una curiosa mescolanza di favola orientale e di avventura all’americana, una specie di contaminazione fra il «western» e le Mille e una notte, una antologia di pezzi classici dell’uno e dell'altro genere: le danze sinuose di Yvonne De Carlo, le cavalcate d! George Brent, sultani, marinai, tuaregh e palazzi incantati [...] slittando a poco a poco verso la parodia, complice un cammello filosofo e parlante al quale Totò presta i suoi inconfondibili accenti napoletani. [...] II film schiera, accanto ai due protagonisti, una felice accolta di caratteristi.

Arturo Lanocita, «Il Corriere della Sera», 11 dicembre 1949


1949 12 06 La Stampa Bada che ti mangio T L

«La Stampa», 5 e 6 dicembre 1949


E’ attesissimo il debutto di Totò.Il comico che tanto piace al pubblico per domani alla 21, al centro della festosa rivista «Bada che ti mangio» di Galdieri e De Curtis. La comicità travolgente di Totò, lo sfarzo grandioso dei quadri, la ricchezza delle coreografie, l’originalità delle trovate e delle sorprese, costituiscono il massimo coefficiente spettacolare di una grande interpretazione artistica.

«Il Lavoro», 9 dicembre 1949


1949 12 21 Il Lavoro Bada che ti mangio L

«Il Lavoro», 10 e 21 dicembre 1949


TOTO' LE MOKO'

Distribuzione: 17 Dicembre 1949

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


Altri artisti

Articoli d'epoca, anno 1949

29 Giu 2021

La Magnani è gelosa di Ingrid Bergman

La Magnani è gelosa di Ingrid Bergman “Aria di Roma” sarà girato senza il regista Rossellini? Roma, febbraio Le notizie che arrivano dall’America sul viaggio di Roberto Rossellini a Nuova York e a Hollywood hanno portato una certa agitazione nel…
G. Visentini, «L'Europeo», anno V, n.8, 20 febbraio 1949
778
29 Giu 2021

Lady Angelina

Lady Angelina Londra ha quasi perso la testa per Anna Magnani. Londra, aprile Anna Magnani fu accolta a Londra come una regina. Era stata invitata, formalmente, per presenziare alla prima di Angelina, che sostituisce, dopo più di sei mesi di…
Riccardo Aragno, «L'Europeo», anno V, n.15, 10 aprile 1949
684
29 Giu 2021

La Magnani tra i palombari

La Magnani tra i palombari E' un episodio della guerra cinematografica delle isole. Roma, giugno Anna Magnani è partita domenica sul piroscafo «Eolo» per recarsi all'isola di Vulcano dove interpreterà il film che dovrebbe fare la concorrenza a…
«L'Europeo», anno V, n.23, 5 giugno 1949
569
29 Giu 2021

Dentro il vulcano Anna Magnani

Dentro il vulcano Anna Magnani L’inviato di “Tempo” ha scoperto nel volto dell’attrice una piega amara che è segno di solitudine. O forse è il peso del personaggio che Anna rappresenta: una mala femmina che uccide un palombaro per salvare la…
Lamberti Sorrentino, «Tempo», anno XI, n.26, 25 giugno 1949
696

