Sanremo 1960: non voleva il titolo di presidente il principe Totò

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Chiamato a dirigere la giuria del Festival di Sanremo, l'attore Sua Altezza ha energicamente rifiutato una qualifica che sa troppo di repubblica e che avrebbe offeso i suoi sentimenti monarchici.

Il principe Antonio De Curtis Comneno Grillo Focas, in arte Totò, ha sempre tenuto a precisare di non essere eccessivamente suscettibile circa la sua carriera d’attore. «Mi sento rimproverare» ci diceva un giorno «di accettare l’interpretazione di troppi film di normale livello. La mia dignità dovrebbe impedirmelo, mi ammoniscono. Sciocchezze: Totò è un attore comico, non deve preoccuparsi di queste faccende. Quanto a me uomo, non mi toccano. Non ci ho niente a che fare...»

All’ «uomo» Antonio De Curtis, due cose stanno soprattutto a cuore: i suoi titoli nobiliari e le sue canzoni. Non ammette discussioni sui primi, coltiva le seconde con l’amore d’un padre per le sue creature. Se i critici lo rimproverano di partecipare a film discutibili, non si scompone; ma quando, nel 1951, Marziano Lavarello lo accusò di fregiarsi impropriamente della qualifica di erede della corona del Sacro Romano Impero di Bisanzio, insorse con lo sdegno di un gentiluomo offeso a sangue, protestò pubblicamente ostentando credenziali e documenti, ricorse ai Tribunali.

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Allo stesso modo, egli che sopporta imperturbabile le satire più grossolane indirizzate all’attore Totò, soffre fino ad ammalarsi per gli sgarbi fatti al compositore di canzoni Antonio De Curtis. La sua prima canzone di successo è stata Malafemmena, un motivo che ha girato il mondo e viene suonato ancor oggi, a dieci anni di distanza. Lo accusarono di essersi fatto «aggiustare» la musica da un maestro e di aver scritto le parole per vendicarsi d’un non corrisposto amore per Silvana Pampanini. La ferita per queste ingiuste accuse non gli si è ancora chiusa: protestò addolorato che ogni napoletano vero ha la musica nell’anima, non ha bisogno di farsi «aggiustare» niente e aggiunse che un gentiluomo, per nessun motivo, ardirebbe mai indirizzare certe frasi (... femmena, tu si' 'na malafemmena...) ad una donna.

Fu la sua prima grande amarezza di compositore. La seconda la patì ad un Festival di Sanremo, quello del gennaio 1954. Era riuscito ad entrare in finale con una sua canzone, intitolata Con te. Partì da Roma emozionato come un bambino che va a fare la Prima Comunione: per tutto il viaggio, passeggiò su e giù per il corridoio del vagone letto, senza riuscire a prenaere sonno.

Vennero dal Senato lettere di raccomandazione

Il Festival di Sanremo, allora, non aveva l’importanza di oggi; i «divi» della canzone non erano ancora di moda, «facevano poco notizia». I giornalisti si lanciarono come avvoltoi su Totò, ricamarono pettegolezzi d’ogni genere sulla piccola corte ch’era venuta a Sanremo al seguito del principe: una battuta, in particolare, ebbe successo: «Alla vigilia della battaglia di Rocroi, il principe di Condé ha dormito saporitamente, ed ha vinto; alla vigilia della battaglia delle canzoni, il principe di Con-té ha sofferto d’insonnia: brutto auspicio». Presentata così male, la canzone di Totò fu eseguita con non troppo entusiasmo. Le prime battute del ritornello ricordavano molto l’avvio di un popolare motivo americano che Angelini aveva eseguito spessissimo con la sua orchestra, anni prima, alla radio. Una delle due orchestre sul palcoscenico era proprio quella di Angelini, che suonò Con te con lo stesso tipico arrangiamento della canzone americana, cosicché la simiglianza risultò smaccata.

La canzone cadde senza gloria. Totò sopportò tutto, gli attacchi, le prese in giro, la sconfitta, con dignità ammirevole. «Come principe si è comportato da grande attore; come attore da autentico principe» dissero, e fu l'unico complimento che gli fecero.

Avvilito, offeso, Totò si ripromise di non concorrere mai più al Festival della canzone: ma in cuor suo deve aver covato la speranza di prendersi un giorno, in qualche modo, una rivincita morale su Sanremo. L’occasione gli è venuta, insperata, quest’anno, quando gli hanno offerto di presiedere la giuria incaricata di scegliere, tra le 435 canzoni concorrenti, le venti finaliste.

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Per timore che rifiutasse, con dubbio gusto, lo avvertirono subito che in quanto presidente, gli avrebbero corrisposto un gettone di presenza doppio rispetto a quello assegnato agli altri componenti la giuria. Ma se Totò attore non transige di un centesimo sui suoi compensi, il principe De Curtis è ben diversa cosa: perciò respinse sdegnato qualsiasi somma di danaro; mise soltanto come condizione che, durante i lavori, non lo chiamassero «presidente» - parola che avrebbe offeso i suoi sentimenti monarchici - ma semplicemente «principe».

