Il teatro di Totò: dal 1915 al 1927



1913-1914

Debutta nei teatrini della periferia napoletana con lo pseudonimo di "Clerment" (francesismo del cognome della madre Clemente), che manterrà almeno fino al 1915.

1915

Prima "Clerment", poi Totò "emulo di De Marco" viene citato per la prima volta dai quotidiani e periodici dell'epoca. Si esibisce nel teatro "minore" come generico in compagnie con maschera e assolo in numeri di varietà/cafè-chantant. Le compagnie erano generalmente di estrazione partenopea (coi personaggi di Pulcinella e Sciosciammocca) e talvolta romanesche ("masticabrodo" e altre maschere). La necessità di alternare nei generi derivava principalmente dal portare a casa qualche lira, poi per imparare il "mestiere".

Totò abbraccia quindi il "varietà", inteso come genere teatrale meglio organizzato e diverso da quello inteso oggi.

Febbraio-Marzo, Roma. Viene segnalato come "Clermont" o "Clermant" dal quotidiano «Il Messaggero». Tra pochi mesi il nome d'arte cambierà in Totò
Una breve recensione, una delle prime in assoluto, è del periodico specializzato "Cafè Chantant" del maggio 1915 e riferisce di Totò come "degno emulo di De Marco", stavolta allo Statuto di Roma.
Sala Statuto, Roma. Totò «comico esilarantissimo» («il Cafè Chantant», a. XX, n.20, 26 ottobre 1915)

Antonio è presente anche all'Orfeo, al Trianon e altri teatri napoletani. Partecipa agli spettacoli organizzati da Mimi Maggio, padre di Beniamino, Dante, Rosalia e Pupella.


1916

Si esibisce al teatro Statuto di Roma con numeri acrobatici e imitazioni di Gustavo De Marco. Recita a Napoli, al Trianon, Orfeo e altri teatri non meglio precisati, in spettacoli di Domenico Maggio e macchiette dal repertorio di Peppino Villani
Sala Statuto, Roma. «La compagnia comica napoletana con la nota maschera del Pulcinella Giulio Balzano costituisce la delizia dei molti habitués, i quali applaudiscono alle buone risorse di Totò, degno emulo di Gustavo De Marco e ai restanti numeri femminili» («il Cafè Chantant», a. XX, n.9, 11 maggio 1916).

1917

Si ispira alle macchiette di De Marco ed è presente a staccate al Teatro Diocleziano e al Salone Elena di Roma, per un varietà dell’impresario Eduardo D’Acierno. Recita in Sala Napoli di piazza Carità con la compagnia di Francesco De Marco detto 'Nfru. E' il 1919 quando alla Sala Napoli presenta la sua versione della parodia Vipera, celebre brano di E. A. Mario (1917-1919)
Salone Elena, Roma, febbraio: «Gustavo De Marco, pardon, imitazione particolare eseguita da certo Totò, e, dicono, esageratissima [...] A terminare il varietà ci apre la stabile Compagnia De Marco “nfrù” [si tratta di Francesco De Marco, che faceva impazzire il pubblico con questo verso, che ne costituiva la “sigla” degli spettacoli e a volte sostituiva il suo stesso nome] sempre eclatante, sempre applauditissima» («il Cafè Chantant», a. XXI, n.2, 5 febbraio 1917).
«Il Messaggero», Febbraio-Aprile 1917. Altre esibizioni nei teatri minori di Roma
Teatro Diocleziano, Roma, settembre, lo troviamo segnalato come comico. («il Cafè Chantant», a. XXI, n.18, 11 settembre 1917)

Si riapre il fondale sul tradizionale fondale di giardino. La scena è vuota, l’orchestra continua la sua marcia. Ad un tratto, preceduto da un potente colpo di grancassa, entra in scena [...] il comico Totò. Egli si esibisce in una danza meccanica: i suoi arti si snodano come quelli di un burattino in movimenti precisi, ritmati dai colpi della grancassa. Mano mano questi movimenti si accelerano, ogni parte del suo corpo è in convulsione, sembra una girandola vivente che attraversa il palcoscenico come una meteora. Ad un colpo più forte della grancassa il corpo dell’attore si arresta di botto appiattendosi contro un pilastro della scena. Da tutta la sala prorompe un urlo di gioia e lo scroscio di un lungo e nutritissimo applauso.

