Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1946




Totò

Articoli d'epoca, anno 1946

21 Set 2017

La tournée a Barcellona

La tournée a Barcellona A corto di denaro, nell' ottobre del 1946 Totò si lascia convincere dall’impresario Luigi Romagnoli a recarsi a Barcellona, in Spagna, solo per recitare un paio di sketch con Mario Castellani all’interno di una rivista…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
1915

L'assalto alla linea Totò e Wanda Osiris alla riscossa

L'assalto alla linea Totò e Wanda Osiris alla riscossa Attraverso alcune amicizie influenti, quali quella di Alberto Cianca e di Mario Pannunzio, sto abilmente intrigando, e non è più questo un mistero, per ottenere dal ministro Molè la libera…
Diego Calcagno, «Quarta Parete», anno II, n.12, 10 gennaio 1946
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La resa di Totò

La resa di Totò All'antico Demostene (da non confondere con Aristofane, nè con quello antico nè con quello moderno) confessava, un giorno, un amico: «Sai, ho letto la tua orazione, non appena pervenutami. Mi piacque tanto che volli rileggerla. La…
Mercutio (Vincenzo Talarico), «Star», anno III, n.2, 12 gennaio 1946
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Da qualche tempo la rivista -  autori ed interpreti - è andata accentuando il suo tono scurrile e sconcio da farci constatare che il penultimo gradino, quello che precede puramente è semplicemente il lupanare, è stato raggiunto. Gli autori non hanno più da mettere in moto estro e fantasia perché basta il carname delle ballerine a riempire i tradizionali due tempi: tutto il resto è superfluo.

Ora constatare che degli autori abbiano ancora del buon gusto e della “politesse” e che affidino al loro ingegno anziché alle ballerine il successo di un copione è tale cosa «albo signanda lapillo», da dover citare per questa rivista, prima di ogni altro, Galdieri e De Benedetti. 

Il tono della rivista è in crescendo: incomincia a prendere quota un po' tardi, verso la fine del primo tempo, è il massimo si raggiunge con una poesia garbata e amarognola, indubbiamente di Galdieri, scritta con Grazia da una Tecla Scarano, a cui le prove hanno rubato tre quarti di voce, e che Ciò nonostante ha avuto la sua richiesta di bis in tutta la rivista. E questo ci sembra significativo.

«Vino vinello - nacque una volta un bambinello - e nacque per redimere la gente - bimbo innocente»  e la gente, quella della platea della galleria, ad applaudire senza fine.

La seconda parte è quella più riuscita, e gli ultimi quadri si succedono spigliati, coloriti, vivaci. Totò e la Scarano - veramente brava - si dividono le maggiori fatiche. La Poselli è stata una piacevole sorpresa per le sue doti di danzatrice e la voce gradevole. Siletti, Castellani, Roveri, i “ fantasisti”  completano con un corpo di agili ballerine lo spettacolo che ha avuto applausi e ancora più ne avrà se sarà sfrondato qua e là.

Tre ore e mezza sono troppe: si devono amputare almeno 45 minuti e mettere un tantino di... attenzione a Totò. 

Carlo Trabucco, «Il Popolo», 2 gennaio 1946


Dopo i soliti rinvii di rito ha debuttato ieri la compagnia Totò in modo veramente trionfale. Infatti abbiamo finalmente potuto assistere ad uno spettacolo completo nel vero senso della parola: intelligenza, buon guato, eleganza comicità e sfarzo, il tutto fuso ed armonizzato in modo veramente encomiabile.

Non sappiamo perciò da chi cominciare le lodi, se dagli autori Gaidieri e De Benedetti che sono riusciti a creare un copione completamente diverso dai soliti zibaldoni di quadri sconnessi, o dal regista Biancoli che vi ha profuso il suo ben noto buon gusto, oppure dalla fitta schiera di bravissimi attori capeggiati da Totò, che ancora una volta si è dimostrato Il miglior comico che noi possediamo, e da Tecla Scarano attrice anche lei tra le più sensibili che il teatro di rivista possegga. Vanno inoltre ricordati la Porelli, La Lodi, la Davidson, il Raveri, il Castellani, il Clienti e tutti gli altri compresi il maestro Fragna, lo scenografo e il bozzettista che hanno sensibilmente contribuito al accesso dello spettacolo le cui repliche si annunciano numerose.

