STUDIO UNO

(1965 - 1966)


Studio Uno - 27 febbraio 1965

Nel febbraio del 1965, Totò torna ospite della Rai Tv a sette anni dall’incidente del Musichiere, e dà vita a un tenerissimo duetto, comico e canoro, con Mina a Studio Uno. Le battute non sono certo nuove ma Totò ha ormai una levità quasi soprannaturale, e il contatto con un pubblico vero che ride e applaude, lì davanti a lui, lo riporta indietro a tempi gloriosi. Per quanto sia commosso per questo omaggio (tra l’altro Mina interpreta per lui Baciami, una delle sue canzoni), da vero anarchico non riesce a tenersi dal fare una battuta sul Teatro delle Vittorie: "inaugurato durante la guerra dalla compagnia Totò-Magnani... e adesso durante la pace rovinato dalla tv.


Studio Uno è ormai unanimemente riconosciuto come il miglior varietà della storia della TV. Ne andarono in onda 55 puntate dal 21 ottobre 1961 al 25 giugno 1966, quasi tutte condotte dalla indimenticabile Mina, affiancata da tutti i maggiori protagonisti dello spettacolo dell'epoca, da Walter Chiari a Lelio Luttazzi. Ospiti famosi, cantanti al massimo del successo, continue gag comiche, balletti, un ritmo incalzante con la regia avveniristica di Antonello Falqui: con poche telecamere faceva uno spettacolo che a rivederlo sembra quasi digitale!

A condurre la prima edizione e quelle del 1965 e 1966 di Studio Uno è stata la cantante conduttrice Mina, affiancata da partner maschili che si avvicendavano volta per volta, fra cui Paolo Panelli e Alberto Lupo. Ad accompagnare i cantanti ospiti nelle esibizioni rigorosamente dal vivo era l'orchestra diretta dal maestro Bruno Canfora. L'orchestra era sempre in playback. In una delle dodici puntate della quarta serie (1965), andata in onda dal 13 febbraio al 1 maggio 1965, fu ospite d'onore Totò che duettò con Mina nella canzone Baciami.



Così la stampa dell'epoca

Il comico si esibirà con la cantante nella sua ultima novità: «Baciami» - PANELLI contro le zitelle e SALCE alle prese con l'attualità - MILLY in «Stramilano» - Eliminato il duello canoro: Sergio Bruni non ha digerito la sconfitta?

Roma, sabato sera.

L'altro giorno, recatomi alla Radio per un'intervista al maestro Canfora, sono entrato senza volerlo nella cucina di «Studio Uno». Nella sala «B» si registrava infatti la «base» di una canzone che udremo stasera da Mina in prima assoluta: She loves you. Per vecchia esperienza, conosco le difficoltà esistenti fn materia di acustica, ma non sapevo che per la «base» di una canzoncina occorresse tanto tempo. Io mi trovavo in auditorio e, per la verità, i cinque elementi del complessino ritmico facevano tale un chiasso che mi riusciva impossibile di parlare con.Mina, presente alla registrazione. Ma ogni volta che dalla sala missàggio trasmettevano il nastro in auditorio, quei ritmi risultavano fiacchi, privi di mordente, e il povero Bruno (che viceversa è un «pel di carota») scuoteva la testa in segno di ostinato diniego, ci vollero dieci registrazioni, per avere «fa buona». Ve ne ho fatto cenno, per spiegare quanta pignoleria sia necessaria in una trasmissione come questa (due ore, per una canzone che dura tre minuti!).

Secondo Sacerdote — producer inflessibile — «negli studi tutto deve funzionare con un sincrono al millesimo di secondo, come sopra una portaerei». Per questo, fra una puntata e l'altra di «Studio Uno», sette giorni sono appena sufficienti per l'orchestra e gli attori. A sua volta, il regista Falqui ha adottalo il motto dell'Accademia del Cimento: «Provando e riprovando».

