Bragaglia Carlo Ludovico

Carlo Ludovico Bragaglia 2 bio 

(Frosinone, 8 luglio 1894 – Roma, 3 gennaio 1998) è stato un regista, sceneggiatore e fotografo italiano.

Biografia

Terzogenito di Francesco Bragaglia (direttore generale della Casa di produzione Cines) e della nobildonna romana Maria Tassi-Visconti, il nome che gli venne imposto, Carlo Ludovico, era quello di un illustre zio di sua madre, Carlo Ludovico Visconti, esponente della famiglia romana di archeologi ed artisti (tra questi anche Ennio Quirino, archeologo e letterato, esponente del Neoclassicismo e console della Repubblica Romana negli anni 1798-99). Frequentò le scuole elementari a Frosinone, poi si trasferì con tutta la famiglia paterna a Roma, in via di Ripetta; frequentò con gran profitto gli studi classici, ginnasio e liceo, ed anche alcuni anni all'Università degli Studi di Roma La Sapienza per la facoltà di giurisprudenza, negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. Quindi partecipò alla Grande Guerra, rimanendo gravemente ferito e meritando due Croci di Guerra e la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Riportando la frattura delle costole, fu a lungo ricoverato all'Ospedale militare del Celio, fu riconosciuto "Grande Mutilato di seconda categoria", e nominato, in seguito, Cavaliere di Vittorio Veneto.
Iniziò, insieme al fratello Arturo, come fotografo e ritrattista di dive del cinema: sono di quel tempo le immagini mirabili di Lyda Borelli e di Leda Gys, di Francesca Bertini e di Italia Almirante Manzini, i numerosi ritratti d’arte di artisti insigni, poeti, giornalisti (basti ricordare Lucio D'Ambra e Marco Praga, Pirandello e Marinetti, Giorgio De Chirico e Alfredo Casella). Il suo spirito innovativo ebbe particolare fortuna già con la fotografia. Fu lui il primo a realizzare pose con chiome al vento[senza fonte] (con l'aiuto di primordiali ventilatori), e a "registrare" languidi sorrisi, furtivi ammiccamenti, svenevoli espressioni delle dive del cinema muto. Proprio in questo periodo prese parte, col fratello Anton Giulio, al movimento futurista, inventando la "Fotodinamica".
Nel 1918 con il fratello Anton Giulio fondò la "Casa d'arte Bragaglia", punto d'incontro di pittori, scultori e cineasti. Quattro anni dopo, sempre con il fratello, fondò il "Teatro degli indipendenti", dedicato all'avanguardia e alla sperimentazione, dove tra il 1922e il 1930 firmò oltre venti regie teatrali. A partire dal 1930 si dedicò al cinema, che proprio in quel periodo passò dal muto al sonoro. Entrò alla Cines come fotografo: passò quindi al montaggio, alla sceneggiatura ed ai documentari. Esordì come regista nel1933 con O la borsa o la vita, tratto dall'omonima commedia radiofonica, nel quale fuse come "espressione artistica" audaci esperimenti di contaminazione di diversi moduli dell'avanguardia. In seguito, a Bragaglia venne consentito di realizzare unicamente opere commerciali, cui diede però la sua esperienza e la sua sicura mano di regista.

Telefoni bianchi

Divenne maestro del filone dei telefoni bianchi specializzandosi particolarmente nel genere comico e realizzando ben sei film con Totò. Ma la rilevanza, se non altro commerciale dei suoi film è documentata dal fatto che egli si trovò a dirigere negli anni trenta gli attori più importanti dell'epoca. Il regista ha conservato inalterata la capacità di evadere dalle catene commerciali e c'è riuscito con La fossa degli angeli definito dal Filmlexicon il suo capolavoro.
Nel 1939 firmò Animali pazzi, secondo film interpretato da Totò e primo dei sei che la coppia realizzò insieme. Si cimentò in vari generi, anche se ebbe successo soprattutto con le commedie brillanti. Oltre a Totò, Carlo Ludovico Bragaglia diresse i più importanti attori italiani fra i quali i fratelli De Filippo (Eduardo, Titina e Peppino in Non ti pago!), Vittorio De Sica (Un cattivo soggetto) e Aldo Fabrizi (I quattro moschettieri). Abbandonò il cinema negli anni sessanta, dopo aver firmato 64 film in 30 anni di attività; nell'ultima parte della sua vita si dedicò soprattutto alla poesia.
Bragaglia, regista prolifico, portò nel cinema italiano l'amore per il nonsense e il surreale e moduli di lavoro di tipo efficientista, che già comuni negli altri paesi erano sconosciuti in Italia, dove il cinema continuava ad avere connotazioni artigianali.
Negli anni 50 diresse anche qualche commedia televisiva negli studi della RAI di Roma.
Nel 1994, in occasione del suo centesimo compleanno, presenziò alla retrospettiva che gli fu dedicata dal Festival di Locarno. La sua ultima fatica fu un documentario sull'isola di Capri, che amò particolarmente. Si spense nel 1998, alla veneranda età di 103 anni. Riposa nel cimitero cattolico di Capri.