«Il Momento», 3 gennaio 1946


Finalmente è stata varata questa bella commedia musicale in due tempi, preannunclata da oltre dieci giorni. Ancora una volta Michele Galdierl, Ziegflld, partenopeo e parigino, ha riportato, in collaborazione di Aldo De Benedetti, un calorosissimo e meritato successo. Vi ha disperso naturalmente il frutto del suoi vagabondaggi poetici e tutta la sua inesauribile vena di comicità lacrimosa. 

Un pubblico numeroso ha salutato entusiasticamente Totò ed il ritorno di Tecla Scarano, sempre ottima attrice. Fra tutti gli altri bravi attori della compagnia particolarmente festeggiata la vivace Luisa Poselli. 

Intelligente ed attenta la regia di Biancoli. I motivi del maestri Barberia e Danzi hanno completato il grosso successo. Si replica da oggi. 

Vice, «Italia Nuova», 3 gennaio 1946


 

Anche questa volta, come per quasi tutte le riviste, « tanto tuonò che piovve ». E fu, quella di ieri sera, dopo una brevissima sfuriata di temporale, una pioggerellina mite mite, di metro un po' monotono forse, ma garbata, discreta, rallegrata perfino da un’ala d'arcobaleno in forma d'alcuni quadri di disegno fiabesco. 

Tutto lo spettacolo del resto, ha un andamento di fiaba: fiaba per adulti, quasi musicale, con inutili appendici di rivista. Il pubblico gli ha fatto le più liete accoglienze, applaudendo con acceso entusiasmo le evoluzioni marionettistiche di Totò, Tecla Scarano, Luisa Poselli, Della Lodi, Ermanno Roveri e gli altri, tutti assai bravi. Da questa sera lo repliche. 

«La Tribuna del Popolo», 3 gennaio 1946


Tratta da un vecchio film che, se non sbaglio, ebbe a protagonista Gandusio, questa commedia musicale ha il difetto di dilungarsi troppo in scene dialogate senza brio né inventiva, per raccontare l'avventura di sette ballerine le quali, rimaste senza lavoro, si fanno passare per figlie naturali di un conte che in gioventù ebbe molte avventure e che non esita ad accoglierle nella propria villa. La storia di per sé piuttosto incolore si svolge lenta e lineare, senza altre trovate da quelle che Totò riesce ad aggiungere qua e là con le sue risorse comiche.

Ma non appena abbandona il dialogo per sfruttare gli ingredienti propri della rivista (canzoni, balletti, cori, coreografie), lo spettacolo si ravviva, si colorisce, si fa piacevole e leggiadro. Totò è un protagonista spesso esilarante: ma la sua vena buffonesca, legata alle esigenze di una trama e di un personaggio, s'impoverisce; cosicché le irresistibili lepidezze con cui sa di solito divertire il suo pubblico, perdono alquanto di efficacia e di sapore, allo stesso modo di quanto accade nei film. Comunque è lui che tiene su lo spettacolo stando in scena quasi ininterrottamente dal principio alla fine [...]»

e.c., (Ermanno Contini), «Il Giornale del Mattino», 3 gennaio 1946


«Corriere della Sera», 30 gennaio 1946


Per quanto ordinario, il treno da Roma atteso per questa mattina alle 8.51. ed arrivato con una ventina di minuti di ritardo, era un treno speciale. Speciale per la sua composizione e per la qualità del passeggeri, che non poteva essere più eterogenea. Dalle quattro vetture di testa, ristorante e vagoni letto, non è sceso quasi nessuno; le tendine sono rimaste quasi tutte chiuse, e solo dietro i cristalli di alcuni finestrini è apparso qualche viso assonnato e grave; la sezione del treno è poi stata staccata per la manovra di agganciamento all'Oriente Espresso, in partenza più tardi. Gli sportelli delle, altre vetture si sono invece spalancate d'impeto, e una piccola folla di viaggiatori ne è scesa, gaia e rumorosa, in maggioranza di belle figliuole impellicciate, con seguito di cagnolini abbaianti e copioso carico di valigie.

