Totò e le Totoate: la critica «negativa» e «distruttiva»


1940 San Giovanni Decollato 010


Negli ambienti del cinema le chiamavano le «totoate». Occorre spiegare il termine? Erano i film che Totò, incapace di rifiutare un invito, interpretava senza sosta, teso soltanto a dare un poco (o tanto) di lievito agli smilzi, spesso insignificanti copioni che doveva animare. E come d'incanto i "filmetti" diventavano godibili, alcuni di essi oggi valutati addirittura come capolavori: senza la presenza e la "mano" di Totò sarebbero dimenticati, assieme a molti altri di quel periodo. Ma la critica cinematografica di quel tempo era implacabile con Totò, analizzeremo di seguito il trentennio 1937-1967

D.: Che pensa della critica dei critici?
R.: Lei vorrebbe farmi litigare con l’umanità? Io non voglio litigare con nessuno...


Corteggiato dagli intellettuali.

La qualifica di fantasista è troppo stretta per questa personalità artistica di prim’ordine: qui siamo di fronte ad un vero attore capace di interpretazione e di creazione.

Umberto Barbaro, 1933

Totò ha catturato l’attenzione di molti fra i migliori ingegni del mondo dello spettacolo, alcuni dei quali si dichiarano pronti a patrocinare il suo ingresso nel cinema. Intorno al comico, nel giro dei due lustri seguenti, si daranno da fare personaggi come Camerini, Campanile, i fratelli Bragaglia, Palermi e Zavattini, progettisti fervidi, anche se spesso inadeguati, di vere e proprie sperimentazioni cinematografiche. Per chi proviene da territori popolari come l’avanspettacolo, quest’interessamento non è cosa da tutti i giorni: la carriera cinematografica dei comici del varietà inizia solitamente con una lunga serie di filmetti popolari, prima di approdare, e spesso solo occasionalmente, al film d’autore. [...] A Totò invece le attenzioni e le offerte di nomi importanti non mancano, e fin dall’inizio. Assolutamente falsa, quindi, la leggenda più ricorrente riguardo a Totò, quella che lo vuole perennemente snobbato dai critici. La realtà è un’altra: dal ’33 giornalisti e uomini di cultura gli fanno la corte sperando di accalappiarlo in qualche progetto. Gli stanno alle costole, lo braccano, si profondono in elogi, cercano in tutti i modi di farselo amico e di costringerlo infine a legare il suo nome al loro. Con scarsi risultati, perché, se la critica non snobba Totò, forse è proprio Totò a snobbare la critica. Antonio De Curtis ringrazia sempre ma preferisce fare di testa sua, per lui il cinema è meno piacevole e sicuro del teatro.

La responsabilità di intellettuali e recensori semmai verrà dopo, quando, di fronte all’incredibile successo popolare dell’attore durante gli anni '50, pochi (Monicelli, Zampa, Brancati, Rossellini, De Sica, Bolognini) avranno il coraggio di mettere a repentaglio la propria reputazione tentando con lui nuovi approcci; mentre altri, rimasti delusi, non vorranno sprecare altro tempo prezioso. 

Alberto Anile


1981 01 06 Corriere della Sera Il pianeta Toto intro

Bonvi, il noto «cartoonist» inventore di Sturmtruppen, «striscia» dichiaratamente antimilitarista, ha scritto per il «Corriere d'informazione» un articolo nel quale elogia Totò, definendolo un vero e proprio eroe del fumetti e attacca tra i critici chi lo ha scoperto solo da poco tempo come grande artista.

Focas Flavio Angelo Ducas Commeno de Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio Giuseppe di Luigi Napoli, Principe Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, Nobile Altezza Imperlale, in arte «Totò». «L’artista più amato, più esaltato ma anche più ignorato e vilipeso. Questo è stato Totò nei suoi cinquantanni di carriera strepitosa consumata tra teatro e cinema e questo continua ad essere dopo la clamorosa '"riscoperta" esplosa qualche anno dopo la sua morte avvenuta nel 1967 e tuttora in atto».

Così, testualmente, il Bollettino Radio e TV, notiziario interno della Radiotelevisione Italiana, si scarica la coscienza con un ennesimo «...l'avevo detto, io!». Da quando la Rete 2 sta trasmettendo ogni sera i 40 minuti de «Il pianeta Toto», tutti i vecchi tromboni della critica italiana si sono riscatenati in una tardiva e sciacallesca opera di recupero, a base anche loro di tonanti: «...l'avevo detto, io!... Chissà che cose meravigliose avrebbe saputo fare il povero Totò, se solo fosse stato diretto da un qualche grande regista!». E qui, oltre a mentire spudoratamente, visto che quando Totò era vivo non «avevano detto proprio un bel niente, anzi, si erano sempre rifiutati di prendere in semplice considerazione l'attore napoletano, definendo, spregiativamente, «Totoate» l’intera sua produzione, dimostrano anche di non aver capito un accidente. Se Totò fosse capitato tra le grinfie di un qualche grande regista, non sarebbe stato «Totò». Proprio i registi minori, rudi artigiani del cinema di serie «B». I vari Mattoli e Bragaglia, confezionando le tanto deprezzate «Totoate», hanno permesso all'attore d'interpretare genuinamente se stesso, al di fuori d’ogni condizionamento e pastoia di falsi intellettualismi da salotto culturale. [...]

Chissà se i signori critici, quegli stessi che anni fa snobbavano le «Totoate» e che ora si affannano a tessere elogi al video ed alla «riscoperta culturale» di Totò, si accorgono di stare recensendo albi di fumetti a puntate, con protagonista un personaggio popolare e popolaresco come può essere Tex Willer o Nick Carter.

Sono sicuro che di lassù (o di laggiù, secondo i punti di vista) il principe Antonio De Curtis sta ridendo come un matto. A prescindere...

Bonvi, «Corriere dell'Informazione», 6 gennaio 1981


Nel mio pessimismo professionale influisce certo l'atteggiamento negativo dei critici, che mi hanno sempre stroncato. Non posso fare a meno di notare che questi signori si limitano a distruggere, mentre dovrebbero consigliare per il meglio noi attori. Se uno entra in casa mia, osserva che l'arredamento è brutto e mi sfascia i mobili a martellate, non agisce in modo sensato. Meglio sarebbe se esponesse i motivi del suo dissenso, per affinare il mio gusto e farmi capire i miei errori. Ma, alla fine di tutti questi discorsi, rimane la constatazione che io rispetto i critici, mentre loro non rispettano me. Mi rimproverano perché, secondo loro, faccio sempre le stesse cose. Non è vero. Sono passato dalla Commedia dell'Arte alla prosa, dal varietà al cinema, dalla poesia alla musica. Certo, rimango sempre Totò, perché non sono io a comandare la mia faccia, ma la mia faccia a comandare me.

Antonio de Curtis


Il principe, il guitto, il clown, l’uomo marionetta questi alcuni degli aggettivi che i critici, stroncandolo in vita, hanno usato per Antonio DE CURTIS, in arte TOTO’. Figlio di Napoli, e napoletano fin all’osso, racchiudeva in sé i migliori sentimenti di questo popolo imprevedibile.

Facile al sorriso, così come al pianto, deve la sua maschera asimmetrica ad uno schiaffo avuto da bambino da un rude ed inumano precettore. Abbandonata la scuola, preferì quella più immediata della vita: i vicoli, le amicizie, il contatto con il popolo, che lo plasmarono artisticamente contribuendo ad accrescere la sua carica di umanità.

Dopo aver calcato tavole di palcoscenico dalle più modeste alle più brillanti dei grandi teatri dopo aver realizzato sé stesso con il continuo contatto con il pubblico, eccolo girare i primi film.

In «San Giovanni Decollato» e «Fermo con le mani» raggiunge vertici del migliore Charlot.

La poliedricità dell’espressione del volto, quegli occhi che da soli riuscivano a rispondere a domande, quei compassati se pure eloquenti gesti delle mani avrebbero fatto il re del cinema muto. Ma capitato in un momento triste del cinema Italiano, gli anni 50, fu sfruttato da sprovveduti produttori che se ne servirono semplicemente per pellicole di «cassetta»: inesistenti i copioni, squallide le scenografie, tutto era basato sulla sua comicità. Ciò nonostante fu stroncato dai critici che — ironia del caso — non capirono quale grande artista era celato in quei «calzoni a zompa fuosso» che pur tanto lo rendevano ilare e saettante nel suo vivace incedere che lo doveva poi portare verso le più luminose affermazioni della commedia d’arte del nostro tempo.

Giuliano Granata


Leggendo tra le righe delle colonne in terza pagina relative al cinema e agli spettacoli dei giornali dell'epoca, in modo particolare negli anni del dopoguerra, quando il potere della censura cinematografica era detenuto dal temibile CCC (Centro Cattolico Cinematografico), in particolar modo per i produttori indipendenti, appoggiato e coadiuvato dei vari governi a guida cattolico-democristiana, i film di Totò spesso erano visti come strumento di peccato e di perdizione. Se possibile poi, la situazione peggiora negli anni dal 1954 al 1962, anno della nascita della nuova legge sul cinema che introduce i divieti ai minori di 14 e di 18 anni, e apre le commissioni di censura ai rappresentanti delle categorie dello spettacolo.

Abbiamo estrapolato alcuni tra gli articoli più significativi, particolarmente negativi circa le produzioni artistiche di Totò. La stampa infatti spesso giudicò negativamente i film di Totò, ritenendo perlopiù inconsistenti le sceneggiature (talvolta inesistenti), coinvolgendo e confondendo nella mediocre qualità dei lavori anche la figura artistica del comico, talvolta ridimensionandola e collocandola nella categoria dei guitti, relegandola nella piccola cerchia degli artisti di serie "B", così affollata in quel periodo storico per il cinema "minore".

Oltre i pareri dei critici cinematografici, i quali direttori spesso delegavano ai "vice" il compito di recensire i film, Antonio de Curtis figurò sulle cronache dell'epoca per la sua battaglia legale per il riconoscimento dei suoi titoli nobiliari. Fu inoltre bersaglio della stampa scandalistica e bigotta che non gli perdonò mai la convivenza con la più giovane compagna Franca Faldini; ciò lo costrinse a "tranquillizzare" l'opinione pubblica, confermando la regolarizzazione della sua unione con Franca con rito civile in Svizzera, cosa che non avvenne mai.

Analizziamo di seguito una serie di articoli di stampa che attaccano direttamente Totò, nel periodo in cui intentò azioni legali per difendere la sua discendenza nobiliare, faticosamente riconosciuta in tribunale dopo molte battaglie. Seguono articoli particolarmente polemici sulla qualità dei film realizzati da Totò e altre vicende di costume e spettacolo che vedono il comico napoletano protagonista.


Breve premessa: non solo critica cinematografica...


Signor Totò, non costringa migliaia di persone a compiangerla nel risentire per l'ennesima volta, in un Suo nuovo film o trasmissione radio, la battuta del militare a Cuneo...

Questo è quanto un lettore scriveva alla redazione del giornale cattolico di Cuneo «La Guida» nel 1952:


Noblesse oblige


1951 05 04 L Unione Monregalese Nobilta Critica introQuando si parla di nobiltà il francese è di prammatica, e quando rivendicare la propria nobiltà è un uomo come Totò, non so se ci vorrebbe anche l'inchiostro blu per prenderne atto.

Sì signori! Totò è nobile e guai a chi lo mette in dubbio... e guai a quel giornale, che si è veduto piovere addosso una querela per averci scherzato su. Noi non lo faremo: à tout seigneur tout honneur!

Prendiamo atto con animo riverente:

«Io sono sua altezza Imperiale il principe focas Flavio Angelo Ducas comneno, De Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio»…

Totò rivendica la discendenza diretta da Costantino il Grande: è giusto. Totò rivendica l'onoratezza della sua famiglia: è più che giusto. Totò difende la memoria della mamma: «Era una donna semplice, mia madre, questo è vero; ma niente affatto ignorante...» è giustissimo. Ma...

Ma se io alzo gli occhi a un cartellone cinematografico, se osservo una qualsiasi edicola mi offende la vista di un muso lungo che ammicca maliziosa ed impudica fra nudità provocanti (e il più rimane nella penna!) e sempre così e ancora così con ostinatezza che nessuna causa giustificherà mai.

Se entro in un cine, mi lacera l'orecchio l'urlo sguaiato della folla che ridacchia sulla mossa e sul linguaggio a doppio senso e fra quelle voci qualcuna ha il timbro argentino della fanciullezza... Allora qualcosa dentro mi ribolle.

No! Questa non è nobiltà: e, se nobiltà c'è, così non si difende! Nessuno ha il diritto (nessuno, neppure il ”nobile” Totò) nessuno ha il diritto di offendere l'innocenza!

E nessuna sentenza di tribunale rinverdirà mai un albero genealogico, intristito e risecchito alle luci false del varietà.

Io, povero plebeo

«L'Unione Monregalese», 4 maggio 1951


1952-09-19-L-Azione-Censura-Toto-a-colori

Riceviamo e pubblichiamo integralmente:

Egregio signor Direttore,

Le voglio descrivere una scena avvenuta martedì pomeriggio al Cinema Vittoria dove si proiettava «Totò a colori». Studenti, genitori e ragazzi erano accorsi numerosi: e almeno suppongo che l'attrattiva sia stato Totò e non un tempo piovigginoso e freddo di autunno precoce!...

Ed ecco l'interessante: prodotto dalla stessa casa Ponti - De Laurentiis si proiettò anche un documentario di arte. Non Le so dire nulla delle parole di commento perchè un fragore di risate è scoppiato improvviso: un urlo organizzato a non finire, uno strepito e un frastuono di gente che si divertiva o protestava. Succedeva questo: venivano proiettati quadri che avevano esattamente tutto per essere pornografici, e osceni.

Signor Direttore, è lecito questo? E’ lecito cioè offendere la semplicità dei ragazzi e la serietà dei galantuomini?

Sono poi uscito dal cinema verso le 16.30 e vicino a me c'erano due ragazzi: uno guardando l’orologio ha allungato il passo perchè diceva che doveva essere a casa per le quattro, lo — mi lasci dire anche questo! — ho pensato che i genitori avrebbero perdonato facilmente il ritardo del loro ragazzo, ma più difficilmente chi produce e proietta pellicole che gli fanno del male.
Con ossequio.

(Segue firma)

«L'Azione», 19 settembre 1952


1952 11 22 La Guida Cuneo Critica intro

Sappiamo che alcuni cuneesi si sono risentiti dei continui, il più delle volte inutili, accenni a Cuneo che Totò ha nei tuoi repertori umoristici. Il noto comico non s’accorge che il suo «luogo comune» non ha quel magnetismo ch'egli pensa. Ma a parte questo; quando la battuta diventa petulante e un po' offensiva il comico intelligente la archivia per non cadere nel comune, nel volgare e nel pericoloso.

«Signor Totò, non costringa migliaia di persone a compiangerla nel risentire per l'ennesima volta, un Suo nuovo film o trasmissione radio, la battuta del militare a Cuneo!» così conclude fa lettera in nostre mani.

«La Guida», Cuneo, 22 novembre 1952


Va evidenziato che oggi a Cuneo esiste l'associazione "Uomini di Mondo": un omaggio in primis a Totò e al detto che l'ha reso famoso in tutta Italia, che ogni anno riunisce migliaia di ex militari che hanno svolto il loro servizio a Cuneo. Ogni anno la festa era presenziata da Liliana de Curtis o da altri membri dell'Associazione Antonio de Curtis.

Se Totò era un uomo di mondo perché aveva fatto il militare a Cuneo, allora tutti coloro che hanno fatto il militare a Cuneo sono uomini di mondo.

Questo è lo slogan che apre la pagina del loro ricco sito a questo indirizzo.


Pallidissimo Totò in tribunale

Eh già, è sorto qualche altro pretendente al trono di Bisanzio e i tribunali devono occuparsi. Totò si difende... Sangue blu, che nostalgia !
Io, vi parrò plebleo, ma quando vedo sui cartelloni cinematografici quel viso beffardo nella corona di donnine procaci, penso che Darwin ha sbagliato direzione: non è l'uomo venuto dalla scimmia, ma è l'uomo che va verso... la scimmia. (E mi scusino le scimmie se manco di rispetto!)

«L'Unione Monregalese», 17 gennaio 1953


ATTORI

Durante un’assemblea, per la verità assai tumultuosa, tenuta a Roma dagli attori del cinema e del teatro con l’intento di costituirsi in Sindacato il critico teatrale Andriani ha affermato - se è vero quanto riferiscono i giornali -che la professione d’attore è un sacerdozio. Non eravamo presenti c non sappiamo come questa tesi, o, meglio, « boutade », sia stata sostenuta. Nessuna professione, a parer nostro, è più lontana dal sacerdozio di quella degli attori, almeno se si tien conto della grande maggioranza dei film quali ci vengono scodellati attualmente dalle varie case produttrici italiane e straniere. Proprio non ce la sentiamo di pensare a Totò, tanto per parlare di attori e non di attrici, come ad un sacerdote; anzi ci pare che il solo accostamento abbia in sè qualche cosa di molto simile alla bestemmia. A parte le innumerevoli considerazioni di carattere morale che si potrebbero fare, ci pare inoltre di poter dire che, tenuto conto dei lauti guadagni degli attori cinematografici, si dovrà parlare, se mai, di « sacerdozio di Mammona ».

«L'Azione», 9 dicembre 1955


1958 02 25 Il Biellese Il Musichiere Politica Critica intro

«Ha sentito che Totò ha ufficialmente negato di presentare la sua candidatura alle elezioni?». L. S.

Beh, io ricordo di averlo sentito gridare «Evviva Lauro», qualche tempo fa alla TV, durante il Musichiere». Ma non mi sorprende questa sua smentita alla possibilità di un comico deputato. Immaginiamoci un po' se, col «grano» che regolarmente si becca, il principe De Curtis deve correre il rischio di essere bocciato, e tutto per tre o quattrocentomila lire al mese...

Tanto più che a Montecitorio, malgrado mentone e mossette, finirebbe per essere uno qualunque: c'è un mucchio di deputati che, quanto a comicità, lo lasciano Indietro di un pezzo.

Dedo Amellone, «Il Biellese», 25 febbraio 1958


Totò è comico insignificante: ed elevato dalla squisitezza degli esteti a dignità di «Maschera.»

E. Ferdinando Palmieri, Sette giorni, “Film”, n. 6, 13 aprile 1946


Raramente la critica si accanì contro i lavori teatrali di Totò, il più delle volte apprezzati.

Totò, specie negli anni post-bellici, è praticamente il Totò di sempre, sino ai tardi anni 60 fu un Totò forse diverso da quello auspicato nell'anteguerra dai letterati: più corposo, più dialogante, un vero mattatore di farse, immerso in meccanismi deformanti che raccoglievano furtivamente e rapidissimamente gli echi del cinema «serio» dell’epoca per immergerli nel tepore di una parodia a getto continuo. Sicché più il pubblico lo amava più egli destava diffidenza nella cultura cinematografica d’epoca. Le recensioni dei suoi film sono per anni un ambivalente elogio delle sue capacità «sprecate» ed una deprecazione per la «bassa» qualità farsesca dei prodotti in cui egli era «costretto». Non sempre, si badi, ma assai sovente. Il pubblico, naturalmente, se ne infischiava e correva a vederlo. Via via più vecchio, meno agile, in qualche modo meno convinto, ma sempre attore eccezionale.

A Totò è toccato di essere scoperto dalla «cultura» cinematografica più aggiornata, giovanile e snobistica. Proprio quei «filmetti» d'epoca, a cui i grandi titolari mandavano, per la recensione, i loro «vice», sono divenuti pasto obbligato per i cineclub.(1)


1992 04 14 Corriere della Sera Liliana Revival Toto TV Cinema intro

Si sentiva prigioniero di brutti film: neanche lui capiva che erano il «brodo» ideale Un fenomeno analizzato all’eccesso ma è sul video che si tramanda il suo genio

Com’erano brutti i film di Totò negli anni 50, le cosiddette «totoate» predilette dal volgo e aborrite dai critici. «S’intendeva per "totoata" — spiega Vittorio Pallotti, biografo del Principe — un film da girare in poche settimane, con l’impegno di un numero abbastanza limitato di milioni e con la certezza di un introito ragguardevole: in un’epoca in cui lo spettatore spendeva 300 lire, ”Totò a colori” del '51 incassò un miliardo netto».

Le «totoate» erano tanto brutte che non piacevano neppure al loro animatore. Lui ne parlava come di una galera, di una calamità che gli era caduta addosso: deplorava la fragilità dei copioni, l’inconsistenza dei personaggi, il menefreghismo del registi, l'avidità dei produttori.

Molti anni dopo, quando Totò diventò un fenomeno culturale e studiosi serissimi cominciarono a chiedergli udienza, il nostro fu drastico nel dichiarare che sul quasi cento film da lui interpretati ne salvava sì e no dieci. Questo avaro bilancio s'intonava alle tradizionali doglianze di noi scribi d’epoca, che a ogni «Totò al Giro d’Italia» o «Totò Tarzan» riprendevamo il solito ritornello del genio sprecato. Senza capire, né noi né lui, che il vero destino di Totò era quello di cuocersi nel suo brodo, il brodo delle «totoate».

Me lo ricordo a Urbino nel ’65, sul set di «La mandragola», già anziano, provato, mezzo cieco: sarebbe morto di lì a poco. il 15 aprile 1967, esattamente un quarto di secolo fa. Nel saio di fra' Timoteo era lusingato di recitare Machiavelli, lui che aveva esordito bambino nel battaglione dei «pazzarielli» e si era affermato facendo le imitazioni del contorsionista Gustavo De Marco: e proprio come veterano dell’avanspettacolo era fiero di venir diretto dal sapientissimo Alberto Lattuada, di cui spiava l’ap-
provazione con l'ansia di un debuttante. Questo Totò del crepuscolo, ormai votato alle consacrazioni culturali, fece ancora in tempo a entrare nella cerchia di Pasolini, grato e sbigottito di tanto onore.

Di Totò si scrive molto: saggi, libri, lesi di laurea. Ne ha abbozzato un profilo esemplare la sua ultima compagna Franca Faldini, un polemista della forza di Goffredo Fofi ne ha fatto il vessillo della rivolta antineorealista, il professor Orio Caldiron gli ha dedicato una meticolosa monografia, un archeologo minimalista come Vincenzo Mollica si prodiga a rispolverarne certi aspetti inediti. Ma Totò e vivo soprattutto grazie alla tv, che si è impadronita delle «totoate» e le trasmette a getto continuo sul canali pubblici e privati.

Se cl fosse dato di volare come Superman, in una sera qualsiasi sopra una qualsiasi città, dalle finestre socchiuse ci arriverebbe frequente il suono delle risate in famiglia davanti al video; o quello, ancora più prezioso, degli spettatori emarginati per vecchiaia o avverse congiunture di vita, di cui Totò allevia la solitudine; e perfino, se hanno Infranto l’obbligo di andare a letto, il riso fresco del bambini.

Solo noi, critici canuti, continuiamo a guardare quei film della nostra giovinezza con una smorfia di scontento, ripetendoci per coerenza: com’erano brutti... Ma poi ci incuriosisce, al di là della frenetica presenza del protagonista, il gioco di squadra degli attori di fianco, in un intrecciarsi di battute e di effetti tra Peppino De Filippo e Carlo Campanini, Aroldo Tieri e Luigi Pavese, Ave Ninchi e Armando Migliari, Mario Castellani e Galeazzo Benti. Sono metà di mille, tutti divertenti, come fare a nominarli?