Durante una capatina al Teatro Delle Vittorie abbiamo raccolto qualche indiscrezione ( una vera cortina di ferro circonda il palcoscenico; la consegna è di tacerei), Milly canterà Que'reste t'il de notre amour e Sramilano; Panelli — alias Bruno Cecconi — metterà alla berlina le zitelle; Luciano Salce, davvero scatenato nell'ultima puntata, sarà un vero caleidoscopio di annotazioni gustose su argomenti di attualità. Gustoso «scontro» fra i cantanti di due generazioni è stato soppresso per la ragione che «portava via troppo tempo». In realtà, quelle palette alzate, quel confronto dove c'era, è vero, un vincitore — ma anche un vinto (Sergio Bruni deve esserci rimasto piuttosto male, sabato scorso) era sciocco e impopolare. Lelio Litttazzi, malgrado si autodefinisca «un esule volontario della tastiera», suonerà una fantasia di motivi al pianoforte. Quanto all'ospite di Mina e dell'«Uomo per me» si tratta di un grande comico: Totò che accanto alla corposa cantante dovrebbe esibirsi in «Baciami», l'ultima novità del principe De Curtis.

Riccardo Morbelli, «Stampa Sera», 27 febbraio 1965


Il pregio maggiore e più evidente della terza puntata di «Studio Uno» è stato il rapido ritmo: lo spettacolo, sfrondato (è stata soppressa la gara canora, troppo imbarazzante, per i perdenti), non ha avuto lungaggini, pause, divagazioni: i numeri si sono succeduti ai numeri a tamburo battente, come ci auguravamo. Purtroppo, accanto a questo pregio, bisogna subito annotare un difetto, un grosso difetto: la mancanza di un adeguato copione umoristico. Stavolta, gli autori, Castellano e Pipolo, che pure hanno al loro attivo sceneggiature di film ricche di spirito e di mordente, non sono riusciti a fare centro. Pensiamo al monologo di Salce: la settimana scorsa la chiacchierata di Salce era stata la cosa più divertente in assoluto: ieri, tolta qualche battuta iniziale sugli italiani ricchi che al momento ili pagare le tasse si mimetizzano da poveri, era tutta sforzata, smorta, arrancante. Pensiamo all'assolo di Panelli: già Gassman s'era vestito da donna e non era il caso di ripetere lo scherzo che tra l'altro è sempre rischioso perché fatalmente comporta una comicità al limite del lazzo volgare; comunque vada anche per Panelli vestito da donna: ma il guaio è che il raccontino non usciva dall'ambito di una serie di facezie adatte per un trattenimento di dilettanti (e non tiriamo fuori il solito avanspettacolo perche sui palcoscenici cosiddetti minori di roba del genere non ne circola più da un pezzo): a parte il fatto che è francamente diffìcile e non è sempre di buon gusto impiantare delle variazioni di pesante timbro farsesco sulle disavventure di una vecchia zitella con gli occhiali che nessun uomo s'è mai degnato di guardare. Panelli merita di più.

E mal servito dal copione è risultato lo stesso Totò, ospite d'onore del mini-show di Mina. Non sappiamo se Totò recitava battute del suo repertorio o se recitava un testo di altri: certo è che oggigiorno con freddure del tipo « Da giovane suonavo la fuga di Bach con la nonna di Beethoven», oppure «nei Paesi Bassi si sta scomodi perché bisogna camminare curvi» soltanto ed esclusivamente un comico del calibro di Totò sa far ridere e se le risate sono esplose scroscianti e se gli applausi non finivano più, il merito non era in ogni caso delle battute ma dell'antica mimica di questo attore (il roteare degli occhi, le mosse con la testa e con il collo, l'uso burattinesco delle gambe e delle braccia) mimica dinanzi alla quale il pubblico non si stanca ancora, di entusiasmarsi.

Che altro? Belle, amabili, ma un po' in ombra nel meccanismo dello spettacolo le Kessler. Matronale d'aspetto e sbarazzina nelle canzoni la Mina. Molto bene come sempre la Milly. Il presentatore Luttazzi in una cantatina ha rimpianto — e noi con lui — il tempo in cui faceva il musicista e non il presentatore. [...]

u. bz., «La Stampa», 28 febbraio 1965


Lo spettacolo di ieri era agile e scorrevole : ma difettava gravemente l'umorismo - In ombra le Kessler - Stasera una nuova rubrica, «Prima pagina» - Cala il sipario sul romanzo sceneggiato e sulla rivista «Orsa Maggiore»

Il pregio maggiore e più evidente della terza puntata di «Studio Uno» è stato il rapido ritmo: lo spettacolo, sfrondato (è stata soppressa la gara canora, troppo imbarazzante per i perdenti), non ha avuto lungaggini, pause, divagazioni: i numeri si sono succeduti di numeri a tamburo battente, come ci auguravamo. Purtroppo, accanto a questo pregio, bisogna subito annotare un difetto, un grosso difetto: la mancanza di un adeguato copione umoristico.