«Il Lavoro», 7 gennaio 1949 - Nino Besozzi


Se Luigi Zampa si è veramente proposto di essere il "regista non conformista" del cinema italiano, sta mantenendo l'impegno con molta puntualità. Nel 1946, con Vivere in pace, attraverso Fabrizi in duemila metri di pellicola sdrammatizzò la resistenza, e fu accusato di aver voluto gettare il discredito sui partigiani e di aver messo in una luce umana persino i tedeschi. Nel 1947, con L'onorevole Angelina, attraverso Anna Magnani risolse a modo suo il problema sociale, e suscitò a un tempo le proteste dei carabinieri e dei comunisti, preoccupati, questi ultimi, che si impostassero senza di loro le questioni che essi considerano di loro competenza. Nel 1948, poi. Zampa ha varato Anni difficili e stavolta le proteste sono state unanimi: partiti e associazioni politiche di ogni genere, fascisti e antifascisti finalmente concordi, hanno proposto di mettere fuori legge il film. Incidenti sono avvenuti durante le proiezioni: una interpellanza alla Camera è stata presentata ma sinora, sembra, senza alcun esito. Intanto, però, i film di Zampa, se preoccupano gli onorevoli, indecisi tra l’applicare i rigori della censura o lasciar correre, piacciono al pubblico italiano, e all’estero, poi, ottengono addirittura le più trionfali accoglienze. come è il caso di Vivere in pace.

II perché di tanto successo tra gli spettatori — nonostante l'ostile accoglienza di una parte della critica — è evidente: nell’arida e talvolta disumana cronaca che domina da quattro o cinque anni a questa parte i soggetti del neorealismo italiano, Zampa ha introdotto per la prima volta la satira. Bisogna riconoscere, se non altro, ai film di questo regista il coraggio che è mancato a troppi seguaci delle nuove correnti del nostro cinema, influenzati per lo più da preoccupazioni estetiche estranee al gran pubblico, ormai stanco per molti segni della troppo fredda aderenza alla realtà. In questo senso, a Venezia, Anni difficili, che ha per sfondo la Sicilia, si presentò subito come contraltare al severo e compassato La terra trema di Visconti. Quest’ultimo aveva un'aperta patente di "film sociale" i suoi personaggi parlavano un linguaggio che il pubblico (anche quello siciliano) non comprendeva: tecnicamente perfetto, il film rimase per lo spettatore un saggio di virtuosismo stilistico. In Anni difficili, dove i personaggi usano l'italiano e parlano un linguaggio ben altrimenti spontaneo, il pubblico riconobbe una parte di se stesso e applaudì, e rise e si commosse.

Piuttosto si può osservare che spesso la satira di Zampa non ha saputo elevarsi al di sopra della battuta comica del dialogo e che — a parte il riuscito personaggio centrale del vecchio Piscitello, il "vecchio con gli stivali" — il film non scalfisce che superficialmente la complessa tragedia del popolo italiano dal 1935 al 1943. Zampa non ha voluto, o potuto, sulla falsariga di Brancati (da un racconto del quale l’opera è tratta) andare fino in fondo. Gli è mancata, a un certo punto, la forza della sintesi, si che la vicenda risulta diluita in differenti episodi di ineguale ”vis comica".

La storia di Aldo Piscitello (interpretato da Umberto Spadaro), il povero impiegato comunale consigliato dal podestà stesso a chiedere la tessera se non vuol perdere il posto, è, dichiaratamente, la vicenda di milioni di italiani. Come loro Piscitello marcia nelle parate, con i pesanti stivaloni e l'orbace, come loro ascolta al gruppo rionale i discorsi dei potenti personaggi del regime, come loro applaude e come loro si vergogna di quegli applausi e di quella uniforme. Come loro trova uno sfogo tra i vecchi antifascisti raccolti intorno al farmacista; ascolta i loro discorsi, sempre i soliti, e si meraviglia che quei signori non abbiano il coraggio, dopo tante belle parole dette sottovoce, di gridare in piazza quel che pensano. Quasi tutte le sequenze di questa prima parte ottengono clamoroso successo d’ilarità. E capita pure, a complemento non necessario, di sentir risuonare la parola di Carobronne, che, se non erriamo, il rivolta in Zero de conduite di Vigo.