Videoclip estratti dalle serie televisive prodotte dalla RAI e curate da Giancarlo Governi; "Il Pianeta Totò", ideata e condotta da Giancarlo Governi, trasmessa in tre edizioni diverse - riviste e corrette - a partire dal 1988 e "Totò un altro pianeta" speciale in 15 puntate trasmesso nel 1993 su Rai Uno.

Galleria fotografica e rassegna stampa

1937 10 25 Cinema CL Bragaglia intro

1937 10 25 Cinema CL Bragaglia fCarlo Ludovico Bragaglia studiava il modo di riempire un castello di trabocchetti e di macchine infernali: più che un regista, in quel momento egli sembrava un signorotto medievale che volesse dare il massimo di terribilità al proprio maniero.

— Niente paura, - ci disse Bragaglia -, me ne servirò per il mio prossimo film Se ci sei batti un colpo: un film comico, o meglio, una farsa. Per precisare, vi dirò che è mia intenzione giungere, da certe situazioni e da certe interpretazioni proprie della Commedia dell’Arte, ad una farsa come ne esistevano all’epoca del muto. Quella farsa che ha dato origine allo speciale tipo americano di commedia -.

Non bisogna dimenticare, per ben comprendere queste parole, i precedenti film di Bragaglia. Egli partì con un O la borsa o la vita in cui il comico, tuttavia pieno di intelligenza, appariva di natura intellettualistica. I film che seguirono O la borsa o la vita, furono di un più comune genere di comicità.

Eliminata quella speciale interpretazione intellettualistica che, forse, lo teneva un po’ distante dal gusto della gran massa, seguì una strada più facile; ed ora,- a parte la fossa degli angeli in cui egli ha affrontato in pieno il dramma -forte della prima e della seconda esperienza, vuol tentare con Se ci sei batti un colpo quel tipo di farsa che fu l’oggetto del nostro discorso.

— Può dirvi qualcosa - spiegò ancora Bragaglia -il fatto che nel mio film ci sarà una morale. Gli avvenimenti confluiranno a concludere che « Chi va per gabbare resta gabbato ». Una morale che, come vedete, avvia abbastanza bene ad intuire la natura e il carattere di Se ci sei batti un colpo. In quanto allo spunto del soggetto esso è venuto, a me e a Margadonna (col quale sto lavorando alla sceneggiatura), da una novella di Pietro Solari.

Naturalmente, tenendo conto di quei criteri che vi dicevo sopra, il film si sta sviluppando con ricchezza di fatti e varietà d’intreccio intorno a questo vecchio castello che sto studiando affinché faccia a dovere, anch’esso, la sua parte... -Come ripreso da una vecchia idea, si precipitò sopra un suo taccuino a fissare uno spunto. Doveva esser buono perché tornando subito dopo a parlare con noi sorrise soddisfatto. Domandammo il nome del protagonista. In giro si era fatto insistentemente quello d’un noto attore comico.

— Nulla di definito. In ballo ci son parecchi nomi ma per il momento non posso precisare.