La stazione si è animata di colpo e si sono uditi anche applausi all'indirizzo di un signore che pareva a capo della strana comitiva. Il treno recava infatti nelle prime velature una trentina di diplomatici italiani, consoli generali e addetti consolari di diversi gradi recentemente nominati, e che l'Oriente Espresso recherà a Parigi, donde ciascuno ripartirà per la rispettiva destinazione ed uno raggiungerà addirittura l'Argentina. Il gaio sciame disceso a Milano era composto dalla Compagnia di riviste di Totò, che domani sera inizierà le sue rappresentazioni al Teatro Lirico. C'era la bazza del capocomico e c'erano Tecla Scarano, Delia Lodi, Luisa Poselli, Ermanno Roveri, Mario Castellani, Lino Davidson, il maestro d’orchestra Armando Fragna, nonché la schiera delle ballerine. C'era pure Oreste Blancoll il regista e presentatore. Ma non risulta che durante il viaggio egli abbia fatto le presentazioni della Compagnia ai viaggiatori delle vetture di testa i personaggi. della diplomazia.

«Corriere della Sera», 31 gennaio 1946


1946 02 01 Eravamo sette sorelle intro

A teatro esaurito ha iniziato le sue rappresentazioni la Compagnia di Totò con la commedia musicale «Eravamo sette sorelle» di Aldo De Benedetti e Michele Galdieri, regia di Oreste Biancoli. Lo spettacolo ad andamento di rivista ha ottenuto vivissimo successo specialmente nella prima parte; nella seconda qualche lungaggine e qualche motivo risaputo hanno sollevato qualche contrasto. Totò, festeggiatissimo, ha sfoggiato la sua caratteristica comicità in una parte di inguaribile conquistatore, dal cui passato emergono ben sette figlie, posticce, naturalmente, che tali si sono promosse altrettante ballerine di una compagnia di operette disciolta. Applausi vivissimi sono pure toccati a Tecla Scarano, Delia Lodi, Luisa Poselli, alla Davidson, al Ravazzini. La divertente commedia è accompagnata da piacevoli musiche.

«Corriere della Sera», 1 febbraio 1946


La nuova rivista di Totò al «Quattro fontane» di Roma.

Carlo Maria Petrucci, «7Sette», anno II, n.5, 3 febbraio 1946


«Vento del Nord», 22 febbraio 1946


La fine della guerra ha fatto esplodere la rivista. Umiliata per lungo tempo da una censura che non brillava per intelligenza, costretta al più avvilente conformismo politico, essa ha ritrovato nel dopoguerra, caotico e spensierato. il suo clima ideale.

La rivista (quella azzeccata, beninteso) rappresenta oggi il migliore affare teatrale. Gli autori specializzati (sono pochi) vengono contesi dagli impresari a colpi di biglietti da un milione. Aldo de Benedetti, autore con Michele Galdieri di «Eravamo sette sorelle», ha confidato recentemente ad un amico che intascherà, per la sua gioconda fatica, tre milioni in sei mesi: quasi mezzo milione per ogni «sorella». Ma le riviste veramente indovinate si contano sulle dita di una mano sola; e spesso, di questa mano, quattro dita sono sufficienti.

Il genere di spettacolo implica una grande esposizione di capitali e il superamento di notevoli difficoltà organizzative. Ci vogliono le belle ragazze, e le belle ragazze scarseggiano, non si trovano che in borsa nera.

Fino al 1943, le ballerine erano quasi tutte tedesche od ungheresi. Fedeli ad un'antica tradizione coreografica ed allenate ad una rigida disciplina, esse calavano in Italia negli scompartimenti di terza classe, capeggiate da severe ed occhialute direttrici.

I milanesi non hanno ancora dimenticato la schiera delle leggiadre «schwarzine». Alcune di esse si trovano ancora fra noi, regolarmente coniugate con ricchi e romantici signori lombardi che vollero offrirsi a domicilio una rosea porzione del famoso balletto.[...]