"Primo incontro con Totò", Umberto Onorato, La fiera letteraria, 1 settembre 1966


Avevo diciassette anni e guadagnavo tre lire per sera. Più che dare vita a un personaggio dovevo fare il contorsionista. Ebbi l’idea di far sottolineare ogni mossetta dal crepitare della batteria: il mio fantoccio dinoccolato, con le braccia, le gambe e la testa che si muovevano con scatti isterici, ebbe un successo incredibile. Tutti i ragazzini delle borgate accorrevano ad applaudirmi, e a sentire quegli applausi e quelle risate orgogliosamente pensavo: questo è il successo, più di così non si può ottenere.

Antonio de Curtis, Vorrei sposare Franca in chiesa, Maurizio Cherici, "Oggi", 17 settembre 1964


1918-1919

Dicembre 1919, Roma, Teatro Jovinelli. Totò è in scena per la prima volta con il pugile Oddo Ferretti, boxeur peso medio: ne uscirà fuori un comicissimo sketch che entusiasmerà il pubblico.

Risalirebbe al 1918 il suo primo ingaggio alla Sala Napoli, sita in piazza Carità e appartenente al ragionier Occhiuti, in una compagnia della commedia dell’arte il cui capocomico era Francesco De Marco (non parente di Gustavo), soprannominato ’Nfru a causa del suono emesso dalla sua caccavella, uno strumento a bocca in genere usato per la festa di Piedigrotta.

Succedeva ogni sera che il pubblico ridesse spontaneamente quando Totò, per qualche motivo, si muoveva, finendo per far passare in secondo piano la recitazione di ’Nfru. Alla fine questi una sera si rivolse al pubblico in sala e, in un tono tra lo scherzoso e il serio, minacciò: «O esce chisto o me ne vagh’io». Naturalmente il pubblico esplose in una risata ancora più incontenibile, ma qualcuno, per assecondare il capocomico, da dietro le quinte afferrò Totò per la giacca e lo trascinò fuori del palcoscenico, venne scacciato il giorno dopo. Più o meno nello stesso periodo, fu assunto senza contratto ancora una volta all'Orfeo di Napoli dalla modestissima compagnia di Mimi Maggio, in una sceneggiata ideata dallo stesso capocomico, che, secondo la moda del vaudeville francese, drammatizzava sulla scena la canzone Pupatella, di Bovio e Buongiovanni.

Sappiamo che i ruoli per i quali veniva scritturato Totò in questo periodo, come dimostra l’episodio di ’Nfru, erano sostanzialente riconducibili a quelli del mamo (a Napoli chiamato ’o mametto)


Sul palcoscenico dell’Orfeo di Roma, si presentò per la prima volta al pubblico del varietà, nel 1918, aveva 17 anni e un repertorio limitatissimo che culminava con "Fifirino”, una macchietta insegnatagli da Gigi Pisano. Pisano, che è uno dei più noti autori di canzoni comiche napoletane, aveva preso a cuore quel ragazzetto magro, dalle articolazioni snodate, il quale trascorreva tutte le sue serate in una sedia di platea al Diocleziano, un teatrino che il piccone ha cancellato da tempo dalla pianta di Roma. Pisano intuì che Totò avrebbe potuto imitare con successo uno dei maggiori comici dell’epoca, Gustavo De Marco, un uomo di caucciù, il quale, su musiche galoppanti come cavalli, cantava lunghe tiritere da mozzare il fiato : era un bene che le parole” delle sue macchiette, sommerse da ondate di note fragorose, non giungessero tutte al pubblico: anche gli spettatori più smaliziati avrebbero avuto di che arrossire, tanto erano piene di doppi sensi forti come un bicchiere d’acquavite.