«Cinema», n.32, 20 ottobre 1937


1942 03 05 Tempo C L Bragaglia intro

Carlo Ludovico Bragaglia è della stirpe dei Bragaglia a cui appartengono Anton Giulio e Arturo, quest' ultimo meno noto, ma abbastanza affaccendato nel cinematografo con la sua doppia professione di fotografo e di attore. Carlo Bragaglia debuttò come regista coi film "O la borsa o la vita", film d'avanguardia realizzato con molta intelligenza. Il secondo suo tentativo di una produzione non commerciale fu "La fossa degli angeli" ma, tra l'uno e l'altro, egli ha mostrato le sue enormi capacità di regista "a tiro rapido" ottenendo l'appoggio incondizionato dei produttori. Con grande eclettismo, non so se voluto o sincero, Bragaglia ha diretto film di genere diversissimo, con rapidità sbalorditiva, toniti che dal gennaio 1941 al gennaio 1942 egli ha potuto condurre a termine ben sette film. Ma il suo amor proprio pare lo spinga oggi a tornare verso un genere cinematografico meno commerciale, più elevato, che è quello al quale, in fondo, ha sempre ambito nella sua non lunga ma virtuosa carriera di regista.

«Tempo», anno VI, n.144, 5 marzo 1942


1943 06 26 Film Blasetti C L Bragaglia intro

Gli stivaloni di Alessandro Blasetti ispirano con frequenza l'estro un po’ stanco degli umoristi, sostituendo vantaggiosamente i rituali « zio Giuseppe » e « zia Carolina ». Essi sono altrettanto celebri che i suoi film, e formano parte integrante di una personalità che è complessa e inconfondibile. S'immagina più facilmente un Alessandro de Stefani nella parte di Armando Ouval, che Blasatti senza stivali. Se un giorno il Nostro, per capriccio d'artista, comparisse a Cinecittà vestito come noi e voi, si griderebbe allo scandalo, quasi fosse nudo. Il fotografo ha fermato in un'istantanea il suo malumore, un suo momento di perplessità. Blasetti si è appartato dai suoi collaboratori, per riflettere comodamente. Il suo sguardo ha una malinconica fissità. Si direbbe che il noto regista pensi all'immortalità dell’anima, o alla caducità delle cose umana. Qui Blasetti è un romantico con gli stivali. E mai come in quest'occasione, le famose calzature gli saranno tanto preziose. Egli si avventura in. fatti con il pensiero nella giungla di « Nessuno torna indietro », un film che prevede la simultanea partecipazione di sette dive di gran nome. Il regista si ripromette di condurre a buon porto l'ardua impresa. Ma forse a Blasetti, questa volta, oltre agli stivali di rito, occorrerà anche la frusta del domatore.

In questi ultimi anni, la sua regìa 'si è fatta velocissima, fulminea, « Una regìa di passaggio », la definisce un suo critico senza indulgenza. Si direbbe che, dirigendo un film, egli ingaggi una gara di velocità con se stesso. Carlo contro Ludovico. E vince regolarmente Bragaglia; o, per meglio dire, vince il suo produttore, che si frega le mani, soddisfatto, e lo addita come esempio sublime di velocistiche virtù a Genina, Malasomma e Castellani. Il motto di C. L. B. è quello di una nota tintoria romana: « Presto e bene ». Alla prima parte di esso, il regista è abitualmente fedelissimo; alla seconda, un po' meno. L'anno scorso girò 10 film in 250 giorni, con una media di quasi un chilometro di pellicola ogni 24 ore. Ma gli restò ancora il tempo di essere il fratello dell'immenso Anton Giulio Bragaglia. Nel pieno del lavoro, si addormenta dove gli capita. Qui il fotografo lo ha colto men. tre russa con soavità in un canestro della biancheria. Dall’innocenza del suo sonno e dal sorriso fanciullesco che gli erra sul volto aerodinamico, s’intuisce che C. L. B. sta sognando di essere lui il soggettista e lo sceneggiatore di « Fuga a due voci ». Ancora pochi minuti, e poi il regista si sveglierà, affrettandosi a girare, tra le 18,25 e le 19.30, il secondo tempo del suo nuovo film.