Di sfondo alla figura di Piscitello sta quella del figlio, che, come lui, è "quello che paga per tutti'’: eternamente richiamato sotto le armi, non fa politica e rimane vittima alla fine della comune viltà. Nella seconda parte, però, nella quale Zampa sulla deformazione satirica ha tentato di innestare una morale superficiale e lacrimevole, il film perde unità e diviene sciatto. Scoppia la guerra, i vecchi amici della farmacia continuano a mormorare e ad augurarsi la sconfitta e Piscitello assiste a poco a poco alla trasformazione degli antichi padroni e alla caduta del fascismo. Ma la liberazione non gli porta la felicità: egli viene epurato da quel medesimo podestà, ora divenuto sindaco, che gli aveva consigliato, tanti anni prima, di prendere la tessera. E ha finalmente un gesto di rivolta: ai suoi vecchi e nuovi oppressori, riuniti ormai in amichevole colloquio, grida: « Siamo tutti vigliacchi ». Una conclusione amara, troppo amara forse, questa che Zampa ha fatto sua: per attenuarla il regista ha aggiunto un ultimo episodio. La famiglia gli ha venduto l’odiata divisa fascista, e il compratore — un soldato americano — domanda proprio a lui, Piscitello, incontrato per caso, se a duemila lire l’ha pagata troppo cara. « Io l'ho pagata molto di più », mormora il vecchio impiegato; e in questa battuta è rinchiusa ormai una filosofica rassegnazione.

Per il nuovo anno Zampa (che è romano di nascita, ha 44 anni, essendo nato il 2 gennaio 1905, e proviene dal teatro per il quale scrisse tre commedie di cui una dal titolo pirandelliano Ma non è la stessa cosa), ha in preparazione una nuova vicenda destinata a muovere le acque della polemica cinematografica. Si tratta di un film che egli sta girando ad Ischia, dal titolo Campane a martello. storia di una prostituta di Tombolo che ha mandato i suoi risparmi al parroco il quale, a sua insaputa, li spende in opere di bene, e la donna, tornata in paese, vi_è accolta come una pia benefattrice. Come si vede, il programma del regista procede puntualmente e senza perder tempo sul bruciante terreno del nonconformismo.

Angelo Solmi, «Oggi», 9 gennaio 1949


«Domenica del Corriere», 9 gennaio 1949 - Anna Magnani


«L'Unità», 18 gennaio 1949 - Renato Rascel

1949 01 21 La Stampa Renato Rascel«La Stampa», 21 gennaio 1949 - Renato Rascel


«Il Lavoro», 20 gennaio 1949 - Carlo Dapporto, Michele Galdieri, Lucy D'Albert


1949 02 28 Cinema Gianni Franciolini Luigi Zampa f1A Franciolini interessa il problema del matrimonio: col prossimo film, « Anselmo ha fretta », egli ritorna al suo tema preferito.Nel 1944 le domande di separazione coniugale presentate alla Cancelleria del Tribunale di Roma furono 642. Nel 1945 passarono a 1093. nel 1946 a 1268. nel 1947 a 1254, nel 1948 a 1256. Quest’anno, per il solo mese di gennaio, siamo già a 145.

E questo ci ha detto Franciolini mostrandoci un giornale che riportava la statistica — questo senza contare le separazioni di fatto e i delitti fra coniugi di cui sono piene le cronache. Ho dunque torto se considero il problema del matrimonio uno de.i più acuti e importanti dell'epoca che viviamo?

Gianni Franciolini è come affascinato da questo problema. E non da oggi soltanto. Nel 1942 scrisse un soggetto. Viviamo, che già indicava tale suo orientamento; ma in quel soggetto che fu tre volte sul punto di essere realizzato e tre volte rinchiuso in un cassetto, il problema era visto dall'esterno, quasi come conseguenza di un destino che rende impossibile a due esseri la felicità del vivere in comune.