Ma il successo di De Marco era affidato più che alle parole alla mimica da contorsionista : e i bis si succedevano ai bis nei teatri popolari. Totò incominciò la sua camera imitando De Marco per tre lire serali : e dopo qualche mese il suo successo era già superiore a quello del suo ispiratore. Gigi Pisano aveva visto giusto : dotato di un non comune senso della comicità, fornito di un finissimo intuito, Totò sentiva ogni sera ciò che il pubblico voleva da lui. E pian piano incominciò ad allontanarsi dalla falsariga tracciata da De Marco e a portare alle sue macchietta varie innovazioni.

La prima di queste innovazioni fu l'accompagnamento orchestrale : prevenendo la musica jazz, Totò diede enorme importanza alla batteria. Era il batterista il suo migliore «compaire»: e accompagnava opreveniva, con assordanti colpi di cassa e di piatti, i suoi buffi contorcimenti, le sue danze fatte di scatti e di saltelli.

Dall’Orfeo il nuovo comico passò al Diocleziano, in Via Nazionale, con una paga di poco superiore a quella che percepiva nel teatrino di Piazza Vittorio: quante volte, seduto nelle ultime file di sedie, non aveva sognato di prodursi su quel palcoscenico? Il sogno, ora, s’era trasformato in realtà; e il suo nome, "Totò”, figurava a lettere di scatola sul manifesto affisso alla porta del locale.

Ma era pur sempre un localetto di quart’ordine, il Diocleziano: non era la Sala Umberto nè il Salone Margherita dove le «vedettes», le stelle italo-napoletane, i «fini dicitori» mietevano successi di cassetta e successi mondani. Né poteva aspirare ad imo di questi locali di lusso il comicuccio che dal Diocleziano passò, qualche mese dopo, alla Sala Elena, un altro teatro popolare che sorgeva in Prati. Alla Sala Elena si produceva in quell’epoca una compagnia drammatica, la Compagnia Capece-Pensa-Ricciardelli, che ad un pubblico alla buona spremeva lacrime grosse come chicchi di grandine con drammoni in costume e tragedie ad episodi. A sipario abbassato, tra un atto e l’altro, fra un duello e un omicidio, si produceva Totò, a cui l’impresa aveva affidato il compito di sollevare un po’ il morale degli spetta [...]

Gaetano Curatola, «Settimo Giorno», anno V, n. 3, 17 gennaio 1952



1920

Alcune foto pubblicitarie lo segnalano ancora a Napoli (Sala Napoli e Trianon) con un repertorio di macchiette. Il periodico «il Café Chantant» ne segnala inoltre la presenza al Teatro Ambra Jovinelli.

Una foto pubblicitaria (probabilmente la prima in assoluto) di Totò ventiduenne impegnato a Napoli con il proprio repertorio di macchiette annuncia che
ripropone «meglio dell’originale» i balletti allucinanti di Gustavo De Marco («il Cafè Chantant, a. XXIV, n.1 e 2, 12 gennaio 1920).

Totò è in scena ancora a Roma nella seconda metà del 1920
Aurora, Roma, novembre: «All’Aurora c’è Totò, e tanto basta perché gli incassi siano triplicati» («il Cafè Chantant», a. XXIV, n.18, 9 novembre 1920)

1921

Roma, Aprile - Agosto 1921. E' nell'agosto del 1921 che Totò, con i continui successi alla Sala Umberto I di Roma
sale alla ribalta come "vedette" del genere varietà, concludendo sempre gli spettacoli con i suoi numeri.

Risale al 1921 anche un’altra macchietta, intitolata Cristoforo Colombo, contenente una forte espressione volgare, che prendeva in giro il grande navigatore genovese. Totò - vestito con un paio di pantaloni verdi, una giacca blu con collo bianco e un cappello con le piume - attraversava la scena trascinandosi dietro con una cordicella una barchetta di cartone, poi ancora una volta si accostava al proscenio, fissava il pubblico e infine diceva con calma: «Quel Cristoforo Colombo mi è proprio simpatico. Era un grand’uomo, eppure non fu capito. Per procurarsi tre caravelle fetenti faticò come un mulo e nessuno mi toglie dalla testa che per ottenerle sia stato costretto pure a scoparsi la regina di Spagna. Che s’ha da fa’ pe’ scopri’ l’America».

C'è traccia di un’altra macchietta, di cui però ignoriamo il titolo, tutta centrata sulla caricatura di quelle persone che hanno la mania dell’eleganza: l’attore entrava in scena vestito in modo molto raffinato, in smoking e cilindro, con i capelli imbrillantinati e la camicia inamidata, portando con sé un attaccapanni e una cappelliera dalla quale, serissimo e con fare misterioso, tirava fuori dei veri e propri stracci, che mostrava al pubblico come se si fosse trattato di stoffe preziose, determinando, a causa del contrasto, un’esplosione di risate travolgenti.

Una cosa importante da sottolineare è che in ogni replica Totò non ripeteva mai le stesse battute, ma recitava a soggetto, secondo l’estro del momento, come aveva appreso dalla commedia dell’arte.


1922

«[Totò] fu scritturato per la prima volta nel 1922 a Roma nella compagnia dell’impresario Umberto Capece come “straordinario”, e cioè come elemento da usare solo sporadicamente e senza alcun compenso [...] Il capocomico, secondo lo schema della Commedia dell’Arte, prima dello spettacolo radunava gli attori facendo una generica prova che lasciava ampio spazio all’improvvisazione [...]». Nel frattempo all'Apollo debutta con grande successo Liliana Castagnola e si esibisce il cabarettista futurista Rodolfo De Angelis, mentre al Valle trionfa Petrolini.
A Roma, al Cinema Teatro Salone Elena, viene scritturato come straordinario dall’impresario Umberto Capece per alcune pulcinellate. In seguito, altro breve periodo con la compagnia di Francesco De Marco, teatro Diocleziano. Debutto al teatro Ambra Jovinelli con un repertorio di macchiette tra le quali Il bel Ciccillo, Paraguay, Se fossi ricco, Cane e gatto, Il gagà, Otello, Biondo corsaro.
Salone Elena, Roma, dicembre: «Oggi grandiosi spettacoli con Totò, Dorange, Duo Palmes, Dina Dini, ecc.» («Il Messaggero», Roma, 10 dicembre).

1923

Esibizioni al teatro La Fenice di Roma, al Trianon e al San Martino di Milano, al teatro Maffei di Torino (1923)
Teatro La Fenice, Roma, dicembre: è presente nella serata d’onore del professor Magno Occultis «che ha preparato nuovi numeri di suggestione. Vi sarà l’intervento di vari dottori che controlleranno detti esperimenti. Inoltre debutto della Stella dicitrice Parva Favilla. Continuato successo del comico Totò, dell’eccentrica Cherubini,..» («Il Messaggero», Roma, 18 dicembre).

Ambra Jovinelli, Roma: «[...] Totò debuttò con tre macchiette di Gustavo De Marco, Il bel Ciccillo, Vipera e II Paraguay con grande successo. Il pubblico lo applaudì calorosamente gridando per incoraggiarlo: “Sei meglio di De Marco!”». In realtà risulta allo Jovinelli già nel 1920.

1924

Dal 3 all'8 marzo Totò è di scena a Parma al Teatro Centrale. Così la Gazzetta di Parma del 6 marzo 1924

Esibizioni alla Sala Umberto di Roma con la Primaria Compagnia Ungherese e Diana Mac Gill. Esibizioni nei più importanti varietà italiani.


Sala Umberto, Roma, dicembre: Totò viene segnalato come comico "coutchone". Insieme a lui si esibiscono la Primaria Compagnia Ungherese e Diana Mac Gill, «artista d’eccezione». Diana Mac Gill in quegli anni recitava spesso in un programma di liriche futuriste testi di Marinetti e Palazzeschi.