Stavolta gli autori, Castellano e Pipolo, che pure hanno al loro attivo sceneggiature di film ricche di spirito e di mordente, non sono riusciti a fare centro. Pensiamo al monologo di Salce: la settimana scorsa la chiacchierata di Salce era stata la cosa più divertente in assoluto: ieri, tolta qualche battuta iniziale sugli italiani ricchi che al momento di pagare le tassa si mimetizzano da poveri, era tutta sforzata, smorta, arrancante. Pensiamo all'assolo di Panelli: già Gassman s'era vestito da donna e non era il caso di ripetere lo scherzo che tra l'altro è sempre rischioso perché fatalmente comporta una comicità al limite del lazzo volgare; comunque vada anche per Panelli vestito da donna: ma il guaio è che il raccontino non usciva dall'ambito di una serie di facezie adatte per un trattenimento di dilettanti (e non tiriamo fuori ii solito avanspettacolo perché sui palcoscenici cosiddetti minori di roba del genere non ne circola più da un pezzo): a parte il fatto che è francamente difficile e non è sempre di buon gusto impiantare delle variazioni di pesante timbro farsesco sulle disavventura di una vecchia zitella con gli occhiali che nessun uomo s'è mai degnato di guardare. Panelli merita di più.

E mal servito dal copione è risultato lo stesso Totò, ospite d'onore del mini-show di Mina. Non sappiamo se Totò recitava battute del suo repertorio o se recitava un testo di altri: certo è che oggigiorno con freddure del tipo «Da giovane suonavo la fuga di Bach con la nonna di Beethoven», oppure «nei Paesi Bassi si sta scomodi perché bisogna camminare curvi» soltanto ed esclusivamente un comico del calibro di Totò sa far ridere: o se le risate sono esplose scroscianti e se gli applausi non finivano più, il merito non era in ogni caso delle battute ma dell'antica mimica di questo attore, di roteare degli occhi, le mosse con la testa e con il collo, l'uso burattinesco delle gambe e delle braccia, mimica dinanzi alla quale il pubblico non si stanca ancora di entusiasmarsi.

Che altro? Belle, amabili, ma un po' in ombra nel meccanismo della spettacolo le Kessler. Matronale d'aspetto e sbarazzina nelle canzoni la Mina. Molto bene come sempre la Milly. Il presentatore Luttazzi in una cantatina ha rimpianto — e, noi con lui — il tempo in cui faceva il musicista e non il presentatore.

«Corriere della Sera», 28 febbraio 1965


Rivista a distanza di due settimane dall'esordio, come si presenta la trasmissione di sabato sera sul nazionale «Studio Uno»? Intanto, il corpo esorbitante dello spettacolo è stato ridotto a più ragionevoli proporzioni: soppressa la gara fra cantanti (discutibile sotto tutti i riguardi; soppresso lo sketch delle Kessler con uno spettatore; contenuta nella durata la chiacchierata di Luciano Salce: tutti provvedimenti opportuni ed efficaci. Difatti la trasmissione ne ha guadagnato in sveltezza ed equilibrio, per fino in un certo ritmo. E tuttavia... Tuttavia, proprio adesso che si può esaminare meglio il tessuto connettivo di «Studio Uno», salta agli occhi, sotto i lustrini, il fasto della «macchina», la sua irrimediabile povertà di sostanza, cioè di idee.

Per esempio: il numero di Luciano Salce era ieri sera assai debole: non diremmo proprio che almeno qualche battuta offrisse la novità o la cattiveria necessaria per arrivare in bersaglio; e del resto perfino il pub. blico cortese e di buona bocca che sta in sala non ha avuto il coraggio di entusiasmarsi. Lo stesso Panelli, poi. buttato allo sbaraglio in una macchietta addirittura antidiluviana, che sfruttava l’artificio stucchevole del travestimento femminile, non ha potuto mettere in atto tutte le sue risorse comiche, che pure non sono trascurabili. Difetto di trovate e difetto di testi sono le due palle al piede dello spettacolo e purtroppo, da quanto si può diagnosticare dopo tre puntate, tendono a pesare sempre di piu.