Fu con Amanti senza nome (1947) che Franciolini affrontò decisamente il tema del matrimonio. Com'è noto, la storia di quel film era derivata da La sonata a Kreutzer di Tolstoi e. in sostanza, voleva significare che certi matrimoni finiscono tragicamente perché nascono dall'equivoco del l'attrazione sessuale scambiata per amore. E senza amore non si può vivere insieme, ogni più futile motivo di dissidio diventa causa di una sempre crescente e insuperabile divisione. (Amanti senza amore non ha avuto molta fortuna, né con il pubblico né con la critica. « Avrò sbagliato — dice Franciolini.

ma perché nessuno ha rilevato l'importanza del tema? Sono sempre convinto che Amanti senza amore meritava di più. Comunque, è stata, purtroppo, una battaglia del film psicologico perduta »).

Anselmo ha fretta — il soggetto di Zavattini che Franciolini sta sceneggiando con Steno. Monicelli. Pietrangeli e lo stesso Zavattini — ci ripropone, su un piano non più drammatico ma divertente, la questione del matrimonio Anselmo ha fretta di sposarsi. E' una leggerezza sposarsi in fretta: c Anselmo se ne accorge subito, la mattina stessa del matrimonio Una serie di incidenti mettono immediatamente a nudo le già esistenti ma ignote ragioni di contrasto. Le mettono a nudo e le risolvono, dopo aver provocato addirittura la separazione E' solo allora, quando Anseimo e sua moglie hanno sanato le punte di disaccordo e si ricongiungono, che la vita matrimoniale ha il suo vero inizio. In questo caso, dunque, a differenza che in Amanti senza amore, c'è una risoluzione positiva del problema, un'evoluzione ottimistica, se vogliamo; ma, d'altra parte, fossero due o diecimila le separazioni coniugali, ci sono anche centinaia di migliaia di sposi che non si separano o che non sciolgono tragicamente il loro legame. Ma io dico: è di questi che dobbiamo occuparci o di quegli altri, siano pure poche migliaia, che per una ragione o per l'altra non riescono a fondersi e ad essere felici? Il mio non è moralismo ma è interesse per l’uomo, per le sofferenze dell'uomo. Un giorno vennero da me dei produttori a propormi un film musicale sulla vita di un grande musicista di cui non nn dissero il nome. Io risposi che non avevo niente in contrario a fare un film musicale, purché quel grande musicista fosse un essere con una sua sofferenza umana, con un suo travaglio, e non un semplice collezionista di successi. Sarebbe stato un film facile e non accettai perché il film facile non m'interessa E se oggi io sono attratto dal problema del matrimonio è perché sento quest'ansia degli uomini di vivere insieme e questa pena, fatta di errori, di incomprensioni. di leggerezze, di diffidenze, di sbandamenti. che li separa e tuttavia li spinge a cercare l'amore.

Anselmo ha fretta, che sarà prodotto da Baccio Randini per la Lux. e interpretato da Gino Cervi, avrà inizio a maggio. Ma già Franciolini scorazza per il Lazio alla ricerca del paese in cui dovranno vivere Anseimo e la sua sposa.

Non si capisce bene se le discussioni provocate da Anni difficili facciano, a Luigi Zampa. piacere o dispiacere. Genericamente egli si limita a lamentarsi che l'esame del contenuto politico di quel film abbia preso a volte il sopravvento su quello del contenuto artistico e che, nella maggior parte dei casi, lo abbiano osannato o crocifisso secondo una visuale di opportunismo politico. Si. una certa reazione in questo senso Zampa se l'aspettava mentre lavorava al film: che si scomodassero le direzioni dei partiti politici e che si facesse un'interpellanza al Senato non l'aveva mai pensato.

Ma la spina di Zampa non è questa: altre opere polemiche prima della sua hanno avuto, in altri Paesi, sorte non dissimile. La spina di Zampa é la critica italiana, o meglio quella parte della critica italiana che giudica e manda senza motivare i suoi giudizi. Del pubblico è soddisfatto, il pubblico lo segue, i suoi Alni incassano; ma questo a Zampa non basta La nostra critica, in genere, non gli è favorevole Ai suoi giudizi negativi e a volte acri, egli contrappone i giudizi della critica straniera positivi, ampi e cordiali.