E ci rendiamo conto che in realtà le «totoate» furono la passerella finale della commedia dell'arte: o vogliamo chiamarla arte della commedia? Una squadracela di campionissimi della recitazione, al cui confronto le odierne formazioni dei film comici. piene di scoloriti figuranti doppiati, fanno una ben squallida figura. Sicché, sulla medaglia alla memoria imperitura di Antonio De Curtis possiamo tranquillamente incidere la dedica: all’ultimo grande capocomico della pellicola.

Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 14 aprile 1992



Stampa critica in libertà, nel bene e nel male.


Molti critici rimproverano ai miei registi di usarmi sempre con la stessa maschera, entro schemi per lo più fissi. C'è da ribattere che Charlot e Musco, per citarne solo due, sono stati sempre uguali grazie alla loro maschera. Perché si dovrebbe cambiare ogni volta? Perché ci si dovrebbe spersonalizzare? Con questa maschera qua ho lavorato nelle farse della commedia dell'arte, nel varietà, nel café-chantant, nella rivista, nelle operette, nella prosa dialettale e nel cinema: le sono affezionato come alla mia cosa più cara.

Antonio de Curtis, 30 dicembre 1963

FERMO CON LE MANI (1937) Regia di Gero Zambuto

«[...] Questo film non è americano e, ciononostante, è bruttissimo [...] Ha un solo pregio, quello di aver mostrato le possibilità dì Totò, che certo non sono poche se egli è riuscito a trovare qualche spunto buono anche in questo lavoro negativo sotto tutti gli aspetti [...] Fermo con le mani è un film che fa venir voglia di menare le mani. »

«Bianco e Nero», Roma, 31 maggio 1937


ANIMALI PAZZI (1939) Regia di Carlo Ludovico Bragaglìa

«L'esperimento di portar di peso sullo schermo gli attori di teatro ha dato innegabilmente buoni frutti, e non è qui il caso di discuterlo. Si potrebbe, se mai, rimproverare ai registi la passività con cui essi si adattano all'esperimento stesso rinunciando in anticipo a render cinematografica l'interpretazione dei "divi" teatrali e lasciando il campo aperto alla più assoluta teatralità. Di questa passività Animali pazzi è un esempio; ma aggravato dal fatto che Totò non è un Gandusio o un Tofano e non è - ci perdonino i suoi molti ammiratori - nemmeno un artista nel vero senso della parola: è semplicemente un macchiettista bravo e capace fin che si vuole, limitatissimo nelle sue trovate e espressioni. Le conosciamo tutte a mente, ci possono magari divertire se ci vengono ammannite tra uno spettacolo e l'altro, in quel quarto d'ora nel quale, dopo l'attenzione cui ci ha costretti il film, si riposa volentieri la mente nelle quattro scempiaggini del varietà; ma un ora e mezzo di Totò, francamente è troppo! E danneggia lo stesso Totò, che sullo schermo non si trova assolutamente al suo posto. Il film è stato fischiato».

vice, «Il Tevere», Roma, 21-22 agosto 1939

«[...] Qualche anno fa, coi suoi giuochi di palcoscenico, il comico Totò aveva suscitato l'interesse di buon numero di artisti e letterati, e al Teatro Principe andavano a sentirlo (oltre al suo vero pubblico, quello della periferia), i raffinati e gli intenditori.

Il genere di comicità del nobile Antonio de Cupis (cosi, se non erriamo, si chiama il nostro eroe) si basava, e si basa tuttora, su una mimica quasi acrobatica, su battute sciocche e più ancora sulla facilità di intendersi col pubblico ai danni di ogni cosa. Quindi veniva facile parlare di fumismo, funambolismo, commedia dell'arte, eccetera: e fu appunto in virtù di questi richiami che Totò venne affiancato a Charlot e intervistato persino dall' Italia letteraria. Messo su una china tanto pericolosa, Totò avrebbe finito col recitare Molière e Pirandello e scrivere libri di ricordi, se non l’avesse salvato il buon senso napoletano. Difatti seguitò a girare i teatri con incredibili compagnie di varietà, a inventare le sue scenette, a battersi il petto ruggendo furiosamente ed agli attori stupefatti spiegare: «Sto pregando, che uno deve essere ateo?», ad essere sciocco e furbo come Pulcinella sempre suscitando un ragionevole entusiasmo; poiché al pubblico poco importa se una comicità è cristallizzata, addirittura arida: non sono le intenzioni che lo divertono, ma i gesti, le battute, i doppi sensi che, formando una specie di gergo, un cifrario anzi, per essersi gustati richiedono l’appartenenza alla parrocchia.

E, con una facilità che può essere male interpretata, dato il nostro incarico, di un tale pubblico apprezziamo pienamente i gusti: il fatto è che l'apparato teatrale, l'intesa tra palcoscenico e platea, tra comici e musicanti e tutte le ingenue macchinazioni di di uno spettacolo, mettono facilmente di buon umore e Totò, in un clima simile, finisce sempre col trionfare. Non è cosi quando con le stesse battute, gli stessi gesti (ingranditi e particolareggiati dall'obiettivo) egli ci appare sullo schermo. Allora il nobile De Cupis rimane vittima del suo stesso gioco e appare soltanto come un macchiettista, incapace di legarsi ad altri personaggi, di emulsionarsi.

Di questo suo difetto dette una prova lampante in un primo film: ora con gli odierni Animali pazzi, di Achille Campanile, riconferma la sua impossibilità di essere attore, di far vivere cioè un personaggio senza cadere nell'abuso di quella sicurezza offensiva, quel narcisismo, quel continuo ammiccare al pubblico che risultano le sue sole capacità: perché più che interpretare una parte egli seguita ad essere il solito Totò, trasportando sullo schermo il bagaglio superfluo del palcoscenico, forse convinto che ciò basti.

A sua discolpa Totò potrebbe addurre che in questo film i personaggi affidati alla sua cura e i fatti che avrebbe dovuto animare sono stiracchiati, convenzionali, dettati da un gusto in cui certo (volendo) si può riconoscere l'ingegno del fortunato autore di storie umoristiche, ma soltanto per ciò che di quelle storie forma il fondo deteriore e meccanico: ossia per l'uso di trucco professionale, di una cifra da rubrica, che consiste quasi sempre nel capovolgere le situazioni, i caratteri e la norma comune. [...]

Ennio Flaiano, «Oggi», 26 agosto 1939


SAN GIOVANNI DECOLLATO (1940) Regia di Amieto Palermi 

[...] Non si è pensato, però, che il «San Giovanni» proprio per queste ragioni, cioè per essere troppo, nel ricordo del pubblico, legato alla interpretazione di Musco, avrebbe richiesto da parte del nuovo interprete doti, se non maggiori, per lo meno eguali a quelle dell'artista che aveva reso celebre una commedia altrimenti destinata a non divenirlo mai o a restare seppellita nel repertorio delle piccole compagnie dialettali.

Totò sa ancora troppo di rivista per assumersi un sì oneroso impegno. Anche nel «San Giovanni» egli fa poggiare tutta la sua comicità in quelle grottesche espressioni dialettali, in quelle facili e - ahimè - troppo sfruttate deformazioni di linguaggio che hanno fatto la sua fortuna nel teatro di varietà e che possono avere la loro ragione di essere e di divertire solo nel teatro di varietà.

Son dieci anni che il pubblico ride in teatro per le «bazzecole quisquilie e pinzellacchere» di Totò. Era necessario portarle anche nel cinema? Era necessario condire il «San Giovanni» con le stesse spezie e gli stessi aromi un po' svaniti di un gusto artistico un po' dubbio con cui Totò da anni condisce le sue macchiette tipicamente dialettali? lo penso di no. E penso di no, perchè, anche dopo aver visto il «San Giovanni», resto dell'opinione che dei nostri attori comici Totò è ancora il più cinematografico, quello capace, per le sue doti più che artistiche naturali, per quella sua maschera cosi grottescamente e comicamente fotogenica, per quel muoversi cosi strambo e originale, di dare al nostro cinema un « tipo» comico nuovo e francamente divertente.

Chi deve scoprire questo «tipo»? Totò o il regista? Io penso: il regista. Totò è troppo legato ancora al varietà, e più che al varietà, al successo che ottiene in varietà per dimenticare sè stesso e tentare di dare alla luce un Totò nuovo, un Totò cinematografico, un Totò di una comicità meno dialettale ma più elaborata e consistente.

Come ho già detto, del «San Giovanni decollato» di Martoglio è rimasto, in questa riduzione, solo il titolo. Gli sceneggiatori hanno saputo trasformarlo in modo completo e, direi quasi, devastatorio. Una specie di farsa che non fa ridere, senza la più piccola trovata, senza - ad eccezione di quelle di Totò già note da un ventennio - la più economica battuta. E si che di occasioni la trama originale ne offriva parecchie. Quando si pensa che per scrivere questa sceneggiatura, scritta e riscritta tre volte, si sono impiegati circa quattro mesi, bisognerebbe sospettare che gli sceneggiatori passino le loro ore di lavoro come i critici passano quelle di ozio! [...] Consiglio, a chi sì reca a vedere questo film di portare con sè dei batuffoli di cotone. E ciò per non correre il rischio di divenire sordo, dato che dalla prima scena all'ultima ognuno del protagonisti fa a gara a chi grida più forte. Ho il piacere di salutarvi. Arrossendo, umilmente corro a raggiungere i colleghi critici nei luoghi di piacere ove, per mantenersi in esercizio, sono raccolti.

Osvaldo Scaccia, «Film», 1943


L'ALLEGRO FANTASMA (1941) Regia Amleto Palermi

[...] È di turno il comico Totò. I lettori di questa rubrica ricorderanno, forse, ciò che pensiamo dei cosidetti fenomeni Macario, Totò e compagnia bella: e dei lazzi, piroette, smorfie, contorcimenti che sono le caratteristiche somatiche di codesti signori. Ma ciò non toglie che i loro filmi continuino ad interessare le nostre buone platee. Il nuovo film di Totò si chiama L'allegro fantasma. E Totò vi apparirà in ben tre personaggi: tre gemelli, che si assomigliano come altrettante gocce d'acqua, ma diversi per temperamento e carattere, beneficati inopinatamente da u-na vistosissima eredità. [...] Totò, uno e trino, tre in un uno. E non vorremmo essere nei panni dell’ingegnoso e brillante Palermi. Perchè se v’è un attore che è sempre sè stesso, che non assomiglia che a sè stesso, che non interpreta che sè stesso, quest’è il comico Totò. Ed allora, come farà, il nostro Palermi, a cavar fuori, dalla burattinesca uniformità del suo interprete, tre tipi differenti? Come farà a dargli tre volti, tre stili, tre linguaggi, tre maschere? So bene che Palermi è un regista in gamba, una volpe vecchia e scaltrita. Ma l'impresa mi pare inosabile. E poi, sia detto in confidenza, ne ho già troppo di un solo Totò per poter pensare, senza perdere la calma, a tre Totò nello stesso film...

Bróntolo, «Il Mattino Illustrato», 24 marzo 1941

[...] Né registi né scrittori sono ancora riusciti a dar vita, quando si tratta di Macario e di Totò, a qualcosa che non sia la solita scena comica alla Ridolini o la solita trasposizione sullo schermo della comicità d'avanspettacolo. Ne L'allegro fantasma si ride solo per Totò, per un Totò più da rivista che da cinema, per un Totò un po' meno dialettale del solito, ma alla fine, nella sua comicità, sempre piuttosto regionale. [...] Nessuno, malgrado i passati esperimenti, si è provato seriamente ad adattare allo schermo questa comicità, cercando di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non fosse un'ennesima ripetizione di quella comicità che ha fatto la fortuna teatrale del titolato macchiettista napoletano. Totò continua anche sullo schermo ad essere Totò e i canovacci dei suoi film ad essere le copie carbone di quelle scene comiche che da bambini abbiamo apprezzato attraverso l'interpretazione veloce e saltellante di Ridolini, Fatty, Buster Keaton. L'allegro fantasma non fa, in questo senso, eccezione alla regola: è una vecchia scena comica, basata essenzialmente sulle smorfie di Totò e su qualche trovatina non davvero nuova di zecca. [...].

Osvaldo Scaccia, «Film», IV, 42, Roma, 18 ottobre 1941

[...] Le risorse cinematografiche di Totò sono molte. Nei pochi film che egli ha fatto finora si è visto come certe sue espressioni colgano nel segno e siano di effetto immediato sul pubblico. Ma ancora il vero film di Totò, quello che sfrutti in pieno tutte le possibilità di questo attore, non è venuto fuori.

Pat. [Ercole Patti], «Il Popolo di Roma», Roma, 9 ottobre 1941


DUE CUORI FRA LE BELVE - TOTÒ NELLA FOSSA DEI LEONI (1943) Regia Giorgio Simonelli

Totò è un grande mimo, e varrebbe davvero la pena che un regista intelligente si prendesse la briga di dirigerlo con serietà, cercando anche di trattenere certe sue eccessive baldanze frenetiche. A nessuno più di lui si addice alla perfezione quel famoso dialogo di Heinrich Kleist sulle marionette. Sembra svitabile come Pinocchio, puoi gettarlo in aria e lasciarlo cadere per terra, senza misericordia, tanto fa l'impressione di essere protetto da tutti gli acciacchi. Sorprendente è anche la estrema mobilità del suo viso oblungo, non so se cavallino o conigliesco; ma certo è indiscutibile una sua parentela con certi animali domestici, così come non è lontano dalla struttura fisica di Buster Keaton, del quale, altresì, conserva quella spiccata malinconia nei grandi occhi rotondi con in più una aggraziata aria istrionesca. E se non fosse per l'interesse che possono suscitare alcune sue smorfie, credo che difficilmente perdoneremmo a questo Due cuori far le belve tanta sciatteria e mestierantismo.

Giuseppe De Santis, «Cinema», VIII, 169, Roma, 10 luglio 1943


IL RATTO DELLE SABINE - IL PROFESSOR TROMBONE (1945) Regia Mario Bonnard

Le clausole dell'armistizio non contemplano, purtroppo, ii divieto d'insistere ancora a "sfruttare" Totò per il cinematografo. È un comico che sarebbe giusto non sottrarre al clima del varietà, al fuoco della ribalta, al contatto diretto coi suo pubblico, alla comunicativa immediata dei suoi lazzi e dei suoi estemporanei cachinni. Pensare a un Totò attore nel senso completo della parola è una delle tante aberrazioni della corrente retorica teatral-cinematografìca. E pensare, in ogni caso, a un Totò capace, con la semplice efficacia della sua maschera, di risollevare le sorti d'uno squallido, volgare, stupido, copione significa voler rendere un cattivo servizio al beniamino delle platee del Valle o del Quattro Fontane. [...]

Ta [Vincenzo Talarico], «L'Indipendente», Roma , 7 dicembre 1945

Da anni ripetiamo - e sentiamo ripetere - che, dopo Petrolini, Totò è, tra tutti gli attori italiani, il vero attore, l'autentico attore-creatore. E si citano - a sostegno di questa tesi le più famose pantomime dell' "attore fantasista", alcune macchiette giustamente famose, alcune uscite piene d'estro, la espressività dei suoi gesti essenziali. Dopo aver visto al cinema i cinque o sei film da lui interpretati, e specialmente dopo questo Ratto delle Sabine, è lecito porsi una domanda. Un vero attotre-creatore, un attore cosciente dei suoi mezzi e delle sue capacità espressive, si assoggetterebbe così facilmente ad essere coinvolto nei più squallidi e irresponsabili prodotti del cinema italiano?

Antonio Pietrangeli, «Star», Roma, 15 dicembre 1945

Fa dispetto e disgusto incontrarsi con simili film confezionati secondo la tipiche insegne della cretineria umane. Non abbiamo lo spazio per allestire un processo, quindi siamo costretti a dire che «Il ratto delle Sabine» è una pacchiana antologia cinematografica dove le più elementari esigenze della macchina da presa sono davvero ridotte ad un ruolo pietoso. Bonnard, il regista, ha tentato di creare una specie di allucinazione metafisica attorno alla faccia di Totò, ma nemmeno in questo è riuscito a sollecitare una smorfia di consenso.

t.cl., «Il Lavoro», 15 febbraio 1946


I DUE ORFANELLI (1947) Regia Mario Mattoli

Una volta di più, Totò ha deluso quanti gli riconoscono ampie possibilità nel campo del cinema. Ma, una volta di più, bisogna convenire che anche quest'ultimo naufragio è solo e completamente imputabile a chi si ostina ad usare questo nostro estroso comico come una saporosa droga per far trangugiare un pasticcio dal poco gradevole sapore. [...]

l.q. [Lorenzo Quaglietti], «L'Unità», Roma, 27 novembre 1947

Totò, presumendo evidentemente di poter trasferire sullo schermo di tutto peso l'intero bagaglio delle sue battute e mossette furbe da buon mimo di varietà, ha finito col travolgere e dominare, non solo il regista Mario Mattoli [...]

Alfredo Orecchio - 7 novembre 1947

[...] In quanto a Totò e alle sue ragazze, Isa Barzizza compresa, rifanno se stessi; sono, nell'immagine, ancora quelli della ribalta. Chi apprezza gli spettacoli di rivista ne ritroverà la sostanza nei «I due orfanelli» in un’edizione piuttosto dimessa.

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 13 marzo 1948


FIFA E ARENA (1948) Regia Mario Mattoli

[...] Dove, con un umorismo più popolaresco di quello del Clair, ma con uno spirito che pure affidandosi a un comico ben definito e risaputo come è Totò si sforza di darci la comicità dell'epoca nostra: noi vorremmo solo che ci fosse meno manica larga per certe situazioni che sanno di rivista e che sono messe là come pepe, un pepe peraltro che ha un pizzicore molto modesto, anche se chi ce lo deve propinare è la signorina Barzizza. [...] E Totò un po' più frenato non sarebbe male.

c.tr «Il Popolo», 25 dicembre 1948

Parecchi anni fa, quando cominciava a formarsi quel suo pubblico che non l'ha più abbandonato, l'attore Totò subiva un'intervista dell'«Italia letteraria», che scrisse di lui cose molto « intelligenti », nel tono messo di moda da Cocteau per trattare dei clowns e dei circhi equestri. Vi si accennava a Charlot e alla Commedia dell’Arte, al fumismo e al funambolismo. Altri articoli seguirono in altri giornali; in uno si lanciava l’ipotesi, sempre a proposito di Totò, di «un matrimonio tra Aristofane e Pierrot . Probabilmente Totò non legge quello che si stampa sul suo conto, lo ha dimostrato restando insensibile ai cambiamenti, restando fedele al suo istinto comico, anzi alle sue vecchie battute, che ogni tanto ancora oggi ripete, come se il tempo non fosse nemmeno trascorso da quando caracollava sulle tavole del teatro Principe. In un mondo teatrale cosi sconnesso, Totò rimane un punto fermo. E’ certo un attore inimitabile, che non è mai volgare, perchè i suoi gesti più volgari diventano arabeschi da contorsionista e le sue battute hanno la forza delle domande stupide. Oggi Totò è talmente definito che si è messo a fare un film dietro l'altro, non avendo nemmeno bisogno di una trama ma di una situazione. I titoli dei suo film recenti (Fifa e arena, Totò le moko, Totò cerca casa) fanno pensare che il suo pubblico non sia di eccessive pretese per quanto riguarda le storie, che vada al cinema per veder muovere, scattare, ridere Totò, come gli ha visto fare in teatro: libero dall'osservanza di un testo, padrone di fare e di dire ciò che vuole. Perlomeno, sullo schermo Totò dà questa piacevole sensazione, di inventarsi la parte man mano che il film procede. Come per la serie infantile di Pinocchietto, arriveremo a un Totò al Polo Nord, a un Totò garibaldino, a un Totò nel serraglio. I suoi incontri sono ormai fissati dalla pratica, e anche i personaggi .di contorno: una bella ragazza, un rivale, un amico (o «spalle»), che gli prepara le battute e sopporta ogni guaio. Totò si veste da donna, da bandito, da artista, da torero. Non ci sono limiti ai suoi travestimenti, e nemmeno ai suoi film, che ripropongono la vecchia «comica finale». Se il progresso cinematografico supererò alcune difficoltà pratiche, Totò potrà darci un film nuovo ogni sera.

Ennio Flaiano, «Il Mondo», 31 dicembre 1949

In questo film il distacco fra ciò che Totò potrebbe essere e quello che è [...], la differenza fra il Totò ideale e quello reale è talmente enorme da farci rimpiangere di averlo visto.

Alberto Mondadori, «Tempo», n. 3, 15 gennaio 1949


TOTÒ AL GIRO D'ITALIA (1949) Regia Mario Mattoli

[...] Fotografare il Totò del palcoscenico non basta: bisognerebbe cercare di dargli una consistenza cinematografica, ammesso che sia possibile. [...]

Gigi Michelotti, «Nuova Gazzetta del Popolo», 31 dicembre 1948

[...] L'interpretazione tutta smorfie, attuzzi, lazzi e guizzi dell'irresistible Totò, in grazie del quale la vicenda, labile e quasi improvvisata, ha acquistato, a volte, un sapore di comicità schietta e festosa; ovviamente, però certi suoi atteggiamenti li gradirei di più sulle tavole d'un palcoscenico che non sullo schermo, dove sarebbe spesso più utile una maggiore misura a servizio, inoltre, di cause un po’ più degne. Comunque i doveri della cronaca m'impongono di registrare, caloroso ed euforico, il consenso del pubblico.

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 6 gennaio 1949


TOTÒ CERCA CASA (1949) Regia (Stefano Vanzina) Steno, Mario Monicelli

Il pubblico ride, gli incassi saranno rilevanti e il produttore accarezzerà la cassetta, pronto a porre in cantiere un nuovo film del genere. Un film creato per un attore comico (Totò) ed affidato alle cure di uno stuolo — dal registi, Steno e Monicelll, agli sceneggiatori tutti — di tecnici del « genere. Al riguardo, però, sia al produttore che allo stuolo del « tecnici » vorremmo consigliare di passare, a propria istruzione, più volte questo film onde rivederlo a mente fredda per rintracciarne i molti errori e le troppe situazioni comuni nonché le tante banali — e forse anche volute — volgarità che hanno impedito il successo pieno del film stesso e costretto ancora una volta Totò a non possedere una maschera personale e viva.

Vice, «Il Popolo», 15 dicembre 1949

[...] Totò e i suoi compagni (la Mangini, la Merlinli, Lulli, Tieri, Billotti) si agitano da indemoniati correndo su strade che molti avevano percorso prima di loro. Ma riescono a far ridere; ci mancherebbe altro che non riuscissero a far ridere, con tutto il loro indemoniato sbracciarsi.»

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 15 dicembre 1949

Il lavoro comprende numerosi motivi comici, che Totò sfrutta con abilità; ma si tratta, in complesso, d'un lavoro scadente. La comicità del film cade spesso nel volgare e nel pornografico; il lavoro contiene episodi molto salaci e battute scabrose, che ne fanno uno spettacolo moralmente censurabile. La visione è esclusa per tutti.