«[... ] E a quel punto Totò capì di non avere scelta: strinse la mano a Pasqualino per farsi coraggio e si consegnò al pubblico della Sala Umberto. Era molto diverso da quello chiassoso e maleducato del Teatro Iovinelli, ma alle macchiette del debuttante reagì alla stessa maniera; applausi e richieste di bis seguirono le sue esibizioni ne II bel Ciccillo, in Vicolo, parodia della famosa canzonetta Vipera, ne II Paraguay».


1925

Esibizioni nei più importanti varietà italiani. Scritturato dall'impresario Achille Maresca (1924-1927)


Al Verietà Maffei di Torino debutta con enorme successo Totò, comico esilarantissimo.

1926

E' presente a Trieste dal 7 al 12 maggio in avanspettacolo al Teatro Fenice. Esibizioni nei più importanti varietà italiani. Scritturato dall'impresario Achille Maresca (1924-1927)

Sala Umberto, Roma, novembre-dicembre: gli ultimi giorni di novembre, alla Sala Umberto, Totò è annunciato all’interno di un programma mondiale, che comprende fra l'altro una jazz band: «Il nuovo programma è giudicato dal pubblico che affolla seralmente la Sala Umberto I il più vario e divertente con Totò che fa far buon sangue con la sua irresistibile comicità [...]» («Il Messaggero», Roma, 28 novembre). Man mano che le serate si susseguono gli aggettivi incalzano fino a qualificare Totò come «il comicissimo dei comici grotteschi».

1927

Esibizioni nei più importanti varietà italiani. Scritturato dall'impresario Achille Maresca (1924-1927) 

Ottiene una scrittura con una delle compagnie teatrali di uno degli impresari maggiormente quotati in quel periodo: il Cavalier Achille Maresca.

Già dal 1912 al 1915, anni di miseria e di stenti,  senza un padre ufficiale e con una madre sedicenne semianalfabeta, manesca e immatura Totò muove i suoi primi passi nelle “staccate” e nelle “periodiche”, ossia quelle prime embrionali occasioni che gli vengono saltuariamente offerte di esibirsi davanti a un pubblico. Le “staccate” erano spettacoli brevi allestiti alla meglio solo il sabato e la domenica negli infimi teatrini della provincia di Napoli, che prevedevano brevi esibizioni nei vari campi dello spettacolo, come la musica, la lettura di poesie, i giochi di prestigio e la recita di brani tratti dal teatro leggero. Era prevista una cantante, qualche giocoliere e alcuni attori, per lo più adoperati in spettacoli di imitazione o in duetti brevi e spiritosi. Le “periodiche” erano spettacolini organizzati la domenica pomeriggio prima del buffet nelle case private di ricchi borghesi o di aristocratici napoletani che volevano allietare i loro ospiti con recite improvvisate che consistevano più o meno nelle esibizioni di tenori e soprani dilettanti, musicisti e attori comici che prestavano la loro opera anche nelle “staccate”.

Totò, da solo o in coppia, attraverso la pratica in queste occorrenze ebbe modo di mettere a fuoco la sua recitazione, che traeva spunto e ispirazione dalla commedia dell’arte, riproposta negli anni Dieci dal comico Ciccio Marzano, divenuto poi celebre proprio per aver introdotto nei suoi spettacoli la cosiddetta “improvvisata”, che era una recita a soggetto sulla base di un canovaccio approssimativo. Si esibisce così in quello che era il suo cavallo di battaglia e che si trascinerà per diversi anni fino alla sua piena autonomia come attore, ossia nelle imitazioni di Gustavo De Marco, che era il suo idolo e il suo maestro, allievo a sua volta del grande Leopoldo Fregoli ed epigono della grande scuola del Pantalena.