1949 02 28 Cinema Gianni Franciolini Luigi Zampa f2Le polemiche suscitate da «Anni difficili» fanno o no piacere a Zampa? Comunque il regista dichiara che la sua "spina è la critica". Il prossimo film di Zampa sarà «Guardie e ladri»

- Per alcuni nostri critici - egli ha detto sono press'a poco un pallone gonfiato; per i critici stranieri sono un grande regista, uno degli esponenti del nuovo cinema. Ma passi: questo può dipendere da particolari condizioni psicologiche che portano, per lo stesso motivo. a reazioni diverse. Non posso invece accettare certi giudizi sbrigativi di cui sono gratificato. Io ho molto rispetto per la critica, la considero collaboratrice necessaria al nostro lavoro di registi, utile a segnalarci difetti o ad incoraggiarci là dove meritiamo. Ma quando si è lavorato un anno intorno a un film si ha il diritto di essere giudicati con attenzione e. quando si è sbagliato, di sapere « perché » si è sbagliato.

Zampa, difatti, non fa più di un film all'anno. Dal 1945 ha realizzato Un americano in vacanza, Vivere in pace. L'onorevole Angelina, Anni difficili. Ora sta completando il montaggio delle versioni italiana e inglese del suo ultimo film. Campane a martello, mentre sceneggia con Vitaliano Brancati ed Ennio Flajano Guardie e ladri, un soggetto di Piero Teliini. (A un certo momento si era parlato di un film Anni facili, sèguito di Anni difficili, ma Zampa ha preferito abbandonare il progetto).

— Guardie e ladri — ci ha spiegato Zampa è la storia d'una guardia e della sua famiglia e d'un ladro e della sua famiglia. La guardia si lascia scappare il ladro e deve ritrovarlo. altrimenti Anisce sul lastrico. La suà famiglia lo aiuta e, durante la ricerca, viene a contatto con la famiglia del ladro. Una storia attuale, di sapore critico, risolta sul piano umano. quello, per intenderci, di Vivere in pace. per esaminare, al di là della maschera costituita da una professione, il contenuto intimo degli uomini che lottano per la vita. In fondo, sono queste le storie che mi piacciono e mi interessano di più.

Per gli interpreti. Zampa pensa alla Magnani per la parte della moglie della guardia e a Peppino De Filippo per la parte della guardia Peppino De Filippo è considerato preferibilmente attore farsesco; ma in Guardie e ladri non dovrà essere tale. Intendo sfruttare la sua capacità di rendere un personaggio vero, con sfumature che non interessano il farsesco ma il satirico e all'occasione il comico.

— Come appare chiaro, continua Zampa, non si tratterà di un film neorealista. Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione. Come tra fotografia e pittura questa sola ha le caratteristiche dell'arte.

Dom., «Cinema», anno XXI, n.43, 28 febbraio 1949


1949 02 04 Il Lavoro Alda Mangini

«Il Lavoro», 4 febbraio 1949 - Walter Chiari, Galeazzo Benti, G. Barnabò, Alda Mangini


a sin.: «La Stampa», 29 gennaio 1949 - Walter Chiari, Galeazzo Benti, G. Barnabò, Alda Mangini



Le riprese inizieranno nell'isola di Stromboli in aprile. La produzione, per la parte americana è finanziata dalla R.K.O.