(Anonimo), Segnalazioni cinematografiche in «Rivista del cinematografo», gennaio 1950


L'IMPERATORE DI CAPRI (1949) Regia Luigi Comencini

Molti si divertono assistendo alla proiezione de «L'Imperatore di Capri». E‘ un dato di cronaca da registrare, come si registrano gli applausi dopo una commedia nuova: è chiaro che il film cerca un suo pubblico e che lo trova, (tutti i fllm cercano un pubblico, non tutti lo trovano). La circostanza che sia una pellicola con Totò spiega che si tratta di un film di Totò; un attore come questo non sopporta regista, ciò che fa gli appartiene. Il possesso dell'«Imperatore di Capri» non lo onora gran che: è una farsa-scossa tellurica, ad elevata tensione, una fracassona farsa che lascia sconcertati.[...] «L'Imperatore di Capri» tenta una satira. Se la satira fosse riuscita, ne sarebbe venuto un fllm, sui costumi del tempo, con obiettivo azzeccato. Non è riuscita, o è riuscita solo in qualche tratto: il resto è d’una comicità volgaruccia e abusata, in cui il salace prevale. Qualche episodio (la corsa del motoscafo pazzo, la rissa chiassosa sotto il baldacchino del letto) riconduce al film allegri ante-prima-guerra: qualche altro arieggia la faceta assurdità di «Hellzapoppin». L'insieme, che è stato diretto dal giovane regista Luigi Comencini, il quale ha al suo attivo un degno fllm «Proibito rubare», non risente di regia alcuna: a parte i meriti puramente decorativi di Yvonne Sanson e di Marisa Merlini, il succo del film sta nella sghignazzata tipica di Totò, con esposizione di lunghissimi denti. A me non piace, quella sghignazzata: sa di sconcio.

lan. [Arturo Lanocita], L’imperatore di Capri, «Corriere della Sera», 21 gennaio 1950

Ma via, come si fa a fare lavori di questo genere? Cosa c'entra l'umorismo con questa roba? Quando è che si capirà che per fare un film comico è necessario uno studio approfondito della realtà per poter trarre, quindi, quegli aspetti più paradossali di questa con intuito e buongusto? [...] Non vale la pena neppure di arrabbiarsi...

Edoardo Bruno, Sette giorni a Roma, «Film», 4 febbraio 1950

E' chiaro che i produttori sanno quel che si fanno; producono dei film melensi, e lo sanno, realizzano le scempiaggini più smaccate e lo sanno, non solo, ma lo fanno apposta. Siccome le sciocchezze non pagano dazio, è giusto che essi ne introducano a staia, senza parsimonia. E' giusto, perchè alla fine della giornata le lirette che sono entrate nella cassa sono tante quanta è la beozia di quelli che l'hanno versate. Non si può dire che questo «Imperatore di Capri», che ha per protagonista Totò, sia peggiore di tanti altri del genere. Si può soltanto dire che il pubblico che lo ha gustato, non è migliore di quello che ha gustato le altre edizioni affini. Anzi, è sempre lo stesso. Chiodo scaccia chiodo e filmi scaccia film, e dopo slamo più poveri di prima. Però: pubblico così, risa abbastanza nutrite, spirito introvabile, regia da due un soldo. Tutto sommato però abbiamo torto noi, e ha ragione la Lux. Essa serve la clientela che ha sulla piazza. E poiché a quella van preferiti codesti zibaldoni senza spirito e senza vena, fa benissimo a smaltire questa roba. Rientra qualche milione nelle casse dei produttori che — speriamo — debbano servire a fare quei film che non sempre il pubblico apprezza. Solo in virtù di questa considerazione, ci consoliamo e speriamo in tempi migliori...

c.tr., «Il Popolo», 25 gennaio 1950

[...] Tutte queste trovate e questi personaggi si danno convegno a Capri, dove Totò, cameriere, è spinto da un’avventura galante e dove, scambiato per un maragià indiano, ottiene senza volerlo la palma delle eccentricità dagli eccentrici locali. Non si tratta di una palma molto difficile, ma ci sembra di aver capito che il film serve all'attore Totò per ripassarsi il suo catalogo, che è un misto di lazzi piacevoli e di piccole volgarità gastro-sessuali. Quando Totò si ricorda di. essere mimo, il suo giuoco diventa leggero e arabescato, ma quando si ricorda di essere attore comico di rivista comincia coi doppisenso e diventa fastidioso. La sua faccia può esprimere la disinteressata intelligenza del clown o la grossolana, impudica sensualità del servo sciocco; ed è un vero peccato che egli preferisca insistere su questo rovescio della sua medaglia. [...]

Ennio Flaiano, «Il Mondo», 4 febbraio 1950

[...] Del resto qualcosa di simile a L’imperatore di Capri era stato precedentemente portato sul palcoscenico di varietà, proprio da Totò: il quale, osservava sempre Comencini nell'intervista accennata, non è logico, ma illogico, rompe la battuta, non è mai un personaggio: comunque sia, ci sembra affatto discutibile che una «vicenda la quale abbia protagonista questo attore non possa essere che la storia di Totò in rapporto a qualcosa ». Questo accade, come appunto in L’imperatore di Capri e in tutte le altre pellicole interpretate da Totò, quando il regista rinuncia ad ogni sua personalità, e non si adopera a contenere l'esuberanza degli attori in rapporto diretto all’economia artistica dell’opera che intende creare.»

Guido Aristarco - «Cinema» n.31 del 30 gennaio 1950


TOTÒ LE MOKÒ (1949) Regia Carlo Ludovico Bragaglia

[...] Totò ben difficilmente potrà essere un personaggio, ma potrebbe certamente essere una nostra ineffabile marionetta. Un pupazzo che potrebbe avere le malizie e le malinconie dei clown più stagionati, con delle virtù parodistiche di ottima lega. Non sarebbe poco. Ma quando i produttori che si sono dedicati a questo genere di film vorranno comprendere che non c'è nulla di più tremendamente serio della preparazione di un film comico?

Mario Cromo, «La Nuova Stampa», Torino, 25 gennaio 1950

[...] Ancora una volta, però, l’umorismo di simili vicende, è quello facile e dozzinale del teatro di rivista: per ravvivarlo, Totò — che ne é divenuto, ormai, quasi l'interprete di diritto — tenta, come sul palcoscenico, varie improvvisazioni ispirate a dubbi intenti e caricaturali; se questo, però, gli conquista la generosa risata delle platee, non consente a noi di collocare le sue esperienze cinematografiche fra i « classici » del vero umorismo. Peccato, perché di tutti i comici italiani Totò è l'unico cui il cinema potrebbe offrire nobili occasioni di rivelarsi interprete duttile e profondo.

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 23 dicembre 1949

Siamo lietissimi di economizzare spazio dicendo che questo film di C. L. Bragaglia non merita nessuna pietà critica. E se il pubblico casca nella trappola abbandonandosi alla risata più beata ciò dimostra che questo ignobile intruglio non è altro che una sfacciata pagliacciata cui schizzi ebeti sporcano lo schermo italiano. Punto e basta.

t. cl., «Il Lavoro», Genova, 11 gennaio 1950


TOTÒ CERCA MOGLIE (1950) Regia Carlo Ludovico Bragaglia

Abbiamo l'impressione che il fenomeno Totò sia in declino. Tanto è vero che in uno dei cinema in cui ieri è stato proiettato questo film, si trovava largamente posto nella sala. E abbiamo anche ascoltato i commenti di alcuni giovanotti che da principio si sbellicavano dalle risa e poi alla line, evidentemente delusi, riassumevano le loro impressioni così: Si, lui le trovate le ha, ma gli manca un regista. Negli ultimi quattro film non si tratta che di variazioni attorno alle sue stesse battute. Siamo dunque ai primi segni di stanchezza del pubblico? [...] Totò è bravo, ma è sempre lo stesso. Gustosa la Ninchi nella parte della zia a cavallo... in una Australia che sa di dintorni di Roma o giù di lì... Discrete le particine di fianco e, meno male, non abbiamo parolacce e poche frasi a doppio senso.

C. Tr. (Carlo Trabucco) «Il Popolo», 16 marzo 1950

E per chi volesse spiegato meglio il successo di Totò, diremo subito che i tre film seguenti sono tutti interpretati dal nobile comico: L'imperatore di Capri (117 giorni in Italia), Totò le Moko e Totò cerca moglie. Immediatamente dopo seguono II lupo della Sila, Riso amaro, Adamo ed Èva, Botta e risposta, mentre molto più giù nella graduatoria si trovano È primavera (82 giorni), Le mura di Malapaga (75), Cielo sulla palude (74), Campane a martello (72), Amore (55), Gente così (45). E adesso non fate finta di sorprendervi per il fatto che Totò è costretto a interpretare dieci film l’anno, giacché la colpa è vostra, di voi lettori che andate al cinema.

Italo Dragosei, "Hollywood", 1950

[...] La commedia non ha una battuta di troppo, è costruita veramente a regola d’arte, nel film invece vi è qualcosa che stagna e quando arriva verso la fine, allorché entriamo nel gioco della satira — Totò, ad esemplo, che per denaro faceva il morto durante la borsa nera, adesso fa l’oratore da comizio per campare — non ci sembra che il bersaglio sia centrato. La socialità della commedia tuttavia è resa con evidenza, e, ripetiamo, il suo significato «morale» è costantemente vivo e presente. Eduardo ha sdoppiato il personaggio-chiave della commedia, attribuendone una parte a Totò, e questa trovata è felice; Totò attore ci piace più che il Totò attore rivistaiolo [...]

c.tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 30 settembre 1950


FIGARO QUA, FIGARO LÀ (1950) Regia Carlo Ludovico Bragaglia

Può sembrare un partito presa il nostro quello di dire che Totò è specializzato nei film sciocchi e vacui... sfidiamo chiunque abbia un briciolo di buon senso ad apprezzare quell'intruglio senza costrutto e senza spirito che è questo «Figaro qua, figaro là». Recentemente a proposito di film comici italiani abbiamo dato prova non diciamo di longanimità, ma di comprensione e abbiamo anche incoraggiato questo genere che giova alla cassetta e alla... salute, perchè fa fare buon sangue. In quest’opera però abbiamo constatato con vero rammarico che si è sempre e costantemente al di sotto di quel minimo che si esige perchè un film sia accettabile... e restiamo di questo parere anche se le sale vedranno affluire il solito pubblico, il quale da Totò accetta tutto, pernacchie comprese. Perchè in questo film siamo giunti anche a questo. Et de hoc satis.

C. Tr. (Carlo Trabucco) «Il Popolo», 13 ottobre 1950


TOTÒ TARZAN (1950) Regia Mario Mattoli

[...] Quesito: quanta parte del meriti del film di Totò é sua e quanta parte è invece dello belle ragazze? [...] In quanto al film, la sua formula è quella nota; ai lazzi di Totò e alle grazie delle comparse femminili si aggiungono alcuni momenti di comicità-brivido secondo i cànoni delle vecchie farse: Totò che casca dal cielo con il paracadute, Totò che sta per essere tagliato a fette da una macchina, Totò che guida un treno a mille all’ora o poco meno. «A me questi film che non fanno pensare piacciono» ha detto ieri sera uno spettatore. E perchè no? Film che non pensano per pubblico che non pensa.

Art., «Corriere d'Informazione», 12 novembre 1950

L'epidemia dei film di Totò imperversa da più di un anno. Ad ogni film della serie la critica spera sempre che si sia toccato il fondo e che non si possa andare più oltre l'insipienza e nel cattivo gusto. Ogni volta, invece, la delusione si rinnova e, se non si penserà a presto ad un rimedio, nessuno può dire dove si andrà a finire. Con questo film di oggi, intanto siamo al gradino più basso toccato fin qui dai «Totò» [...] Tra gli interpreti, oltre a Totò, questa volta piuttosto a disagio nella sua singolarissima parte, [...]

G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 24 novembre 1950

Ormai il fenomeno Totò è una specie di febbre gialla che ha contagiato la maggior parte dei nostri produttori. Quindi non ci resta che seguire il decorso di questa "malattia", la quale, come ogni malanno di questo mondo, dopo aver toccato l'acme della crisi, finirà col concludersi con la guarigione del malato. E ieri il quadro clinico della epidemia, con Totòtarzan, ha registrato un altro focolaio di infezione.

Gaetano Carancini, «La Voce Repubblicana», 26 novembre 1950


LE SEI MOGLI DI BARBABLÙ (1950) Regia Carlo Ludovico Bragaglia

Ancora un film di Totò e per Totò, una farsa d’occasione, imbastita in furia, al solo scopo di cassetta. La parodia questa volta batte sulla letteratura e la cinematografia giallo-poliziesca, o in una parola, sul «thriller». Un miscuglio di Sherlock Holmes, di Dottor Jekill, di Frankenstein, condito da uno spirito, aggiuntovi un tremore alla Gianni e Pinotto. [...] Con un po’ di buona volontà ci si potrebbe vedere il tentativo di darci un Totò più di movimento che di battute; ma è un effetto disastroso: quando non parla la farsa è veramente tetra. La riaccendono invece i bisticci, le freddure e le smorfie del protagonista, pur sempre capace, anche in un film di cattiva vena, di strappare la risata.

vice, «La Stampa», 24 novembre 1950

[...] Il personaggio è inflazionato, avvilito in una serie di avventure le più insipide, screanzate, volgari, sciupato dalle freddure degne del più scalcinato degli avanspettacoli.

Lamberto Sechi, 1950

[...] I film di Totò hanno ormai una fortuna tutto loro, un pubblico tutto loro. [...] Sta di fatto che le critiche, le riprovazione, tre "stroncature" giornalisti che passano e i films di Totò restano, con la loro volgarità, con la loro comicità, con il loro brio. [...] Stavolta il soggetto, denso di trovate di umorismo, avrebbe potuto fare del film un abile e divertente parodia del giallo classico [...].

V.S., «Il Popolo», 11 novembre 1950

[...] Modestamente servito da un dialogo le cui battute di spirito sono di scadente qualità per non dire di sconcertante dozzinalltà, il film, diretto con il consueto mestiere da Carlo Ludovico Bragaglia, strappa quella facile ilarità che tutto sommato non soddisfa nessuno, compreso forse Totò.

Guglielmo Morandi, «Momento Sera», 12 novembre 1950

Non più Mattoli, ma C.L Bragaglia sfrutta stavolta l’arte «continua», la comicità fiume di Totò, che oramai ci viene quotidianamente ricordata dai cartelli pubblicitari, dalle imitazioni degli amici e peggio ancora dalla notizia di suoi film che seguiranno.

Oramai il cinema non si salva da avere gli schermi invasi dalle smorfie, le stesse e sempre più fondamentali nell'economia dei racconti, dell'impareggiabile divo in bombetta, e questa è una naturale conseguenza dell’assalto alte platee che il pubblico seguita a fare per avere l’ultima battuta dei principe e l’espressione ridente e maliziosa di lsa Barzizza in cima alla nudità del suo corpo.

De «Le sei mogli di Barbablù» non c’è da dire molto di diverso da quello già detto per tutti gli altri film di Totò, corrispondenti a questo in altro ambiente. Solo la regia di Bragaglia e l'assenza di Marchesi e Metz dalla sceneggiatura, danno alle trovate un gusto diverso, mentre più legato ed equilibrato, per quanto in certo qual senso più povero, risulta il racconto. Immancabile Carlo Ninchi.


«Il Lavoro», 22 dicembre 1950

TOTÒ SCEICCO (1950) Regia Mario Mattoli

Questo è l’anno di Totò, Totò Figaro, Totò senzatetto, Totò scapolo, Totò Tarzan, Totò poliziotto ecc., e questo è anche l’anno del declino di Totò.

Lamberto Sechi, «La Settimana Incom», 18 novembre 1950

Non ci resta che seguire il decorso di questa ‘malattia’, la quale, come ogni malanno di questo mondo, dopo aver toccato l’acme della crisi finirà per concludersi con la guarigione del malato.

Gaetano Carancini, «La Voce Repubblicana», 26 novembre 1950

[...] La trama non vale due soldi, quindi la si omette. Di trovate non c'è traccia, assolutamente. Mattoli ha superato questa altra fatica come le precedenti e noi speriamo che arriverà alla serie Totò per darci qualcosa di più intelligente e di più concreto, dal punto di vista cinematografico.

C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo» 7 dicembre 1950

[...] Totò non ha ancora raggiunto il massimo delle sue capacità, ma ha mostrato che può fare di più e che forse ha trovato la sua strada. Contrariamente al solito, bravi tutti gli altri.

Vice, «L'Unità» 7 dicembre 1950


TOTÒ TERZO UOMO (1951) Regia Mario Mattoli

[...] Il film è meno divertente degli altri anche perché offre al esilarantissimo Totò non molte possibilità di mettere in evidenza la sua arte punto è inutile ripetere qui le lodi di questo attore unico che sa passare da una travolgente comicità metafisica ad una sincera, toccante umanità; basterà ricordare che salvo poche eccezioni ("Totò cerca casa" in un senso, "Yvonne La Nuit" e "Napoli milionaria" in un altro), egli è stato male usato e aspetta ancora l'occasione di dare allo schermo quanto può e sa. Ad ogni modo, per quanto tarpato e soffocato, Totò riesce sempre a divertire ed ha, infatti, divertito. Con lui hanno recitato nel film la Marzi, la Parvo, il Campanini, il Pieri, il Castellani.

E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 4 settembre 1951

[...] In realtà Totò, anche in questa sua ultima fatica, spara tutte le cartucce della sua inesauribile vis comica, ma anche questa volta raramente raggiunge il bersaglio che più ci preme: il cinema. Comico teatrale, egli non ha trovato ancora il regista che sappia restaurarne intelligentemente le naturali attitudini mimiche in uno spettacolo tutto visivo ed in movimento [...]

Alfredo Orecchio, «Paese Sera» Roma, 5 ottobre 1951


SETTE ORE DI GUAI (1951) Regia Vittorio Metz, Marcello Marchesi

Dare all’irrequieta comicità di Totò la disciplina di un film «costruito» è come incastrare un torrente nell’alveo in muratura: schiumeggia meno, fa minor fracasso, perde un po' del suo pittoresco, ma non ristagna poi negli acquitrini e arriva a una foce. Come in «Napoli milionaria», anche in «Sette ore di guai», diretto da Metz e Marchesi e derivato da una vecchia farsa di Scarpetta («’Na criatura sperduta»), Totò ha modo di dare al suo personaggio la razionalità accettabile di un tipo dopo essersi in troppi film meccanizzato nella rigidità legnosa della marionetta. [...]

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 4 novembre 1951

Se il titolo ne prevede sette il pubblico è costretto a qualche ora di guai. Guai prodotti dall'ormai noto blocco di soliti sceneggiatori (o cosiddetti tali) che possiedono la grazia di ammorbidire o annullare anche una divertente commedia di scarpetta. Questo film è tratto infatti da “Una creatura sperduta” e narra le vicende di un padre in disperata ricerca della sua creatura che, nel giorno del battesimo, gli è stata sostituita.

I colpi di scena - e sono tanti nella commedia - offrivano l'avvio ad una felice successione di avvenimenti divertenti, anche se farseschi, ma questo film odora di fabbricazione in serie e deve essere di quelli sceneggiati in quindici giorni tra il fumo di una stanza dei Parioli o di via Margutta e i litri di caffè spesi per tenere desti gli impegnatissimi scrittori del cinema. Si ride quindi (naturalmente se tifosi di Totò) soltanto all'immancabile intercalare “ma mi faccia il piacere” che rappresenta con ”comunque” e ”apoteosi”, uno degli slogan del comico Principe. Il resto è avvolto, per un pubblico in cerca non di ”messaggi” ma di un giustificato passatempo borghese, nella nebbia più fitta.

E la cornice (composta dagli attori Barzizza, Milano, Campanini, Matania e molti altri), è degna del quadro. Quando i produttori che hanno un Totò in contratto ed una voglia matta di fare dei film comici (perché forse credono solo in quelli) si decideranno a cambiare i loro stati maggiori? Anche sul campo di battaglia le truppe provate vengono sostituite da quelle fresche. I cervelli di cui si valgono i produttori di cui sopra, sono senza dubbio stanchi e affaticati. Non basta quindi rifarsi ad Eduardo scarpetta per un soggetto, ma è necessario quella lenta ed accurata elaborazione Senza la quale anche un Totò - come ieri sera - raccoglie fischi e dissensi.

V.S., «Il Popolo», 17 novembre 1951

GUARDIE E LADRI (1951) Regia Mario Monicelli, Steno

 [...] Totò e Fabrizi, l'uno ladro e l'altro guardia, sono appunto considerati come capi-famiglia [...] Totò ha inalberato per l’occasione un palo di baffetti che lo trasforma un poco da maschera in uomo; e, infatti, la sua parte esigeva che, almeno stavolta, egli perdesse qualcosa del suo burattinismo. Anche Fabrizi è più sorvegliato e umano del solito. [...]

«Corriere d'Informazione», 22 dicembre 1951

[...] Gli stessi interpreti, Fabrizi e Totò, tolti agli epilettici contorcimenti degli usuali loro film, si sono adattati tanto alla irruenza della prima parte quanto alla riflessività quasi elegiaca della seconda, che è la più degna: liberati dall'impegno della comicità salace, fatta di smorfie e di sberleffi, si ripropongono come gli spontanei attori che sono. Qua e là si compiacciono di sè. Indugiano in patetismi sproporzionati: il congedo di Totò dalla famiglia, sul punto di andare in carcere, mentre finge di partire per affari, fa pensare alle estreme volontà del morituro. Diamine, un’eventualità come questa, tre mesi di gattabuia, può sbigottire la gente del reparto galantuomini, ma chi fa raccolta di orologi altrui dovrebbe essersi conciliato con l'idea.

lan., (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 22 dicembre 1951

[...] Totò si fa ammirare per quel tanto di professionalmente ipocrita che dà alla sincerità del personaggio, Fabrizi per Cordialità e la affettuosità che mette nel suo ruolo di persecutore.

E.C., (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 23 dicembre 1951

[...] Se per qualche merito, oltre che per l’interpretazione di Totò, sarà ricordato «Guardie e ladri» di Steno e Monicelli, sarà appunto per questo: di aver tentato di allargare i confini del genere comico usuale oltre il palcoscenico del varietà e di aver scoperto, o almeno intravisto, quelli ben più vasti suggeriti da un ambiente reale. [...]

«Vie Nuove», 6 gennaio 1952


TOTÒ A COLORI (1952) Regia Steno

[...] Questo comico che pure avrebbe possibilità e capacità di rinnovarsi, non esita davanti al fastidio della ripetizione. E continua a compiacersi della sboccata platealità. Se si ride? Certamente, ma a condizione di vergognarsi, talvolta, di aver riso.[...] In complesso il Totò usuale della farse. L'esperimento del colore, come procedimento italiano, ha la discontinuità e le incertezze di tutti gli esperimenti.[...]

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 9 aprile 1952

Con Totò, la signorina Snob. Un film di cui sia interprete Totò non contempla, normalmente, altri interpreti; tutti sono messi lì, attorno a lui, per tenergli bordone. [...] In quanto al film, non à che una razione del Totò burattino e un tantino surrealista che conosciamo fin troppo, antologia di tutti i divertimenti teatrali e cinematografici nel quali egli si è prodigato finora: stesse situazioni, stesse smorfie, spesso stesse battute. Soltanto, stavolta cambia li condimento: i colori costituiscono la novità di questa pellicola non nuova. Tecnicamente, si tratta di una prova, con il procedimento Italiano. Si giudicherà al secondo film, quando la fase sperimentale sarà conclusa.