Cosi, cosa resiste? In parte (giacché anche per loro vale il principio dell'usura) le Kessler, neppure sempre bene usate; qualche coreografia; e soprattutto Milly e Mina, ieri sera il piccolo show «privato» di Mina ha costituito la parte più convincente della trasmissione, anche per merito di Totò, la cui semplice comparsa vitalizza qualsiasi spettacolo. Risultati particolari, dunque: nel suo insieme «Studio Uno» pare illustrare un titolo famoso: molto rumore per poco, se non proprio per nulla.

Sul secondo canale. «Orfeo all'inferno», di Offenbach, nella edizione ripresa dal Teatro San Carlo di Napoli: un documento della gaiezza e fantasia ottocentesche che non smette di piacere.

G., «Corriere d'Informazione», 28 febbraio 1965


Più stringata delle precedenti, la terza puntata di « Studio uno»; soppressa la gara fra cantanti, ridotto il tempo della chiacchierata di Salce, resa piu « nervosa » la successione dei quadri e degli episodi. Lo spettacolo, complessivamente, ne ha guadagnato. Considerando poi i troppi « varietà » melensi apparsi in questi ultimi tempi sul « video » non si può non riconoscere alla trasmissione di Falqui e Sacerdote una « classe » maggiore. Quelle che mancano, tuttavia, sono le idee, lo spunto risolutore che trasformi il lustro dei « nomi » e delle risorse scenografiche e coreografiche in divertimento autentico, che faccia insomma compiere alla trasmissione il salto che separa il piacevole dall'interessante.

L'apparizione di Totò, con la sua prodigiosa comunicativa che evoca i « tempi d'oro » della « rivista », è stata il fatto saliente della puntata di sabato scorso. Per il resto si sono riviste le longilinee affiatatissime gemelle Kessler, si è riascoltato Luciano Salce in un soliloquio meno graffiarne dei precedenti, s’è visto Paolo Panelli travestito da donna (e c'è ancora chi ride a queste invenzioni dell'epoca de «La zia di Carlo»), mentre Milly ha evocato con la sua inesauribile arte l'eterno motivo dell'amore e la bonaria felicità di « Stramilano », e Mina s'è esibita in una sorta di « recital » alla maniera del Beatles, dedicandolo ai più giovani. Lelio Luttazzi, infine, è stato il solito prezzemolo, con la sua ormai scontata aria scanzonata e un tantino « blasé » [...].

«La Stampa», 1 marzo 1965

 

1965 03 06 Corriere della Sera Toto TV L

1965 03 06 Corriere dell Informazione Toto TV L

«Corriere della Sera», «Corriere d'Informazione», 6 marzo 1965


1965 03 07 Domenica del Corriere Studio Uno intro

«Domenica del Corriere», 6 marzo 1965


1965 04 Radiocorriere TV Studio Uno 1965 intro

Tutto ebbe inizio a Trastevere. Guido Sacerdote, seduto al tavolo d'una trattoria, trasse un sospiro di sollievo e si rimise in tasca una diecina di fogli spiegazzati sui quali era riportato, a grosse linee, il piano di Studio Uno. Dopo vari pensamenti, il programma televisivo si poteva dire completo. Il presentatore sarebbe stato Lelio Luttazzi; alle gemelle Kessler il ruolo del numero di maggiore attrazione: Milly avrebbe interpretato canzoni care ai signori di mezza età; Panelli, sul video Cecconi Bruno, avrebbe avuto il suo numero fisso; a Luciano Salce il compito di commentare i «fatti del giorno». La cantante sarebbe stata Mina.

Come al solito, naturalmente, ci sarebbero stati gli ospiti d’onore. A questo punto Falqui disse: «Bisognerebbe trovare una strada originale, per presentare gli ospiti d’onore. Io ho un'idea...». E prese subito a esporla. «Oggi nessuno è contento di quello che fa, specie nel mondo dello spettacolo; l’attore vuole fare il regista, il regista il produttore, il cantante l’attore, il giornalista vuole fare il romanziereec qualche volta anche il cantante. Perchè Mina non potrebbe presentare lei gli ospiti d'onore?»

