Qual'è il vero Mario Soldati?

1964 07 11 Tempo Evi Marandi f0

Gli scrittori italiani da centomila copie. Sorprendente attore che interpreta soprattutto la parte di se stesso, Mario Soldati è in verità solo uno scrittore ricco di pudore che nasconde con i giochi e i travestimenti il suo profondo amore per la vita

Rimasi un po' sul pianerottolo di casa Soldati. La domestica non aveva sentito il campanello e io non volevo risuonare subito perchè m’ero accorta che l'intervista poteva cominciare proprio di lì. Non avevo mai visto la gente tenere la roba fuori di casa, cioè sul pianerottolo (a parte Dino Buzzati che, al tempo in cui abitava in viale Maino, lasciava sempre sulle scale due enormi seggiole che non gli piacevano e che nessuno gli rubava perchè, suppongo, non piacevano neppure ai ladri), e qui, poi, non si trattava soltanto d’un paio di seggiole, ma di una quantità di cose. C’erano uno specchio, un mobile con molti sportelli e molti cassetti — di cui uno, semiaperto, lasciava intravvedere mucchi di carte —, qualche quadro, un portaombrelli, una fila di sedie appoggiate al muro. Alle sedie erano appesi alcuni indumenti: giacche sportive scozzesi oppure di pelle, una giacca blu. soprabiti, impermeabili, bastoni e vari tipi di cappelli. Su ogni sedia un "travestimento” quasi completo: da "giocatore di bocce”, oppure da "uomo di lettere”, da "regista inglese", da "filosofo che passeggia sotto la pioggia", eccetera. Pensai che j ogni giorno, passando di lì per uscire, Mario Soldati indossasse, a seconda del proprio umore o del tempo, il personaggio che gli si addiceva di più. E mi venne in mente Indro Montanelli, che gli ha già scritto un epitaffio per quando morirà. Eccolo: «Qui giace - l'attore - che meglio interpretò - la parte - di - Mario Soldati - seminarista eretico -regista fallito - magnifico scrittore - decorato - del premio , Strega - per l'unico romanzo -che - non gli riuscì».

«Gasp, gulp. scrash» urlò qualcuno dall’altra parte dell'uscio. Poi ci fu un rovinio che mi parve di vetri e la porta si aprì. «Oh — fece la domestica — lei aveva suonato? Capirà, con questo chiasso. Venga, venga, il dottore l’aspetta nello studio». Scavalcai un mucchio di soldatini rovesciati sul pavimento, mi scontrai con due ragazzetti armati di fucili e pistole mitragliatrici i quali smisero per un momento di fare "gulp” e "scrash” per dirmi buonasera e fui guidata verso una porta dalla quale usciva un ticchettio irregolare di macchina da scrivere.

1962 10 27 Tempo Mario Soldati f1Lo scrittore nello studio della sua casa milanese in uno dei suoi tipici atteggiamenti, gli indici infilati nel panciotto. Mario Soldati è nato a Torino il 17 novembre 1906, Si è laureato in lettere con una tesi sul pittore cremonese Boccaccio Boccaccino ed ha soggiornato per tre anni a Roma, allievo della Scuola Superiore di Storia dell’arte. Nel 1929 si è recato negli Stati Uniti con una borsa di studio: da quell’esperienza è nato uno dei suoi libri più sottili e penetranti: "America primo amore". Ma la sua prima opera letteraria è "Salmace”, una raccolta di novelle pubblicata nel 1929 che ottenne i consensi del noto critico G. A. Bergese.

«Non avevo nessuna voglia di vederla» mi disse Mario Soldati alzandosi e sorridendo con l’aria di avere pronunciato la frase più carina della terra.

«E’ per via di Bassani?» chiesi.

C’era stata la faccenda del suo amico che a sentire la gente informata s’era lamentato perchè l’avevo trattato male in un articolo qualche mese fa, e che probabilmente gli aveva suggerito di guardarsi da me.

«Ma no, è per me. Sono io che detesto la gente che ancora non conosco. E sa perchè? Perchè poi mi tocca accettarla, fargli posto. Appena vedo uno nuovo mi dico: auffa, e ora c’è anche lui, dove lo metto, come faccio a trovare ancora un altro po’ di bene da volergli, non ho più posto, che fatica».

Camminava in su e in giù per lo studio, magro, rapido, i baffi alti sotto il naso, i calzoni altissimi sotto le ascelle, e ogni tanto si arrampicava su qualche mobile, si appollaiava ora qua e ora là e di lassù continuava il discorso sull’amore per il prossimo, diceva che la gente gli piace tutta, che non esiste nessuno al mondo completamente sprovvisto di qualcosa che valga la pena d’essere amato. Aveva un viso lungo, stretto, di quelli che dipingeva El Greco.

«Senta — dissi — se quello che dice è vero, io non ho capito come fa ad andare tanto d’accordo con Giorgio Bassani. Lei mi sembra estroverso, pronto a regalarsi a tutti quelli che incontra, chiacchierone, vivace, simpatico. Insomma, proprio il contrario del suo amico Giorgio».

Era seduto sulla scrivania e cominciò a far ballare le gambe festosamente.

1962 10 27 Tempo Mario Soldati f2Soldati con i suoi figli, Wolf di sedici anni. Miche’ di tredici e Giovanni di nove. Scrittore e regista cinematografico, Mario Soldati è conosciutissimo anche come creatore di inchieste televisive. Il suo "Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini” e il suo viaggio lungo il Tirreno alla ricerca di ”Chi legge”, hanno ottenuto un notevole successo. Ma il vero amore di Soldati resta la letteratura: ”Le lettere da Capri”, il romanzo uscito nel 1954 che ottenne il Premio Strega, è senza dubbio la sua opera più fortunata insieme con la raccolta di racconti ”A cena col commendatore” del 1952 e alla "Messa dei villeggianti” dèi'1959. L’ultima opera di Soldati è "Gli spettri”, un libro di racconti pubblicato da poche settimane. Lo scrittore sta preparando ora un nuovo romanzo, "Le due città”.

«Ecco — disse — è che da anni io cerco di dissipare quello che Bassani tesaurizza, mentre lui cerca di tesaurizzare quello che io dissipo. Così c’è sempre qualcosa che alimenta il bisogno di stare insieme. Bassani le sembra antipatico? Beh, con gli amici non lo è. Io le sembro simpatico? Beh, con gli amici invece sono un rompiscatole. Ci compensiamo a vicenda».

«Bassani a Roma abita nella sua casa, vero? E’ una casa bellissima. Com’è che gliel’ha lasciata?».

«Perchè io volevo venire a Milano. Ma oramai quell’appartamento l’ho venduto per pagare le tasse. Sono oberato dalle tasse. Non so più dove mettere le mani, E’ una tragedia. Guadagno e sono sempre senza un soldo, mentre Bassani, anche in questo senso, tesaurizza. Oh Dio, a proposito, perchè non ci vediamo più tardi? Devo fare un articolo subito, lo devo mandare al giornale. Perchè non ceniamo insieme quando avrò finito?».

Alzò un fascio di fogli scritti a mano, di traverso, con un inchiostro grigio, spento. Sembravano già un fac-simile. «Devo copiare a macchina, rifare. Ho un sacco di spese. I libri di scuola per i ragazzi. Ha visto che follia? Quattro libri d’inglese per uno. E poi neanche si trovano. Mi dispiace, ma come potrei lasciarmi intervistare tranquillamente se devo finire l’articolo?».

1962 10 27 Tempo Mario Soldati f3Un’immagine caratteristica di Soldati, mentre legge, con gli occhiali in mano e il mezzo toscano in bocca. Lo scrittore, che vive in via Cappuccio, il quartiere dell’ "aristocrazia nera milanese”, trascorrerà parte dell’inverno a Fiascherino dove ha preso in affitto una villa. Un suo racconto, "La finestra”, sarà trasmesso alla TV nella rubrica "Racconti dell’Italia di oggi”.

Dissi che andava bene. Oramai ogni minuto che gli facevo perdere mi sembrava di sottrarlo ai libri per i ragazzi, alle tasse, all’affitto. Quando traversai la stanza da pranzo per andarmene, i figli stavano già mangiando enormi piatti di gnocchi. Un minuto di più e avrei tolto ai ragazzi gli gnocchi del giorno successivo, che Soldati stava affannosamente guadagnando. Salutai la moglie bionda, graziosa e rotondetta la quale m’informò che non sarebbe venuta con noi perchè era ingrassata da quando aveva smesso di fumare e così tutti i vestiti le andavano stretti, e io mi affrettai di più perchè ai libri di testo, alle tasse, all’affitto e agli gnocchi, s’era aggiunta oramai anche la preoccupazione degli abiti per la signora Soldati che non sapeva cosa mettersi addosso.

