Alla ricerca di Ettore Petrolini venticinque anni dopo la scomparsa

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Come può ricordare un attore la generazione che non ebbe la ventura di conoscerlo? - Una biografia leggendaria - Entusiasmo popolare e consenso intellettuale - Pirandello e Petrolini, due artisti «sgradevoli»

L’arte dell'attore (e che quella detrattore sia davvero arte è stato persino riconosciuto nella cauta ma esplicita definizione di Benedetto Croce, che disse l'attore «un traduttore che crea») è sottoposta a una sorte ingiusta, quella di non poter sopravvivere nel tempo dopo la scomparsa della persona fisica che le dava vita. E c’è forse un pizzico di ironia nella circostanza che riesca meglio a tramandarsi la memoria deir arte più labile ed occasionale che è quella dell'attore cinematografico che non quella, più solida e meritevole di durare, dell'attore di teatro. Articoli, testimonianze. materiale documentorio, commemorazioni, possono sopperire solo parzialmente alla insostituibile presenza viva. Questo discorso ch potrebbe farsi per qualsiasi attore degno di questo nome è ancora più valido quando si viene a parlare di quegli attori che sono gli autori di se stessi, e dunque creano prima di tradurre, o meglio fondono in un momento solo la creazione inventiva e la traduzione scenica. Quest'anno è caduto il venticinquesimo anniversario della morte di Ettore Petrolini, ed è un anniversario che il teatro odierno ha il dovere di ricordare per più di un motivo. Ma come farà, oggi, a ricordare Petrolini e a valutare la sua presenza quello spettatore che si sia affacciato per la prime volta alla ribalta di prosa, poniamo, negli anni alla vigilia della seconda guerra Una generazione esclusa per ragioni di cronologia dal contatto con ruttore vivo dovrà limitarsi a cercare i testi ch’egli compose, le testimonianze dei contemporanei giudizi critici che accompagnarono il suo esordio e poi il sue trionfo, e i primi saggi di interpretazione globale della sua personalità di artista. Chi voglia porsi a questo paziente e rassegnato lavoro di ricerca troverà u materiale abbondante, ancorché inanimato, sulla vita e il lavoro di Ettore Petrolini autobiografici, contributi critici, incisioni di suoi numeri e brani filmati

Non è qui il luogo per riassumere le biografia di Petrolini. Noteremo che i venticinquesimo anniversario della scomparsa dell'attore coincide con un altro anniversario, quello del suo primissimo esordio. Questo avvenne sessant'anni esatti or sono (Petrolini aveva soltanto quindici anni) in un vecchio granaio di Campagnano, presso Roma, dove il ragazzo era stato assunto come macchiettista da un impresario di pochi scrupoli. Questo capitolo iniziale basta a mostrarci che una biografia d'attore come quella di Petrolini oggi sarebbe sicuramente irripetibile. Petrolini nacque in un ambiente lontano dal teatro (suo padre era fabbro, il nonno materno falegname) e subito, fin dagli anni zia, gli crebbero vivissimi l'istinto del teatro e f attrazione per u palcoscenico, che non dovevano abbandonarlo per tutta la vita Questa necessità di una vocazione che cerca senza esitazioni il suo sbocco, e che si esercita nella vita prima che sulla scena, trova la sua esemplificazione quasi leggendaria nell'arco percorso dalla carriera di Petrolini. Nel 1903, a diciassette anni, il neo-attore faceva il suo ingresso nel mondo del «café-chantant» con la scrittura al Gambrinus, presso la stazione Termini, dove si pagavano trenta centesimi per l'ingresso e venti per la consumazione. Poco più di vent'anni dopo lo stesso attore vestiva i panni di Sganarello a Parigi, nel tempio teatrale della Comedie Francaise, in un adattamento del molieriano Medico per forza che suscitò gli entusiasmi incondizionati del pubblico, dei critici, e persino degli attori francesi. Il cammino percorso in un ventennio è un po' la misura della biografia di Petrolini. E la biografia di un attore che il teatro se lo conquisto faticosamente, giorno per giorno, con la scoperta sempre rinnovato di una comicità mai superficiale eppure interamente comunicativa, e con l'esperienza sempre più maturata della difficile arte di trovare un contatto diretto col pubblico.