Art., «Corriere d'Informazione», 10 aprile 1952

[...] Qualcuno forse ricorderà ancora le barzellette che circolano fra i banchi delle scuole elementari, dove avviene la prima, incauta iniziazione ai misteri dell’umorismo o, peggio ancora, le battute stampate su quei fascicoli che s’intitolano Ridete con me. Tutte queste primitive sollecitazioni dell’allegria si possono ritrovare nel film «Totò a colori» con cui s’è iniziata la nuova stagione cinematografica. Anche qui sentiamo parlare di donne chiamate «Trombetta», le quali sposano uomini che rispondono al nome di «Bocca» sì da diventare «Trombetta in Bocca» e nemmeno l’arte di Totò riesce a risollevare trovate simili dalla loro spaventosa miseria. Il film è praticamente privo di titolo: ma la vaga etichetta «Totò a colori» serve egregiamente a denunciarne la assenza di contenuto. Sono alcuni «schetches» cuciti insieme col filo da rattoppar vele che non si legano affatto l’uno all’altro se non per il comune denominatore della volgarità. Volgarità che di tanto in tanto fa ridere, ma d’un riso puramente muscolare simile a quello ottenuto con il solletico.

Totò è meraviglioso, lo sappiamo: la sequenza in cui si traveste da burattino ed eseguisce una specie di «danse macabre», tutta scatti e movimenti disarticolati basta da sola a collocarlo al di sopra di tutti i Danny Kaye di questo mondo. Del resto ve lo ricordate in «Guardie e ladri» o nella piccola parte semiseria di «Yvonne la Nuit»? Totò è un monumento nazionale e la sua tutela dovrebb’essere affidata alla più severa delle Sovrintendenze. I nostri registi, invece, fanno di questo comico il peggior governo possibile, gettando la sua preziosa maschera nelle immondizie.

Se l’umorismo di «Totò a colori» è povero ma — in complesso — castigato, altrettanto non può dirsi di «Parrucchiere per signora», film nel quale i doppi sensi sì sprecano e le battute raggiungono un’audacia da «cinema cochon».[...]

L., «Giornale di Trieste», 15 settembre 1952

Due film comici sono apparsi contemporaneamente sugli schermi cittadini, uno italiano ed uno francese, tutti e due rappresentanti validi delle rispettive tendenze. «Totò a colori» mostra finalmente fino a quale punto possa arrivarel’idiozia integrale dei vari Steno.

«Fanfan la Tulipe» si fa invece vedere come si possa far ridere la gente con intelligenza senza ricorrere alle testate, ai menti storti ed a inutili marionettisti di bassa lega. Elogio quindi ha Christian-Jaque, alla sua abilità, al suo buongusto e solamente compassione invece per il cinema comico italiano. Totò è passato in tutti questi anni da un regista cane ad uno più cane dimostrandoci come la vera direttiva della comicità italiana sia allo stato fallimentare e impedendoci nel contempo una reale valutazione delle sue possibilità di attore.

Egli ha ciò che manca a molti altri: una mimica a volte irresistibile, ma non ha ancora trovato quella base contenutistica che gli permetta dei valori umani, è insomma una marionetta, forse un attore in potenza. Ma supponendo in lui l'attore è ancora più sconsolante per noi notare come un regista francese abbia saputo fare un vero film comico senza avere attori tali. E’ questo è il sintomo chiaro di un inaridimento della nostra vena e del gioire fresco ed efficace di una nuova cinematografia francese che si va imponendo attraverso l'ostilità e l’assenteismo del pubblico.

rab., «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 settembre 1952


TOTÒ E I RE DI ROMA (1952) Regia Steno, Mario Monicelli

[...] Ai suggerimenti di Cechov, Steno e Monicelli hanno aggiunto barzellette e «gags» di loro invenzione; il maggiore interprete, Totò, ha irrobustito il dialogo con le battute a soggetto, che sono la sua specialità; sì che il film risulta una mescolanza pittoresca di spiritosità [...] Infarcito degli umori di molta letteratura, di molto giornalismo umoristico e di molto cinema, il film è un mosaico di cose viste. C'è dentro di tutto, ma specialmente c'è Totò, il Totò delle riviste, con brillanti e meno brillanti richiami dall'attualità politica e una non celata tendenza alla polemica dei nostalgici. Qualche episodio, e cosi i due funerali, quelli di un morto e quelli di un vivo, risultano spassosi: la morte fa allegria, nelle nostre pellicole comiche. [...]

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 10 dicembre 1952

[...] Totò, si butta proprio dalla parte opposta, quella del nostalgici; e il risultato non cambia. Questi accenni all’attualità politica danno alla pellicola un sapore da rivista, come del resto, accade spesso al lavori in cui ha parte Totò; e s'innestano male nel nucleo principale del racconto, suggerito da due vecchi racconti russi, di Cechov. [...] I film di Totò servono a un’ora di spasso, anche se sono insipidi come questo è spesso, ma le idee non si confermano nè si mutano con l’aiuto d'una cinematografia tanto lontana da ogni attività del pensiero.

Art., «Corriere d'Informazione», 11 dicembre 1952

[...] Con Totò e i re di Roma i due registi sono rientrati negli schemi deprecati e il comico napoletano è tornato alla sua ormai scontata maniera farsesca e marionettistica. [...] Se negli autori c'era, per caso, la vaga intenzione di erigere una specie di contraltare a Il cappotto (1952) di Lattuada (dove l'origine letteraria è Gogol), contrapponendo al copista Rascel l'archivista Totò, essa è miseramente fallita [... ]

Franco Zannino, «Rassegna del film», 11 febbraio 1953


TOTÒ E LE DONNE (1952) Regia Steno, Mario Monicelli

Non è un film. E' una specie di festino in famiglia tra Totò e i suoi mille e mille tifosi. La farsa, basata sulle battute e le prestazioni che fecero e fanno la popolarità del comico sul palcoscenico, vuol essere una antologia di lamentazioni sulla vita del marito e dell'uomo in genere seviziato dal sesso debole. [... ]

Alfredo Orecchio, 1952

Stavolta non siamo al cinema ma a una conferenza. E' sulla cattedra il celebre professor Totò, con la sua mutria a scaleno [...]

Filippo Sacchi, «Epoca», dicembre 1952

[...] A tratti il film fa qualche concessione alla volgarità; il suo tono è quello dello spettacolo di rivista, pepato e sboccato; non dispiacerà ai fedelissimi di Totò.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 24 dicembre 1952

[...] Una farsa, come si è detto, e di quelle che molto da vicino ricordano con le loro battute e le loro situazioni, il varietà o la rivista, ma Totò, si sa, ha sempre il suo pubblico fedele che, anche questa volta è corso all'appuntamento per ridere e divertirsi. [...]

Vice, «Il Messaggero», 25 dicembre 1952

[...] Totò è un comico capace di muovere al riso e alla distensione qualunque severissimo censore, ma dov'è ancora, quando pretende di trasportare sullo schermo scherzi e lazzi ormai vecchi perfino sui palcoscenici dell'avanspettacolo. Forse la colpa non è sua, d'accordo: cerchino dunque i soggettisti di trovare qualcosa di nuovo per lui, sennò apprezzano come merita e come è loro preciso dovere di fare. [...]

Vice, «Momento Sera», 27 dicembre 1952


UN TURCO NAPOLETANO (1953) Regia Mario Mattoli

Totò ha fatto rivivere una farsa del famoso Eduardo Scarpetta, ch'ebbe straordinario successo al primi del secolo. [...] Totò naturalmente ci sguazza, con tutto il suo repertorio, ultimo erede della commedia dell'arte, d’una tradizione popolaresca che risale ben più indietro dell'età di questa farsa. [...]

«Corriere della Sera», 17 settembre 1953

Il nerbo del film è la situazione di Totò finto eunuco [...] Il nostro mimo profonde il meglio del suo repertorio e fa quasi sempre centro. Qualche lazzo è troppo insistito, qualche altro volgaruccio, ma in complesso la farsa regge e diverte, anche per l'accurata ambientazione e per il suo forte umore caricaturale [...]

Leo Pestelli, «La Nuova Stampa», Torino, 23 settembre 1953

Un turco napoletano è il più osceno e pornografico film che sia stato prodotto in Italia da parecchi anni. [...] Il film è una speculazione commerciale operata dai produttori su un pubblico sempre meno reattivo. Il pubblico italiano si trova, generalmente, in uno stato di passività che richiede, come indispensabile, la battuta volgare, il lazzo scollacciato, il meschino doppio senso; e nessuno è più bravo dei nostri comici nell’accontentarlo. [...] Le stesse masse popolari più attive, al cinema subiscono, secondo la mentalità propria della decadenza borghese. [...] Questa situazione è ormai stabilizzata. Potrà durare parecchi anni, anche se Totò verrà a noia e gli si sostituiranno altri comici mimicamente meno dotati di lui, anche se la mediocre fantasia degli umoristi si farà sempre più fiacca e se le scollature delle attrici I...] si saranno ridotte di superficie.

"I film comici italiani", Fernaldo Di Giammatteo, «Rivista del cinema italiano», n. 3, marzo 1954


IL PIÙ COMICO SPETTACOLO DEL MONDO (1953) Regia Mario Mattoli

[...] Tra le mostruosità che hanno sulla coscienza tanto Mattoli quanto Totò, "Il più comico spettacolo del mondo" è certo la più madornale. [...] Totò ha trovato una buona scappatoia per entrare sicuramente nella storia del cinema: interpretare il primo film italiano in 3D.

Giulio Cesare Castello, «Cinema» n.108, 30 aprile 1953

Alle smorfie e ai lazzi di Totò sembrano affidati, da qualche tempo, tutti i tentativi e gli esperimenti più azzardati del nostro cinema ieri era la volta del primo film realizzato con un sistema a colori italiano, oggi è toccato al primo film in 3D (brevetto americano, però). [...] il film finisce per essere soltanto una sbiadita antologia dei più famosi numeri delle riviste di Totò.

«Il Tempo», 5 dicembre 1953

C'era da aspettarselo dopo un “Totò a colori” non poteva mancare un Totò tridimensionale. [...] ciò che deploriamo è che si è creduto che bastasse aggiungere il 3D al nome di Totò per assicurare comunque il successo di cassetta. [...] In realtà esso non è che uno scadente canovaccio, il quale permette al Circo Togni di esibire i suoi artisti e a Totò di dar via libera ai suoi lazzi che nonostante tutta la buona volontà raramente riescono a strappare qualche risata. Tra l'altro gli sceneggiatori erano così a corto di idee che non hanno esitato a rispolverare alcuni noti sketch di Totò come per esempio quello dei manichini che faceva parte del repertorio teatrale del comico e quello della massaggiatrice, tolto di peso dal vecchio film “Fermo con le mani”. [...]

Vice, «L'Unità», 5 dicembre 1953

[...] La vicenda, se così si vuol chiamare, si limita ad un seguito di non sempre comici interventi di Totò in uno spettacolo di circo equestre. [...]

E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 5 dicembre 1953

[...] dobbiamo ripetere quanto abbiamo scritto altre volte; è un vero peccato che un autentico artista come Totò (un attore di potenza non comune) si avvilisca nello sciorinare al pubblico scemenze, gesti osceni e doppi sensi. Lo abbiamo tanto ammirato nella umanissima interpretazione di «Guardie e ladri» e dobbiamo rivederlo invece ancora e sempre nei panni di un personaggio da rivista che si abbassa al livello, spesso, di un attore da avanspettacolo. [...] Il film si chiude con la preghiera serale detta da Totò, cui assiste tutta la compagnia. Dice cosi bene cose vere e delicate da sentirne commozione, ma ecco che con intercalari buffi, che rendono la preghiera irriverente, sconcerta chi ha creduto per un momento che fra tante cose melense, ve ne fosse una intonata. Un esempio: Oh, tu che sei la vera rete di salvezza... C'è tanta gente al mondo che fa piangere... Noi dobbiamo piangere per far ridere... E poi ecco a battuta sciocca: Salvaci dalle unghie delle nostre donne, chè da quelle delle belve ci salviamo noi.

C. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 5 dicembre 1953


QUESTA È LA VITA - LA PATENTE (1954) Regia Aldo Fabrizi, Giorgio Pàstina, Mario Soldati, Luigi Zampa

[...] L'episodio ondeggia fra il grottesco e la consueta perizia facciale di Totò [...]

Tuttio Ceciarelli, «II Lavoro Nuovo», Genova, 4 febbraio 1954

Si sorride ai lazzi di Totò, ma il raccontino non ha sviluppo. [...]

P. B., «Corriere d'Informazione», 6 febbraio 1954

[...] Totò offre la sua mobilissima maschera al personaggio che Zampa fa muovere in un'atmosfera di rarefatta farsa. [...]

l.c., «L'Unità», 19 febbraio 1954


DOV'È LA LIBERTÀ? (1954) Regia Roberto Rossellini

[...]. Tutto il dramma si inscrive sulla maschera di Totò, martoriata e mobilissima [...]

Marcello Clemente, «Filmcritica», 1954

[...] Il film si snoda su questo mezzo tono fra il burlesco e il serioso, ma è sempre verso il primo dei due elementi che si finisce per scivolare, nonostante le consuete acrobazie di Totò ; e quando ciò accade ogni cosa rovina, in un grottesco autentico e involontario [...]

Fernaldo di Giammateo, 1954

[...] E se non fosse per qualche sequenza molto originale e qualche smorfia di umana espressività, non ci si renderebbe neanche conto di essere dinanzi a un grande regista e a un grande comico. [...] Cosi la profonda tristezza della vicenda non arriva ad esprimersi in modo abbastanza compiuto da persuadere e commuovere, malgrado la buona volontà di Totò che, per presentare una maschera autenticamente tragica, rinuncia qui al solito repertorio dei suol ben noti lazzi [...]

Vice, «Il Messaggero», 27 marzo 1954

[...] il pubblico segue l'azione con un certo interesse vuoi per quel clima spesso caricaturale che la domina, vuoi per la presenza di Totò nelle vesti del protagonista: un Totò amarissimo, acido, acre, ancora piuttosto inedito.

G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 marzo 1954

Il personaggio principale è interpretato da Totò, che riesce a sorreggere qua e là la tenue vicenda con il suo abile gioco mimico.

l. c., «L'Unità», 27 marzo 1954


I TRE LADRI (1954) Regia Lionello De Felice

Al genere dichiaratamente farsesco, basato quasi unicamente su un Totò privo dì inventiva e di freni e che, stancamente, ripete il modulo delle sue macchiette e non ancora di un personaggio [...]

Vice, «Nuova Gazzetta del Popolo», Torino, 28 settembre 1954

[...] In pratica, sotto la regia di Lionello De Felice, che si è trovato davanti una sceneggiatura sprovveduta e dialoghi infelici, tutto si è ridotto ad un pretesto per far ripetere a Totò gesti, cadenze ed invenzioni mimiche ormai collaudati, ma sempre ben accetti, dai suo pubblico. [...]

«Corriere della Sera», 7 ottobre 1954


L'ORO DI NAPOLI (1954) Regia Vittorio De Sica

[...]La vicenda, forse, è la più completa di tutte; narrativamente è dotata con molta fermezza, e la sua cornice di poveri vicoli, di povere case, poveri piazzette e quanto mai concreta, accesa, efficace, le dà anche più colore la presenza di Totò nelle vesti del pazzariello; un'interpretazione attenta ad esprimerci, nella misura e nell'equilibrio, il tormento del debole, prima e, dopo, la sua ancora timida e spaurita rivolta. [...]

G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 24 dicembre 1954


IL MEDICO DEI PAZZI (1954) Regia Mario Mattoli

La stagione di Totò è passata: siamo al tramonto. Insisti e insisti le mosse del principe comico non ottengono più l'effetto di un tempo, il pubblico di ieri sera ha riso solo due o tre volte, ha protestato anche: è troppo, c'è un limite a tutto. Si può andare anche al cinema per trascorrere due ore liete, per dimenticare i propri guai, ma si approfitta di questa debolezza al punto che, promettendovi quattro franche risate, non si esita, una volta sborsato il prezzo del biglietto, ad offendervi, somministrandovi solo quattro bestialità. Bisogna combattere la convinzione, troppo radicata tra i produttori, che lo spettatore, prima di entrare in sala, assieme al cappotto e all'ombrello, consegni anche la testa al guardaroba.

Mario Gallo, «Avanti!», Roma, 13 novembre 1954

È veramente doloroso constatare come la comicità di certi film italiani sia ancora legata a sorpassati schemi appartenuti al più infimo teatro di avanspettacolo, basata com'è sugli effetti scenici provocati dagli equivoci e sull'ambiguità dialogica dì pretto stampo macchiettistico [...]. Totò sfoggia come il solito i tipici atteggiamenti del suo repertorio mimico [...].

Vice, «La Voce Repubblicana», Roma, 14 novembre 1954

Le qualità di attore di Totò, ormai riconosciutissime, sostengono a stento quest’altra prova sempre più offuscandosi dinanzi alla inconsistenza dei personaggi che gli vengono proposti. Fra gli altri interpreti Maria Pia Casilio e Franca Marzi. Regìa di Mario Mattoli.

Vice, «Il Popolo», 15 novembre 1954


TOTÒ CERCA PACE (1954) Regia Mario Mattoli

È difficile per Totò sfuggire ai gestì e alle battute che l'hanno reso simpaticamente noto nella rivista; e forse per questo egli è capace di non far naufragare un film che riposi unicamente sulle sue spalle. [...]

Dario Ortolani, «Nuova Gazzetta del Popolo», Torino, 18 dicembre 1954

[...] La farsa tira avanti, per la regia di Mario Mattoli, con qualche trovata divertente ed altre un po' meno, affidandosi, soprattutto, alle capacità più care al pubblico di Totò, il quale, tra l'altro, si diverte a fare il verso al vernacolo fiorentino. [...].

a. sc., «L'Unità», 8 gennaio 1955

Totò cerca pace e noi cerchiamo Totò, quello delle pellicole che facevano ridere. Per la verità, il nuovo film non indulge nella scurrilità che in altre occasioni ci sono spiaciute: è una commediola castigata, anzi, tipo famiglia. E se Totò non disegna un personaggio nuovo è perchè egli stesso è il suo personaggio di sempre. [...] Invece che a Napoli, l’azione si svolge a Firenze, il che determina alcuni del rari spunti di buon umore, per via dell’eloquio toscaneggiante di Totò: non siamo abituati a sentirgli mangiare la «c». [...]

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 9 giugno 1955

La serie «Totò» imperversa; evidentemente il principe De Curtis, dimostratosi buon attore in vari film, non disdegna occuparsi a fondo della solidità economica del proprio casato, e perciò si dà da fare a catena. «Totò cerca pace» è un film dello stesso livello artistico di molti altri Interpretati dallo stesso Totò: un livello assai basso. [...] Inutile parlare della regia e degli attori: anche Laurence Olivier non avrebbe fatto gran bella figura in questo film.

Vice, «L'Avanti», 9 giugno 1955


TEMPI NOSTRI (1954) Regia Alessandro Blasetti

[...] Siamo cosi giunti alla fine dove troviamo, dulcis in fundo, il più inutile sciatto e insopportabile dei Totò a dimostrarci che dopo aver ritrovato un po' di spensieratezza ci stiamo avviando sulla strada della, scemenza.

rab., «La Nuova Gazzetta di Reggio», 9 aprile 1954

SIAMO UOMINI O CAPORALI (1955) Regia Camillo Mastrocinque

[...] Ci s'affida meno alla volgarità e lo stesso Totò, efficacemente sostenuto da Paolo Stoppa che via via impersona i vari «caporali», appare meno convulso ed esagitato del solito. In alcuni momenti il suo viso si atteggia in una maschera cosi umana che fa rimpiangere le occasioni perdute da questo grande attore comico.

«La Stampa», Torino, 27 agosto 1955

l film, che ha un finale patetico, vuol essere, come si vede, una satira. Ma è una satira che non va avanti solo in chiave di farsa: ci sono annotazioni e situazioni dolorose nelle quali Totò si rivela un grande attore, in altre parti è il solito ”mimo” che conosce l'arte di far ridere. [...]

Vice, «Momento Sera», 4 settembre 1955

[...] il film che vuole riecheggiare in tono minore un altro film presentato alcuni mesi fa, senza approfondire alcuno dei temi proposti, è ricco soltanto degli sberleffi di Totò. Paolo Stoppa ha reso bene nei vari personaggi.

«L'Avanti», 6 settembre 1955

La celebrità, talvolta, fa perdere il senso delle proporzioni. Solo con questa considerazione si può spiegare — e giustificare — la mania di Totò di voler esporre una sua ''filosofia” della vita. Da anni, i suoi film ci avevano abituato a questa domanda in apparenza sibillina: siamo uomini o caporali? Oggi, lo stesso Totò ha scritto un soggetto in cui sono sviluppati su un piano vagamente satirico i concetti della sua filosofia spicciola. [...] Concludendo, Siamo uomini o caporali? è uguale a tanti altri film di Totò, con l'aggravante del tema ambizioso sfruttato in maniera sbagliata.

Vice, «Cinema Nuovo», Milano, 10 ottobre 1955


RACCONTI ROMANI (1955) Regia Gianni Franciolini

Totò vi ripete la divertente trovata del "babbo" costruendovi su, come Paganini, numerose variazioni [...]

Luigi Chiarini, 1955

[...] E’ rilevante il complesso degli interpreti, tutti lodevoli anche se nessuno eccellente, compreso Totò - troppo limitato nello svolgimento del suo personaggio - e De Sica, al quale è stata offerta una caratterizzazione poco precisa. [...]

Vinicio Marinucci, «Momento Sera», 24 dicembre 1955


DESTINAZIONE PIOVAROLO (1955) Regia Domenico Paolella

La presa in giro ottiene, per noi italiani, i più sicuri effetti dì critica e il film sollecita i consensi appunto attraverso la caricatura. Il copione è stato eliminato con sapide trovatine che il regista ha adeguatamente tradotto in immagini Totò colorisce in burlesco il personaggio del capostazione, prestandogli alcuni tocchi del suo repertorio abituale; rinunziando a molti di essi, però, è risultato più umano, dimostrando la sua attitudine a trasformarsi da marionetta in essere umano.[...]

Maurizio Liverani, «Paese Sera», 18 dicembre 1955

Non ha davvero scelto un anno tranquillo Antonio La Quaglia per vincere, ottocentocinquantesimo di una lista comprendente ottocentocinquanta nomi, il concorso di capostazione di terza classe. [...] Totò è un protagonista efficace, soprattutto quando dimentica la mimica che l'ha reso famoso.