NEW YORK, febbraio

I giornali hanno smentito quanto era stato annunciato con grande rumore appena due settimane addietro, il 3 febbraio, otto giorni dopo l’arrivo di Roberto Rossellini in Hollywood. Com’è noto, il regista di Paisà era qui giunto il 15 gennaio per invito del «National Board of Ilewie of Motion Pictures» e per la consegna ufficiale del premio conferito appunto a Paisà quale miglior film straniero presentato sugli schermi americani nel 1948. Ma Rossellini doveva pure incontrarsi con Ingrid Bergamun, che molto tempo fa aveva espresso il desiderio di partecipare ad un film diretto da Rossellini, Il quale aveva accettato con entusiasmo l’offerta della grande attrice svedese concretandola in un soggetto originale, scritto apposta per lei e ambientato nella piccola isola di Stromboli. Prima dell’arrivo di Rossellini, i giornali americani avevano anche pubblicato la notizia che un accordo era stato raggiunto oltre che sul piano artistico anche su quello economico: infatti il film sarebbe stato prodotto da Rossellini, dalla Bergman e da Ilya E. Lopert, che avrebbe avuto anche la distribuzione per gli Stati Uniti. Si parlò addirittura di una Società, appositamente costituita per la produzione di questo film, chiamata «Anna Corporation» o qualche altra cosa del genere con evidente riferimento alla Magnani, che avrebbe pure preso parte al film. Prima di recarsi a Hollywood, dove lo ha accompagnato Lopert, Rossellini mi ha dichiarato che il suo incontro con la Bergman aveva lo scopo anzitutto di definire il lato artistico della sua nuova produzione.

1949 02 28 Cinema Roberto Rossellini f1Hollywood. La Bergman a colloquio con RosselPni. L'attrice arriverà a Roma a metà marzo.

Come ho detto prima, il 3 di questo mese i giornali pubblicarono che in Hollywood era stato raggiunto l’accordo tra la Bergman, Samuel Goldwin, Rossellini e il suo associato Lopert, non solo per produrre un film in primavera in Italia ma anche per un secondo film che Rossellini avrebbe diretto In Hollywood. L'annuncio era stato dato direttamente dai tre associati, attrice, produttore e regista, nel corso di una conferenza stampa, specificando che il film sarebbe stato prodotto e diretto da Rossellini e presentato da Goldwyn, che il film sarebbe costato tra i 500 e i 700 mila dollari, e che al regista (ben noto per la sua assoluta indipendenza di lavoro) sarebbe stata lasciata ogni libertà. A questo proposito Rossellini dichiarava ai giornalisti americani ed ai rappresentanti della stampa estera che, in quanto al suo debutto americano, aveva dovuto soccombere alle blandizie del produttore Goldwyn che garantiva di lasciargli quella autonomia artistica che egli aveva sempre chiesto.

iMa dopo pochi giorni, giu negli ambienti cinematografici correvano voci di dissensi tra Golwyn, Rossellini e Lopert. Il ritorno di quest’ultimo in New York, senza Rosselli-ni, a la prolungata permanenza di questi ad Hollywood, confermavano le supposizioni di una rottura dell’accordo. Infatti si veniva a conoscenza che Lopert era stato messo fuori dalla combinazione e rimborsato di ogni spesa sostenuta precedentemente in merito ad essa. Oggi la smentita è ufficiale. Sam Goldwyn ha dichiarato che non parteciperà più alla produzione del film; d’altra parte, la «Music Corporation of America», che è la maggior agenzia artistica americana che rappresenta Miss Bergman, ha comunicato che Mt. llya E Lopert non è più associato a questa produzione con l’attrice.

Né Goldwyn né la «M.C.A.. hanno voluto dare le ragioni della rottura dell'accordo; dal canto loro, hanno mantenuto un pieno riserbo sia la Bergman che Rossellini e Lopert. Da personali inchieste ho, intanto, potuto apprendere quanto segue; che il principale motivo del disaccordo è stato di carattere finanziario, con Lopert prima e poi con Goldwyn. Questi, in seguito, dopo aver concesso piena indipendenza artistica a Rossellini, ha cominciato a parlare di supervisione, e tutti sanno che é argomento spinosissimo da trattare con Rossellini. Egli rifiutò già un contratto con Selznik appunto perché non gli lasciavano quella assoluta indipendenza cui é uso in Europa.