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Il suo racconto

Chi voglia seguire di prima mano alcune delle tappe di questa biografia non ha che da percorrere i due volumi autobiografici di Petrolini. Modestia a parte e Un po' per celia e un po' per non morire, dove rettore racconta sè stesso senza alcun paludamento di memorialista, anzi con l'impeto e l'ironia e la vivezza delle sue macchiette di palcoscenico. E chi voglia invece seguire l'itinerario di quella carriera tenendo d'occhio le reazioni dell'ambiente in cui si svolse e i giudizi ch’essa suscitò negli spettatori più qualificati del tempo, non ha che da riprendere in mano il volumetto dedicato a Petrolini da Ghigo De Chiara e pubblicato un paio d’anni fa dall'editore Cappelli. Percorrendo questo ordinato panorama di testimonianze e documenti ci si rende subito conto del piccolo miracolo che riuscì ad operare, fin dai suoi inizi, l'arte di Petrolini: quello di suscitare, ad un tempo, i difficili entusiasmi delle tumultuose platee popolaresche ed immeditati consensi di spettatori di estrazione intellettuale, letterati e scrittori e uomini di cultura. Quando Petrolini agli inizi della sua carriera recitava al teatro Umberto in piazza Guglielmo Pepe, agli ordini dell'impresario don Peppe Jovinelli, uno dei suoi primi spettatori «colti» fu Ettore Romagnoli, il futuro grecista e filologo insigne, allora giovanissimo, che subito colse e registrò il guizzo della genialità petroliniana. E qualche tempo più tardi una delle più acute definizioni della «idiozia» petroliniana doveva darla un letterato, Pietro Pancrazi, che scrisse: «Petrolini ha avuto il coraggio di essere idiota: apertamente, liberamente e allegramente idiota: più idiota che poteva. E c’era in realtà — e forse c’è ancora — tutta una letteratura che tende segretamente all'idiozia, quasi per suprema aspirazione, senza avere tuttavia il coraggio delle ultime risoluzioni.

«Petrolini, invece, questo coraggio lo ha avuto: e perciò egli ha potuto in realtà rimanere come un modello e un maestro, tra quelli che forse credevano di nobilitarlo accogliendolo come un compagno. E' invece ancora lui che può insegnare agli altri...» Le ultime parole di Pancrazi si riferivano ai vari tentativi che venivano compiuti per arruolare la personalità la artistica di Petrolini sotto le insegne di un movimento culturale o di una interpretazione particolare: Bragaglia che vedeva in lui una reincarnazione della statua di Pasquini, Bontempelli che metteva l'accento sull'elemento grottesco, Marinetti che sosteneva che quello di Petrolini era a puro umorismo futurista». Ma l'approfondita imbecillità, l'«idiozia» della macchietta petroliniana, nascevano da una fonte ben più schietta e non mediata. «Ho recitato nella mia vita» dichiarava Petrolini «delle cose stupidissime che avevano il torto di non essere a quel punto di imbecillita che desideravo e che, alla fine, dovetti inventare da me». Questa esasperata e crudele ricerca della stupidità era il modo in cui si manifestava uno degli aspetti principalissimi dell'arte di Petrolini, che oggi ce la fa apparire modernissima e che allora venne messo in luce con chiaroveggenza da un critico come Alberto Cecchi, che scrisse: «Sguaiato, scettico, disordinato, dispregiatore, ironico, crudele, quello che interessa Petrolini è di rovinare e mandare a male tutto quello che gli capita tra le mani o, meglio, tra le labbra. Quando Petrolini ha parlato su qualche cosa su qualche sentimento, non c’è più niente da dire, tutto è rovinato e mandato a monte. E' un disconsacratore di primo ordine».

«Gastone»

Qualche briciola del festino che dovette essere, per l'amatore di teatro, il repertorio petroliniano interpretato da lui stesso, è conservata nei testi dell'attore-autore, una scelta dei quali si può trovare nel volume edito quest’anno da Garzanti e intitolato Petrolini con una prefazione di Pietro Bianchi. Vi sono raccolti i testi di alcuni tra i più famosi «sketches», parodie e macchiette fautore: dai «Salamini» a «Gastone», da «Amleto» a «Nerone», da «Paggio Fernando» a «Fortunello». E vi sono anche alcuni lavori di più ampio respiro: i quadretti di ambiente dei Romani de Roma, testimonianza dell'amore e dell'attenzione che Petrolini portò sempre alla sua città: la commedia in tre atti L'ottobrata che regge egregiamente anche alla sola lettura: e un florilegio dei discorsetti, delle filastrocche, dei «colmi» e delle barzellette che completavano il repertorio petroliniano. Vero è che la lettura di questi testi finisce anche per essere un po’ malinconica e fa sorgere, cocente, il rimpianto di non poterli vedere animati dal loro creatore: ma ve ne sono alcuni (come L'ottobrata dove vi sono personaggi, caratterizzazioni e situazioni che superano decisamente i limiti del teatro dialettale) che dovrebbero riproporre il problema di una valutazione di Petrolini come commediografo. Peccato che nel volume di Garzanti non abbia trovato posto quella Chicchignola che è certo una delle migliori commedie petroliniane. A un'altra fonte dovrà ricorrere, infine, chi volesse conoscere e ricordare l'attore incomparabile senza mai averlo visto da vivo: è la voce su Petrolini, curata da Sandro De Feo, comparsa nell'ottavo volume dell'Enciclopedia dello Spettacolo, pubblicato in questi giorni. E' un articolo che ha l'ampiezza, la documentazione e la penetrazione critica di una piccola monografia: in esso non soltanto si offre al lettore un ritratto esauriente di Petrolini uomo e attore, ma viene criticamente tratteggiata la definizione di una personalità artistica cosi come è andata delineandosi alla luce del gusto moderno e nella prospettivo del tempo.

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Molto giustamente De Feo indica i due piani sui quali si svolgeva l'attività di «disconsacratore» di Petrolini: da un lato «la derisione e l'abbattimento degli idoli, o meglio dei luoghi comuni, delle cristallizzazioni di quegli idoli nella tradizione accademica e nel sentimento popolare», l'altro una devastazione meno consapevole, «quella che riguardò il linguaggio, le invenzioni, le contorsioni, le combinazioni inaudite cui egli lo sottopose per arrivare alf assurdo e alla scemenza petroliniani». E in questa faccia dell'arte di Petrolini è doveroso scorgere l'anticipazione di quel processo di sgretolamento dall'interno del linguaggio che doveva essere ripreso, sulla medesima strada, da un preciso settore del teatro europeo di trent’anni dopo. Nel saggio di De Feo è accennata un'altra affinità ideale: sia Petrolini che Pirandello possono essere definiti artisti «sgradevoli» nel senso in cui Shaw lo disse di un gruppo di sue commedie. Un incontro tra Pirandello autore e Petrolini attore non avvenne, si sa, che in misura assai limitata: con un atto unico intitolato Agro di limone che Petrolini trasse da Lumie di Sicilia. L'incontro completo, auspicato da molti autorevoli prònubi, forse non era possibile che avvenisse. Ma la parentela, nel senso indicato da De Feo, rimane valida senz’ombra di dubbio, ed oggi siamo in grado di scorgerla con maggior chiarezza. La coincidenza che fa cadere nel medesimo anno il venticinquesimo anniversario delle due scomparse di Pirandello e Petrolini deve suggerire qualcosa di più dell'idea di un puro incontro di date. Su piani e in direzioni assai diverse, sono due figure di provocanti e implacabili eversori teatrali, dei quali il nostro teatro ha più che mai, oggi, bisogno di ricordarsi.

Renzo Tian, «Il Messaggero», 1 dicembre 1961


Il Messaggero
Renzo Tian, «Il Messaggero», 1 dicembre 1961