«Corriere d'Informazione», 7 gennaio 1956

[...] i tempi di «Totò Tarzan» paiono ormai scomparsi e, rispetto alle precedenti produzioni, l'odierno Totò si presenta mondo di lepidezze da strapazzo, alieno da scurrilità da avanspettacolo. Perchè insistere ancora su alcune sue consuete mimiche o su noti e caricaturali atteggiamenti» serie? Scordiamo il Totò che si muoveva seguito mossa mossa dal batterista e atteniamoci alle sue intenzioni che sappiamo serie ed orientate verso piani artistici. Sono appunti che muoviamo — anche nel caso dell'attuale film — agli scenaristi che si compiacciono di ridicolizzare la scena della fermata del rapido col capostazione che fa segnalazioni come un ragazzino che giochi «al vigile urbano». Lo stesso deve dirsi per il regista che dovrebbe attenersi al non lieve compito di frenare e guidare un attore tanto esuberante.
Tuttavia le nostre parole, più che severità di critica nei confronti del film, vogliono ancora puntualizzare la necessita di non creare attorno a Totò nessuna facile concessione col pretesto di «tanto il pubblico lo vuole cosi». Diversamente, partiti con buoni propositi, si finisce per guastare l'attore e il soggetto.

«Cinema», anno IX, n.159, 25 gennaio 1956


IL CORAGGIO (1955) Regia Domenico Paolella

[...] Totò, pur avendo limitato il repertorio dei suoi gesti, non esce tuttavia fuori dal dal solito schema; Gino Cervi, con la sua bonaria comicità, riesce a sostenere il film e a dargli un'impronta meno farsesca.

«L'Avanti», 31 dicembre 1955

Totò è quel grande comico che tutti conosciamo, ma quanti sono i film tra decine e decine da lui interpretati che si salvano non dico sul piano dell'arte, ma almeno su quello dell'intelligenza e della dignità? Totò ha sempre successo di pubblico perché le sue risorse sono tali da strappare qualche risata anche con le più insulse banalità. Così tutti si aggrappano a lui, anche i giovani registi, come una sicura garanzia di quel successo economico senza il quale non c'è possibilità di carriera. Ma è necessario scegliere sempre la via più facile e banale? Così ha fatto nel Coraggio Domenico Paolella. Il vecchio testo di Novelli, che fu già cavallo di battaglia di Petrolini, poteva offrire lo spunto per realizzare con Totò un gustoso film satirico, solo che il regista si fosse preoccupato di dire qualche cosa anziché accavallare situazioni farsesche del tutto esteriori con l'unico intento di far ridere il pubblico. Il risultato, naturalmente è negativo: questa volta neppure Totò è riuscito a superare la piattezza della sceneggiatura. Ne è venuto fuori un film scolorito e noioso.

Luigi Chiarini, «Il Contemporaneo», 31 gennaio 1956


LA BANDA DEGLI ONESTI (1956) Regia Camillo Mastrocinque

[...] Muse napoletane, abbiamo tante volte mangiato cocomeri o lupini insieme, aiutatemi a dire tutto il male e tutto il bene possibili di Totò. Chi è più attore e meno artista di lui? Chi, se non Totò, è l'unico, il massimo denigratore che Totò abbia, l'ospite furtivo, il cugino povero, il visitatore umile, frainteso, balbettante, di se stesso? Chi, o lacere e fulgide Muse napoletane, si inganna, si disconosce, si rinnega più del nostro impareggiabile conterraneo Totò? [...] Gli arti indipendenti, liberi, dissociati, un braccio o una gamba di Totò è un individuo nell'individuo, un attore nell'attore. Il collo a segmenti, a cannocchiale [...] E infine (Muse napoletane aiutatemi) un volto senza parentele, indefinibile, astruso, un mondo chimerico di fronte occhi naso bocca zigomi, anomali, buffi e terrifici, che agghiaccia e rapisce, che stimola al riso e, contemporaneamente, a non so che umana solidarietà e partecipazione. Mi fa ridere e sospirare la mascella deragliata di Totò. Egli, tanto se avesse dato retta ai suoi connotati surreali (affrancandosi da ogni coerenza), quanto se lì avesse gettati a contrasto nel reale, nei malinconici avvenimenti di ogni giorno, sarebbe stato un pozzo di fìnissìma allegria cinematografica. Ma, debbo ripeterlo, Totò non ha intelligenza di sé, non vive con Totò. Non si è mai cercato o indovinato, mai. Ha trasferito per vent'anni sullo schermo, il Totò del Varietà [...] È amico o nemico dell'arte sua l'ineguagliabile Totò?

Giuseppe Marotta, «L'Europeo», Milano, 7 aprile 1956

Un altro film che ha solo la pretesa di divertire. E con ciò si è detto tutto: non che mancassero motivi e possibilità per dare alla pellicola un valore più «umano», ma sembra che il regista si sia contentato soltanto di far ridere il pubblico. E, naturalmente, ha permesso a Totò e a De Filippo di dar pieno corso a tutte le loro risorse di comici, senza tenerli un po' a bada con il freno dell'arte. Comunque, il film è "divertente": e chi si contenta gode. [...] Interpreti principali : Totò. Peppino De Filippo, Giulia Rubini, Giacomo Furia. La regia è di Camillo Mastrocinque.

Paglialunga, «Momento Sera», 14 aprile 1956

[...] Grazie a De Filippo, a Totò — che non si discosta dal personaggio sè stesso, ma non manca di determinare comunicativa con il pubblico — e a Furia, questa Banda, pur immiserendo il tema, ottiene un suo rozzo effetto; anche moralmente dicendo, giacché afferma i limiti della libertà di stampa, se applicata alle banconote.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 19 aprile 1956

C'era da aspettarsi di peggio. Mastrocinque ha saputo frenare Totò, limitandone al massimo i lazzi teatrali, e, se così si può dire, ha portato avanti Peppino De Filippo, rendendolo cinematograficamente efficace. [...

Mosca, «Corriere d'Informazione», 20 aprile 1956


TOTÒ LASCIA O RADDOPPIA? (1956) Regia Camillo Mastrocinque

[...]Non è una trovata tale da poter reggere un canovaccio da sola: perciò i soggettisti Metz e Marchesi di questo film di Mastrocinque hanno posto attorno ai comico, nei panni d'un duca squattrinato ed esperto di ippica, la bionda Dorian Gray e la giovane Valerla Moriconi, quest’ultima ignara d'essere figlia del duca fino all’ultima sequenza, la prima incaricata di far conoscere una canzonetta che s'ispira alla famosa trasmissione televisiva, in quanto al duca protagonista, ogni volta che lo si appella col suo titolo, egli risponde: «dica». E’ lo sforzo massimo che si sono imposti i dialoghisti di questo scherzo cine-televisivo nel quale gli onori di casa sono fatti, si capisce, da Mike Bongiorno ed al quale partecipa un attore americano, Bruce Cabot, che stavolta fa il gangster per burla dopo averlo fatto tante volte sul serio.

«Corriere della Sera», 4 maggio 1956

[...] Nell'insolito ruolo di un uomo elegante vediamo Totò, impegnato in un genere nuovo di comicità, più castigata, più umana, che acquista in intensità quello che perde in lepidezza.[...]

Vice, «Il Tempo», 5 maggio 1956

[...] non una battuta studiata, solo un arruffato e gratuito canovaccio dove Totò è lasciato libero a dar fondo al più sciocco repertorio di giochi di parole.

Vice, «L'Espresso», Roma, 13 maggio 1956


TOTÒ, PEPPINO E... LA MALAFEMMINA (1956) Regia Camillo Mastrocinque

[...] è proprio vero: con Totò e Peppino si ride sempre. Anche se il soggetto è così povero di fantasia, di originalità, di gusto come questo. [..] Se poco ci si mettessero( diciamo gli sceneggiatori, il regista), se sforzassero le loro meningi quel tanto da tirar fuori una storia decente, siamo certi che - attraverso la recitazione di Totò e Peppino - si potrebbero vedere dei film godibilissimi. E invece... [...]

Anonimo, «La notte», 1956

[...] L’esile trama è tenuta viva dalle consuete gags di Totò e Peppino De Filippo, dalle improvvisazioni canore di Teddy Reno e dalle personali risorse della bella Dorian Gray. La regia è di Camillo Mastrocinque.

Vice, «Il Messaggero», 31 agosto 1956

[...] Mastrocinque ha corretto la straripante comicità di Totò facendone una figura interessante. A posto tutti gli altri a cominciare dal bravo De Filippo nella parte del campagnolo impacciato. Bella la fotografia in bianco e nero.

Paglialunga, «Momento Sera», 1 settembre 1956

Si parla tanto della necessità di migliorare il cinema italiano, di ridargli respiro, di liberarlo dai limiti del macchiettismo provinciale. Ecco, infatti: si continuano a fare film come «Totò, Peppino e... la malafemmina», una farsa grossolana urlata In dialetto napoletano dalla prima scena all'ultima. Che probabilmente, dato i gusti di gran parte del pubblico, ormai incapace di pretendere dei buoni spettacoli, renderà al produttori parecchi quattrini. Se si va avanti cosi, il mercato cinematografico non avrà più distinzioni, tutta l'Italia sarà «provincia». Il film in questione è avanspettacolo e fumetto della peggiore qualità, nè la presenza di bravi attori come Totò e Peppino De Filippo si fa avvertire, almeno sul piano della buona recitazione. Di Dorian Gray e Teddy Reno come attori dì cinema non mette conto di parlare: si muovono cosi palesemente a disagio da non riuscire neanche ad irritare. Tutto il resto, è meglio dimenticarlo.

Vice, «L'Avanti», 9 settembre 1956


TOTÒ, PEPPINO E I FUORILEGGE (1956) Regia Camillo Mastrocinque

[...] Comunque, un duetto tra Totò e Peppino vale sempre la spesa del biglietto [...]

Morando Morandini, 1956

[...] Trovate e soluzioni sono spesso di cattiva lega, tuttavia la comicità immediata di Totò e Peppino De Filippo, il personaggio della avara, abilmente disegnato da Titina, ed alcune caratterizzazioni assicurano al film un certo consenso. E' con questo tipo di produzione che si chiude il 1956. Crisi e film di Totò da una parte, dall’altra, cioè dal fronte degli esercenti, si continua a combattere con successo. E’ di ieri la notizia dell’apertura di un nuovo cinema: il Mignon.

Vice, «Il Popolo», 21 dicembre 1956

Dopo la serie dei Pane e amore e dei Don Camillo, abbiamo ora dunque quella dei Totò e Peppino. C’era da aspettarselo, visto che Totò Peppino e la... malafemmina è il film italiano che ha totalizzato gli incassi più alti dell'attuale stagione cinematografica: cosa questa che tanto più colpisce in quanto si tratta di un modesto filmetto in bianco e nero, realizzato senza pretese e privo di particolari attrattive d’ordine spettacolare. L'accoppiamento di Totò con Peppino De Filippo rappresenta evidentemente una buona trovata, capace di fare larga presa sul pubblico; in effetti l’incontro e il contrasto fra la maschera comica dell'uno, cosi mossa, pronta al lazzo e alla buffoneria, con quella dell’altro, fissa su un modulo di serietà grave e un po’ atona, come di chi prende tutto sul serio e capisce sempre a metà; questo incontro riesce realmente ricco di effetti e sa far sorridere lo spettatore nonostante la incredibile banalità del soggetto. [...] Personaggi come quelli incarnati da Totò e De Filippo in questi film di Mastrocinque esprimono a perfezione una situazione di tal genere; poveri diavoli, a metà fatti di grossolana astuzia e a metà di ingenua balordaggine, aspiranti alla bella vita e condannati a tirare a campare, tiranneggiati dai parenti o dagli amici e smaniosi di imporre le proprie trovate balzane; siamo sul terreno della farsa di paese, che si manifesta ormai, con le sue ricchissime tradizioni, l'unica àncora di salvezza cui il nostro cinema sia capace di aggrapparsi. [...]

«Cinema Nuovo», 1 febbraio 1957


TOTÒ, VITTORIO E LA DOTTORESSA (1957) Regia Camillo Mastrocinque

Dicendo che Totò, Vittorio a la dottoressa è il solito film della serie Totò, commetteremmo un a grave inesattezza: infatti, è molto peggio dei precedenti [...]

Vice, «L'Unità», 1958

Nel filmetto che [..] è interpretato da Totò un pò stanco [..] si possono ascoltare tre o quattro battute di una rara grossolanità. Davvero allegra la nostra censura.

«Il Giorno», 1957

Di Totò il pubblico conosce ormai tutto: sa a memoria il suo modo di muoversi, le sue furbesche risate, gli improvvisi stupori, il suo umorismo di gusto popolare e sa anche come andranno a finire le sue trovate. Perchè Totò possa sfruttare a nuovo le risorse di cui è ricco il suo temperamento d'attore comico occorre costruirgli dei personaggi, delle storie, delle situazioni, il che però accade molto raramente. Il film comico in Italia non gode molta stima e cosi siamo costretti continuamente a sorbirci filmetti fatti senza impegno, pieni di battute consunte e di situazioni scontate, di macchiette limitate e di intrecci macchinosi. [...] non basta davvero la presenza di De Sica a nobilitarlo, anzi è motivo di sorpresa e di dispiacere il vedere come uno dei nostri maggiori uomini del cinema, le cui doti di regista restano indiscusse, si lasci andare in spettacoli del genere.

Vice, «Il Popolo», 24 dicembre 1957

Più che di un film, data la estrema inconsistenza del soggetto e la pochadistica tensione del dialogo, si dorrebbe parlare di rivista, nella quale Totò sciorina i soliti e più che mai stanchi numeri del suo repertorio. [...] La tenue vicenda sembra costruita, in verità, più per lei che per gli altri, ma è appena credibile come e quanto essa fatichi a tenersi verosimilmente in piedi fra i lazzi e i riboboli della farsa di Totò.

«Il Messaggero», 24 dicembre 1957

La tenue vicenda sembra costruita, in verità, più per lei che per gli altri, ma è appena credibile come e quanto essa fatichi a tenersi verosimilmente in piedi fra i lazzi e i riboboli della farsa di Totò.

«Il Messaggero», 24 dicembre 1958

[...] Il nostro compito di recensori sarà assolto esimendoci da ogni più approfondito esame di carattere storico-estetico-sociologico. Questa farsetta è palesemente destinata anche al mercato spagnolo dove, come è noto, in fatto dì film stanno peggio di noi.

Morando Morandini, «La Notte», Milano, 3 febbraio 1958


TOTÒ E MARCELLINO (1958) Regia Antonio Musu

[..] E un'eguale misura avvolge i due interpreti, il grande e il piccolo ; specialmente Totò, ora che la sua fortuna commerciale è in declino, sembra aver trovato discrezione, finezza, arresto.

Leo Pestelli, «La Stampa», 1 maggio 1958

[..] L'idea di mettere insieme un comico ed un ragazzino che irradia simpatia è stata vantaggiosa, sin dai tempi del Monello. [..] Totò trova più di uno spunto per essere divertente [..]

Maurizio Liverani, 1958

[...] Neanche Totò, nella parie dello zio « falso » riesce a sollevare il tono nonostante i suoi lazzi coloriti e umanissimi, Pablito Calvo, comunque, nelle vesti di Marcellino merita lodi e consensi, e anche la cara vocine Italiana che, come sempre, lo traduce per noi. Al suo fianco, degne di lode, Jone Salinas e Nanda Primavera [...]

Gian Luigi Rondi., «Il Tempo», 27 aprile 1958

[...] Il film è retto soprattutto da Totò, che è senza dubbio un bravo attore, mentre a Pablito Calvo è affidato il compito di completare gli effetti patetici: il regista Antonio Musu ha diretto con buona mano.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 28 aprile 1958

Una figura come quella affidata a Totò, non soltanto è tra le più belle portate sullo schermo da questo grande attore, ma soprattutto è solidamente piantata sul terreno della vita reale, della pratica necessità quotidiana, da risolversi senza esorcismi. [...] Totò dà vita a un personaggio di rate, di fallito, di uomo solo senz’altro scopo che quello di sopravvivere, con una tale freschezza e puntigliosa precisione da far pensare che egli abbia voluto fare qualcosa di più della variazione di un medesimo, ritornante tema.

Totò anarchico, “Schermi”, n. 3, giugno 1958


TOTÒ, PEPPINO E LE FANATICHE (1958) Regia Mario Mattoli

Totò e Peppino sono collaudatlssimi, tanto che li mettono di richiamo persino nel titoli. Non importa, poi, se quello che c’è sotto l’etichetta è materiale di scarto o avariato, l'importante è che il prodotto sia contrabbandato col nome della ditta Totò-Peppino. [...] Negli Intervalli cantano Johnny Dorelll (col naso rifatto) e Renato Carosone

«Corriere dell'Informazione», 24 agosto 1958


I SOLITI IGNOTI (1958) Regia Mario Monicelli

[...] Vediamo un Totò più comico che buffonesco, e un Gassman pieno di miracolosa naturalezza. Nonostante il dialetto romanesco, film piacevolissimo, e successo pieno e meritato.

Mosca, «Corriere dell'Informazione», 4 ottobre 1958


GAMBE D'ORO (1958) Regia di Turi Vasile

È un film di Totò, ma con poco Totò. Conseguentemente anche il divertimento del pubblico diminuisce. Non è più come una volta, quando il comico napoletano era presente dal principio alla fine: oggi il suo nome è preceduto sui titoli di presentazione dalla frase "con la partecipazione straordinaria di Totò". Peccato, perché il suo humour, da quel non molto che si vede, è ancora quello dì una volta, capace di entusiasmare l'intera platea [...]

Vice, «Corriere Lombardo», Milano, 28 agosto 1958

[...] È un film noioso, questo, nonostante la presenza di Totò, il che è un bel risultato [...]

Vice, «La Notte», Milano, 28 agosto 1958

[...] Totò vi appare un po' invecchiato. Come le battute che gli fanno dire.

«Corriere dell'Informazione», 28 agosto 1958

[...] non sempre riescono a dalle vigore la cordiale ìnterpretazione di Memmo Carotenuto, nelle vesti del protagonista, e quella di Totò nel panni di un anziano dirigente sportivo, gretto e avarissimo. Allegria in platea, comunque e consensi anche agli altri interpreti [...]

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 20 settembre 1958

[...] La trama è assai esile. La partecipazione di Totò nella parte del barone risolleva un po' le sorti del film che altrimenti rischierebbe di naufragare in una vuota e slegata commedia [...]

«Momento Sera», 21 settembre 1958


LA LEGGE È LEGGE (1958) Regia Christian-Jaque

[...] Uno spunto originale e simpatico, insomma. E tale è anche il film pur se è vero che Jaque avrebbe potuto renderlo due volta più profondamente arguto con l'impedire ai suoi esuberanti interpreti, Fernandel e Totò, di volgere troppo spesso l'azione comica in vera e propria farsa.

Vice, «Il Messaggero», 1 novembre 1958

[...] Totò e Fernandel, con una, vena comica non sempre sorvegliata ma spessissimo molto indovinata nel suoi toni e nella precisa caratterizzazioni del due rivali, sono i divertentissimi protagonisti. E, nonostante le pastoie di una sceneggiatura abbastanza convenzionale, riescono, non di rado, ad esprimere, e del problema che è alla base del fllm e dei due sfortunati personaggi, una testimonianza umana e affettuosa.

P.V., «Il Popolo», 1 novembre 1958

[...] I suoi maggiori consensi, comunque, vanno agli interpreti: sia a Totò, sempre uguale ma sempre divertente in quelle sue parti di ladruncolo affamalo, capace solo di viver d'espedienti, sia a Fernandel, il cui comico sgomento e reso anche più ameno, qui, da un doppiaggio che, pur senza privarlo delle sua solita voce italiana, gli ha aggiunto un accento francese di gustosissimo effetto.

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 1 novembre 1958

Totò e Fernandel non si erano mai incontrati in un film: sul « ring» allestito da Christian Jaque per questa volta ha vinto il comico francese, e non perchè abbia superato in bravura il collega italiano, ma perchè il film è fatto per lui, come tutti quelli che egli ha interpretato finora. [...]

Vice, «Corriere dell'Informazione», 2 gennaio 1959


TOTÒ A PARIGI (1958) Regia Camillo Mastrocinque

[...] Totò a Parigi, raffazzonato da Camillo Mastrocinque, è uno dei film più scadenti del nostro comico che, a dir la verità, ne ha sulla coscienza parecchi. Il suo disegno del capobanda nobile, per esempio, è completamente fallito, perché troppo serio. Totò che vive sugli alberi, che parla francese, o che fa Hitler al museo di cera, strappa invece qualche risata di passaggio [...]

Ugo Casiraghi, 1958

[...] Il repertorio di Totò - mossette da burattino, parole storpiate, smorfiacce e rotear d'occhi - è roba che conosciamo a memoria e la storia non poteva essere più povera di sale e di pepe.

«Avanti», 1958

Prendete Totò: il successo di un film è assicurato per il novanta per cento [...]. Totò, nonostante il passare degli anni, è sempre lui. Basta che si muova sullo schermo per suscitare ilarità a non finire [...].

«Corriere Lombardo», 1958

In Totò a Parigi non c'é Parigi ma di Totò ce ne sono due. Una specie di vicenda surrealista gli consente di sdoppiarsi: egli é, al tempo stesso, un vagabondo squattrinato di Roma e un marchese di Parigi. [...] Si fatica, invece, a spiegarsi perché Totò, che nei film più recenti aveva abbandonato i modi marionettistici, sia tornato, in questa pellicola diretta da Camillo Mastroclnque, alla stereotipia della sua maschera da teatro di rivista. [...]

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 25 ottobre 1958

[...] E' inutile tirare le conclusioni, chè tanto l’unico scopo dello spettacolo è di mostrare un Totò senza freno prodigarsi in versi e versacci, assolutamente dimentico di avere contribuito recentemente a un ottimo film quale «I soliti ignoti». In una parte di terzo piano si nota Tiberio Mitri: che pena.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 26 ottobre 1958


TOTÒ NELLA LUNA (1958) Regia di Steno

[...] il film finisce col diventare veicolo per la dirompente comicità di Totò, assecondato, qui, con intelligenza da un giovane Tognazzi e da una schiera di bravi caratteristi

Fantafilm, 1958

[...]L'ingenuità del copione è volutamente palese, gli autori essendosi accontentati di dare la stoffa a Totò e a Ugo Tognazzi, che dal canto loro si prodigano nel loro repertorio in duetti abbastanza saporiti [...]

Leo Pestelli «La Stampa», Torino, 29 novembre 1958


ARRANGIATEVI! (1959) Regia Mauro Bolognini

[...] Di Totò e di Peppino non v'é da fare gli elogi, troppe volte li abbiamo già fatti. Vi è da farli, invece, per Laura Adani, che si cimenta in una impegnativa parte cinematografica con tutta la sua valentia di attrice di prosa. [...]

Vinicio Marinucci, «Momento Sera», 20 settembre 1959

[...] Nel volgare e grossolano impegno Totò, Peppino De Filippo e anche Laura Adani si prodigano con entusiasmo degno di miglior causa.

Mosca, «Corriere dell'Informazione», 4 ottobre 1959


I LADRI (1959) Regia Lucio Fulci

[...] Si salvano alcune macchiette, tipicamente napoletane e Totò, che, pur male impiegato, trova, di tanto in tanto, lo spunto esilarante. Nel film è anche inserito, con una breve apparizione, Fred Buscaglione, che si esibisce in una sua canzone di successo.