Ciò che è rimasto in piedi è l’intesa tra la Bergman e Rossellini. A mezzo della «M.C. A.» l’attrice e il regista hanno già trovato un sostituto di Goldwyn : la RKO. Questa casa parteciperà alla produzione del film che si inizierà in aprile, come fissato, nell’Isola di Stromboli, e ne curerà la distribuzione. Rossellini partirà tra una settimana in aereo per Roma, la Bergman lo raggiungerà tra quindici giorni.

Francesco Callari, «Cinema», 28 febbraio 1949



1949 04 08 «Reggio Democratica», 8 aprile 1949 - Virgilio Riento


«La Voce Repubblicana», 1 maggio 1949 - Aldo Fabrizi


«Il Piccolo», 14 maggio 1949 - Lucy D'Albert e Carlo Dapporto


Diego Calcagno, «La Settimana Incom Illustrata», anno II, n.24, 11 giugno 1949


Roma,25 giugno.

La «soubrette» Isa Barzizza é rimasta ferita fortunatamente in modo non grave, mentre viaggiava a bordo di un’automobile guidata dal proprietario del teatro Adriano, Nino Amato. L’Incidente è avvenuto tra Formia e Fondi e i due passeggeri erano diretti a Roma provenienti da Napoli. Improvvisamente. per cause non ancora precisate, la macchina dell’Amato é cozzata contro una grossa automobile di marca americana guidata da un brasiliano. Per effetto del violento scontro, i due veicoli hanno paurosamente sbandato: la macchina del due italiani é finita proprio sull’orlo di un burrone.

Nell’incidente, la «soubrette» e il suo accompagnatore sono rimasti lievemente feriti.

«Corriere della Sera», 25 giugno 1949


Ilario Fiore, «La Settimana Incom Illustrata», anno II, n.33, 13 agosto 1949 - Remigio Paone



1949 11 25 La Stampa Macario Isa Barzizza L

«La Stampa», 22 e 25 novembre 1949 - Macario e Isa Barzizza


Figlio del geniale don Eduardo, Vincenzino fu un vero enfant prodige. Imitazioni di una stella dell'epoca e successi enormi

Come nel tempo si sprofondano e si annullano le cose! Chi avrebbe mai ricordato che Vincenzo Scarpetta, il degno seguace del geniale don Eduardo, creatore singolarissimo della comicità di Felice Sciosciammocca, fosse stato il prototipo del macchiettista apparso alle ribalte napoletane? Macchiettista. propriamente, nel significato che ne dava il Caffè-concerto di allora non lo si sarebbe detto, non essendoci ancora la macchietta, cioè quel generi di canzonetta parlata, satirica, a doppio senso, e non eseguendo il piccolo Vincenzino di otto anni — Sciosciammocca in miniatura — che delle specie di cavatine, scrittegli espressamente da suo padre; il quale si piaceva pure di truccare personalmente Il suo legittimo erede in erba, appunto, da Felice, cosi come si sarebbe divertito, questa volta non senza emozione, ad abbigliare e colorare un bamboccio.

E mi raccordano che la primissima sera proprio quella del varo, da la... banchina del teatro «Rossini» — nella qual sera il ragazzino si vide camuffato, fu tale la sua gioia che, finito il suo entusiasmante numero, in camerino non si voleva più svestire; e non si svestì. Così conciato, con la sciassetella e il rosso alla punta del nasino, come un sigillo di ceralacca volle andare a casa, e voIle andare a letto: cosi vestito. Si addormentò vicino al suo papà, come il figurino, in piccolo, del grande comico.