«Film», 26 giugno 1943


1984 06 17 L Unita CL Bragaglia intro

«L'Unità», 17 giugno 1984 - Carlo Ludovico Bragaglia


1991 06 16 Corriere Della Sera Carlo L Bragaglia Toto intro

«Mi colpì Lyda Borelli, come in un sogno il bel corpo nudo sotto la veste trasparente» «Quante litigate col principe, se mi avesse ascoltato sarebbe stato più grande di Charlot»

«Totò? Era un ignorante, nel senso che ignorava le sue grandi capacità espressive e quindi non le sfruttava al meglio», dice Carlo Ludovico Bragaglia, il berretto blu calcato sulla fronte e gli occhiali neri inforcati su di un naso imponente. Il regista di tanto cinema e teatro tra gli anni Trenta e Cinquanta qualche settimana fa ha raccontato la sua avventura agli studenti dell’Università di Roma «La Sapienza».

La voce è ferma e la memoria non è vaga, nonostante i 97 anni ben portati. «il guaio è che sto sempre bene», scherza l'anziano uomo di spettacolo, fratello del celebre Anton Giulio Bragaglia fondatore del Teatro degli Indipendenti.

«Era il più intelligente e il più colto di tutti noi — dice subito Carlo Ludovico di Anton Giulio, riferendosi anche agli altri due fratelli, Arturo e Alberto, rispettivamente attore e pittore. Eravamo una famiglia di artisti, di creativi. Abbiamo spaziato nell’avanguardia e nella sperimentazione. promuovendo nuove idee e spesso anticipando i tempi. Abbiamo tracciato un percorso di ricerca, dove la fondazione della Casa d’Arte Bragaglia, nel 1918 a via Condotti, è stata solo una tappa importante, ma non definitiva».

1991 06 16 Corriere Della Sera Carlo L Bragaglia Toto f1

Orgoglioso del suo passato ed energico anche nel presente, Carlo Ludovico Bragaglia ripercorre a ritroso il suo lungo itinerario artistico. Da quando cominciò come fotografo ad avvicinare alcune grandi dive dei «telefoni bianchi». Ricorda il regista: «Quella che mi colpì più di tutte fu Lyda Borelli. Mi chiese di andarla a fotografare a casa sua, in un piccolo appartamento a piazza del Popolo. Io, che pur essendo giovanissimo avevo già una certa esperienza, ero emozionatissimo. Avevo portato con me tutta l'attrezzatura, tra cui anche delle lampade elettriche che, a quell’epoca, erano una novità. All’improvviso mi apparve la Borelli come in un sogno, avvolta in una veste trasparente che lasciava intravedere il bel corpo nudo. Rimasi abbagliato, ma riuscii comunque a realizzare un bel servizio fotografico».

Una sessantina di film, tra i quali alcuni indimenticabili con Totò: «Totò le Mokò», «47 morto che parla», «Animali pazzi», «Totò cerca moglie». Ma nonostante il lungo sodalizio artistico, il rapporto con il principe de Curtis non fu semplice. «Tante volte abbiamo litigato, perché Totò non si degnava nemmeno di leggere i copioni che doveva interpretare — racconta Bragaglia —. Si affidava completamente all’improvvisazione, secondo la scuola del vecchio avanspettacolo, e pure essendo bravissimo, irresistibile, finiva inevitabilmente per ripetersi. Totò non era semplicemente un attore e non era neppure una maschera: era una marionetta. In lui giocavano due fattori, la tradizione della «guitteria» napoletana e la naturale capacità di incredibile articolazione, che gli consentiva di muoversi proprio come un burattino. Se avesse compreso le sue potenzialità e se qualche volta mi avesse dato retta, sarebbe diventato più grande di Charlot».

Con lo spirito del pioniere, Bragaglia rammenta i tempi difficili del regime fascista. Tempi di «autarchia» anche nel campo dello spettacolo, quando neanche per fare un film si potevano usare nomi o materiali stranieri. Racconta il regista: «All’inizio non c’era nemmeno la pellicola e bisognava farsi tutto da soli. Per questo mi sono sempre definito un artigiano del cinema». Quella di Bragaglia è modestia o aristocratico distacco dall'industria dello spettacolo fatto in serie? «No, è solo la consapevolezza — conclude il regista — di appartenere a una generazione di artisti di cui si è perso lo stampo. Ma ancora oggi, ciò che mi tiene in vita è proprio la voglia di continuare a lavorare».

Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 16 giugno 1991


1993 02 13 L Unita CL Bragaglia intro

«L'Unità», 13 febbraio 1993 - Intervista al regista Carlo Ludovico Bragaglia


1998 01 05 La Stampa Bragaglia morte intro

Aveva 103 anni e proprio oggi avrebbe dovuto rievocare alla radio la sua carriera - Mentre i critici lo riscoprivano i produttori gli chiusero le porte

1998 01 05 La Stampa Bragaglia morte f2S'era fatto costruire una tomba a Capri e ogni 2 novembre si portava i fiori. Perché diceva che questo gesto scaramantico gb avrebbe allungato la vita. E sicuramemente le Parche ne hanno tenuto conto, visto che Carlo Ludovico Bragaglia era nato a Frosinone 103 anni fa. Il regista è morto ieri all'ospedale San Giacomo di Roma, dove era stato operato al femore dopo una caduta. Terzo di quattro fratelli artisti, debuttò come fotografo. Si dedicò a scatti sperimentali, creando la «Fotodinamica» ispirata al futurismo.

Per campare ritrasse invece dive e divine, da Leda Gys a Lyda Borelli. Durante la guerra Carlo Ludovico si comportò da eroe. Gli austroungarici gli ricamarono addosso numerose ferite. Il governo italiano gli regalò una medaglia al valore, due croci di guerra, un assegno per mutilati. Con i soldi della pensione e con il fratello Anton Giulio, fondò la celebre «Casa d'Arte Bragaglia», punto di ritrovo per artisti e bel mondo. Nel grande appartamento di Via Condotti, inaugurato con una mostra di Balla, furono ricavate cinque gallerie dove esposero tutti i grandi, da De Pisis a De Chirico, da Boccioni a Depero. Nel '22, nelle cantine di Palazzo Tittoni, gli instancabili Bragaglia fondarono il «Teatro degli Indipendenti», che metteva in scena spettacoli d'avanguardia. Alla fine la platea veniva sollevata con un argano a mano e il tutto si trasformava in ristorante alla moda, per nottambuli. Gli artisti e le persone intelligenti avevano una tessera speciale per consumare un pasto completo a cinque lire. Bragaglia diresse 23 spettacoli, inventò beffe e giocò con lo sperimentalismo (nel '27 fu il primo a mettere in scena Svevo).

Dopo otto anni arrivò la crisi. I vicini protestavano per i baccanali; i gerarchi del regime ebbero il divieto di frequentare il locale. Anton Giuho andò in America, Carlo Ludovico vendette i preziosi quadri per ripianare i debiti. Capì che con l'avanguardia non si riusciva a campare, decise così di provare con il cinema. Bragaglia entrò alla Cines come fotografo. Poi fece mille mestieri di set. Ma mordeva il freno per debuttare nella regia. Gli proposero un documentario sulle tombe etnische, lui riuscì a dirigere nel '33 «0 la borsa o la vita» con Sergio e Rosetta Tofano, surreale favola azionaria. Fu un buon successo, l'inizio di un «vizio», di una lunga carriera dietro la macchina da presa. Nel '36 diresse un altro film fortunato: «La fossa degli angeli», ambientato nelle cave delle Apuane, con Nazzari e la Ferida. Nel '39 inventò «Animali Pazzi», per un giovanissimo, scavato, marionettistico Totò. Il sodalizio con l'indomabile attore napoletano proseguì con «Totò le Moko», «Figaro qua Figaro là», «Totò cerca moglie», «Sei mogli per Barbablù», «47 morto che parla». Bragaglia aveva talento, voleva inventare. «La scuola dei timidi» (scritto da Zavattini, con Rabagbati e la Del Poggio) e «Violette nei capelli» (Lilia Silvi) lo dimostrano. Ma i produttori lo riportarono sempre sui binari dell'industria. E lui si piegò docile e geniale al ruolo di artigiano.