Mino Caudana, «Tempo», anno VI, n.5, 23 febbraio 1946


MEDIOLANUM. — La Compagnia di Totò ha iniziato ieri le sue rappresentazioni con la rivista «Eravamo sette sorelle» di De Benedetti e Galdieri, musica di diversi autori, regìa dì O. Biancoli. Lo spettacolo ha rinnovato il suo successo e Totò vi è stato assai festeggiato assieme a Tecla Scarnno, alla Poreili, al Ravazzini, alla coppia Brani-Valenti e agli altri esecutori.

«Corriere della Sera», 19 marzo 1946


Questa, sera, alle ore 21, la Compagnia di Totò presenterà : Eravamo sette sorelle, commedia musicale in due tempi. Totò manca ormai da diverso tempo da Parma e l'attesa per questo suo spettacolo è veramente viva. Ci auguriamo che Eravamo sette sorelle venga presentata nell’edizione originale senza tagli e riduzioni «ad usum... provinciae».

Lo spettacolo verrà ripetuto domani sera alle ore 21.

«Gazzetta di Parma», 3 aprile 1946

1946 03 22 Il Lavoro Eravamo Sette Sorelle

1946 03 23 Il Lavoro Eravamo Sette Sorelle

1946 03 24 Il Lavoro Eravamo Sette Sorelle

«Il Lavoro», 22, 23 e 24 marzo 1946


A teatro esaurito si sono iniziate le rappresentazioni della Compagnia di Totò con la commedia musicale «Eravamo sette sorelle». Nello spettacolo. che ha un andamento di rivista, Totò con le sue risorse claunesche inesauribili, con il suo solito e incessante gettito di lazzi a di battute, fa la parte di un seduttore incorreggibile, che dai passati amori ha avuto ben sette sorelle, tutte ballerine in una compagnia di operette ormai fallita. Voi immaginate benissimo come in una storiella simile, il celebre comico abbia avuto modo di prodigarsi e quanti applausi abbia riscosso dal pubblico. Approvazioni vivissime sono anche toccate ai suol collaboratori.

«Il Lavoro», 25 marzo 1946



A Totò dobbiamo molto di più che non semplice ammirazione, per quanto profonda, a Totò dobbiamo della riconoscenza per averci risollevato, ed era ora, in attimo dal grigiore quasi tradizionale della rivista italiana d’oggi.

Sono bastati pochi gesti meccanici di un'eloquenza tutta meridionale, un sorriso cavallino aperto sopra il mento incredibilmente proteso, e un po' di quel suo umorismo che torna, direi, alle fonti dell’umorismo vero, alla irresistibile verve di Petrolini, all’umorismo, se così si può dire, classico, soffuso di malinconia nei tratti in contrapposto alle situazioni più comiche, per dare al pubblico la conferma di trovarsi di fronte a un grande attore comico.

Poi, via via che sul canovaccio di «Eravamo sette sorelle» (commedia che tutti ricorderanno nell’edizione cinematografica di non disastrosa memoria), Totò ha modo di spiegare i toni mute voli del suo repertorio di mimo finissimo e, soprattutto, intelligente si rivela il vero artista finito, convincente, e non il mestierante più o meno incallito, più o meno abile.

Per tre ore il filo invisibile del suo umorismo lega tutti gli spettatori al palcoscenico e alla passarella senza interruzioni, dal principio alla fine, in un crescendo di ammirazione culminante in instancabili applausi e numerosissime chiamate.

Intorno a Totò tutti gli altri sono perfettamente al loro posto, ballerine, ballerini e seconde parti, e tutti vanno lodati in blocco. Inutile aggiungere di più: lo spettacolo di ieri sera è stato senza dubbio il migliore del genere che si sia visto da molto tempo a questa parte e dio sa se al nostro Regio sono passati (e molte volte anche caduti) pochi attori di riviste che oggi vanno per la maggiore.

«Gazzetta di Parma», 4 aprile 1946


Parma, Stadio Tardini, 4 aprile 1946. Totò dà il calcio d'inizio alla partita tra Artisti e Giornalisti

1946 04 04   Stadio Tardini di Parma 2 L


«Gazzetta di Parma», 5 aprile 1946


«La Tribuna Illustrata», 19 maggio 1946


«L'Espresso», 22 giugno 1946


«Cinesport», 26 giugno 1946


Roma 14 settembre, matt.

