Un povero Nero Wolfe con famiglia a carico
E’ noto, nel mondo dello spettacolo, per le sue avventure sentimentali e per la disinvoltura con cui affronta la vita. Ci voleva Bertolazzi, investigatore TV gravato di problemi quotidiani, per darcene un ritratto inedito
Roma, aprile
Ha ragione Alberto Sordi: la TV è come la prima sigaretta. Dà la nausea, il voltastomaco, i sudori freddi ma lascia nel sangue una lieve traccia di nicotina. Chi ha provato una volta, ritenta e dopo una settimana ha il vizio del fumo. L'importante, quindi, è non ''accendere”, girare alla larga dagli studi di via Teulada. Perchè, se solo ci metti piede sei obbligato a ritornare. E’ successo così a tutti, anche a Ugo Tognazzi che aveva resistito per dieci anni. Andò via tra urla, improperi c parolacce, sbattendo la porta dietro "Un due e tre”; ora è tornato, ma senza la grinta degli anni ruggenti, come se avesse abdicato alla sua consolidata fama di giovanotto di mezza età perennemente impegnato in strenui tornei galanti.
Anche il suo nuovo personaggio televisivo, Francesco Bertolazzi investigatore, sembrerebbe avvalorare, nella modestia dei suoi tratti essenziali, la metamorfosi dell’uomo che per anni seppe tener alto, in patria e all’estero, il vessillo della virilità nazionale. Sicché, nella realtà quotidiana come nella finzione del piccolo schermo domestico, le due figure del buon padre di famiglia quasi cinquantenne potrebbero sovrapporsi senza margini di incertezze. Ma queste sono soltanto le apparenze, perchè la verità pare un’altra e come al solito non viene da via Teulada ma da Luino, in provincia di Varese, dove Tognazzi ha appena finito di girare un film strano che si intitola "Venga a prendere un caffè da noi". E' la storia erotico-patetica di tre sgraziate zitelle, Tarsilia, Camilla e Fortunata che s’innamorano, contemporaneamente. dello stesso uomo, Tognazzi, il quale, è ovvio, riesce a consolarle tutt’e tre, a notti alterne, tranne la domenica, che dedica al riposo.
Ebbene, è stato proprio sul ”set” di Luino, se si deve dar credito a una delle tre protagoniste del film, che Tognazzi ha fornito un’ulteriore prova del suo bellicismo sentimentale. «La scena era un po’ delicata — ha detto la giovane attrice che solo per ragioni di copione appariva nelle sembianze di una nubile attempata — e Tognazzi doveva posarmi una mano sulla gamba. Be’, ci credereste?, non gli riusciva mai di trovare la posizione giusta».
Dunque, dietro l'immagine bonaria di Frank, goffo investigatore delle nostre domeniche televisive, si celerebbe il Tognazzi di sempre: uno stagionato rubacuori che ripartisce equamente le sue attenzioni fra gl’intingoli di casseruola e il gioco del pallone? L'attore — regista di "Frank Bertolazzi Investigation” — è troppo impegnato nella rifinitura delle sue storie gial-ro-rosa per fornire una risposta diretta al quesito sull’opportunismo della sua rentrée televisiva. «Ma come — esclama Tognazzi — io sono qui a sudare, a montare la storia di una famiglia italiana che parodisticamente esprime i pregi e le debolezze della gente comune, perennemente in guerra con se stessa e col prossimo per far quadrare il bilancio familiare, c qual è la ricompensa? Un'analisi comparata fra il mio comportamento di padre televisivo che coinvolge i figli nell’impresa d’investigazione a conduzione familiare c il mio atteggiamento di genitore naturale di tre bambini che vivono in differenti parti del mondo. E non basta. Si è cercato di scorgere nella figura di Ines, la moglie del detective alla buona, la presenza di una figura materna che avrebbe condizionato tutta la mia vita sentimentale. Ma possibile — conclude Tognazzi — che mi si debba giudicare sempre per le donne che ho conosciuto e mai per la qualità del lavoro prodotto?».
La domanda, al di là della sua logica apparenza, è semplicemente retorica. In un’attenta analisi delle cose di casa nostra, un acuto scrittore fece risalire alle matriarche nazionali i mali che affliggono il maschio italiano. In sostanza, egli disse, noi abbiamo i vizi che ci hanno via via lasciato le nostre mamme, le nostre sorelle. fidanzate e spose. Siamo così perchè esse ci hanno voluto così: piccoli prepotenti da bambini, conquistatori a buon mercato da giovanotti, mariti con scappatelle ma buoni padri di famiglia da coniugati e, nell’età avanzata, anziani sì ma col cuore dei vent’anni in petto.