Nell'86 Edoardo Scarpetta scrisse Miseria e Nobiltà, per utilizzare nella sua Compagnia il prodigioso rampollo, che allora aveva nove anni, e già diventava l'indimenticabile ragazzo della popolarissima cantilena: Vicienzo m'è paté a mme... Ma da i tredici a i diciott'anni, essendo grande per rappresentare i piccoli e piccolo per rappresentare i grandi, studiò musica: e la sua natura, proprio quella di un fanciullo prodigio, gli permise facilmente. non solo di leggere a pianoforte, ma, in seguito di adattare commenti musicali a quasi tutte le Riviste scritte dal padre.

A vent'anni al «Fiorentini», dopo la commedia, si presentava nell'arguta ed audace imitazione di Eugenie Fougère, sfolgorante Etoile de Paris, che allora si sbrigliava al «Salone Margherita», dal quale, ogni sera, dopo che gli ammiratori l'avevano tanto sospirata e festeggiata, andava lei ad applaudire, con le sue manine luminose, da un palchetto del «Fiorentini», la sua incredibile in incarnazione, per giunta, fatta da un uomo, attore brillantissimo pieno di versatilità, e possibilità, nella gonna breve e palettata di una diva profusa di anguillanti seduzioni con pronuncia montmartroise. Eppure tutto parea che fosse della Stella, per una suggestiva imitazione perfetta; ma una sola cosa era sua realmente: i gioielli, che ella prestava ogni sera al temerario decolté del suo impertinente imitatore. Che più tardi, perdeva la testa anche per... Fregoli. Entusiasta e multiforme com’era volle cimentarsi ancora in un'ardua imitazione; quella del diabolico trasformista. Onde attrezzato di un vestiario fulmineo ed a sorpresa. meravigliò il «Bellini», non si sa più per quante sere consecutive. In una di quelle, affollatissime, una bella signora, fine, bionda, occhi gentili, pagò il palco cento lire (a quell'epoca) per bagarinaggio, allora praticato sfacciatamente da 1imammamia a gli spettacoli eccezionali. Dicono che la dama, dal velluto cremisi del palco, applaudisse tutta scintillante, le pupille incantate, come quelle di una bambola: era la amante di Fregoli, che però non volle conoscere Vincenzino; chi sa perchè? Doveva essere molto sensibile.

La scena commovente fu quando una sera Eduardo Scarpetta, prima che il sipario si levasse su la commedia Tettilo Bebé, presentò al pubblico suo figlio che, per la prima volta, vestiva il ruolo paterno di don Felice Sciosciammocca. Don Felice il vecchio si approssimava all’addio. E quando si congedò da la scena divenne come l’assiduo abbonato al palco lettera del teatro in cui, a capo de l’antica Compagnia, recitava suo figlio; il quale ancora rammenta con che trepidazione giuncava la sua parte, con l’immancabile maestro in teatro, che ne l’intervallo di ogni atto andava in palcoscenico a fare i suol rilievi severi e autorevoli. Ma a la prima di 'A cammarera nova (fu tanto raro il caso che Vincenzino non lo dimenticò mai più) alla abituale incontentabilità del genitore successe finalmente un moto d'entusiasmo in cui abbracciò il figlio esclamando: «Questa sera mi hai rubato il respiro!».

Poi don Eduardo si ammalò a Napoli — Vincenzino recitava a Roma con la Compagnia, e quella sera, a fine spettacolo, gli fecero capire che suo padre «era grave». Egli ancora accaldato di scena e impiastricciato di trucco si precipitò alla Stazione ove per un capello riuscì ad aggrapparsi al treno semovente di mezzanotte e venti, in partenza per Napoli. Giunse a l’alba al palazzo di via del Mille. Il Grande Ufficiale giaceva livido, le palpebre appannate parean di cera. Papà!... Papà!... Song'io. So' Vicenzino.... Aprì a stento l'occhio che si velava di opaco. — Papà!... — si... te... cunosco... Tu si’ ’o figlio mio fatiatore.... E la ribalta della risata si spegneva; e si accendevano le candele del nulla...

Francesco Cangiulo, «Il Tempo», 5 dicembre 1949