Lui venne a cena alle nove, col basco blu di traverso, un golf arrotolato intorno al collo a mo’ di sciarpa, l’ombrello appeso al braccio e l’aria felice di chi ha compiuto fino in fondo il proprio dovere. Ordinò vino rosso, lo bevve con gusto, chiese l’arrosto e i legumi e disse che potevo fare tutte le domande che volevo, anche le più indiscrete. Potevo chiedergli perfino se gli piacevano le donne, perchè mi avrebbe subito risposto che le donne erano una cosa meravigliosa e che lui più diventava vecchio più le amava.

«Mi piacciono grasse, alte e brune. Ha letto le "Lettere da Capri”? Ecco, lì ho descritto il tipo di donna che mi piace: Dorothea».

«Ma sua moglie è bionda — dissi — e piuttosto piccola di statura».

«Già — fece lui — ed era anche magra. Ora menomale è ingrassata e sono proprio contento. Ma non si sposa mai il proprio tipo, è un destino».

«Se non sbaglio, nel suo libro "Storie di spettri”, lei parla con amore anche delle cameriere».

«Eh, sì — disse, e rideva. — Ma non ho tempo, cosa vuole, devo guadagnare i soldi, ci sono le tasse, eccetera, questo mestiere è faticoso, io prima di scrivere mi sento sempre male, mi viene un nodo allo stomaco, sono disperato e convinto che non mi riuscirà di mettere insieme una riga. "Gli è il crisma”, mi dice sempre l’amico Cecchi e io mi sforzo di crederci, ma non serve perchè, tanto, sto male lo stesso. Però devo dire che la parte più faticosa, sia d’un libro che di una novella come d’un articolo, è il principio. Poi tiro diritto come un treno e quando una cosa è finita grazie a Dio, non m’interessa proprio più, anzi mi fa nausea».

Allora mi vennero in ménte le lunghe, ordinate file di volumi che sono nella libreria del suo studio: una serie delle "Storie di spettri”, di "America primo amore”, di ”A cena col commendatore”, delle "Lettere da Capri” (il romanzo con il quale vinse il Premio Strega nel ’54 e che, secondo Montanelli, fu runico che non gli riuscì), della "Confessione”, del "Vero Silvestri”, di "Canzonette e viaggio televisivo”, e poi tutta la serie delle stesse opere tradotte in otto o nove lingue e mi venne il dubbio che civettasse un po’, anzi che recitasse la parte del "letterato che se ne infischia del successo”. Forse quel golf arrotolato intorno al collo e il basco blu di traverso erano uno dei tanti "travestimenti" e l’aveva scelto per me sul pianerottolo, dal suo pirandelliano arsenale delle apparizioni.

«Se fossi miliardario — disse — credo che non scriverei. E non farei neppure il regista. Del resto tutti i film che ho fatto mi dispiacevano. Vorrei fame uno mio».

«Le "Lettere da Capri", per esempio?».

«Puah — fece — se dovessi tirarne fuori un film sono sicuro che finirei per rifarlo tutto. E allora tanto vale che, nel caso, ne scriva un altro. Ma ora devo occuparmi del nuovo libro, ”Le due città”. Sono a buon punto. E poi voglio fare ancora tre raccolte come le "Storie di spettri”. E’ il momento buono. Ora con i libri si fanno i soldi, le ho già detto che ho tanto bisogno di soldi?».

«A parte i soldi — chiesi — quali sono le cose di cui le importa?».

La medaglia deamicisiana

«Ma lei non crederà davvero che io ami il denaro? Mi serve e basta. Ne ho bisogno per sistemare un’infinità di cose, e ne ho bisogno perchè lo butto sempre via».

1962 10 27 Tempo Mario Soldati f4Il calcio è insieme alla gastronomia una delle passioni di Mario Soldati: ecco lo scrittore fotografato durante una partita, fra il giornalista sportivo Gianni Brera (a sinistra) e Laios Czeizler, l’ungherese che fu allenatore del Milan, della Fiorentina e commissario tecnico della Nazionale nel 1953. Mario Soldati non ama parlare della sua attività di regista cinematografico: ha girato più di cinquanta film, ma non ne ricorda neppure i titoli, perchè - dice - non ha mai potuta realizzare un film che lo rappresenti veramente. Al suo esordio cinematografico. Soldati ha tradotto in film le più famose opere letterarie di Antonio Fogazaro: "Piccolo mondo antico", "Malombra” e "Daniele Cortis”. Ha diretto anche "La provinciale", "Policarpo", "Fuga in Francia", "Le miserie di Monsu Travet" e "La mano dello straniero”, tratto da un’opera del romanziere Graham Greene.