1965 04 Radiocorriere TV Studio Uno 1965 f2

Un pizzico di novità

Dice Mina: «Falqui e Sacerdote mi parlarono di quello che avrei dovuto fare, delle mie canzoni, di come sarebbe andata la trasmissione. Poi mi chiesero quello che ini sarebbe piaciuto fare oltre la cantante. Io risposi: la presentatrice. E loro: «Va bene, pensa tu una rubrica per gli ospiti di Studio Uno».

Mina ci pensò qualche giorno. Gli avevano detto: «Non una cosa fritta c rifritta, ci vuole un pizzico di novità». E una sera, uscendo da un night, le venne l’idea. «Il difetto principale del mio carattere — dice Mina — è quello d’essere impulsiva. Non ho doti di diplomazia, non sono Mike Bongiorno. Se mi fossi trovata nello studio, davanti alle telecamere, con un personaggio bizzarro, acido, magari bravissimo, come avrei reagito? Certamente male. Bisognava trovare, allora, gente che mi fosse simpatica, che mi rendesse frizzante, allegra. Innanzi tutto, uomini. Su questo non c’era dubbio. Tra donne si va poco d'accordo, bisogna fare complimenti, sotto sotto ci può essere qualche rivalità, magari ti trovi davanti una bella donna, e mentre le parli pensi che ha un vestito mollo più bello del tuo. Dunque, solo uomini. Ma quali? Uscendo dal night pensai quali uomini avrei voluto per cavalieri, per una sera. Ebbene, mi dissi, queste sono le persone che intervisterò, Questi sono "gli uomini per me"».

«Grazie, non ho tempo»

L’idea c’era, ma la realizzazione si presentava difficile Mina immaginava che sarebbe bastata una telefonata perché attori e comici accorressero al suo invito. E invece ogni qualvolta la cantante telefonava a un suo amico dicendogli: «Sai, avrò una rubrica tutta per me in Studio Uno. Voglio proprio che tu partecipi», dall’altra parte del filo le rispondevano: «Grazie tante, Mina, sei molto gentile, ma non ho tempo». Erano tutti davvero tanto occupati? Forse no, forse era proprio per colpa di Mina, cosi simpatica, ma è pericolosa, perché non ritiene. Mina, forse, sarebbe stata docile e accomodante durante tutta la settimana, ma dinanzi alle telecamere sarebbe tornata ad essere la «tigre» di Cremona. Mina avrebbe voluto rigirarsi a piacer suo l’ospite, farlo magari cantare se era stonato, recitare se era impacciato, dire barzellette se era glaciale. Gli attori interpellati erano però d'altro parere.

Cosi che ci volle del bello e del buono per mettersi d’accordo. Nino Manfredi, dopo qualche esitazione, disse di si; ma alla richiesta di un ennesimo sketch sul ciociaro, si dimostrò dubbioso. «Sai — disse a Mina — adesso ho una certa posizione, e non me la sento di rifare cose che sanno di stantio». Gassman fu l’unico ad accettare subito. Ma insisteva per i versi dell'Adelchi. Anche Walter Chiari fece le sue bizze, poi si rassegnò e fu persino puntuale per far da cavaliere a Mina.

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Con Totò non si sa mai

Le grosse difficoltà vennero con Totò e Nazzari. Fu Totò a mettere in imbarazzo Mina. Da vecchio lupo di teatro, che del mestiere conosce tutti i trucchi, preferisce improvvisare per dare maggiore spontaneità alle situazioni. Disse a Mina: «Cara signora, non diamoci pena di quello che diremo e faremo in trasmissione, sarà quel che Dio vorrà. Mi faccia solo qualche domanda e il discorso nascerà da solo». Fu Mina a metter le carte in tavola. Con un comico di quella fatta era sempre pericoloso affidarsi all'improvvisazione: si partiva coll’intervistarlo e si finiva chissà dove.

Con Nazzari le cose andarono diversamente, ma furono ugualmente spinose. Nazzari, per chi non lo sapesse, dietro l’apparenza di uomo sicuro e deciso, cela un'invincibile timidezza. Le parti di coraggioso gli si addicono sullo schermo, ma nella vita è propenso a pensare che una diecina di impegni, si rende introvabile, non si sa più dove raggiungerlo. Quando Mina pensò a lui si armò di tutta la pazienza di cui è capace e gli dette la caccia per tutta Roma. Nazzari ascoltò la proposta. poi, scuotendo la testa, disse con quella sua voce profonda: «Non è roba per me. Davanti al pubblico rendo poco. Non so cantare, non so declamare poesie, non so raccontare barzellette. Sarei una frana». Poi, non si sa come, nè per quali vie, né con quante preghiere e intermediari, Nazzari accettò. E fu poi cosi contento della sua partecipazione a Studio Uno che, finito lo spettacolo, ringraziò Mina d'averlo messo subito a suo agio. A casa, il giorno dopo, Mina ricevette un fascio di rose rosse.

Carlo Napoli, «Radiocorriere TV», aprile 1965


1999 04 06 L Unita Mina Alberto Sordi intro

Dagli sketch con Totò a «Studio 1» al duetto con Battisti a «Teatro 10»

1999 04 06 L Unita Mina Alberto Sordi f1Aveva appena diciannove anni e da neppure un anno aveva smesso di farsi chiamare Baby Gate, i capelli corti e cotonati, un abitino senza maniche che le lasciava libere quelle braccia lunghe lunghe e quelle mani irrequiete, la voce che urlava: «Nessuno, ti giuro nessuno, nemmeno il destino c può separare...». Era il 4 aprile del 1959, quarant'anni fa, e Mina debuttava in tv, nel Musichiere di Mario Riva. O forse sarebbe meglio dire che Mina «esplodeva» dai teleschermi in bianco e nero di un'Italia che entrava festosa nel boom economico, che scopriva i juke-box e restava a bocca aperta di fronte a quella forza della natura arrivata dal cremonese, una ragazzona yè-yè «lunga come un contrabbasso - diceva di lei Totò - e bianca come un gelato alla crema, che recita poco e male, ride al momento sbagliato, ma quando comincia a cantare, dalla sua voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate».

In realtà, quella sera d'aprile, al Musichiere, Mina più che pianti e risate dalla sua voce faceva uscire, urlando le sue sillabe spezzate, una dichiarazione di esuberanza sessuale in piena regola; con la sua voce aveva praticamente rivoltato come un calzino un brano nato «melodico», arrivato fresco fresco dal Sanremo di quell'anno (l'avevano presentato Betty Curtis e Wilma De Angelis).

Poco importava che le vocali uscissero un po' ammaccate dalla sua performance. Sergio Pugliese, che all'epoca era il direttore dei programmi della Rai, aveva capito che lì non c'era solo grinta ma un talento che avrebbe fatto strada. E infatti per Mina il 1959 è stato un anno magico: iniziò lì una frequentazione televisiva durata vent'anni. Nello stesso anno è passata da Lascia o raddoppia? al Teatrino di Walter Chiari, e poi in gara a Canzonissima. La televisione di allora, che era quella degli Antonello Falqui e dei Gino Landi, la tv insomma che inventava il varietà - un momento magico e a quanto pare irripetibile - era affascinata da quella creatura trasgressiva ed eccessiva, tutta voce e corpo, capace di trasformarsi col solo battito delle lunghissime ciglia al mascara. «Aveva uno straordinario istinto - ricorda Antonello Falqui, il «suo» regista, da Studio Uno in poi - un istinto alle origini inconscio, poi via via sempre più consapevole... Poteva essere un cronometro di precisione come Gassman o un magnifico orologio senza sfere come Totò; Mina trovava sempre il modo giusto per esprimere simpatia, comunicativa, successo...

Solo una volta discutemmo un po', perché lei, per una specie ai suo innato pudore, non si sentiva di interpretare la macchietta del timido soldatino balbuziente. Mina mi disse che lei era una cantante e non un'attrice. Poi fece la macchietta, naturalmente benissimo» (da «Mina, i mille volti di una voce»). Studio Uno, che lei ha condotto nel ‘61 e poi nel'65 e nel '66, è una fonte inesauribile di blob nostalgici: Mina che, emozionatissima, sotto lo sguardo di Totò canta Baciami (scritta proprio dal grande comico), Mina coi suoi abiti lunghissimi e le scollature altrettanto generose, Mina e il Dadaumpa delle gemelle Kessler, Mina con Alberto Sordi che le dice «fatte vedè da vicino, sei la più grande cantante del mondo, sei grande... sei 'na fagottata de roba!». Arriveranno poi le esperienze di Sabato sera (1967), della straordinaria Canzonissima del '68, e soprattutto di Teatro 10 (72), il varietà in coppia con Alberto Lupo, quello dell'indimenticabile duetto con Lucio Battisti, quello che ha fatto da trampolino di lancio delle sue canzoni più mature, come Grande grande grande, e ovviamente Parole, parole, parole. «Che cosa sei, che cosa sei...»: lei era sempre troppo grande per la scatola del televisore, grandi occhi, grande voce, grande gestualità. Quasi sempre in primo piano, per la gioia delle donne che prendevano appunti per poi imitarla. Una presenza erotica e al tempo stesso ironica, intelligente, simpatica.

Per quanto la Rai non sia sempre stata simpatica nei suoi confronti. Per due anni, dal '62 al '64, è stata bandita dagli schermi, «colpevole» di aver avuto un figlio senza essere sposata. A «sdoganarla» ci hanno pensato le sue canzoni, che finivano tutte in hit parade. Nel 1975 la Rai le censurò una delle sue canzoni più belle e terribili: L'importante è finire. Ma a quel punto lei aveva già chiuso con i varietà televisivi. Il suo ultimo show è del 74, Milleluci, insieme a Raffaella Carrà. Cantava un'altra delle sue splendide provocazioni, Ancora ancora ancora, truccatissima e in primo piano, con le labbra aperte verso la telecamera: la Rai «censurò» il filmato con degli effetti ottici. Nella sigla di coda, seduta su uno sgabello, Mina cantava Non gioco più, quasi profetica: quattro anni dopo, nel 1978, ha smesso sul serio di giocare, almeno in pubblico.

Alba Solaro, «L'Unità», 6 aprile 1999



Studio Uno - 18 giugno 1966

La 19a puntata della trasmissione STUDIO UNO, di Castellano e Pipolo con Mina, (cicli di 5 puntate, per un totale di venti, cambiava la primadonna: Sandra Milo, Ornella Vanoni e Rita Pavone si erano succedute nei cicli precedenti), Lelio Luttazzi, Luciano Salce, Caterina Caselli e le gemelle Kessler, andò in onda il 18 giugno 1966 e vide ospite il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò il quale si esibì con il fido Mario Castellani in un esilarante duetto che culminò con lo sketch finale Pasquale. Va notata la sicurezza dei mezzi artistici dei due attori, che anche davanti alla telecamera improvvisano e "sbagliano" come  a teatro: un'ulteriore conferma che il copione è solo un optional. Va ricordato che nel 1940, durante la rappresentazione della rivista Quando meno te l'aspetti, Totò fu convinto dall'impresario Michele Galdieri di interpretare la maschera di Pulcinella, che Antonio de Curtis fece solo una volta e malvolentieri, guadagnandosi addirittura dei fischi, a dimostrazione che l’antica maschera partenopea non ha troppi punti di contatto con la sua; nelle serate successive quel quadro viene sostituito da un paio di numeri già sfruttati in avanspettacolo, tra cui proprio il noto Pasquale poi rifatto a Studio Uno davanti a Mina.


Così la stampa dell'epoca

1966 06 19 Corriere della Sera Studio Uno intro

Totò alla Tv. Aveva rifiutato decine di volte, ogni tanto pareva fatta e poi si tornava indietro: ma ieri sera anche lui ha ceduto al richiamo del piccolo schermo. Studio Uno lo ha catturato come ospite d'onore, con da marsina ondeggiante, la bombetta in cima alla lunga testa, la bazza in fuori, il collo snodato, e le celebri movenze marionettistiche. Le telecamere hanno sottolineato ogni mossa, ogni smorfia, ogni lazzo, con la loro spietata, impersonale, ineguagliabile capacità di osservazione.

Non voleva, Totò, cedere alla televisione: forse perchè temeva che potesse scalfire il suo mito, che potesse falsare le sue risorse di grande mimo; che potesse logorarlo con qualche copione e qualche spettacolo inconcludente. Ma la sua apparizione ieri sera, come ospite d'onore, è stata, a guardar bene, un modo di eludere il pericolo. Perchè Totò ha rappresentato soltanto se stesso, è stato il documento di se stesso, di un genere, di un gusto, di una vis comica che possono resistere solo addosso a lui.

Ha raccontato storielle note, come quella del tizio che prende un sacco di botte da un altro, il quale continua a chiamarlo Pasquale. «E tu perchè : non ti sei ribellato?», chiede l'attore che fa da spalla. Risposta: «Ma io non sono Pasquale». Ha recitato le sue fllastrocche, ha saltabeccato intorno a Mina, ha messo in mostra un campionario famoso, già consacrato nella storia del cosiddetto teatro leggero. Ma si rimaneva presi, trascinati perchè ci metteva quella sua personalità inimitabile, quel suo estro genuino. Su tutt'altro piano, avveniva lo stesso fenomeno che fa tornare avvincenti in Tv i vecchi film di Greta Garbo o di Clark Gable. Per il resto, ieri sera, solito Studio Uno, con le sue stelle e le sue banalità; un po’ sveltito però, ci è parso, dopo mesi di rodaggio; e con una Mina lanciatissima.

«Corriere della Sera», 19 giugno 1966


1966 06 19 La Stampa Studio Uno intro

Lieta partecipazione del comico napoletano a «Studio Uno» Stasera «Luisa Sanfelice» giunta alla penultima puntata.

«Studio Uno» sta sparando le sue ultime cartucce. Sabato prossimo questa ciclopica impresa sarà finita e tireremo un respiro tutti: venti puntate sono un'assurdità, un errore che non dovrà più essere ripetuto. Ad ogni modo ci sembra che la rivista abbia trovato proprio al termine del suo troppo lungo ed estenuante cammino un livello soddisfacente. C'è del ritmo, c'è della sostanza. Lasciamo stare, ieri sera, il fine cesellatore della canzonetta napoletana Sergio Bruni (il quale s'è lamentato della crisi delle melodie partenopee: ma se continua a cantare roba del tipo che ci ha fatto sentire, altro che crisi, sarà il crollo completo); lasciamo stare Caterina Caselli (che con quel cappello in testa e il movimento frenetico delle braccia pareva, così ripresa in primo piano, un'evasa da una casa di cura); lasciamoli perdere benché entrambi siano figure molto indicative e, da un certo punto di vista, anche divertenti. Ma il resto è andato bene: da Salce che alcune frecciatine le ha messe a segno con un'allusione (persino!) all'on. Moro; da Salce, dicevamo, alle Kessler che stavolta avevano le gambe generosamente in mostra, da Walter Chiari che, pur tra le solite lungaggini, ha raccontato una buona barzelletta (quella del soldato e dei carri armati), a Mina che ha ancheggiato e cantato per la gioia de: suoi fans.

E poi è intervenuto Totò. Un classico Totò con la bombetta, la giacca lunga, i calzoni alle caviglie. Parecchi anni sono passati da quando l'attore napoletano era indiscutibilmente l'unico e impareggiabile comico italiano: il gusto del pubblico, specie del pubblico più giovane, può essere mutato e d'altra parte, logicamente, l'estro dello stesso Totò può essersi affievolito. Però bisogna dire che ancor oggi Totò sa far ridere; e sa far ridere con un gesto, con un'occhiata, con una minuscola battuta che in bocca ad altri si spegnerebbe di colpo e che egli invece riesce a sfruttare a fondo con un'abilità sempre notevolissima. Grandi applausi che una volta tanto non hanno dato fastidio. Abbastanza controllato Luttazzi. Salce (scherzando) gli ha detto: «In tanti mesi ti sei tirato addosso un carico d'odio». Ma no, povero Luttazzi, odio assolutamente no: solo che gli spettatori, sabato prossimo, lo saluteranno cordialmente augurandosi di non rivederlo più in tv almeno per un paio di anni.

u. bz., «La Stampa», 19 giugno 1966


1966 06 25 La Stampa Toto Studio Uno intro

L'elefante ha infilato la bombetta: ovvero, STUDIO UNO è riuscito a catturare Totò, l'unico attore di rilievo che aveva resistito alle lusinghe della tv. Consideriamolo l'avvenimento della settimana. Fra le molte anticaglie che passano quotidianamente sul video, Totò era ancora un personaggio televisivo da scoprire. Non altrettanto la sua scenetta. La trascina, con monotonia, dai tempi dell'avanspettacolo. Grazie all'attore comunque, «Studio Uno», che stasera ci saluta dopo venti puntate, ha ricevuto una scossa salutare. [...]

vice, «Stampa Sera», 25 giugno 1966


Testo integrale dello sketch "Pasquale"