Divenne famoso per la rapidità, per l'ecletticità, per l'attenzione ai costi. Nel '40, con l'Italia in guerra, diresse sette film in trecento giorni. Nel '52, mentre Renoir cercava di girare la «Carrozza d'oro», incagliato in crisi creative da poche inquadrature al giorno, Bragaglia andò incontro al disperato produttore, girando «A fd di spada» e «Il segreto delle tre punte» che riciclavano scenografie e costumi preparati per il maestro francese. Bragaglia ha lasciato la sua firma su oltre 60 film, d'ogni genere, dal sentimentale al drammatico, dal musicale al mitologico. Dirigendo i più grandi attori, dai tre De Fibppo («Non ti pago») a De Sica («Un cattivo soggetto»), a Tognazzi («La bruna indiavolata»); valorizzando bellissime, come Sylva Koscina («La Gerusalemme liberata»), o Jane Mansfield («Gli amori di Ercole»). L'ultimo film è del '63, «I quattro moschettieri». L'ironico e vitale regista aveva ancora voglia di tornare sul set, ma i produttori non gli concessero più spazio, proprio mentre i critici riscoprivano e rivalutavano la sua opera. Negb ultimi tempi sfornava libri di memorie, l'ultimo, «Bragaglia racconta Bragaglia», era uscito in luglio, per festeggiare il 103° compleanno. Oggi e domani «Hobywood Party» (su RadioTre, ore 19), condotto da Matteo Spinola e Stefano Della Casa, avevano deciso di dedicargli un omaggio.

Bruno Ventavoli, «La Stampa», 5 gennaio 1998


1998 01 05 La Stampa Bragaglia morte f1


1998 01 05 L Unita CL Bragaglia morte

1998 01 05 L Unita CL Bragaglia morte intro

Orio Caldiron, Daniela Sanzone, Nadia Tarantini, «L'Unità», 5 gennaio 1998


1998 01 05 CDS CL Bragaglia morte intro

E’ morto a Roma, a 103 anni, il regista Carlo Ludovico Bragaglia. Era all’ospedale S. Giacomo dove l’avevano operato al femore dopo una caduta.

Si facevano delle gran belle chiacchierate con Carlo Ludovico Bragaglia, che dall’alto dei suoi 103 anni compiuti parlava come un libro stampato. Mai un vuoto di memoria, mai un sintomo di senilità: e in cambio tanta scienza della vita, tanti ricordi di un cinema d'epoca rivisitato con schiettezza e buon umore. E tanta passione per le donne: «Ho fatto all’amore fino ai 91 anni e non chiedetemi niente sul dopo perché sono cose delicate». Giudizi sparati su i suoi attori. Nazzari? «Un gentiluomo». Rascel? «Un rompiscatole». Totò (che diresse in vari film, tra cui «Totò le Mokò»)? Un ignorante...». Brivido degli astanti, pausa sapiente: «... nel senso che ignorava le sue vere qualità». E sui colleglli opinioni altrettanto risolute. Gennaro Righelli? «Il mio maestro, il più valido di tutti». Camerini? «Meritava di più». Blasetti? «Un confusionario di se stesso». De Sica? «Per bene, serio, disciplinato, ma il suo cervello era Zavattini». Fellini, Antonioni? «Due fari del cinema moderno e con loro considero grandissimi Castellani e Germi. Questi li invidiavo tutti, ogni loro film mi dava tanta voglia di emularli».

In Carlo Ludovico, trasformato da fotografo di scena in regista tutto fare da Emilio Cecchi che alla Cines lo fece esordire nel ’32 con «La borsa o la vita» continuò a esistere l’intellettuale sofisticato che a fianco dell’idolatrato fratello Anton Giulio aveva animato la casa d’Arte Bragaglia in via Condotti («Ci veniva anche sua maestà il Re») e poi il Teatro degli Indipendenti in via degli Avignonesi («Ci venivano tutti a vedere gli spettacoli e a cenare»); ma accanto alla macchina da presa il nostro si era rivelato un cineasta senza fisime: «Il regista è un falegname, deve fare la sedia, lo scaffale, il tavolo. Io ho fatto la commedia, il film storico, il mitologico, il dramma, la farsa». Prediligeva tra i suoi numerosissimi titoli «La fossa degli angeli» (1936), girato fra i cavatori di marmo a Massa Carrara; e sembrava tranquillizzato dal fatto che la pellicola è scomparsa: «Vuoi vedere che la ritroveranno in qualche cantina e magari scriveranno: ecco il capolavoro che anticipò il neorealismo? E se invece dicessero: tutto qui!».