De Marco aveva trasformato la “macchietta”, creata da Nicola Maldacea. esasperandone gli aspetti contorsionistici e perfino acrobatici con una recitazione tutta di derivazione fregoliana, che aveva spinto il suo pubblico a soprannominarlo ’o comico zumpo o ’o comico caucciù, anticipando le espressioni “uomo di gomma” o “uomo caucciù” con cui verrà poi definito il Totò teatrale degli esordi. Era anche riuscito a operare una sintesi tra il dinamismo iperbolico di Fregoli e la recitazione improvvisata di Marzano e del grande Giovanni Mongelluzzo, creatore del bel Ciccillo, che, dopo un laborioso apprendistato nel ruolo di buffo di società, proprio nelle “periodiche” si era imposto al pubblico dei primi affezionati come l’idolo del Caffè de Turco, situato proprio di fronte al caffè storico Gambrinus, in piazza Plebiscito.

Con alle spalle tali maestri, che erano stati un punto di sintesi del teatro leggero napoletano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, Totò aveva dato vita alla sua prima e più antica maschera, riproducendo quelle stesse macchiette e vestendo lo stesso costume, con una recitazione veloce, ricca di giochi linguistici e sorretta da una forte padronanza mimica. Lui stesso racconta che un giorno del 1912, superando la sua timidezza, era andato nel camerino di Gustavo De Marco al teatro Trianon per ossequiarlo e chiedergli: «Maestro, scusate, ma come avete fatto a imparare quei movimenti?». De Marco gli rispose che aveva imparato da solo, studiando il suo viso deformato all’intemo di un cucchiaio. E Totò trasse da questa incredibile risposta una lezione alla quale si attenne tutta la vita.

Se tuttavia possiamo considerare De Marco come il primo modello recitativo dell’attore, dobbiamo aggiungere che successivamente, man mano che la sua arte andava perfezionandosi e raffinandosi, fu soprattutto Raffaele Viviani il suo punto forte di riferimento. Per Totò, Viviani era riuscito a interpretare perfettamente l’animo napoletano, capace di ridere e piangere contemporaneamente, e a tradurre la comicità all’interno del quadro tragico dell’esistenza, come sarà poi, in ultima istanza, l’essenza stessa della sua recitazione.

Dunque, furono proprio le “periodiche” le prime occasioni nelle quali potè realizzarsi la vocazione di Totò attore, così come era stato anche per Raffaele Viviani e Nicola Maldacea all’inizio della carriera nei vari teatri della Penisola, dove avevano potuto perfezionare le loro tecniche e avevano potuto misurarne l’accoglienza presso un pubblico sia pure ridotto. In questo periodo, ossia il biennio 1912-1914, Totò comincia ad avvertire una spinta, che diverrà successivamente imperativa, a esibirsi in alcuni teatri veri - ancorché squallidi e diroccati, costruiti con tende, sedie pieghevoli e alcune tavole per scena e spesso spazzati via dalle piogge torrenziali e dal vento - che si trovavano alla periferia di Napoli tra il rione Vasto e porta Capuana, nei pressi della ferrovia. È in uno di questi, situato in piazza Garibaldi e del quale non si ricorda nemmeno il nome, che si esibisce per la prima volta nel suo repertorio delle imitazioni di De Marco per un compenso di una lira e ottanta centesimi, con il nome d’arte di Clerment, evidente francesizzazione del cognome della madre, Clemente, che all’epoca era anche il suo. Successivamente, reciterà alla Sala Napoli e all’Orfeo, teatri di infimo ordine.