Perchè meravigliarsi allora se l’attore — e quindi l’uomo di vetrina — che per anni ha simboleggiato il modello del comportamento dell'uomo italico, sia stato apprezzato più per le imprese sentimentali condotte a buon fine che per i notevoli risultati artistici raggiunti? «Un uomo, nella vita, può contare sull’amore di una sola donna: la mamma». Questa frase è stata attribuita a Tognazzi, nell'ottobre dello scorso anno. uno specialista in agiografie di personaggi dello spettacolo e, se la sua formulazione è esatta, ci offre una chiave d'interpretazione della complessa vita di un uomo che, in fondo, è rimasto legato al mondo dell'infanzia.
Tognazzi, in realtà, benché i biografi lo tacciano, compì un duro sforzo, nell’età della ragione, per sortire dal vitellonismo provinciale che lo teneva inchiodato per giornate intere nel solito caffè di Cremona, davanti alla tazzina vuota dell'espresso. a discorrere oziosamente di donne c di pallone. Non erano ricchi i Tognazzi e quando il papà andò in clinica, la mamma conLinuò a trattarlo con la longanime comprensione che hanno le donne per i maschi primogeniti. Ugo aveva poca voglia di studiare? Ebbene, ribatteva la signora a chi glielo facesse notare, si rifarà da grande, c’è tempo. Ugo era troppo libero? Certo, ma era così vivace. Così avvenne che Ugo studiò poco e male e a sedici anni prese la sua regolamentare "cotta” per una ragazza, Adele, che passava per la più bella di Cremona. Per lei. per sposarla al più presto, Ugo si trovò persino un lavoro. Ma fu questione di pochi giorni.
Quando ormai mamma e sorella, disperate, temevano che Ugo potesse commettere qualche sciocchezza, Tognazzi si innamorò di nuovo e la mamma ne fu orgogliosa: voleva dire che il peggio era passato. Sembra di assistere a un film già visto sulla provincia sonnolenta. Un giorno, il giovane, intelligente. vivace, ma senza una precisa collocazione sociale, abbandona la città natale e va verso la metropoli. Milano, dove lo attende una zia che lo prende in custodia e lo guida. Il primo concorso per dilettanti, i primi soldi, le prime donne che contano: siamo appena all’inizio di una lunga carriera sentimentale. I buoni consigli non mancano e quando Ugo incontra Lauretta Masiero, la zia esulta, felice: finalmente c’è un matrimonio in vista e lei è bella, assennata, innamorata. Cosa pretendere di più e di meglio? Ma Ugo è abituato alle sue libertà, è sempre stato libero, non vuole assumersi fardelli familiari. Così anche il capitolo Masiero è chiuso ma la storia è ancora lunga: c’entrano, fra le altre, l’annunciatrice televisiva Enza Soldi, Caprice Chantal, Annie Gorassini, Hélène Chanci, Pat O’Hara, Giovanna Ralli, Margaretha Robsam e Franca Bettoia.
«La mia carica sessuale — obietta Tognazzi davanti a simile parterre di cuori infranti — ha sempre condizionato i miei rapporti sentimentali. Quanto alla ragione per cui sono rimasto scapolo, e tale intendo restare, c’è il fatto che il matrimonio è un contratto vincolante che può sempre trasformarsi in un’arma nelle mani di una donna».
Già, ma i tre figli? Ricky, il maggiore, ora ha quasi 14 anni e vive con la mamma, Pat O’Hara, in Inghilterra. Thomas, di 5 anni, nato dalla Robsam, è in Norvegia con la sua nuova famiglia: mamma e patrigno. Giammarco, di due anni, figlio di Franca Bettoia (che convive con Tognazzi da quattro anni) è l’unico che abbia il padre accanto. Ma Ugo Tognazzi è un padre amorevole. Dice infatti: «I figli non sono come le donne che vanno amate una per volta; i figli si possono amare con eguale intensità e tutti insieme anche se materialmente non li hai sempre vicini».
Tuttavia, dopo la nuova esperienza televisiva, Tognazzi rifiuta di essere rinchiuso in definizioni che — sostiene — appartengono al passato. «I tempi sono cambiati — dice. — non frequento più i night di sera, spesso preferisco restare a casa». Anche la sua vena umoristica si sta lentamente evolvendo coi tempi. «Oggi non è più sufficiente far ridere. meglio far sorridere ma lasciar pensare. Oggi, la realtà è così complessa che la comicità deve lasciare il passo all'analisi di costume, certo divertente e non mu-sona ma con una sua morale, un suo impegno. Con questi intenti, Umberto Spadaro, io, Margot Truegel, Benjamin Lev e Claudia Butenuth ci siamo messi al lavoro. Così è nata la storia di Frank Bertolazzi. Un Nero Wolfe per poveri, che non si preoccupa di orchidee e di piatti raffinati, ma che tiene famiglia a carico e si ingegna per assicurarle i pasti quotidiani. Sei puntate, sci ore di spettacolo, vicende semplici, fatti di ogni giorno. E per questo il successo non ci manca».
Gianni Di Giovanni, «Tempo», 2 maggio 1970
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Gianni Di Giovanni, «Tempo», 2 maggio 1970 |