Masticò, bevve, e disse che gli importava molto dei suoi tre figli, della moglie come parte di sè e dei figli, degli amici come Richelmy, Bonfantini e Bassani e pochi altri, della letteratura e del suo paese, cioè del Piemonte, anzi, addirittura, di Torino e basta. Disse che la sua vita è piena di rinunce e lo disse ridendo, quasi soddisfatto: poteva fare tutto, poteva diventare uno scrittore di lingua inglese e non lo è diventato, poteva essere premio Nobel e se n’è infischiato, poteva avere il titolo di Pari d’Inghilterra e non ci ha badato, e poi anche regista di Hollywood, cavaliere della Legion d’Onore e giocatore di bocce. «Ma è bene — concluse — che abbia rinunciato a tante cose. Perchè in fondo ora vivo di tutto quello che non ho fatto. Vivo delle nuche di certe donne che non ho baciato, di istanti che non sono stato capace di cogliere. Chi sono io? E chi lo sa. Di sicuro sono un uomo sbagliato che ha vissuto a lungo e non ha imparato niente. Sì, ho imparato appena a capire un po’ più di prima, e non serve. Ho imparato, per esempio, che Camus aveva ragione quando diceva che la cosa più faticosa del mondo è rinunciare a ciò che non ci interessa. Quando si riesce a vivere soltanto per le cose che ci interessano davvero si è quasi santi. Meglio amare e non avere, che avere senza amare».

Gli chiesi del suo passato. Mi raccontò che, quando aveva quindici anni, salvò un ragazzo che stava annegando nel fiume e gli dettero la medaglia. Quella medaglia la porta ancora oggi, sul frac, piccola e "deamicisiana" davanti a tutte le decorazioni scintillanti dei diplomatici e dei militari. E se qualcuno gli chiede cos’è, lui risponde: «Oh. nulla. Un ricordo di quand’ero piccolo».

«Ha visto, nel mio studio, quel quadretto che è sopra il ritratto di mia madre? — chiese — quello è il decreto con il quale mi fu data la medaglia. Lo firmò il ministro Taddei il 18 ottobre del 1922, proprio mentre gli squadristi stavano arrivando in piazza del Popolo. Dal giorno successivo, i decreti li firmò tutti Mussolini». Sorrise, bevve l’ultimo sorso di vino. Riprese: «Io dissipo tutto volentieri, vita compresa. Però
la vita è bella. Sono belle soprattutto le donne. Danno certi attimi di Paradiso, almeno nel momento in cui dicono sì. Poi tutto finisce, ma quell’attimo è unico. Cosa può fare la grazia d’una donna! Io l’ho sempre ammirata, quando m'è capitato di trovarla. Mi dispiace d’invecchiare soprattutto per questo. Le curve di Brigitte Bardot, che grazia!».

Il seminarista eretico

Mi guardò, vide che prendevo appunti, e allora disse che amava anche la grazia divina. Subito dopo, con l’aria di volermi ammansire, disse che le donne sono brave anche quando ’ scrivono, che il suo amico Giachino. direttore dell’istituto di cultura di Tokio, gli aveva mandato una lettera proprio per dirgli d’aver letto un libro di un’italiana, Elsa Morante, e d’averlo trovato bellissimo. Uno dei più bei libri che siano stati scritti, e non solo in questi anni. «Ma sa. non ho tempo, non leggo nulla, mi sono sfuggiti tanti libri, nemmeno "Un cuore arido” di Cassola ho letto. Cosa vuole, devo lavorare per guadagnare i soldi, e scrivo e scrivo più che posso. Le tasse, l’affitto».

Era esausto. Il vino era finito, accese un mezzo toscano, chiese il conto.

«Le ho detto tutto?», domandò. Si vedeva che aveva voglia di tornare nel suo pianerottolo, dove avrebbe potuto spogliarsi, lontano dalla gente. Allora gli dissi che
"America primo amore” era un libro stupendo e lui sorrise, dolcemente. Aggiunsi poi che erano bellissimi anche gli altri, e che Montanelli aveva torto quando diceva che "Lettere da Capri” non gli era riuscito bene. Il sorriso si allargò. Prese il golf e l’arrotolò nuovamente intorno al collo, succhiò il mezzo toscano e buttò fuori uno sbuffo di fumo proprio come si conviene a un "letterato che se ne infischia del successo”.

Avevo davanti, in quel momento, uno degli attori che interpretavano meglio la parte di Mario Soldati, «seminarista eretico, regista fallito, magnifico scrittore»: ma lui, il vero Soldati, dov’era?

Mirella Delfini, «Tempo», anno XXIV, n.43, 27 ottobre 1962


Tempo
Mirella Delfini, «Tempo», anno XXIV, n.43, 27 ottobre 1962