Ennio Bispuri


Sono anni in cui la guerra, il dopoguerra, l’avvento del fascismo segnano anche importanti trasformazioni di gusti e culture. Tramonta il cafè chantant, mentre sulla scena italiana continua la temperie futurista che coinvolge anche Petrolini e si afferma la rivoluzione drammaturgica di Pirandello. Sulla scena napoletana è ben viva ancora la drammaturgia di Eduardo Scarpetta, mentre è più problematica la vita del teatro d’arte e sta esplodendo il fenomeno Viviani. Gli esordi di Totò (nel primo periodo con lo pseudonimo Antonio Clerment, dal cognome della madre, Clemente) vissuti fra Napoli e Roma e poi nei varietà del centro nord, per un verso contano sui racconti dello stesso attore e su testimonianze affascinanti di spettatori straordinari che, a distanza di anni, ne rievocano il ricordo senza precisi riferimenti di tempo e di luogo, e per l’altro su sparse notizie di cronaca e rare locandine, che viceversa, quando danno indicazioni logistiche, non offrono che poche e scarne informazioni sullo spettacolo che annunciano. La selezione di notizie che segue parte dal 1916, quando Totò aveva diciotto anni - ma sicuramente si esibiva già da alcuni anni - e si ferma al momento in cui l’attore viene ingaggiato da Achille Maresca nelle sue formazioni.

Antonella Ottai

Antonio Clerment e le capriole a pagamento

Antonio Clerment/Totò presumibilmente nel periodo 1913-1915, è presente all'Orfeo, al Trianon e altri teatri napoletani non meglio precisati, in quanto più che di teatri si trattava di fatiscenti baracche. Partecipa agli spettacoli organizzati da Mimi Maggio, padre di Beniamino, Dante, Rosalia e Pupella, eseguendo numeri staccati di varietà che venivano dati nella terza e ultima parte dei programmi del Teatro Orfeo per almeno sette mesi, da ottobre a tutto aprile 1915.



I programmi avevano il seguente svolgimento: dopo il primo tempo dedicato allo sviluppo di un bozzetto drammatico ricco di canzoni, e a un secondo tempo quasi sempre costituito da una farsa con Pulcinella, arriva il momento dell’arte varia. Totò eseguiva, nella terza parte del programma, oltre a qualche macchietta imparata pescando nel repertorio di Villani, numeri “acrobatici”, in particolare quelli del “morto vivo” e quello delle “capriole a pagamento” da uno, due e tre soldi. Il “prezzo” saliva in relazione alle difficoltà dell’esecuzione delle capriole concordate. Gli spettatori che “impostano” la richiesta dovevano poi lanciare il “corrispettivo” in palcoscenico. L’incasso, come era capitato al piccolo Viviani quando interpretava lo “scugnizzo”, era di assoluta pertinenza del protagonista.

Dovrà passare qualche anno prima che Antonio Clerment diventi Totò, avvicinandosi al suo vero nome e abbandonando definitivamente il cognome materno. Nel gennaio 1920 la rivista napoletana "Cafè-Chantant" pubblicava una fotografia di Totò, incorniciata con un fregio geometrico, con la didascalia TOTO' IL COMICISSIMO. Comincia la grande avventura...



[...] bisognava vederlo portare le braccia in su, piegando le mani verso gli omeri come una danzatrice sacra indiana, e poi cominciare a buttare il dorso nella direzione opposta all’addome e la testa in tutt’altra direzione rispetto al torso, e gli occhi storcersi nella direzione contraria a quella del capo, e la bazza per conto suo rispetto alla bocca, e il pomo d'Adamo correre in giro vorticosamente facendo correre la farfallina nera della cravatta. Era proprio allucinante Totò, a ventisei, ventisette anni in quell’esercizio [...]

Sandro De Feo, 1967

Riferimenti, note e bibliografie:

(*) dati da sottoporre ad ulteriore verifica

  • Quotidiano «Il Messaggero», Roma, 1915-1927
  • "Siamo uomini o caporali?" (Alessandro Ferraù e Eduardo Passarelli) - Ed. Capriotti, 1952
  • "Totò attore" (Ennio Bispuri) - Gremese, 2010
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
  • Antonella Ottai in "Totò partenopeo e parte napoletano" - Ed. Marsili
  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Tempo di Maggio: Teatro popolare del '900 a Napoli" (Nino Masiello), Tullio Pironti Editore, Napoli, 1994
  • Collaborazione biografica all'articolo di Simone Riberto, alias Tenente Colombo.
  • Gaetano Curatola, «Settimo Giorno», anno V, n. 3, 17 gennaio 1952