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 15 agosto 1959

[...] Tutto si riduce alle consuete freddure di Totò, la più divertente delle quali dovrebbe consistere negli errori che un commissario di polizia commette quando deve rivolgere la parola ad un brigadiere (Enzo Turco) di cui non ricorda mai il nome. Qualche altra trovatina è meglio azzeccata, ma si ricorda più volentieri Giovanna Ralli, che da un po' di tempo ha un piglio e una sicurezza davvero notevoli. Si vorrebbe, soltanto, che non fosse sacrificata in parti così inconsistenti.

a.b., «Il Messaggero», 26 agosto 1959

Approssimativo, fiducioso che le cose si aggiusteranno da sole, pigro e un po' svagato, in una parola napoletanissimo [...] L'atmosfera è un pò quella de I soliti ignoti, ma i risultati sono parecchio inferiori, anche se Totò, ogni tanto, fa sentire la sua classe.

Franco Maria Pranzo, «Corriere Lombardo», Milano, 17 agosto 1959


I TARTASSATI (1959) Regia Steno

Film di serie B. Il solito Totò e il solito Fabrizi, il primo nella parte del commerciante Pezzella, evasore del Fisco, e il secondo nei panni del maresciallo Topponi, della «Tributaria», incorruttibile ed implacabile. I cognomi Topponi e Pezzella vi dicono tutto. Siamo nello spirito dei Beoncelli e degli Sbronzetti. La regia è di Steno. I dialoghi si possono immaginare [...] II film, nelle intenzioni degli autori, dovrebbe indurre il contribuente a più cordiali rapporti con il fisco. Purtroppo, invece, gli fa toccare con mano quali aborti vengano sovvenzionati dallo Stato con i soldi che egli paga per le tasse.

Mosca, «Corriere della Sera», 26 aprile 1959


LA CAMBIALE (1959) Regia Camillo Mastrocinque

Questo di Camillo Mastrociuque e un film a ruota: tipo «La ronde» di Ophuls o «Destino» di Duvivier. Solo che invece di un rapporto d'amore o d'un abito da società quel che lega luno all'altro i vari personaggi è una volgarissima cambiale, simbolo di certa facile finanza dei tempi nostri. [...] Il lungo cammino da essa percorso deve essere ripercorso all'indietro. Uno per uno i personaggi della catena riappaiono sullo schermo, fino ad Aroldo che sostituisce la vecchia cambiale con una nuova e torna ad appiccicare quest'ultima a Totò e Peppino dando inizio cosi a una nuova catena. A questo punto il film s'interrompe. Era ora. Lo spettatore ha già il mal di testa dopo tanti eventi senza brio e senza logica. Tanto più che tutto è stato girato in presa diretta e da noi la presa diretta dopo tanti anni di abitudine al doppiaggio, significa purtroppo papere di attori, accavallarsi di voci, confuso brusio di fondo.

Bir., «Il Messaggero», 26 novembre 1959

Tutto lo squallido repertorio boccaccesco della farsa più trita e più volgare costituisce la povera materia di questo film. Che lazzi di comici alla moda è spreco di improvvisate battute non, valgono certo a riscattare, nemmeno sul piano del passatempo [...] Non c’è altro da aggiungere, il film è volgare, noioso e non arrivia mai a dire nulla di divertente. Tutte le macchiette che infestano da tempo giornali umoristici e cinema dozzinale sono puntuali all'appuntamento. Un appuntamento al quale dispiace di veder presente anche un attore di indubbio valore e di coraggioso impegno come Vittorio Gassman.

P.V., «Il Popolo», 26 novembre 1959


TOTÒ, EVA E IL PENNELLO PROIBITO (1959) Regia Steno

[...] Un Totò, stavolta, con le nacchere; ma non diverso da quello abituale, nel clima consueto della farsa, esasperata nella sequenza del marito tradito che insegue la moglie in un locale notturno. Situazioni già note, battute ad ogni costo spiritose che fanno tanto sabato grasso; del tipo di questa, colta sulle labbra di Totò, «Ogni limite ha una pazienza». C'è del vero.

Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 15 febbraio 1959

Gli spettatori non sono fortunati, siamo giusti, costretti a ingerire prodotti cosi squallidamente raffazzonati, cosi privi di spirito e d’ogni luce d’intelletto umano.

«L’Unità» (Milano), 15 febbraio 1959

[...] In verità, e il nome di Totò basta a confermarlo, si tratta di un'opera veramente disprezzabile: il popolare comico è indubbiamente un buon attore, ma ha fatto molto più male al cinema che bene lasciando che il suo nome venisse usato come richiamo per innominabili produzioni. [...] Il film è una farsaccia, ma quello che dispiace e che neppure come farsaccia sia stato condotto seriamente.

«Corriere dell'Informazione», 16 febbraio 1959

[...] La commediola è fatta di cosette trite, condite dai soliti lazzi di Totò e dalle mediocri trovate del regista Steno. L'interpretazione di tutti è sul piano dei soggetto e della regia

«Il Messaggero», 22 marzo 1959

[...] La storia è inconsistente ed inconsistenti sono la regia e la sceneggiatura: Totò, rispolverati i suol vecchi lazzii e le sue vecchie macchiette, fa quel che può per strappare le risate alla platea, ma raramente vi riesce. Accanto a lui sono Abbe Lane e Mario Carotenuto: entrambi quanto mai impacciati.»

Vice, «Il Popolo», 24 marzo 1959

Si tratta di un film comico che riesce a stento a far sorridere, basato quasi dei tutto sui lazzi di Totò che ai agita inutilmente nel vano tentativo di colorire e di rendere digeribile un copione assolutamente insulso.[...] Ha diretto Steno, svogliatamente, scivolando spesso nel catuvo gusto. Totò ha fatto il possibile, ma tutto ha un limite [...]

Vice, «Il Tempo», 22 marzo 1959

«[...] Ma Totò [...] crea anche una Maja in mutande, una Maja in reggiseno, una Maja in bikini, ecc. ma non è fortunato. E neanche gli spettatori, siamo giusti, lo sono, costretti a ingerire prodotti così squallidamente raffazzonati, così privi di spirito e d'ogni luce d'intelletto umano».

Ugo Casiraghi, 1959


CHI SI FERMA È PERDUTO (1960) Regia Sergio Corbucci

[...] Chi si ferma è perduto appartiene al filone facile, preveduto e volgaruccio, della nostra produzione faceta. Qualche invenzione verbale, un'eccellente interpretazione della coppia Totò - De Filippo non sono certo sufficienti per invitare a un onesto divertimento lo spettatore di gusto. Siamo alle solite : corna, miseria, qui pro quo [...]

Pietro Bianchi, 1960


LETTO A TRE PIAZZE (1960) Regia Steno

Totò e Peppino De Filippo sono sistematicamente adoperati dai produttori del più usuale film comico italiano così come accade alle coppie brillanti nell' avanspettacolo. Buttati allo sbaraglio, senza copione e con molto mestiere, ad arrangiarsi in scena, alla bell'e meglio.[...] Quello che Steno, vecchio praticante del sottocinema comico italiano, ormai non cerca neppure più di simulare. Tanto sa che il pubblico, tollerante, ride in ogni caso. E si diverte, beato lui.

Claudio G. Fava


NOI DURI (1960) Regia Camillo Mastrocinque

Il terzo film concorrente al mio pregevole Oscar della mediocrità è Noi duri, attuato da Camillo Mastrocinque per svolgere (come un solerte commesso di Galtrucco svolgerebbe sul banco una pezza di stoffa) il repertorio musicale del povero Buscaglione. Il cinema, qui, c'entra come un paracarro dell'Appia fra i canapè del salotto Bellonci, o come un salotto Bellonci fra i paracarri dell'Appia. Tutto, del resto, in mano a Mastrocinque diventa ibrido, spurio, incrociato. Egli suppone, in questo film, che un Fred Bombardone (ah quanto spirito), veleggiamo ancora nei tempi di Gandolini si dia, quale agente dell'FBI, alla caccia di una ghenga di spacciatori di nefaste droghe. [...].

Giuseppe Marotta


RISATE DI GIOIA (1960) Regia Mario Monicelli

[...] Purtroppo la sordina imposta all'attrice ha agito anche sulla recitazione di Totò [...].

Franco Berutti, 1960

[...] Dobbiamo far le lodi della Magnani. E' bravissima. Totò non le sta indietro [...].

Morando Morandini, 1960

In quanto a Totò. nella parte agro-dolce del succubo Umberto, è costretto ad accentuarne i pretesti buffoneschi. Con risultati infallibili, si sa, ma il personaggio si sarebbe prestato ad un ritratto più differenziato.

«Corriere della Sera», 14 ottobre 1960


SIGNORI SI NASCE (1960) Regia Mario Mattoli

Mario Mattoli, regista da lungo tempo sulla piazza, ci porta con Signori si nasce al cinema prebellico, quello tirato via, per nulla ambizioso, ignaro dei buoni usi della cultura [...] L'invenzione è scarsa, il dialogo indigente, lo spirito da sottoscala. Chi salva un pochino lo spettacolo è il duo Totò-Peppino De Filippo. Non ci dicono nulla di nuovo, ma le macchiette da essi disegnate hanno smalto, colore, vivacità meridionale.

Pietro Bianchi, «Il Giorno», Milano, 29 aprile 1960

Per Totò il tempo s'è fermato: sono anni, anzi decenni, che dal palcoscenico, dallo schermo, attraverso la radio e la televisione continua a presentarci le stesse battute, gli stessi clowneschi atteggiamenti volgari e risaputi. Il popolare comico napoletano è rimasto ai tempi della pochade, della comica finale [...] che se una volta - ad un certo pubblico - poteva essere gradito perchè alla moda, oggi non diverte più nessuno o quasi.

Vice, «Il Popolo», 1960

Questa pietanza cinematografica, detta in gergo di cucina «Piglia Totò e Peppino De Filippo e lascia fare a Dio», s'impernia sul contrasto fra i petti di pollo (ossia gli attori in questione) e la polenta di una vicenda farsesca e dozzinale. Piatto facilissimo a prepararsi, ed ottimo per congedare infallibilmente gli ospiti non scevri di intelligenza e di finezza, o per trattenere sine die gli ospiti volgari ed ottusi. Pigliate dunque Mario Mattoli e non ponete limiti alle sue native qualità di regista che dove s'attacca là ogni illusione d'arte muore. [...]

Giuseppe Marotta, 1963


TOTÒ, FABRIZI E I GIOVANI D'OGGI (1960) Regia Mario Mattoli

[...] Nessuno ha mai preteso che Mario Mattoli facesse un bel film, neppure Mario Mattoli. Perciò non siamo meravigliati di vedere il solito Totò e il solito Fabrizi invischiati in una scombinata storiella dove le battute sono per metà incomprensibili dato che tutti in scena fanno a gara a chi grida di più [...] Totò, Fabrizi e gli altri, ma loro due in special modo, hanno la responsabilità di giustificare le pretese umoristiche-pagliaccesche della vicenda [...]

«Avanti!», Milano, 20 agosto 1960

I giovani d'oggi c’entrano poco, e più che altro si tratta del loro genitori. E non del genitori d’oggi, ma di due padri che per essere impersonati da Totò e da Fabrizi sono evidentemente fuori da ogni tempo. [...] Non si esclude neppure qualche risata, ma in complesso il film, diretto da Mario Mattoli, è scorretto e convenzionale. Oltre ai due comici appaiono Rina Morelli e Franca Marzi nelle parti di madri, e Cristine Kauffman con Geronimo Meynier come figli.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 21 agosto 1960


TOTÒ, PEPPINO E... LA DOLCE VITA (1961) Regia Sergio Corbucci

Debolissima parodia al film di Fellini [...] Mancando ogni trovata, il pubblico si deve accontentare della generica bravura dei due comici.

«Corriere dell'Informazione», 4 aprile 1960

[...] Al solito l'invenzione è tanto povera e la comicità così grossolana, che ci pare superfluo trattenerci sull'accozzaglia dì casi che vi tengono luogo di vicenda. Eppure la risata il filmetto la strappa piuttosto spesso; e non tanto per la rozza caricatura dì alcuni passaggi del film felliniano (Vìa Veneto, Ì paparazzi e scampoli di orge nobiliari) e molto meno per la solita macchinetta degli equivoci, quanto per il duetto serrato e quasi sempre spassoso dei due protagonisti, Totò e Peppino [...] Il regista si è affidato a loro a occhi chiusi [...]

Leo Pestelli, «La Stampa», 20 aprile 1961.

[...] "Totò, Peppino e... la dolce vita", di Sergio Corbucci, vorrebbe essere la parodia del famoso film di Fellini, ma è soltanto una stanca farsa vociante e inconcludente. Fra tanta sciatteria si salva, a tratti, la pirotecnica bravura dei due comici, ai quali si
devono augurare canovacci meglio ideati e eseguiti.

«Corriere della Sera», 2 aprile 1960

Sergio Corbucci, dopo aver firmato numerosi copioni rivistaioli, è passato al cinematorafo, dirigendo questa ennesima puntata della serie Totò, Peppino e...[..] Parodia condotta non tanto secondo un gusto di piacevole divertimento, ma spesso con mano e allusioni più equivoche, di pornografia fine a se stessa.

Mauro Manciotti, 1961

Fosse almeno una parodia del film di Fellini! [...] Totò e Peppino fanno del loro meglio per salvare il film dal mare di banalità.

Corriere Lombardo, 1961


SUA ECCELLENZA SI FERMÒ A MANGIARE (1961) Regia Mario Mattoli

La trama è talmente cucita di gags che nessuno ci ha capito nulla; poi Totò e Tognazzi si incaricano di cambiare ogni giorno il copione. [...] Il regista [...] gira tutto in presa diretta: ritiene che la commedia brillante deve essere recitata dal vivo e non tollera doppiaggi. E lo dice con tanta convinzione che bisogna credergli, così come gli attori credono al macchinoso copione.

«La Fiera del Cinema», n. 3, marzo 1961

Una farsesca presa in giro degli anni in cui il « saluto romano » era obbligatorio vuol essere "Sua Eccellenza si fermò a mangiare", di Mattoli. [...] Abbondano le allusioni pesanti ed i doppi sensi di dubbio gusto. Resta, malgrado tutto, la bravura deill'infaticabile Totò. Nel periodo al quale il filmetto si riferisce simili canovacci erano ambientati in Ungheria; oggi si attribuiscono all’epoca del fascismo. Una rivalsa che può essere comprensibile; tuttavia è lo spettatore che ci va di mezzo.

«Corriere della Sera», 22 aprile 1961

«Il posciadistico andirivieni da una camera da letto all'altra rimane il solo puntello della farsetta, ma, conducendo il regista Mattoli l'azione con minor disordine che in altri suoi film, le risate, piuttosto rare nella prima parte, qui si infittiscono, anche se a provocarle sono pesanti doppi sensi e scherzi volgarucci. I comici, e in particolare Totò, sono gli artefici del modesto divertimento.

Leo Pestelli, «La Stampa», Torino, 13 maggio 1961.


TOTOTRUFFA '62 (1961) Regia Camillo Mastrocinque

Con «Tototruffa ‘62» il popolare comico napoletano arricchisce la propria nutrita galleria di personaggi con un nuovo « tipo » indovinato ed efficace. Diremmo anzi che questo simpatico e patetico truffatore, il quale compie suoi misfatti per mantenere la figlia in un collegio di prim'ordine onde assicurarle un avvenire felice, è tra i tanti personaggi portati sullo schermo da Totò indubbiamente uno dei più centrati, Certo, anche qui talvolta l'umorismo talvolta cede il posto al lazzo e la satira, diviene pretesto di battute, ma quasi sempre la spontaneità e la dirompente carica comica dell'artista raggiunge il bersaglio con immancabile puntualità. Il poliedrico malfattore compie truffe a decine travestendosi ogni volta a seconda della necessità e in ogni travestimento Totò riesce a divertire. Il film, quindi si identifica con le vicenda del personaggio centrale e il suo successo è il successo dell'attore, Totò, il quale, peraltro, si giova di una « spalla » d'eccezione qual è Nino Taranto.

Vice, «Il Messaggero», 18 agosto 1961

[...] Il soggetto, con la scusa della farsa, è quanto di più sballato si possa immaginare: il maggiore sforzo inventivo degli sceneggiatori, Castellano e Pipolo, è quello di costruire alla meno peggio i vari sketch che servono di pretesto ai due comici partenopei per ricamare un fuoco di fila di lazzi, smorfie e battute, con un impegno degno di migliori imprese. Il film sono loro, Totò e Taranto: suppliscono all'inadeguatezza del copione con una tale abilità da rendere divertenti anche trovate e battute vecchie di decenni.

Valentìno De Carlo, «La Notte», Milano, 19 agosto 1961.

Filmetto piuttosto scucito che pare composto da due pizze ben distinte. Quando in scena ci sono Totò e Taranto si ride spesso, anche se le battute sono di quart'ordine. Quando i due scompaiono, le cose vanno maluccio, ma il regista sembra non accorgersene.

Vice, «Il Giorno», Milano 19 agosto 1961


I DUE MARESCIALLI (1961) Regia Sergio Corbucci

[...] Poteva essere un film serio o una commedia grottesca: disponendo di attori come Totò e De Sica, ma non di idee, gli sceneggiatori, hanno preferito mettere assieme una farsa sgangherata e inconcludente [...] Le trovate sono rare e i due interpreti principali ne approfittano per trame tutti gli effetti possibili: Totò con consumata gigioneria, De Sica con una stanchezza mal dissimulata.

Valentino De Carlo, «La Notte», 20 gennaio 1962

Continua la serie dei film comici con Totò, che questa volta è un falso maresciallo del carabinieri alle prese col tedeschi, durante l'occupazione. [...] Ha diretto il film con buon mestiere (e come non si poteva altrimenti) Sergio Corbucci.

Franco Callari, «Momento Sera», 24 dicembre 1961

[...] Sergio Corbucci ha manipolato questo film: una specie di polpettone dove troviamo di tutto un poò: da "Guardie e ladri", a "Pane amore e fantasia", a "La ciociara", al "Generale Della Rovere" e chi più ne ha più ne metta.

Vice, «Il Messaggero», 23 dicembre 1961

Questo film ha subito una completa metamorfosi dalla prima stesura alla realizzazione definitiva: in partenza doveva essere un film satirico sulla rivalità di un maresciallo dei carabinieri e di un maresciallo di Pubblica sicurezza che si trovano impegnati in una stessa indagine. Ma approfondire questo argomento era più pericoloso che far fucilare Totò. Cominciarono quindi le modifiche al copione, e alla fine del testo originale era rimasto solo il titolo: I due marescialli.

«La fiera del cinema», 1961

Farsetta senza troppe pretese che prende l'avvio dagli avvenimenti dell'8 settembre 1943 [...] La vittima è sempre il Maresciallo De Sica.

Vice, «Il Paese», 23 dicembre 1961


TOTÒ CONTRO MACISTE (1962) Regia Fernando Cerchio

Comicità di casa nostra e di grana grossa, con questo film, dove il nostro comico più popolare, valendosi di una "spalla" d'eccezione come Nino Taranto, fa una sorta di parodia alle egizianerie con muscoli [...] È materia di facile divertimento per chi a Totò chiede soltanto i consueti lazzi mimici e verbali. Ha diretto Fernando Cerchio, tentando di mettere in burletta un genere da lui stesso coltivato: ma è difficile fare la parodìa della parodia.

Leo Pestelli «La Stampa», Torino, settembre 1962.

[...] Potevano i produttori italiani lasciarsi sfuggire un'occasione d'oro come quella di fare indossare a Totò i panni di un antico egizio?. Nonostante Totò si ride poco e male: per la semplice ragione che come parodia sono molto più divertenti quelle avventure che pretendono di essere serie. Ma perché Totò non sceglie meglio i soggetti da interpretare? Tanto i buoni film glieli pagano come quelli brutti. [...] Quel che infastidisce, inoltre, è la sciatteria della messinscena spettacolare ; si respira veramente aria da cinema muto, non c'è più nemmeno l'ipocrisia di voler salvare le apparenze di un decoro tecnico. I lazzi del dialogo sono da avanspettacolo di provincia, Totò e Taranto ispirano più pena che disturbo.

Morando Morandini, «La Notte», Milano, 14 giugno 1962

[...] Il film condotto sul filo della modesta satira, ha dato la possibilità a Totò di dare sfoggio della sua mimica che, seppure superata, riesce a far ridere ancora. Nino Taranto gli fa egregiamente da spalla [...].

Vice, «L'Avanti», 1962

Una farsa come quella che Totò ha oramai interpretato a decine nella sua lunga carriera [...] Nino Taranto, si esibiva in spettacoli di forza truccati. Buon per lui che alla fine Maciste, che intendeva spodestare il faraone difeso invece da Totò, viene sconfitto da un misterioso Intervento.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 15 marzo 1962


TOTÒ DIABOLICUS (1962) Regia Steno

Esiste ancora un pubblico per Totò ? Esiste. Basta tenere il conto del numero dei film che, salute permettendo, il più geniale dei nostri comici gira ogni anno. Con qualche eccezione sono film, i suoi per i quali si usa una frase: "E' stupido ma diverte". Una frase in cui l'aggettivo si riferisce ai film, sconsolanti per balordaggione e banalità, e il verbo all'interprete che sa sempre trovare, magari in una sola scena, gli antichi lampi [...].

Morando Morandini, 1962

[...] Totò cinque o sei volte protagonista, riesce a suscitare in platea la voluta allegria specie nell'imitazione del fascista maniaco ed esaltato e della nobildonna con tanti grilli per la testa [...].

«Il Tempo», 7 aprile 1962

Totò in questa vicenda, che già fornì lo spunto per il gustoso Risate in paradiso interpretato da Alec Gulnness, diabolico lo è veramente [...] tutti questi personaggi, e anche quello del serafico assassino, sono interpretati dal comico napoletano, al quale non mancano quindi le occasioni per muovere al riso. Il soggetto, che pure era già stato sapientemente sfruttato dal regista inglese Mario Zampi, non ha però per nulla ispirato il nostro Steno, il quale ne ha cavato piuttosto il canovaccio per una rivistina d'avanspettacolo. Lasciato a se stesso anche Totò si è prodigato nell’elargire quanto di più superficiale e di meno apprezzabile c'é nella sua arte.

VIce, «Corriere dell'Informazione», 30 aprile 1962

[...] Totò diabolicus è interamente affidato alle risorse del principe, il quale si prodiga nei sei ruoli riuscendo a far ridere anche più di quanto il copione prevedesse.

«Il Paese», 7 aprile 1962

Strampalata quanto irresistibile commedia comica, uno strepitoso assolo del principe De Curtis che, tenuto sotto controllo dal fido Steno, si moltiplica da par suo, dando vita a sei personaggi, uno più buffo dell'altro. I due più spassosi comunque sono la nobildonna vogliosa e il barone della medicina che perde gli occhiali proprio mentre opera il povero Pietro De Vico. Un film probabilmente sciocco, sicuramente divertentissimo.

Anonimo, 1962


LO SMEMORATO DI COLLEGNO (1962) Regia Sergio Corbucci

[...] Si tratta di una delle solite farse all'italiana dove Totò [...] si prodiga sul suo solito metro [...]

«La Notte», 1962

[...] Totò è sempre lui e trova modo di infilare ovunque le sue gags, le sue battute da pochade, i suoi gesti ormai familiari nei quali il suo pubblico lo riconosce e fedelmente lo segue. Sergio Corbucci, il regista, ha saputo ben dosare gli spunti comici con i tristi mantenendo il film ad un livello notevolmente superiore dei soldi filmettini, senza calcare troppo la mano nel dramma. Con Totò ottimo Riccardo Billi in una ben riuscita a caratterizzazione di un ladruncolo, meno a fuoco Nino Taranto.

Vice, «Momento Sera», 23 settembre 1962


TOTÒ E PEPPINO DIVISI A BERLINO (1962) Regia Giorgio Bianchi

[...] La squallida storiella vuole scherzare sulla drammatica realtà del muro di Berlino, ma il risultato è sconsolante. Spiace che due attori di gran classe come Totò e Peppino De Filippo si facciano coinvolgere in simili indigesti minestroni.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 10 settembre 1962

[...] Totò e Peppino De Filippo ripetono instancabilmente la commedia degli equivoci e delle paure, sfruttando un repertorio che gli spettatori conoscono ormai a memoria, ma che strappa ancora le risate. Riflessi condizionati? È possibile: in ogni modo il film, imbastito frettolosamente, tenta qua e là ì toni della satira, ma ottiene poi i migliori effetti dalla comicità alla buona dei due protagonisti.

Leo Pestelli, «La Stampa», Torino, 8 settembre 1962

A parte qualche raro squarcio di vera comicità, l’umorismo sul quale si basa "Totò e Peppino divisi a Berlino" è di una lega piuttosto banale ed alquanto sfruttata. Decisamente scontate certe sequenze che hanno ad unico sostegno situazioni già troppe volte proposte e nelle quali il nostro Totò ha il torto di ricadere spesso. Da parte sua De Filippo è un attore noto, e come tale a volte dovrebbe opporsi a certe esigenze di regia, che nulla hanno a che vedere col buon gusto e con la sensibilità artistica di un interprete che già ha dato prova di essere all'altezza delle più disparate situazioni. [...]

«Corriere della Sera», 9 settembre 1962

[...] Raccontare la trama è impossibile, tanto è confusa. Si può soltanto dire che film comici di questo genere è meglio non farli: non fanno nemmeno ridere e fanno rimpiangere il Totò di una volta.

«Il Corriere Lombardo», 1962

Non diremo che ci scandalizza il poco rispetto per le cose serie: e le faccende di Berlino lo sono abbastanza. C’è uno strato infimo di cineasti che sembra proprio privato di un senso qualsiasi delle proporzioni. Sulla coda di Billy Wilder, che ho realizzato a Berlino un discutibile filmetto [...] I gags sono tirati per le lunghe, e scipiti: se non li sostenesse, a barlumi, la mimica dei due attori troppo disponibili, vi sarebbe da crollare per lo squallore.

Vice, «Il Paese», 16 settembre 1962

Non c'è avvenimento di una certa risonanza che passi inosservato al cinema umoristico, in modo particolare e sistematico a quello che si affida a Totò, come a dire che tutto viene puntualizzato da uno sberleffo dalla comicità più rappresentativa dal nostro Paese. Con l'aria che tira, zeppa di scandali nel costume e di avvenimenti sensaziuonali in tutti i campi, il repertorio di Totò è sempre nutrito oltre che à la page. [...]

Vice, «Il Tempo», 16 settembre 1962


TOTÒ DI NOTTE N.1 (1962) Regia Mario Amendola

Forse i produttori del film, preoccupati dell'inflazione di questi film notturni (mai quanto noi!) hanno pensato di chiedere a Totò e Macario di dar loro una mano per realizzare qualcosa di nuovo in questo genere di spettacoli. [...] Anche perchè, come era prevedibile, i due comici finiscono per costituire la parte principale dello spettacolo mentre il resto viene gentilmente relegato nello sfondo. [...] Siamo invero un po' preoccupati per quel "No. 1" che figura nel titolo, ma per ora questo non ha turbato il facile divertimento. Speriamo bene!

«Momento Sera», 20 novembre 1962

Dopo tanti film "di notte", dovevamo aspettarci anche un "Totò di notte". [...] Il principe de Curtis e Macario sono due sfortunati suonatori attorniati da belle ragazze più o meno vestite. Nè migliore nè peggiore di tanti altri, [...] strappa più di una risata. Che non è poco per un film comico.

Vice, «Il Popolo», 18 novembre 1962

La cosa più allarmante, in "Totò di notte n. 1", è il titolo, che lascia prevedere una lunga serie di film come questo. Perchè il tentativo di innestare il genere comico su quello tabarinistico ci sembra miseramente caduto. Nè si sa bene per colpa di chi, giacché la pellicola, figlia di onesti ma non pochi genitori, inizia il suo ciclo di programmazioni con tali e tante infermità (nella sceneggiatura, nella regia, nel montaggio, nel sonoro) che sarebbe davvero arduo individuare il talidomide che ha prodotto questo mostriciattolo. [...] Il guaio è che le loro avventure, girate quasi sempre in interni malamente connessi con pezzi di documentario, sono senza sale, e privi di pepe sono gli spettacoli di varietà: nemmeno gli spogliarelli commuovono il pubblico, figurarsi i violini di Helmuth Zacharlas. Nonostante tutto, quando i due comici sono in scena il tempo passa Totò ha sempre una tale carica di comicità, e Macario è così tonto, che i loro « numeri » accendono talvolta una fiammella di ilarità.

G. Gr., «Corriere della Sera», 18 novembre 1962

L'idea di sbloccare l'ormai consunto meccanismo dei film dedicati agli svaghi, più o meno audaci, dei mondo di notte, introducendovi una vena comica, alternando numeri di ballo e di strip-tease con gags, non era malvagia. Ma i molti collaboratori di Amendola, tutti di estrazione rivistaiola, avrebbero dovuto impegnarsi un pochino di più, aiutando coi testi le risorse comiche di un Totò in gran forma, e di un Macario colto in uno stato di intontimento lunare. [...] Il film è salvato dall’interpretazione del due contrabbassisti (che non conoscono la « nona » di Beethoven, ma la zia): l'esibizione davanti all'impresario parigino; Totò che balla il twist, sono due sequenze dalla risata sicura. Che più? Totò di notte, cosi numerato, avrà un seguito. Certo: perseverare è diabolico. Ma, si dice anche che, sbagliando, s’impara.

Albrico Sala, «Corriere dell'Informazione», 19 novembre 1962

La vicenda più che esile è addirittura inesistente: tutto é affidato alla mimica degli interpreti — Totò a Macario — che mal serviti da un copione insulso e privo di trovate guatose a divertenti riescono a strappare qualche risata solo in un paio di occasioni. Il filone sulla « notte » è ormai al tramonto, vittima dell'inflazione, e simili tenutivi più che ravvivarlo lo affossano anzitempo. La regia, se di regia al può parlare, è di Mario Amendola. Colore. Schermo grande.

Vice, «Il Tempo», 18 novembre 1962

[...] I migliori sketches di «Totò di notte n. 1» sono naturalmente quelli improvvisati dal sempre irresistibile Totò e dalla sua lepida « spalla » Macario: ma da soli non bastano a sostenere un film nel quale come numero di grande attrazione viene presentato - figuratevi! - il « complesso» coreografico di Don Lurio. Per il resto, i soliti «spogliarelli » troncati a metà di Caroline Chérie e Dodò d’Amburgo, alcune esibizioni de « I travestiti » di Madame Arthur, esercizi di cani sapienti e vari numeri di danze.

Vice, «Il Messaggero», 18 novembre 1962


I DUE COLONNELLI (1962) Regia Steno

Quante volte, ormai, Totò è mancato all'appuntamento con quanti coltivano la speranza di vederlo affidato a un regista che non solleciti la sua bassa comicità, controlli i suoi sberleffi, gli faccia finalmente capire che si sta definitivamente giocando quel paragrafo nella storia del cinema buffo al quale sembiava avesse diritto? Infinite, e l’ultima è rappresentata da "I due colonnelli" [...] Se Totò è il colonnello italiano, Walter Pidgeon è quello inglese: pensate a che elegante filmetto si sarebbe potuto assistere, se il regista avesse saputo architettare un contrappunto fra la comicità napoletana e lo umorismo britannico. Invece, nulla di nulla. Totò fa qualche tentativo di controllarsi, per equilibrare, a un certo livello, l'innata ironia di Pidgeon, ma la macchietta deborda da tutte le parti. [...]

G. Gr., «Corriere della Sera», 12 gennaio 1963

[...] Su questa trama fluida e vaga come un canovaccio di commedia dell'arte, Totò ricama con esuberante genialità e con grande efficacia espressiva, una delle sue più riuscite interpretazioni, riuscendo a conferire al tempo stesso al personaggio note umane che gli danno dimensioni più vaste e autentico calore vitale [...].

Vice, «Il Messaggero», 1962

[...] gli sgarri della sceneggiatura, la banalità e la sfiancata arguzia delle battute, la superficialità dei caratteri, viziano I due colonnelli. Mannaggia. Usare in tal modo un attore come Totò, il quale non ha ancora avuto, nella sua principesca indolenza, le grandi giornate cinematografiche dovutegli. Idem per Nino Taranto, che ha ben altre possibilità.

Giuseppe Marotta, «L'Europeo», 1962


IL GIORNO PIÙ CORTO (1963) Regia Sergio Corbucci

"Il giorno più lungo" di Darryl Zanuck, sfoggiava quarantatrè noti attori, questa parodia di Corbucci ne mette in vetrina quarantaquattro, (anzi, ottantotto, addirittura), anche se molti, come Stewart Granger, vi compaiono per un solo fotogramma, e altri, come Walter Pidgeon che figura come Hemingway, non recitano più di una battuta.[...] Ispirato a un generico pacifismo, sfiora situazioni a volte, con una disinvoltura, che potrà provocare risentimenti. Ma non va preso troppo sul serio. Quelli di Totò, sono giochi di parole; e il resto citrullaggine.

Alberico Sala, «Corriere dell'Informazione», 16 febbraio 1963


TOTÒ CONTRO I QUATTRO (1963) Regia Steno

[...] Una farsetta questo Totò contro i quattro, far le più corrive che abbia girato Steno [...] Le spalle sono di lusso [...] e appunto dai duetti che ciascuna di esse intreccia col sempre ameno protagonista, scaturisce per gli spettatori di palato facile un modesto ma infallibile divertimento. Il film ha il merito di evitare le scollacciature dalla sua comicità affidata più che altro a innocenti giochi di parole. E non è neanche il caso di parlare di satira, anche se alcune avventure appaiono suggerite da altrettanti scandali e scandaletti del giorno. Le "spalle" sono di lusso (Fabrizi, Peppino De Filippo, Mario Castellani) e appunto dai duetti che ciascuna di esse intreccia col sempre ameno protagonista, scaturisce per gli spettatori di palato facile un modesto ma infallibile divertimento.

Leo Pestelli, «La Stampa», Torino, 10 marzo 1963

[...] Quattro comici, dunque, che fanno da corona, ma in maniera troppo rumorosa, all'inesaurlbtle Totò, il quale, anche perchè favorito dalle poche battute indovinate a sua disposizione, se la cava meglio del suoi agitati compagni. Ma tanto spiegamento di specialisti della risata avrebbe meritato una sceneggiatura meno grossolana.

G. Gr., «Corriere della Sera», 14 marzo 1963

Totò, in questo suo ennesimo film, è nei panni di un Commissario di Pubblica Sicurezza alle prese con quattro «casi» difficili [...] Steno ha diretto il film senza infamia e senza lode strappando al pubblico, di tanto in tanto, qualche risata. [...]

Vice, «Momento Sera», 10 marzo 1963


IL MONACO DI MONZA (1963) Regia Sergio Corbucci

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Parodia abbastanza scontata, vagamente debitrice al Manzoni e sceneggiata da Bruno Corbucci e Gianni Grimaldi, ma letteralmente infarcita di giochi di parole e calembour capaci di strappare più di una risata”. Morando Morandini non si spreca in valutazioni ma conferma una stella e mezzo, aggiungendo le due stelle del pubblico. Pino Farinotti concede due stelle ma non motiva. La critica contemporanee a distrugge il film, Onorato Orsini scrive: “Totò fa un film peggiore dell’altro e l’ultimo è sempre inferiore al precedente”.

Per rassicurare un sospettoso marchese sulla propria autentica identità di monaco, Totò gli consiglia di consultare la «Guida Monaci». Le battute dell’ultimo film del nostro inesauribile comico sono di questa stoffa, ma saremmo ingiusti se negassimo che qualcuna riesce a far sorridere. La mimica di Totò, questa volta in saio francescano, la tontaggine di Macario in abito di terziario, [...] Il monaco di Monza conferma che la nostra censura è disposta persino a lasciare irridere gli uomini di chiesa, purché un film non metta in circolazione le idee.

G. Gr., «Corriere della Sera», 6 aprile 1963

Da un pò di tempo Toto ci provava, ma questa volta c'è riuscito. Sì c'è riuscito a farci ridere, a renderci finalmente allegri; ci ha ingomma regalato un po' di buonumore in questi tempi di cibi adulterati e di moduli Vanoni. [...] Totò nella parte del frate ci è sembrato veramente quello di un tempo: comunicativo e brillante. Nino Taranto è il terribile marchese. Prendono inoltre parte al film Erminio Macario nella parte dei pastorello, Lisa Gastoni la castellana, Moira Orici, Adriano Orientano e Don Backy ed altri. Buona la sceneggiatura anche se in qualche punto è troppo «discorsiva». Non proprio eccellente la fotografia. Bianco e nero.

Vice, «Momento Sera», 31 marzo 1963

Esistono film che dovrebbero veder limitato il visto di programmazione ai cinema di periferia, per motivi di gusto. [...] Ora, con questo Il monaco di Monza è da credere che la cinematografia nostrana abbia raggiunto la categoria più infima. [...] Qui, la qualità delle trovate comiche è talmente povera da non riuscire a strappare il minimo accenno di sorriso. Il buon Totò si sbraccia inutilmente [...]

«Il Nuovo Secolo XIX», 1963

E' la solita, squallida storia di Cinecittà: questi filmetti che parodiano un titolo. Ora, è la volta del monaco di Monza [...] e alla fine si scopre che Totò ha un doppio. Il film è meno che mediocre e se strappa qualche risata è per merito esclusivo dei suoi interpreti. Lisa Gastoni è bella e con quella bocca potrebbe dire ciò che vuole ma lo dicesse almeno in lingua italiana.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 9 aprile 1963

Ma perché Totò riesce sempre a fare un film più brutto del precedente? Chi lo conosce sa che Totò, per quanto stanco e acciaccato, non può rinunciare a recitare; per lui equivarrebbe rinunciare a vivere. E perciò recita, qualunque sia il soggetto che gli propongono e il regista che dovrà dirigerlo, gli attori che lo affiancheranno[...].

Onorato Orsini, «La Notte», 6 aprile 1963


TOTÒ E CLEOPATRA (1963) Regia Fernando Cerchio

[...] A Totò la commedia degli equivoci è sempre calzata a pennello e anche stavolta, col pretesto di ambientare la vicenda in riva al Nilo, il principe de Curtis si presta alla doppia parte [..,] Battute trivialotte e tutto il gran mestiere rispolverato del gran Totò, cercano di farci fare quattro risate [...] Il crollo, se non ci fosse lui, sarebbe fragoroso. La chiave di volta del successo di pubblico che il film è destinato ad avere è ancora una volta Totò. Irresistibile come sempre, si ride di gusto alle sue battute e alle sue trovate e si ride addirittura senza ritegno, visceralmente in alcune scene dove il nostro comico supera se stesso.

Onorato Orsini, «La Notte», Milano, 18 settembre 1963

[...] Il film è spettacolare, rutilante di colori e di costumi: il mondo romano ritratto senza infierire con i toni della caricatura o dell'umorismo fa assai bene da sfondo decorativo; Totò regge bene tutto lo spettacolo, come al solito, ma la sua bravura non riesce da sola a far ridere perchè mancano le trovate e le battute e quelle che ci sono, pesanti e volgari, tutte a doppio senso e scurrile, infastidiscono e fanno scadere il film. [...]

Vice, «Il Tempo», 6 settembre 1963

La rentree di Totò nel cinema non è stata molto felice: una serie di filmetti squallidi, volgari, inintelligenti, in fondo ancora più arretrati e meno veri di quelli che vedevamo dieci anni fa[...] Tutto questo lo ritroviamo oggi, identico, non più rispondente al nostro gusto, stancamente ripetuto con la speranza che pubblici sottosviluppati e provinciali possano far quadrare il bilancio di produttori improvvisati [...] I capelli grigi di Totò, questo autentico attore che per ragioni di cassetta si confina in ruoli di avanspettacolo, sono un pò patetici, in simile situazione.

Franco Nicolini, «La Nazione», 1963


LE MOTORIZZATE (1963) Regia Marino Girolami

Solita collezione di barzellette sceneggiate da un gruppo di comici abituali frequentatori dei film di Girolami. Questa volta sono prese di mira le donne al volante. Il livello umoristico, è piuttosto basso e decisamente volgare. Qualche risata è possibile farla soltanto grazie alla presenza di Totò [...]: ma chi glielo fa fare a prender parte a certi film?

«La Notte», 1963

Fatta eccezione per un paio di episodi dove la scurrilità è ridotta al minimo e dove la capacità degli attori sopperisce alla assoluta mancanza di inventiva, tutto il resto si riduce a cosa trascurabilissima se non fosse per la voluta insistenza nel sottolineare una volgarità di linguaggio e di atteggiamenti della peggior specie, con il risultato di provocare nello spettatore non già ilarità, ma un profondo senso di nausea. Totò, Walter Chiari [...] i principali interpreti dei vari sketches, diretti da Marino Girolami.

Vice, «Il Messaggero», 14 agosto 1963

Due suore vanno a raccolta di vecchi elettori per portarli, in macchina, a votare; Totò si camuffa da vigile urbano per tirare a campare; [...] Questa la materia dello squallido filmetto di Marino Girolami, dove la volgarità raggiunge limiti incredibili. Qualche volta si ride, ma non per merito del regista.

Vice, «Corriere dell' Informazione, 3 settembre 1963

[...] Dei quattro episodi non uno varca i limiti della mediocrità e a peggiorare le cose concorre non poco la strada battuta dagli autori che è quella del umorismo pesante e sboccato, della farsa banale e smaccata, della comicità priva di mordente e di trovate efficaci. Si salva, al contrario, il quinto episodio, che per essere interpretato da Totò ha il solo difetto di avere poco o nulla a che fare con le motorizzate [...]

Vice, «Il Tempo», 17 agosto 1963

Una serie di barzellette sceneggiate a tema fisso, le donne ai volante. [...] C’è Totò, vigile urbano abusivo per sbarcare il lunario, e c'è Walter Chiari, fanatico podista che tenta di sfuggire alle lusinghe di una focosa automobilista. [...] Le motorizzate di Marino Girolami, allinea situazioni da avanspettacolo e battute pesanti, di gusto più che discutibile affidate, oltre al già citati, a Bice Valori, Sandra Mondaini, Valerla Fabrizi e Liana Orfei.

«Corriere della Sera», 1 settembre 1963

Un film a episodi come vuole la consuetudine di certe produzioni italiane da cassetta. Ogni episodio, un beniamino del pubblico [...] E le motorizzate ? Ma è solo un pretesto, un debole filo conduttore che in alcuni episodi, come in quello di Totò, non ha più alcun senso.

Anonimo, "Corriere Lombardo", 1963


TOTÒ SEXY (1963) Regia Mario Amendola

Totò sexy di Amendola dà quello che li titolo promette. Totò, carcerato, assieme a Macario, sogna nella cella. Le sue mosse, i suoi lazzi, di fronte al numeri di spogliarello e di danze, i suol litigi con il secondino e con i compagni di prigionia, formano il mastice del film, che per il resto non è che l'ennesimo film «notte». Macario fa da spalla. Comicità greve; poveri carcerati: non essendo loro permesso raccontarsi barzellette In prigione, uno dice un numero, che corrisponde ad una barzelletta; e tutti, ricordandola, si mettono a ridere fragorosamente.

Vice, «Corriere della Sera», 7 settembre 1963

Toto e Macario in prigione, rinchiusi nella loro cella, sognano e costituiscono il pretesto per propinare al pubblico i soliti spogliarelli (questa volta più castigati del solito). Tra un numero di varietà e l'altro si innestano le smorfie e le mosse di Totò e Macario, i loro litigi col secondino e con i compagni di prigionia ed infine, qualche trivialità di dubbio gusto che dovrebbe muovere al riso lo spettatore. Ha diretto quasi con fretta, Mario Amendola che si è preoccupato solamente di curare la buona fotografia in Eastmancotor.

Vice, «Momento Sera», 15 settembre 1963

Il divertimento manca del tutto [...] in questo ennesimo zibaldone rivistaiolo in cui un illustre attore come Totò avvilisce la sua fama senza alcuna ragione. In una lunga carriera cinematografica non costellata certo di capolavori, i più recenti film di Totò spiccano per la loro infima qualità; ma questo"Totò Sexy"è senza dubbio il gradino più basso della scala [...] Allusioni e battute volgari si sprecano e di regia non è neppure il caso di parlare [...]

Valentino De Carlo, 1963

Totò e Macario sono in carcere e si abbandonano ai sogni. E che cosa sognano? Paris la nuit e gli spogliarelli, tanti spogliarelli. Insomma, siamo alle solite: tutto è un pretesto per fare un film di strip. Le battute, poi, sono sfacciatamente grevi. Ma chi glielo fa fare a Totò di perdersi in simile robaccia?

Vice, «Corriere dell'Informazione», 8 settembre 1963

[...] L'apporto di quel grande attore comico che è Totò, che farebbe ridere anche leggendo l'orario ferroviario, fa si che il lazzo sia presente in tutte le scene in cui è protagonista il comico napoletano, spalleggiato ottimamente da Macario . [...] Se c'è un solo motivo per andare a vedere questo filmetto è proprio solo per l'intramontabile principe De Curtis.

Vice, «La Libertà», 1963


GLI ONOREVOLI (1963) Regia Sergio Corbucci

[...] Il filmetto di Corbucci non esce dall'abborracciata formula a episodi e dal dubbio umorismo da avanspettacolo tanto caro al bozzettismo romanesco. Insomma, una sfilza di luoghi comuni con qualche episodico momento divertente che va a merito dei singoli interpreti più che del copione e del regista.

Giulio Cattivelli, «La Libertà», Piacenza, 6 ottobre 1963,

Questo film vuol essere una bonaria satira di costume politico e racconta con vena facile e ritmo scorrevole, in chiave comica, avventure e disavventure, speranze, crucci e delusioni di vari candidati di diversa fede in tempo di e elezioni. [...] Gli attori chiamati ad interpretarlo hanno contribuito validamente a questo successo: [...] Totò nei panni dell'ex combattente , fiducioso e irretito [...]

Vice, «Il Messaggero», 12 ottobre 1963

Barzellette sceneggiate anche ne Gli onorevoli di Sergio Corbucci, cavalcata mica tanto amena nel sottobosco della politica italiana, con attori di prestigio internazionale come Totò, De Filippo, Chiari, la Valeri, umiliati in un repertorio polveroso e di basso conio, afflitti da una sceneggiatura e da un dialogo capaci di suscitare una profonda, invincibile malinconia persino nel più zelante tra gli spettatori televisivi [...]

Onorato Orsini, «La Notte», Milano, 20 febbraio 1963

La presenza di Totò tra gli interpreti indica chiaramente in quale chiave gli autori abbiano affrontato l'argomento "candidati elettorali", una chiave, cioè, più comica e farsesca che satirica il che toglie all'opera buona parte di quel mordente che le sarebbe derivato da un'impostazione più misurata e tendente non tanto ad ottenere facili effetti umoristici quanto ad imporsi sul piano dell'efficace critica di costume. Le frecciate partono in tutte le direzioni ma contro bersagli scontati, facili e soprattutto meschini. Non è certo questo il modo per condurre una satira politica, affidandoci cioè a personaggi che son macchiette da avanspettacolo, a situazioni paradossali e grottesche che denunciano una preoccupante scarsezza d’inventiva, ad un umorismo di dubbio gusto ancor più fastidioso per essere affidato a un gruppo di attori di innegabile valore e di buona resa anche, e assai meglio, senza i compromessi col dubbio gusto. Partono male i quattro candidati elettorali, da personaggi meschini, illusi conculcati, si bruciano le effimere ali dell’esaltazione più personale che politica e finiscono miseramente. Non si può nemmeno parlare di «fiaschi» perché la pellicola è condotta in tutt'altro senso da Sergio Corbucci che gioca con le marionette pigiando sul tasto farsesco per muovere alla risata melensa. Si non prestati al gioco Totò, Franca Valeri, Peppino De Filippo, Gino Cervi, Walter Chiari, Franco Fabrizi e Aroldo Tieri.

Vice, «Il Tempo», 12 ottobre 1963

Vigilia d'elezioni e candidati al Parlamento, nel film di Sergio Corbucci Gli onorevoli. Totò, con la fanfare e le piume dei bersaglieri, tiene discorsi anche di notte, svegliando i vicini, salvo poi svelare in pubblico gli imbrogli progettati dai suoi associati. [...] Dialoghi fiacchi, scenette da avanspettacolo, che non offrono che rare possibilità agli attori di mostrare le proprie doti. La materia meritava una sceneggiatura più smaliziata ed un umorismo meno plateale.

Vice, «Corriere della Sera», 19 aprile 1964

L'avanspettacolo, è un un avanspettacolo non sempre di buon gusto, domina il film che racconta la storia di un gruppo di aspiranti onorevoli in tempo d'elezioni. [...] Totò, scatenato come al solito, affronta il tema «patriottico» con le fanfare del bersaglieri sveglia i suoi notturni presunti elettori i quali, com'è logico, si guarderanno bene dal dargli il voto. [...] L’umorismo in questo film difetta di originalità.

Vice, «Corriere dell'Informazione», 19 aprile 1964


IL COMANDANTE (1963) Regia Paolo Heusch

Singolare e in un certo senso sconcertante è sempre stata la presenza di Totò nel cinema italiano. Si contano sulle dita, anche nel repertorio internazionale, attori comici che dispongano di un complesso somatico inconfondibilmente tipicizzato, tale da fissare da solo un personaggio e, per riflesso, un particolare schema di situazioni. Keaton rimane forse in questo senso l’esempio più calzante, altri grandi comici, a cominciare dallo stesso Chaplin o dai fratelli Marx, essendo stati costretti a fabbricare il loro personaggio con additivi di trucco.

Totò è Totò: è fisicamente lui e nient’altro. Quel viso lungo e tagliente a cui una bizzarra angolatura della mascella dà quasi una dimensionalità geometrica, quell’occhio vagamente a pesce dove la maligna arcuazione delle sopracciglia fa gioco e contrasto con la flaccida malinconia delle palpebre a borsa, quella figura smilza, mingherlina e puntata in cui gesti e movimenti hanno sempre una potenziale snodatura burattinesca, è già un vivente gag per se stesso. Oltre ciò un eccellente attore. Si direbbe: un tipo come questo avrebbe dovuto (se non formare addirittura oggetto di una produzione a sé) per lo meno essere adoperato solamente in cose confacenti alle sue qualità e alla sua classe. Invece, non so se per colpa sua, salvo rari casi, come quando Rossellini lo pigliò per "Dov'è la libertà", o Monicelli per "I soliti ignoti" - e mettiamoci pure se volete "Guardie e ladri" - generalmente fu destino di Totò essere sprecato nella confezione di modeste e scurrili farsette. Per cui non è da stupire se, logorato alla lunga da tanto mal uso, il personaggio Totò abbia finito alla lunga per perdere il suo originale e surreale mordente.

Per questo è dovere del cronista servizievole registrare l’ultimo suo film. "Il comandante", regista Paolo Heusch su soggetto di Sonego, smistato anch'esso nello stock della stagione bassa. E non tanto perché il film rappresenti uno sviluppo e una valorizzazione degli elementi specifici del personaggio Totò, ma perché offre all’attore la possibilità di costruire e condurre un carattere completo attraverso un’azione teatralmente coerente. E la storia di un bravo e inconcusso colonnello di fanteria promosso generale e collocato a riposo, il quale, ridotto a vita domestica quando ancora ha età ed energie per una vita attiva, e venendo cosi per forza a impicciare il ritmo e le abitudini del resto della famiglia, viene astutamente dirottato fuor di casa dalla moglie con un trucco: facendogli offrire un impiego da una impresa edile alla quale essa rimborsa poi sottomano ogni mese la metà dello stipendio del marito. Per combinazione titolari della ditta sono due giovanotti simpatici e pasticcioni, dalla gestione allegra (pare un destino quando al cinema occorre un ambiente da brubrù salta sempre fuori l’edilizia), per cui non soltanto il povero generale verrà ad accorgersi un giorno che l'impiego che gli dà la fierezza di un guadagno indipendente è pagato dalla moglie, ma verrà imbarcato dai due compari ad assumersi responsabilità che per poco non espongono il suo intemerato nome di soldato al rischio di una figuraccia giudiziaria. Alla fine, rinunciando alle velleità attiviste, egli si unirà ai suoi amici pensionati che vanno a giocare coi modellini radiocomandati sui laghetti di Villa Borghese.

Come vedete siamo ancora nella onesta, casalinga commedia borghese di carattere. Però "Il comandante" è un film piacevolmente sceneggiato, Andreina Pagnani dà garbo e credibilità al tipo della signora distinta trafficante di dubbie antichità attraverso aderenze mondane. Ma soprattutto Totò delinea un personaggio amabile e godibilissimo, e lo porta con estemporanea e misurata lepidezza, perfettamente dosata tra paradosso e verità.

Il comandante, Il comandante... Voi direte: che diavolo. ma non è generale? Sicuro, nel testo del film è un generale, e tutti lo chiamano generale. Ma poi si capisce che forse per via del famoso vilipendio (non si sa mai) hanno preferito non metterlo nel titolo. Cara, inguaribile, eterna Italia della foglia di fico.

Filippo Sacchi, «Epoca», anno XV, n.720, 12 luglio 1964

Totò si cimenta in un film costruito esclusivamente per lui, in chiave più crepuscolare che umoristica, e con assoluta esclusione di quei spassosi lazzi e ammiccamenti buffoneschi che costituivano il suo tradizionale e personalissimo repertorio.[...] Se il film fosse all'altezza del protagonista non potremmo dirne che bene. Purtroppo è un raccontino convenzionale e bozzettistico, un pò impacciato e incerto nella ricerca del tono giusto [...].

Giulio Cattivelli, 1964

E' risaputo che la pensione - per civili e militari - arriva sempre troppo presto, in un’età in cui, salvo quando ci sono malattie, l’uomo è ancora pieno di resistenza e di forza e per nulla desideroso di mettersi a riposo; con la con sequenza che, il più delle volte, l’inerzia forzata nuoce alla salute e fiacca il pensionato - fisicamente e intellettualmente - molto più di quanto non avrebbe fatto il lavoro. [...] Su queste situazioni si costruisce il film di oggi, scritto da Rodolfo Sonego e diretto da Paolo Heusch, ma, nonostante la schietta umanità dello spunto e la presenza di Totò in una parte più amara che non comica, l'effetto è scarsamente convincente e, alla lunga, finisce per lasciare perplessi. [...] Il film, cosi, si impone all’attenzione del pubblico (al suo riso e al suol sospiri) quasi esclusivamente per merito di Totò che, giunto qui alla sua centesima fatica (auguri! auguri!), ci mostra ancora una volta di essere un attore di razza toccando senza difficoltà, e anzi con risultati spesso ineccepibili, tanto le corde farsesche, a lui da sempre congeniali, quanto quelle drammatiche; rivelando, in queste ultime, una sensibilità patetica e raccolta, una sofferta interiorità, una severa misura desne davvero d’ogni lode; e tali, oltre a tutto, da farci desiderare di vederle meglio e più diffusamente con nitida disinvoltura. [...]

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 19 gennaio 1964

Un film girato con molta cura. Se Totò avesse coltivato delle ambizioni di interprete ‘serio’ avrebbe finito per commettere gli stessi errori d’un Petrolini; è giusto per questo che invece di pochi film di qualità ne abbia fatto cento di tutti i generi.

Alberto Moravia, Il generale dietro la scrivania, “L’Espresso”, 5 gennaio 1964, Busta T09, fase. ‘Totò’, Fondo Calendoli

Abbandonata una volta tanto la battutissima pista delle farse da avanspettacolo, Totò ha imboccato stavolta la via della commedia amara, un po' comica, un po' patetica, dove egli è almeno messo in grado di mostrare ai pubblico quel grande attore che è. [...] Totò è riuscito a darci un personaggio espressivo, sincero, patetico con la sua arte cosi ricca di sfumature, di espressioni tutte intense, anche le più sfuggevoli. [...] Ci auguriamo che il pubblico, anche se
dovrà rinunciare a qualche risata, saprà apprezzarlo.

b. s., «Momento Sera», 20 gennaio 1964


TOTÒ CONTRO IL PIRATA NERO (1964) Regia Fernando Cerchio

[...] Lasciato in completa libertà, Totò si abbandona ai suoi lazzi e ai suoi giochi di parole, fino a toccare qua e là punte surrealistiche (le sbarre del carcere suonate come un'arpa, la scalata del muraglione, ecc.) che la regia, quantomai sciatta, purtroppo non sviluppa.

Ugo Casiraghi, 1964

Ferragosto, cinema mio non ti riconosco. E ridiamo, allora, con Totò pirata per forza. L’avevamo lasciato generale in pensione, impegnato nella costruzione di un personaggio, lo ritroviamo in una macchietta senza controllo a ruota libera. [...] Con la sua faccia tosta e una sfacciata fortuna, Totò sconfigge il Pirata Nero, e libera la graziosa figlia del governatore dall'odiosa promessa di matrimonio con un grassone mentitore. Totò contro il pirata nero, è a colori.

Alberico Sala, «Corriere della Sera», 15 agosto 1964


CHE FINE HA FATTO TOTÒ BABY? (1964) Regia Ottavio Alessi

I negozi cominciano pigramente a riaprire i battenti dopo la chiusura di Ferragosto, e sui nostri schermi passa un'altra folata di films estivi, l'ultima forse, nell'attesa ormai breve che la gente torni dalle vacanze. Di questo tipo è senz'altro quest'ultlma (lieve) fatica di Totò e di Pietro de Vico nelle vesti di due fratellastri, braccio e mente di imprese ladresche che in una trentina d'anni d’attività hanno riempito gli schedari della polizia. [...] Scritto con un certo mestiere da Corbucci e Grimaldi, sempre solerti nello sfruttare titoli e spunti di attualità, il film è certamente dei meno divertenti del grande comico napoletano che comunque riesce sempre a rallegrare a pubblico con la sua vena. Con i due protagonisti il vecchio Misha Auer e le stelline Edy Biagetti e Ivy Holzer. Ha diretto Ottavio Alessi.

b.s., «Momento Sera», 23 agosto 1964

Che fine ha fatto Baby Jane? Era già un brutto film, ma la sua parodia è anche peggiore [...] Si può ridere per queste cose ? Mah! A un certo punto la sua follia criminale non conosce limiti, così come le incontrollate smorfie del peggior Totò di questi ultimi tempi. Un attimo, fuggevolissimo, di grazia, quando intona sottovoce Non ho l'età per amarti.

Ugo Casiraghi, 1964

Già dal titolo è facile intuire che si tratta di una parodia del noto film di Aldrich i cui spunti fortemente drammatici sono qui risolti, né poteva essere altrimenti, in chiave decisamente comica. [...] Il film diretto da Ottavio Alessi fa leva su di una comicità tutta esteriore e non brilla certo per originalità ma è a tutti noto che Totò ha la straordinaria capacità di rendere con la sua mimica insuperabile umoristicamente valide ed efficaci anche le situazioni più scontate. Basta un gesto, una battuta, una espressione del gran comico per sollecitare le risate e su questo ha puntato soprattutto l'autore [...].

«Il Tempo», 22 agosto 1964


LE BELLE FAMIGLIE (1964) Regia Ugo Gregoretti

Se mai ce ne fosse stato bisogno, "Le belle famiglie" conferma il formato televisivo di Ugo Gregoretti. [...] E' un film ad episodi: quattro per l'esattezza. Gregoretti li ha ideati, sceneggiati e diretti: nessuna attenuante, quindi. Sono, tutti insieme, inferiori anche al modesto episodio incluso nell'antologia di Rogopag. [...] "Amare e un po' morire". Impreciso anche il titolo. Se mai: è un po’ far morire. Sandra Milo ricalca, tale e quale, il personaggio di irn altro episodio di Mauro Bolognini, ne "La donna è una cosa meravigliosa": quello, appunto, della donna infermiera, patologicamente scavata dal complesso materno, impegnata a soccorrere marito ed amante, con eguale sadico egoismo. La presenza di Totò e della Milo avrebbe potuto rendere sopportabile questo ultimo episodio: se non intervenissero le intemperanze, le cadute, le smagliature, proprie del temperamento del regista.

a.s., «Corriere dell'Informazione», 31 dicembre 1964

Poiché a Ugo Gregoretti non manca certo l'ingegno, è da ritenere che questa volta gli abbia fatto difetto la pazienza o il tempo necessari per costruire, da quattro spunti iniziali non privi di una certa loro forza polemica o comica, quattro racconti che, da quegli spunti, potessero trarre con sufficiente respiro una struttura narrativa meno occasionale e dispersa. Invece ognuno degli episodi procede a casaccio, chiedendo soccorso ad elementi spuri e spesso di lega scadente. [...] le enunciazioni moralistiche restano allo stadio di didascalia, non si risolvono mai nel racconto e gli spunti comici, che pure non mancano, derivano da singole situazioni o dall'apporto degli interpreti, fra i quali fa spicco l’intramontabile Totò, e non dal disegno degli autori, che sembrano più spesso affidarsi all’improvvisazione del momento. [...]

P.V., «Il Popolo», 31 dicembre 1964

La quarta (Amare è un po' morire) è la parodia di un'altra parodia, quella già tentata Mauro Bolognini nel secondo episodio della "Donna è una cosa meravigliosa"; e ancora una volta, cosi, ci troviamo di fronte a una donna che ama negli uomini solo la debolezza e le malattie, per poter essere non solo moglie e amante ma anche, e soprattutto, infermiera, istitutrice, madre. [...] il duo Totò-Sandra Milo, con troppa evidenza, ricalca il duo Sandra Milo-Alberto Sordi nella "Donna è una cosa meravigliosa" [...]

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 31 dicembre 1964


TOTÒ D'ARABIA (1965) Regia José Antonio de la Loma

Del film preso di mira per burlarsene, Totò d'Arabia, di Antonio della Lorna, non mantiene che l'inquadratura Iniziale della motocicletta. [...] Le trovate sono modeste. Con Totò sono Nleves Navarro. George Rigaud. Mario Castellani e Fernando Sancho.

Vice, «Corriere della Sera», 30 aprile 1965

Miracolosamente tardi, gli anni incominciano a farsi sentire anche per Totò, che per tanti anni e in produzioni troppo spesso indegne ha rallegrato le platee italiane come un dono di natura. Intendiamoci, leoni si muore e della sua inconfondibile zampata c'è qualche traccia anche in Totò d'Arabia, una parodia di Lawrence d'Arabia. Ma non sono queste le idee cinematografiche con cui si può dare una mano all'estremo Totò, ormai costretto all'avarizia dei movimenti, e quindi più che maturo per le finezze del monologo.

Leo Pestelli, 1965

Totò è tutt'altro che finito, ma non potrebbe più permettersi, per motivi di età e di salute, vicende sciocche e scombinate come Totò d'Arabia, ennesimo sfruttamento commerciale delle residue possibilità clownesche di un grande mimo.

Valentino De Carlo, «La Notte», 30 aprile 1965

Totò sta a Londra, fa il cameriere, rubacchia a quelli dell’Intelligence Service ed è promosso sul campo agente segreto zero zero sbarrato otto. [...] Il film è peggio che sciocco, è inconsistente. E che malinconia vedere un comico grande e glorioso come Totò coinvolto in una simile "pinzellacchera"

«La Stampa», 1 maggio 1965


GLI AMANTI LATINI (1965) Regia Mario Costa

"Gli amanti latini" è uno del vari episodi che il regista Mario Costa ha cucito assieme sul solito tema dell'erotismo spicciolo ed epidermico. E' evidente che non si è proposto un'acuta e spiritosa demistificazione del latin lover; nè poteva proporselo, avendo nel cast personaggi come Franchi e Ingrassia. I due unici brani che si sollevano un palmo al di sopra della mediocrità sono quelli interpretati da Totò e Gisella Sofio. il resto è silenzio.

«Corriere della Sera», 11 settembre 1965

Squallido sottoprodotto in cinque episodi di quelli che vorrebbero far ridere, ma che destano nello spettatore sul momento una tetra noia e poi, in sede di ripensamento, una profonda tristezza. Totò appare nel quarto episodio, il meno peggio [...].

Vice, «L'Unità» 1965

E' il solito filmetto intessuto di belle ragazze particolarmente generose nel mostrare al pubblico le loro più recondite grazie. [...] Il compito di risollevare le sorti della pellicola se lo assumono Totò e Gisella Sofio: e, in verità, alcune battute sono se non proprio da antologia dell’umorismo, almeno originali.

«Corriere dell'Informazione», 12 settembre 1965


LA MANDRAGOLA (1965) Regia Alberto Lattuada

[...] Nicia, il marito notaio in Firenze, non risulterà così goffo e stoldo come vuole la tradizione dei guitti: lo incarna Romolo Valli, coltissimo tra i nostri attori. Il servo ligurio, anche questa è una scelta anticonvenzionale, è impersonato da un attore elegante, Jean-Claude Brialy. Totò fornisce, ci dicono, una prestazione gagliarda nei panni del sinistro frate Timoteo; Calimacco, l'innamorato di Lucrezia, è reso da Philippe Leroy.» [...]

Carlo Laurenzi, «Corriere della Sera», 31 luglio 1965

[..] Così, è stata un'ottima idea quella di affidare il personaggio del frate mal vissuto a Totò, la cui esuberanza macchiettistica viene qui perfettamente bilanciata dal fatto che l'attore più fantasioso deve rispettare il testo del proprio personaggio più fedelmente degli altri [...]

Ugo Casiraghi, 1965

Raccontare la trama de "La mandragola" di Niccolò Machiavelli, cioè della maggiore opera drammatica dei Cinquecento italiano? Ebbene si, non sarà inutile. [...] L'onore di portare ora "La Mandragola" sullo schermo è toccato ad Alberto Lattuada. E bisogna dire che la scelta è stata felice perchè Lattuada, pur cercando di dare al racconto un'articolazione più propriamente cinematografica, non ha mancato di rispettarne sostanza e spirito, interpolando nel linearissimo contesto solo ciò che i dialoghi di Machiavelli autorizzavano. [...] E' molto brillante l'interpretazione dell'intero cast, [...] Totò, un Fra'Timoteo tutto chiaroscurata ipocrisia e la statuaria Rosanna Schiaffino, una Lucrezia con più scrupoli che veli.

Bir., «Il Messaggero», 20 novembre 1965

Una rilettura piuttosto banale della commedia di Machiavelli.

Paolo Mereghetti, 1965

Con un occhio alla moda boccaccesca, quella del film in costume un po' sporcaccione, degli anni '60 e l'altro (quadrato) alla razionalità di Machiavelli, Alberto Lattuada ha fatto un lavoro di discreta eleganza e di raffinato erotismo. Spiccano tra i personaggi il Nicia di Romolo Valli cui il regista e i suoi sceneggiatori prestano un'ambigua consapevolezza, inesistente nel testo originale, e un inedito Totò come Fra Timoteo.

M. Morandini


RITA, LA FIGLIA AMERICANA (1965) Regia Piero Vivarelli

Totò, giù di forma, e Lina Volonghi stanno bene o male a galla, ma non riescono a salvare dal naufragio l'insieme della pellicola.

Onorato Orsini La Notte, 4 dicembre 1965

[...]L'esile trama non serve che da pretesto al regista Piero Vivarelli per lasciar libera Rita Pavone di esibirsi nei suoi successi. Totò, nella parte del papà adottivo, da al film una nota brillante.

«Momento Sera», 5 dicembre 1965

Si arrende alla banda yé-yé un Totò zazzeruto - Totò (ma perchè è finito in una simile sciocchezza?) fa il capellone, convertito alla musica yè-yè. Naturalmente, tutto per amore di una figlia adottiva che gli è piovuta dall’America. Lui era dedito alla musica seria, ma la ragazza è fanatica del juke-box e, per di più, si innamora di un giovanotto che vuole fere i quattrini con i ritmi di oggi. Il resto è ovvio. La banalissima storia, nella quale è coinvolto Totò. ha come urlante protagonista Rita Pavone (ma perchè non ritorna in TV?).

Vice, «Corriere dell'Informazione», 5 dicembre 1965


UCCELLACCI E UCCELLINI (1965) Regia Pier Paolo Pasolini

I recensori accusano il colpo e si dividono: Enzo Biagi scrive che Totò “si trascina stanco e incosciente in una vicenda che non lo riguarda”; secondo Moravia, “nella parte del padre ci ha dato una delle sue migliori interpretazioni”, Grazzini dice che “riassume e affranca il film mutando un personaggio bislacco nella vivente idea dell’assurdo”, Tullio Kezich non riesce “a credere a un Totò eroe brechtiano: il suo universo sta da tutt’altra parte, il rapporto con Pasolini ci sembra deludente”

[...] Pasolini ricorda spesso certe trovate di Chaplin (il costume di Totò, e la ragazzina vestita da angelo,che compare alle finestre della casa in costruzione, quelle danze improvvise e felici nella campagna deserta) e ha bene in mente certe immagini di Rossellini, dello sfortunato Giullare di Dio [...] Il resto è un miscuglio di elementi estranei che raramente si fondono [...] i vecchi lazzi di Totò, che non rinnova il suo repertorio, e che si trascina stanco e incosciente in una vicenda che non lo riguarda [...]

Enzo Biagi, 1966


OPERAZIONE SAN GENNARO (1966) Regia Dino Risi

Una vacanza napoletana, per Dino Risi e due ore di risate per gli spettatori. Il film riprende i temi costanti di una colorita popolaresca epopea, con tante gags, macchiette e dialetto, mandolini e cartoline illustrate. [...] Bravissimo Nino Manfredi: accanto a lui Totò, un po' sacrificato, e la bella Senta Berger.

«Corriere dell'Informazione», 26 novembre 1966


Riferimenti e bibliografie:

  • (1) Claudio G. Fava, «Radiocorriere TV», anno LVI, n.41, 7-13 ottobre 1979
  • Giuliano Granata, «A Totò», opuscolo "Premio De Curtis", Napoli, 1973
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998