Bragaglia si disimpegnò con particolare fortuna nel genere leggero perché era spiritosissimo, punzecchiante, autoironico. Attribuiva la sua longevità al fatto che la balia nella nativa Frosinone si faceva ghiotte spanciate di peperoncino prima di allattarlo. Ricordava le emozioni che gli avevano dato la luce elettrica, l'automobile e in genere le invenzioni del XX secolo. Meno lo aveva impressionato il cinema perché lui e l’altro fratello, Arturo (notissimo caratterista), si erano dedicati da sempre alla fotografia: e che cos’era il cinema se non la fotografia in movimento? Da vegliardo imbastì fino all’ultimo raccontini e strofette, che recitava con gran gusto a memoria quando lo si andava a trovare. E se gli capitava di teorizzare, alla sua maniera si intende, definiva il cinema «una finta arte fabbricata». Poi divideva i registi in tre categorie: «Gli artisti, quelli che riprendono la partita di calcio e gli artigiani». Lui ovviamente si includeva nel terzo gruppo all’insegna di un motto che funzionerà anche nel XXI secolo: «Attirare il pubblico salvando il più possibile la qualità artistica».

Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 5 gennaio 1998



Filmografia

Regista

O la borsa o la vita (1933)
Non son gelosa (1933)
Un cattivo soggetto (1933)
Quella vecchia canaglia (1934)
Frutto acerbo (1934)
Amore (1936)
La fossa degli angeli (1937)
Belle o brutte si sposan tutte... (1939)
Animali pazzi (1939)
L'amore si fa così (1939)
Un mare di guai (1939)
Pazza di gioia (1940)
Alessandro, sei grande! (1940)
Una famiglia impossibile (1941)
La forza bruta (1941)
Il prigioniero di Santa Cruz (1941)
Barbablù (1941)
Due cuori sotto sequestro (1941)
La scuola dei timidi (1941)
Se io fossi onesto (1942)
Violette nei capelli (1942)
La guardia del corpo (1942)
Non ti pago! (1942)
Casanova farebbe così! (1942)
Fuga a due voci (1943)
La vita è bella (1943)
Non sono superstizioso... ma! (1943)
Il fidanzato di mia moglie (1943)
Tutta la vita in ventiquattr'ore (1943)
Torna a Sorrento (1945)
Lo sbaglio di essere vivo (1945)
La primula bianca (1946)
Albergo Luna, camera 34 (1946)
Pronto, chi parla? (1946)
L'altra (1947)
Totò le Mokò (1949)
Il falco rosso (1949)
Totò cerca moglie (1950)
Le sei mogli di Barbablù (1950)
Figaro qua, Figaro là (1950)
47 morto che parla (1950)
L'eroe sono io! (1951)
Una bruna indiavolata (1951)
Il segreto delle tre punte (1952)
Don Lorenzo (1952)
A fil di spada (1952)
Orient Express (1954)
Il falco d'oro (1955)
Cortigiana di Babilonia (1955)
Lazzarella (1957)
La Gerusalemme liberata (1957)
La spada e la croce (1958)
Io, mammeta e tu (1958)
È permesso Maresciallo (1958)
Caporale di giornata (1958)
Le cameriere (1959)
Gli amori di Ercole (1960)
Annibale (1960)
Le vergini di Roma (1961)
Ursus nella valle dei leoni (1961)
Pastasciutta nel deserto (1961)
I quattro monaci (1962)
I quattro moschettieri (1963)

Bibliografia

Leonardo Bragaglia, "Carlo Ludovico Bragaglia. I suo film, i suoi fratelli, la sua vita", 2009, Persiani Editore, ISBN 9788890200397

Carlo Ludovico Bragaglia: arte e artigianato di un professionista del cinema

Carlo Ludovico è stato molto probabilmente il più famoso dei fratelli Bragaglia: giovanissimo si trasferisce a Roma, insieme alla sua famiglia. Suo padre Francesco, infatti, viene assunto dalla Cines, importante casa cinematografica, in qualità di direttore amministrativo: inutile dire come questo evento segnerà la vita del nostro Carlo Ludovico.