In verità, durante le lunghe giornate dei lavori della giuria, si è comportato proprio con il distacco e la sovrana magnanimità d'un principe d’altri tempi che raduna a Palazzo l’assemblea dei suoi notabili. Non ha mai partecipato alle discussioni, spesso accese, tra i sostenitori della canzone ritmata moderna (capitanati dal vicepresidente della giuria Mariani, sovraintendente al «Maggio musicale fiorentino») ed i paladini dei motivi melodici tradizionali (guidati dal maestro Marinuzzi junior).

Tutte le volte che i pareri dei dodici giurati si sono trovati equamente divisi - sei per il sì, sei per il no - il voto di Totò, quello decisivo, è stato sempre, con longanimità, positivo; cosicché alla stretta finale, quando si è trattato di ridurre le canzoni da sessanta superstiti a venti soltanto, la giuria si è trovata in grave imbarazzo, proprio per questa decisa volontà di Totò di non essere lui, col suo voto, a determinare la bocciatura di un motivo.

Le lettere di raccomandazione giunte alla giuria, ma in particolare indirizzate a lui in quanto presidente, sono state circa settecento: alcune venivano dal Senato, altre da organizzazioni molto influenti nella vita pubblica. Una sola canzone ne ha totalizzate diciotto, ma è stata ugualmente eliminata. Le telefonate di raccomandazione sono state anche più numerose, spesso di personaggi molto in vista, che hanno ritenuto più prudente non affidare ad un foglio di carta una compromettente «spinta». Qualcuno, malgrado le precauzioni prese, è riuscito persino a raggiungere telefonicamente la giuria in seduta. Rispondeva all'apparecchio Vittore Querel, l’unico giornalista che faceva parte della giuria, molto noto per la sua competenza in materia di problemi economici che riguardano il Medio Oriente.
Tra queste telefonate, Querel ne ha ricevuta una di un tale che, dopo essersi detto molto appoggiato nientemeno che dalla pittrice Novella Parigini, incominciò a cantare la sua canzone che diceva. Bimba dagli occhioni blu... Compitissimo, Querel rispose di non essere una bimba e di avere anche i baffi.

Molto discusse, sin dalla prima audizione, sono state le canzoni più attese: quella di Modugno, Libero, e quella di Rascel, Romantica. Ad alcuni giurati, sono sembrate un poco inferiori allo standard normale dei due artisti, forse anche perché - come esigeva il regolamento - i dischi di prova destinati all’ascolto della giuria non erano interpretati, col loro personalissimo stile, dagli autori.

Per "fare spettacolo" l'uomo dei concorsi di bellezza

La presenza a Sanremo per le serate finali del Festival di Totò, anzi meglio del principe Antonio De Curtis Comneno eccetera, sarà indubbiamente un fattore di curiosità, un elemento in più di spettacolo. Non sono mancate le critiche, naturalmente, avverso la decisione di affidare ad un uomo che, in fondo, esercita pur sempre la professione di attore comico, un incarico «chiave» in una manifestazione che coinvolge interessi economici enormi e polarizza l’attenzione di dodici milioni di spettatori almeno (Eurovisione esclusa).

Ma, evidentemente - a parte il fatto che un Festival di canzoni è pur sempre, per quanto importante sia, una sagra di canzonette e non un problema di Stato - ci si è preoccupati appunto di «fare spettacolo». Quella del prossimo gennaio è la decima edizione del Festival, un anniversario importante, dunque. L’avvocato Bertolini, il nuovo proprietario del Casinò di Sanremo, il quale, dopo le tante traversie e le polemiche di questi ultimi mesi, ha preso in pugno le redini del Festival, ha pensato anzitutto di mettersi a fianco qualcuno in grado di organizzargli una manifestazione spettacolare. Ma quanti sono, in Italia, gli uomini veramente capaci di far ciò?

Garinei e Giovannini sono già impegnati in manifestazioni similari, come Canzonissima e il Festival del Musichiere, Gassman allestisce il suo teatro-circo, Remigio Paone si è allontanato dal genere «leggero». Pare abbiano pensato persino a Roberto Rossellini, ma, dopo il successo del Generale della Rovere, l’irrequieto regista ha ritrovato in sé l’uomo del cinema.

Bertolini, alla fine, ha optato per Ezio Radaelli, il cui nome è legato all’epoca aurea dei concorsi di bellezza, il periodo tra il 1947 ed il 1952, allorché i Festival delle Misses avevano la risonanza che hanno oggi i Festival delle canzoni e lanciavano nuove stelle come Lucia Bosè, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Eleonora Rossi Drago.

Attualmente, Radaelli cura le selezioni italiane di «Miss Universo» e «Miss Mondo» e, da tre anni, guida quell’infernale sarabanda che è il «Rallye del cinema», l’unica manifestazione al mondo capace di far alzare dal proprio letto i «divi» alle sei del mattino e di farli faticare tutto il giorno, senza pretendere alcun compenso.

Giorgio Berti, «Epoca», anno X, numero 480, 13 dicembre 1959


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Giorgio Berti, «Epoca», anno X, numero 480, 13 dicembre 1959