Il marchese Guglielmo de Curtis, più conosciuto come il popolare comico Totò, ha dovuto ieri sostenere un accanito scontro con l’istitutrice svizzera di sua figlia che non voleva sloggiare dalla casa dell'attore, il quale desiderava che la straniera non continuasse nella sua funzione. Dopo una scena piuttosto movimentata, svoltasi a base di energici e pittoreschi epiteti partenopei e di concitate repliche in tedesco, il duetto fu trasportato dall’abitazione marchionale al commissariato di polizia più vicino ove gli animi in seguito alla persuasiva azione calmante del funzionario, si sono pacificati. Ignorasi se l'istitutrice svizzera rimarrà, o se dovrà andarsene.

«Corriere della Sera», 15 settembre 1946


Altri artisti ed altri temi

Articoli d'epoca, anno 1946

01 Feb 2021

Anna Magnani, l'egiziana che parla il romanesco

Anna Magnani, l'egiziana che parla il romanesco Giorni fa, in una di quelle colazioni che capitano a Roma, ci trovammo tra una marchesa della più ortodossa aristocrazia nera e Anna Magnani. La nobildonna dimostrava il suo compiacimento chiedendo ad…
Aldo Bizzarri, «L'Europeo», anno II, n.13, 31 marzo 1946
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29 Giu 2021

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Anna è in collera con Dio Hollywood ha scoperto Anna Magnani in « Città aperta » e l'ha invitata ad andarsene laggiù. Volete sapere che ne pensa Anna? Un giorno vi dirà: « Ma certo che ci vado, sono stufa di tutte queste bassezze, non vedo l’ora di…
Federico Patellani, «Tempo», n.22, 22 giugno 1946
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30 Giu 2021

De Sica in riformatorio

De Sica in riformatorio I ragazzi traviati sono il triste lascito di ogni guerra; dopo ogni guerra si parla di loro, si trova loro un nome, si fanno libri e film sulla loro vita: dopo l'altra guerra erano i «besprizorni» russi che attiravano…
Luigi Comencini, «Tempo», n.19, 1 giugno 1946
575
30 Giu 2021

L'America compra De Sica

L'America compra De Sica "Sciuscià" è stato acquistato per l’America dalla Metro Goldwyn Mayer. E' il primo film di De Sica che entra, a bandiere spiegate, negli Stati Uniti e gli occhi di De Sica in questi giorni brillano di gioia. Poche volte io…
Adolfo Pratici, «L'Europeo», anno II, n.24, 16 giugno 1946
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«Espresso», 16 gennaio 1946


1946 02 01 Cinelandia Olga Villi intro

Vogliamo fare due chiacchiere? — ho domandato ad Olga Villi, spirito allegro di alta statura e di fattezze bellissime e perfette. Con una mossa abituale Olga si è buttata all'indietro il ciuffo di capelli biondi che le ricade sempre sul volto e mi ha risposto: — Volentieri, purché non sia il mio turno.

Zoe Mori, «Cinelandia», 1 febbraio 1946


Anna Magnani è nata in Egitto da madre romana come mostrano i suoi magnanimi lombi, e da genitore arabo, ciò che si vede nei suoi stinchi. E’ carattere fierissimo e debole, aggressivo e dolcissimo, avaro e dissipatore (come me).

Viziata dalla rivista l’insuccesso l’annienta, il successo le fa peggio perchè la «monta», facendola più autocratica che autocritica. Va a caccia di collaboratori pecorelle da dominare, ma le capita il fatto di tecnici che si danno malati per non servirla, di gente che si squaglia da Roma per rifiutare, di amici che non le fanno visita per non aver a che fare col suo umore eventuale. Sembra che gli applausi la mettano di traverso perchè quanto più ne riscuote, tanto più diventa tirannica e intrattabile. Chi conosce la Merlini ne descrive il caratteraccio infame, ma afferma che Anna la stravince. (Ora saranno soddisfatte tutt’e due).

La indipendenza fa correre brutti rischi alle sue qualità, che sono indubbiamente eccezionali.

Fuori delle sue cupe insofferenze e scatti furiosi, oltre al suo avido egoismo, Anna possiede un’anima così densa e pensosa e sensibile, con tutti i caratteri del vero artista da costituire uno strumento raro per il teatro e il cinema. L’antica ammirazione che ho per lei vorrebbe che questo strumento ella non lo sciupasse giacché, nelle sue, è in mani imprudenti.

Anna Magnani è, certo, fra le più umane attrici di temperamento forte. Potrebbe diventare' la maggiore se sapesse rinunciar alle distrazioni della mondanità, a certi puntigli vani, alle eccessive tendenze commerciali, per dedicarsi umilmente all’arte. Oggi essa guadagna molti milioni ogni anno: sarebbe bello che ne sacrificasse qualcuno (senza andare in escandescenze).

Anton G. Bragaglia, «Cinelandia», 1 marzo 1946


«Il Tempo», 24 luglio 1946 - Nino Taranto, Dolores Palumbo


«Radiocorriere TV», 6 ottobre 1946


«Il Satanello», 1946 - Andrea Checchi

1946 Il Satanello Anna Magnani«Il Satanello», 1946 - Anna Magnani


"Questi fantasmi" di Eduardo De Filippo è stato un successo clamoroso. Soprattutto dopo il secondo atto. La commedia, infatti, poeticamente si chiude al secondo atto, dopo quella corsa trafelata, quella carica sublime delle ultime scane e con quella battuta finale gridata da uno del sessantotto balconi del palazzo : «i fantasmi slamo noi !». Il terzo atto è un’aggiunta, non senza risorse e bravure, ma, come al solito, si avverte un ripiegamento sentimentale su una materia che è Invece venuta fuori con una miracolosa violenza inventiva, dove la personalità dell’autore nel momento stesso che si manifesta ed è riconosciuta, sembra retrocedere e scomparire dentro le oscure leggi ereditarie ed istintive di tutta una razza, di tutto un popolo, come il napoletano che ognuno dice di conoscere e di capire ma che Invece E)e Filippo sembra di volta in volta decifrare con una smorfia che ce lo fa misterioso come un popolo antico di cui la storia abbia lasciato pochi segni.

Autore dialettale, si dice e si disdice di De Filippo; e certo egli ha il torto per compiacenza sua e verso il pubblico di ripiegare spesso su quei motivi facilmente popolari che autorizzano poi a fare di lui come di altri, un dialettale. Come se, soprattutto per un autore italiano, la natura dialettale non fosse la condizione che gli consente di sopportare vittoriosamente, senza esserne intimidito, la lingua italiana. Non è un paradosso. Da noi, chi non è dialettale, è accademico. Se dietro uno scrittore italiano non è possibile aprire il paesaggio di una sua regione, lombarda o siciliana, il suo linguaggio allora è convenzionale e la sua incentiva è retorica.

Se queste cose, accennate tanto in fretta, sono ovvie se si parla di un narratore o di un poeta, se si viene poi a parlare di uno scrittore di teatro si può affermare — anche semplicisticamente — che non c’è teatro se non c'è dialetto (si capisca in quale senso severo, non dilettantesco, si allude qui ad una origine dialettale di un mondo di teatro). Tanto per intenderci : Pirandello non scapita, se lo si dichiara «siciliano». Non per niente l'aria leggera e perduta di alcune sue traslazioni metafisiche sappiamo di doverle ricercare nella Magna Grecia. Oltre al fatto, che le sue commedie più durevoli restano quelle di ispirazione paesana.

Tornando a De Filippo, si sa come cominciano e come finiscono questi discorsi. I limiti di De Filippo crediamo in fondo di conoscerli. Ma non le sue risorse. Sono risorse cosi segrete e cosi profonde, che, malgrado i limiti, oggi De Filippo rischia di essere l'unico scrittore italiano di teatro.

Questi fantasmi è una commedia carica di situazioni. Qualcuna è facile, scopre una sua origine di meccanicità teatrale. Non importa. Il gioco di teatro, come c’è in questi tre atti, scatenatissimo nel secondo, è andato perduto nei più. Ho il coraggio di dirlo : è uno scatto, qua. le si ritrova molte volte in Garcia Lorca. Ma Lorca è dialettale. Come De Filippo è spagnolesco.

Giancarlo Vigorelli, «L'Europeo», 1946


Vittorio De Sica è un ragazzo che ha passato i quarant’anni. Della sua maturità di attore e di regista ha già dato molte prove sul palcoscenico e sullo schermo. E dell'altra maturità, di quella che regala il tempo, si vedono i segni soprattutto osservando i capelli, che sono folti ma ricchi di fili bianchi. Quel segni esteriori non gli hanno però tolto nè la freschezza, nè il candore, o meglio quella cordiale attitudine a stupirsi e quel, la semplice, sicura facoltà di esprimersi, dalle quali è dipeso il suo successo quasi immediato. Il favore che De Sica ha suscitato fin dal principio, e che lo accompagna tuttora, grazie a questa freschezza, è fatto in gran parte di simpatia...

La quale, a guardar bene, è una simpatia di rimbalzo. E’ la risposta alle sue simpatie personali, ai suol umori chiari e mal equivoci, alla sua franca aderenza ai personaggi, al'soggetto, ai sentimenti che ogni volta deve esprimere.

Non c’è dunque da stupirsi se queste sue qualità, nelle quali si risente il verde dei primi anni, lo riconducono con frequenza al tema della fanciullezza. I bambini ci guardano era già sembrato un film bello ed amaro. Sciuscià lo supera: è un bellissimo film, quest tutto esatto, tutto sentito, condotto su una favola dietro la quale magari si profila a tratti l’ombra di De Amtcis, ma anche cosi Incombente e cosi spietato da indurre a riflessioni che certamente non ne diminuiscono i meriti.

Brucia, in questo film, un dramma che è proprio della fanciullezza e che ha i suoi limiti. E’ il dramma del piccoli borsari neri romani, del ragazzi che hanno imparato ad arrangiarsi, le tasche lacere e sudice del quali si gonfiano dell’apparente ricchezza delle am-lire; è il dramma dei monelli che si sono impadroniti del galoppatolo di Villa Borghese, che lucidano le scarpe del .soldati alleati sui marciapiedi di Via Ve-
neto e dispongono di cinquantamila lire per comperare un cavallo al quale si sono affezionati; è il dramma di una fanciullesca fantasia che condurrà due di loro, amicissimi, a diventar nemici e ad essere entrambi vittime di un delitto involontario.

Ma il dramma, intenso e serrato, non è tutto qui. Più profondo, più vero, più tremendo, gli si affianca il dramma della delinquenza dei grandi che raggiunge e coinvolge i ragazzi, che fatalmente stritola la loro innocenza e le loro vite. Questa realtà fin troppo concreta, questo specchio di un mondo di vinti ai quali la sconfitta ha portato, insieme alla perdita dei beni materiali che ognuno cerca di procacciarsi come può (e per ottenerli non bada ai mezzi, e quando li ottiene l’incertezza e l’avidità lo inducono a cercarne altri) anche la perdita dei prlncipli morali elementari, è tutto in ombra e appafe soltanto per accenni; ma in realtà domina il film che, pur non essendo nè volendo essere atto di accusa i(questo documento esprime a suo modo anche un grande sentimento di pietà), prospetta un quadro dal quale si sa bene quali conclusioni dedurre.

Sciuscià è arrivato pochi giorni dopo Napoli milionaria, in certo senso De Sica e Eduardo De Filippo fanno il paio. Entrambi, e sono tra i primi, hanno studiato con occhi liberi un settore dèi panorama attuale di questo nostro paese. Senza sdegni, senza recriminazioni, senza nessun atteggiamento retorico — nè in senso amplificativo, nè in senso contrario, — senza disperazione, ma anche senza finzioni. Hanno il cuore saldo e non temono che i sentimenti possano portarli a diventar sentimentali. E non sono nemmeno dei moralisti, ma entrambi additano quali sono i limiti perduti, quali i limiti che è necessario riproporsi per ricominciare da capo.

Raul Radice, «L'Europeo», 1946