Fin da ragazzo infatti inizia a coltivare la passione per la fotografia, proprio presso gli studi della Cines, dove realizza ritratti fotografici per le dive del cinema muto del tempo, che ha la fortuna di conoscere, come Lyda Borelli, Francesca Bertini e Leda Gyss. Con lo scoppio della Grande Guerra, è costretto a partire, e in una delle battaglie a cui prende parte rimane gravemente ferito (con conseguente frattura alle costole): per tutta la vita questo incidente lo segnerà in modo indelebile, tanto da essere soprannominato, dopo il suo ritorno in patria, con l’appellativo Il resto del Carlino.

Con l’indennizzo che ebbe in conseguenza al suo ferimento, apre insieme al fratello Anton Giulio la celebre Casa d’Arte Bragaglia: qualche anno dopo , quindi, fonda Il Teatro degli Indipendenti, dove la sperimentazione e l’avanguardia la fanno da padroni. Nel frattempo diventa fotografo di scena sempre presso la Cines, dove il padre è diventato direttore generale, affiancato da Emilio Cecchi: proprio l’illustre critico d’arte e letterato gli affiderà la sua prima regia.

Così dopo aver realizzato dei piccoli documentari sull’amata isola di Capri, Carlo Ludovico entra ufficialmente nel cinema: il film d’esordio si intitola O la Borsa o la vita, omaggio evidente a Renè Clair, con Sergio e Rosetta Tofano. Il film ebbe da subito un notevole successo (con le sue atmosfere chiaramente surrealiste e oniriche che lasciavano presagire le indubbie doti del regista, in realtà mai più espresse negli anni a seguire), e l’interpretazione di Sergio Tofano, creatore del celebre Bonaventura, risultò essere tra le migliori della sua carriera.

Inizia così l’avventura di Carlo Ludovico, regista cinematografico, tra i più fecondi e longevi artigiani del cinema italiano, artigiano si sottolinei e non mestierante: Carlo Ludovico, infatti, conosce alla perfezione le possibilità espressive del mezzo cinematografico, le sue basi tecniche non hanno nulla da invidiare ai più illustri colleghi del tempo.

Carlo Ludovico, inoltre, viene dal Teatro, e quindi predilige dirigere attori che provengano proprio da quel mondo: elemento non da poco questo, per un regista che verrà ricordato anche per la velocità e la facilità di ripresa (era capace di girare anche sette film in un anno!). Contrariamente a ciò che si pensi, Carlo Ludovico non è stato esclusivamente il regista di Totò: insieme al principe De Curtis, infatti gira soltanto sei pellicole (Animali pazzi, Totò le Mokò, Totò cerca moglie, Figaro qua… Figaro là, Le sei mogli di Barbablù, 47 morto che parla) su un totale di oltre sessanta. Nella sua carriera Bragaglia tocca i generi più disparati, tra cui quello sentimentale, la commedia, l'avventuroso, il cappa e spada, il peplum e la commedia- musicale, il tutto condito da un’evidente necessità commerciale, che le produzioni dell’epoca esigevano da lui (lavorerà inoltre anche per la televisione).

Nella sua vasta filmografia costellata da innumerevoli successi al botteghino, si devono necessariamente segnalare due titoli: La fossa degli angeli (1937) e Fuga a due voci (1943). Il primo, che Bragaglia considerava il suo capolavoro, ambientato a Carrara in una piccola cava di marmo, sarebbe dovuto essere nelle intenzioni del regista un film totalmente realista (in cui avrebbero recitato i veri personaggi del luogo, e non degli attori professionisti), ma la produzione impose due divi come Nazzari e la Ferida.

Sarà poi Visconti con La terra trema ad aprire ufficialmente la grande stagione del neorealismo, che Bragaglia aveva in qualche modo tentato di anticipare. Fuga a due voci, infine,è una commedia musicale (con Gino Bechi, Irasema Dilián, Aroldo Tieri, Paolo Stoppa e Carlo Campanini), con la quale Bragaglia ripropone sullo schermo le sue ambizioni autoriali già sperimentate con successo all’esordio, come un certo linguaggio meta-cinematografico, con l’irruzione dell’irreale nel quotidiano e la confusione tra realtà e cinema, il tutto magnificamente supportato da un cast perfetto.


Riferimenti e bibliografie: