Luigi Campoluongo, il Sindaco del rione Sanità

Luigi_Campoluongo


'O guappo della Sanità quanno sputa, fa 'o buco 'nterra.


A 50 anni dalla morte di Antonio de Curtis, il nipote di Luigi Campoluongo racconta quando Totò divenne amico del guappo della Sanità.

NAPOLI – Era così amato (dal pubblico, la critica tardò) che gli fecero tre funerali. L’ultimo, nel suo rione Sanità, fu un bagno di popolo. Ma nel feretro lui non c’era. La cerimonia era stata orchestrata da un guappo.

Luigi Campoluongo ha mani nodose e vene sporgenti. Oggi ha 79 anni e porta lo stesso nome e cognome dell’uomo che dispose il terzo rito, il 22 maggio ’67. Il rione Sanità, dove Totò era nato, sentiva il dovere dell’omaggio e il diritto di prendersi la scena. E nonno Luigi al rione Sanità non era uno qualunque. «Si era conquistato un ruolo». Tecnicamente: il guappo.

Don Luigi Campoluongo, a quel tempo, esercitava. «In genere veniva chiamato a sanare le contese. Un paciere. Se una ragazza restava incinta e il fidanzato non intendeva sposarla, i parenti di lei chiedevano di ristabilire la giustizia. Il nonno allora chiamava il ragazzo, gli faceva capire che stava sbagliando, lo convinceva, e in caso di indigenza ne finanziava pure l’operazione di accomodamento».

Era stata proprio una questione di donne a favorire il primo contatto con un Totò ventenne, un ragazzo che portava il cognome della madre (Anna Clemente) e non ancora riconosciuto come figlio naturale dal marchese De Curtis. Questo giovane che mammà voleva sacerdote e che cominciava a esibirsi in qualche varietà, si era invaghito di una ragazza in via dei Cristallini. «Il nome non si può fare neppure adesso. Lasciamo stare. Ci sono i figli, i nipoti…».

Totò non era tipo da nascondersi. Solo che la ragazza era promessa, e il futuro sposo si sentì ferito nell’onore. La leggenda racconta di una spedizione partita per una “imparata di creanza” e di un Totò dalla reazione sorprendente, tanto che uno dei gaglioffi se ne tornò a casa con dei cerotti sulla faccia. La cosa giunse all’orecchio del guappo che volle conoscere il coraggioso ragazzotto.

Chi era Luigi Campoluongo il guappo della Sanità?
«Quando poi Totò diventò famoso, mio nonno chiese di incontrarlo attraverso Goffredo Lombardo, fondatore della Titanus. Il nonno era diventato amico di molti artisti». Che accettavano in segno di rispetto di partecipare nel mese di luglio alla festa del Monacone.

Parentesi. Il Monacone è San Vincenzo Ferreri, frate domenicano spagnolo che si ritaglia fra ‘600 e ‘800 un posto centrale nel culto dei napoletani, rivaleggiando con San Gennaro, forte dell’impresa di aver fermato un’epidemia di colera: da allora è fra i 52 patroni della città. La Sanità è da sempre territorio suo. Ha una piazza, una statua nella basilica, la devozione del popolo.

Don Luigi Campoluongo apparteneva a un’associazione che organizzava la festa per il santo. «Ero il solo in famiglia ad avere la patente» racconta Campoluongo nipote, «guidavo una Fiat 1.100 103. Ricordo ancora la targa: 92403. Il nonno mi mandava all’hotel Royal, o al Vesuvio, dove soggiornavano gli artisti. Io li accompagnavo a Capodimonte, fino all’ascensore che porta giù al rione Sanità. Il palco era montato proprio lì sotto, in piazza. Dal ponte facevo un segno con un fazzoletto: arrivano. Quando si aprivano le porte dell’ascensore, spuntavano i cantanti: Celentano, Modugno, sono venuti tutti».

Venne pure Totò, che nel frattempo ai Campoluongo si era affezionato. Un altro Luigi con lo stesso cognome era figlio di Ciro, fratello del guappo. Pure lui si dava da fare per le sorti del Monacone. Il guappo commerciava legname all’ingrosso, l’altro Luigi aveva un mobilificio. Troppo simili. Così, per non confondersi, il secondo fece cadere all’anagrafe la u dal cognome. Gino Campolongo è oggi il discendente di questo secondo ramo.

Fa l’architetto e aveva due anni nel giorno del finto funerale: «Mio zio spedì un invito alla signora Liliana de Curtis, che era in prima fila davanti alla bara vuota. Per anni ci siamo incontrati al cimitero sulla tomba di suo padre. Ogni volta che invece il mio andava a Roma, restava a dormire ospite in casa di Totò».

Campoluongo il guappo della Sanità o un uomo d’onore?

Si distinguevano, i due Luigi, perché il primo del guappo aveva pure il soprannome. Naso ’e cane. «Il nonno niente raccontava di sé e nulla voleva si dicesse. Si sapeva che era stato morso da un cane». Un’altra versione attribuisce la ferocia a un certo Martino ‘o Camparo, un Tyson prima di Tyson. Comunque sia, Naso ’e cane, «che era quasi analfabeta», si raccomandò con gli eredi: voi la vita mia non la dovete fare.

«Un giorno Totò gli disse: Luigi, vorrei farti un regalo. Mio nonno gli chiese una foto con la dedica. Deve trovarsi in casa di una mia zia».

«Quando tornava a Napoli» racconta Campoluongo, «voleva rivedere il suo quartiere. Mio nonno lo faceva accompagnare da certi amici per le strade della Sanità, mai prima delle tre di notte, altrimenti la gente non lo avrebbe lasciato in pace. Una sera andammo al teatro San Ferdinando per invitare Eduardo alla festa. Lui spiegò: «A luglio sto in Russia, ma se il padreterno mi fa la grazia di far atterrare l’aereo, torno e vengo».

Luigi Campoluongo con il suo soprannome sarebbe diventato il riferimento per la costruzione del personaggio di Antonio Barracano, il sindaco del rione Sanità. Di lui Eduardo disse: «Era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere. Veniva a tutte le prime in camerino. “Disturbo?” chiedeva. Si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone. “Volete ‘na tazza ‘e cafè?”. Lui rispondeva “Volentieri”. Poi se ne andava».

Pasquale Squitieri, altro napoletano del rione Sanità, raccontò che il guappo non aveva ricchezze ma era potente. «Pagavamo e avevamo la garanzia che nulla ci potesse accadere. Poi la camorra si è trasformata in un potere economico legato al business della droga».

Due giorni prima dell’infarto, aveva voluto ascoltare il suo disco in uscita: uno sketch con Castellani più la poesia ‘A Livella. All’autista aveva detto che non gli piaceva. «Ma è la vostra poesia preferita», aveva ribattuto Carlo. «Che ti devo dire? Non mi piace più». Poi aveva fatto in tempo a girare il primo ciak del nuovo film, Il padre di famiglia, in un ruolo dopo passato a Tognazzi. La scena era quella di un funerale.

Angelo Carotenuto, "Repubblica", 6 aprile 2017


 


Totò a pranzo col «Sindaco del Rione Sanità»

La foto, raffigurante Totò e Luigi Campoluongo, fu scattata nel 1950 presso la "Casina Rossa" di Torre del Greco, da Pasquale Eliodori. Alle loro spalle, al centro, mio zio Salvatore Papa, fratello più grande di mio padre.

Si può raccontare una storia osservando una foto? è quello che mi sono chiesto dopo aver avuto tra le mani questa suggestiva immagine che immortala il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, seduto con al suo fianco un uomo anziano, Luigi Campoluongo. Ma chi era il signor Luigi Campoluongo ?

Per raccontare la storia ho dovuto fare un po di ricerche e alla fine qualcosa di interessante ne è venuta fuori.
Luigi Campolongo [Naso 'e cane], mobiliere, boss camorrista e politicante, pezzo grosso del rione Sanità, uno dei centri della malavita di Napoli [† 1966], da anni sostenitore di Lauro e poi grande elettore di Giovanni Leone, famoso per essere uno degli ultimi sopravvissuti del "processo Cuocolo" (1906) [dal nome dei coniugi assassinati nel 1905 a Napoli dalla camorra]; condannato giovanissimo ad una lieve pena, era emigrato negli Stati Uniti.
Continuiamo nel dire che il signor Luigi, detto "'o masto" , era un intimo amico degli artisti napoletani dell'epoca, da Totò ad Eduardo De Filippo, da Pasquale Squitieri a Mario Trevi, da De Sica a Nino Taranto, ecc...

Ecco come lo presenta Eduardo:

Era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come si dovevano comporre vertenze nel rione Sanità. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino ‘u Camparo, e questo gli mangiò il naso. Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri. Veniva sempre a tutte le prime in camerino. «Disturbo?» chiedeva. Si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone. «Volete ‘na tazza ‘e cafè?». Lui rispondeva «Volentieri». Poi se ne andava.

Si, proprio così, Don Luigi era un guappo, anzi il guappo, comandava la zona della Sanità, come si comandava una volta... A lui si ispirò Eduardo per scrivere nel 1960, una delle più belle storie di teatro mai composte, "Il sindaco del rione Sanità ". lo spettacolo diventa un subito un successo internazionale insieme ad altre impareggiabili commedie eduardiane.

In una intervista datata 2008, cosi si esprime il grande regista Pasquale Squitieri:

La camorra non esiste più. Io sono nato nel quartiere della Sanità dove operava don Luigi Campolongo detto "naso di cane". Viveva in un basso, non aveva richezze ma era potente. Pagavamo e avevamo la garanzia che nulla ci potesse accadere. Poi con l’arrivo di Luky Luciano, la camorra si è trasformata in un potere economico legato al business della droga. Molti soldi tanto da stabilizzarsi sul mercato con un forte potere.

Ritroviamo nel ricordo del giornale "L'infinito " del 2010 questo articolo in cui viene dato merito a "masto Luigi " per l'organizzazione per i festeggiamenti per la famosissima " festa ò munacone " :

Col nodoso bastone. Luigi Campolongo, ‘ o Masto, si rivolgeva agli astanti in un Circolo presieduto da don Antonio Scopino che organizzava i festeggiamenti in onore di San Vincenzo Ferreri, ‘a Festa ‘o Munacone, organizzata dall’Associazione omonima, di cui era presidente negli anni cinquanta il Comm. Luigi Billi. Alla festa religiosa il canto al primo posto. Negli anni sessanta, mentre il Nord Italia già aveva sgombrato macerie e chiedeva manodopera da ogni dove, specie nel meridione, a Napoli le macerie dei cento bombardamenti subiti si lasceranno marcire fino alla metà degli anni settanta. Tempi in cui le mani sulla città erano poste non per salvaguardarla ma per rapinarla stravolgendone il volto fisico, materiale e sociale. Alla Festa della ‘nzegna, del Borgo Marinaro, tramontata già prima del conflitto ora si provava il Requiem da intonare di li a poco a Piedigrotta e ad altre feste popolari. Il canto non avrebbe espresso più la cultura piccolo borghese ma del ceto emergente dei camorristi.
La sceneggiata sottofondo a tutti gli anni di piombo. La Nuova Compagnia di Canto Popolare la voce, che esprimeva la società del passato. In effetti quel tipo di canto lo potresti riconoscere quale origine dei vari tipi canori attualmente in voga.

Per chiudere questa ricerca, fatta solo per commentare la foto, inserisco questo commento della figlia di don Luigi, la signora Luisa:

Nascere in una famiglia come la mia, significava attirarsi un profondo e sentito rispetto da parte di tutti gli abitanti della Sanità. La mia infanzia fu caratterizzata dalla presenza autoritaria di mio padre, con il quale si poteva parlare molto poco, aveva sempre ragione lui. Ricordo che da piccola un giorno misi un pò di rossetto, quando mio padre se ne accorse mancò poco che non mi uccidesse. La sua forza però era basata sempre sul suo modo di vedere la giustizia, ogni caso che esaminava dava sempre ragione a chi lui credeva avesse ragione. Anche se un cane aggrediva mia madre, e ciò sarebbe avvenuto in circostanze da dare ragione al cane, non c'erano scusanti: aveva ragione il cane! Mio padre morì nel 1966.
Io come lui avevo un carattere violento e ribelle, non avevo paura di niente e di nessuno, neanche se armato. Ero molto devota a San Vincenzo Ferreri, ma ciò che mi accadde fu molto particolare. Nel negozio di abbigliamento che avevo in Via Settembrini spesso ricevavamo la visita del fratello Luigi Aragione, il quale con zelo ed affetto ci parlava sempre di Gesù e del Suo amore. Con il mio carattere ribelle reagiva spesso molto male nei confronti del fratello al punto che gli dissi: "Ognuno si tenga il suo dio e basta!". Mio marito, il fratello Gennaro Basile ora con il Signore, nel 1976 accettò Cristo nel suo cuore come personale Salvatore. Due anni dopo nel 78 mia figlia ebbe una grave malattia e l'intervento non dava grosse speranze di sopravvivenza. Io invocai Gesù con tutto il mio cuore ed Egli guarì il suo male. Il chirurgo alla fine dell'intervento le domandò: "Come si sta all'altro mondo? Tu eri praticamente morta!". Risposi prontamente che Gesù aveva fatto il grande miracolo. Così da quel giorno frequentai la comunità di Materdei in Via Malaterra e il Signore mi salvò rendendomi una Sua figliuola. Gloria a Dio!Oggi a 78 anni sono testimone che Dio ha benedetto e guidato la mia vita e spero col cuore che tale meravigliosa esperienza possano realizzarla anche i miei figli e nipoti.

Antonio Papa

Don Luigi Campolongo, il sindaco del Rione Sanità, amico di star internazionali, il guappo che con le sue feste patronali dedicate a S.Vincenzo ispirò Eduardo per la sua celebre commedia napoletana e di lì il bestseller americano di Mario Puzo ’Il Padrino’.


1958 07 20 Sorrisi e Canzoni Festa del Monacone Campoluongo L

«Sorrisi e Canzoni», 20 luglio 1958



 

Riferimenti e bibliografie: