Xavier Cugat debuttò a dodici anni primo violino nell'Aida
E' in arrivo il «re della rumba». Xavier Cugat sembrava nato per la musica classica: ma fu Enrico Caruso a scoprirlo all'Havana durante una stagione lirica e a portarlo negli Stati Uniti
Parigi, luglio
L’Havana, anno di grazia 1912, solenne inaugurazione del teatro nazionale, avvenimento storico per il popolo cubano. Gli aficionados del melodramma hanno fatto le cose per bene, senza badare a spese e fidandosi della valutazione dei valori fatta in Europa. Il cartellone comprende l’Aida, la Carmen, i Pagliacci. Fra gli interpreti ci sono Enrico Caruso, Titta Ruffo, Claudia Muzio. li direttore d’orchestra si chiama Tullio Serafin. Alla prima prova, nel teatro che sa ancora di vernice fresca, Caruso saluta gli orchestrali. A sinistra del direttore scorge un ragazzetto tutto compunto, con un violino in mano. «E quello chi è?» chiede. «E' il primo violino — gli rispondono orgogliosi — ha dodici anni soltanto». Alla fine della prova Caruso va a strìngere la mano al ragazzetto. «Bravo, ti voglio far sentire negli Stati Uniti. Dammi il tuo indirizzo» gli dice il grande tenore. H primo violino è nato a Barcellona da una famiglia di alta borghesia spagnola che ha lasciato la Spagna quando lui aveva appena tre anni. Ha frequentato i migliori conservatori d'America: è nato per la musica classica il suo «tempo» è perfetto, il suo «tocco» eccellente.
Xavier Cugat con la moglie, Abbe Lane. Abbe è nata a Brooklin e conosce molte parolacce in italiano. Ha ventidue anni, i capelli fulvi e la pelle abbronzatissima. Gli americani la chiamano «golden voice singer », la cantante dalla voce d’oro. Xavier Cugat si esibirà nelle principali città italiane.
DELUSO A PARIGI
Ho visto ciò che quarant’anni hanno fatto di quel ragazzo prodigio, protetto da Caruso, orgoglio del teatro nazionale dell'Havana, trascinatore emerito dei singhiozzi della Traviata o delle galoppate sinfoniche di Rossini. L’ho visto regalmente allungato come un pascià sul divano di un lussuoso appartamento dell'Hotel Georges V con un cagnolino nascosto sotto ogni ascella, tutto compreso dei suo titolo universalmente riconosciuto di re della rumba. Perchè si tratta di Xavier Cugat, lo specialista dei ritmi ispano-americani, dei folclore dell’America Latina, il musicista per il quale Cole Porter ha scritto «Beguin the Beguine». I cagnolini nascosti sotto la sue ascelle sono Chiquito e Querila, come i titoli di due celebri rumbe del loro padrone. Un terzo, Tico-Tico, è rimasto oltre Atlantico per ragioni di salute. Peccato, perchè anche questi 'cagnolini di razza messicana — la razza dei chihuahua per la precisione, che unisce alle qualità affettive del normale cane domestico quelle di intelligenza e di agilità del puma, il tutto in formato ridottissimo — peccato, dicevo, perchè anche i cagnolini fanno parte del complesso tipico che Xavier Cugat ha poi tato in Europa.
E’ la prima volta che il re della rumba (e di tutti gli altri «possedimenti» del genere come il tango, la conga, la samba, il inambo) viene a farsi applaudire in Europa. Dopo quattro sole rappresentazioni a Parigi, all’Alhambra, si è trasferito a Roma, dove giungerà il giorno 2 a bordo di un aereo speciale preso ir affitto per trasportare il grosso della sua compagnia. Milano, Venezia, Firenze, Sanremo, Barcellona, Ginevra, Vienna ed altre ancora accoglieranno Xavier Cugat.
Nel suo improvvisato trono di velluto dell’hotel Georges V lo specialista del ritmo era placidamente disteso, come addormentato, avvolto in una vestaglia da camera di seta con le iniziali X.C. poste in rilievo sul taschino da una molla speciale, i piedi infilati in vaporose pantofole, l’aria di un hidalgo abituato a lunghe sieste: solo i suoi occliietti, mobilissimi, sembravano svegli in lui. Si è stupito di non esser stato ricevuto al suo arrivo all’aeroporto di Orly con una manifestazione «oceanica» dei suoi ammiratori francesi.
Oltreoceano, quando egli sta per arrivare in qualche posto — a bordo di una mastodontica e coloratissima automobile scoperta, in piedi, non sapendo a chi rispondere col largo gesto delle braccia alzate come un generale vincitore e un presidente neoeletto — i responsabili del traffico cittadino si mettono le mani nei capelli perchè son guai. Persino a Tokio, la città ch’egli credeva la più corazzata contro lo incanto della rumba, ha trovato migliaia di compiti ammiratori giapponesi che lo attendevano pazientemente per esprimere, a modo loro, gioia ed entusiasmo. E’ stato del resto un giro trionfale, quello che Cugat ha compiuto recentemente in Oriente: oltre al Giappone, egli si è recato nelle Filippine, alle Haway e ad Hong Kong, e sei mesi dopo ha dovuto rifarlo.
L’impresario Schiavone — un marchigiano che vive da anni a Hollywood e che è riuscito ad a-vere la meglio su una ventina di colleghi, tutti in agguato da tempo per poter portare in Europa il popolare «Cugy» — ha cercato di spiegargli che nel nostro vecchio continente non è la stessa cosa, che a Parigi è già molto che la gente applauda a teatro, che non si può darle torto con tutti i suoi guai giornalieri e che in tutti i casi l’aeroporto di Orly si trova ad una ventina di chilometri dalla capitale. Ma Cugat aveva l’aria di non credergli, di pensare ad un’insufficiente diffusione della «grande» notizia del suo arrivo.
«I parigini hanno acclamato Ray Sugar Robinson» ha detto ad un certo momento. Il re del ring ha occupato prima di lui il palcoscenico dell’Alhambra con un breve spettacolo di danza ritmica. «L’hanno acclamato al Velodromi d’hiver, quando si è presentato come campione del mondo e sui ring — ha spiegato lo impresario — ma quando è venuto come vedetta di music hall quasi quasi lo avrebbero fischiato se alla fine non si fosse mostrato in tenuta di pugile».
DEBUTTO ALL’ ASTORIA
Soltanto dopo questa precisazione «Cugy» si è placato. Si come risvegliato, ha preso la chitarra e si è messo a far solletico alle corde, accennando famose romanze, canticchiando in italiano. Ricordi della sua adolescenza: «L'aurora di bianco vestita», «Stanotte a Marechiare», ecc.
Xavier Cugat ha due grandi qualità, ha osservato qualcuno: è un musicista di talento ed ha ima spaventosa pronuncia inglese. Parla infatti una lingua composita, in cui lo spagnolo e l’inglese degli spagnoli emigrati in America è mescolato all’italiano. Risiede abitualmente ad Hollywood, dove si è fatta costruire una delle più belle ville della Mecca del cinema... Perchè Caruso manteime la promessa fatta alla prova nel teatro nazionale della Havana, lo portò negli Stati Uniti, lo fece conoscere ai suoi amici e non se ne ebbe a male quando il giovane violinista trovò la propria strada nella musica ritmica e folcloristica piuttosto che in quella classica. Cominciò come per scherzo all’Ambassador Hotel di Los Angeles e lo «scherzo» durò due anni.
«Cugy» divenne il beniamino del Waldorf Astoria e del Copa-cabana di New York, degli Sta-tler Hotels di Detroit e di Los Angels, del Palmer House e del-l'Edgewater Beach di Chicago, del Baker Hotel di Dallas e di cento altri locali americani. Ha inciso per le più note case di dischi, ha suonato per innumerevoli film (l’ultimo dei quali è «Americano» con Cesar Romero e Glenn Ford) e per le più importanti catene radiofoniche.
Abitando a Hollywood non poteva trascurare la passione di moda da quelle parti: la pittura. Cugat possiede una bella collezione di quadri moderni, soprattutto di artisti messicani. Gli u-nici ad essere informatissimi sul suo arrivo a Parigi erano infatti i pittori, che sin. dal primo giorno sono andati al Georges V con qualche tela sottobraccio per mostrarla a quell'amatore d’eccezione: Cugat è molto fiero della sua collezione e della sua bella reggia hollywoodiana. Abitano a Hollywood anche Strawinski, Rubinstein, José Iturbi — è egli stesso che me lo ha detto come per giustificare la scelta della residenza con la scusa di essere in buona compagnia — e molti cantanti per via del clima ideale per la voce; Lily Pons, Mario Lanza...
LA REGINA DELLA RUMBA
A questo punto è entrata nella sala del trono, senza farsi annunciare, una giovane dai capelli fulvi e dalla pelle abbronzatissima, le braccia nude, l’ancheggiare alla Marilyn Monroe, come se anche il camminare fosse un pretesto per ballare la rumba, gli occhi impertinenti. «E* la mia regina» spiega Cugat presentando la moglie. Se Rita Hayworth era la bomba atomica per i G. I. dell'ultima guerra, Abbe Lane — così si chiama la ventiduenne signora Cugat — è la bomba allo idrogeno. E’ lei l’attrazione femminile della compagnia, una pantera travestita da donna, cantante s ballerina che pare nata per interpretare le specialità del marito. E’ lei l’interprete femminile del già citato «The Americano».
Chi ha visto il film afferma che Abbe Lane canta e danza in un modo da far accapponare la pelle sulla schiena degli spettatori e da mandar sulle furie le associazioni del buon costume. Nel prossimo suo film, che sarà girato nel Messico al ritorno della compagnia dall’Europa, figurerà anche Cugat: si intitolerà «Sangue sulle corna» e il compagno di Abbe Lane sarà Marion Brando, mentre «Cugy» farà la parte di un impresario di corride.
Il re della rumba l’ha scovata quattro anni fa a Brooklyn, il tipico quartiere popolare di New York abitato da tanti italiani. E’ là che Abbe Lane è nata e questo spiega come, oltre all’inglese e a qualche frase spagnola imparata dalla madre catalana, ella conosca la pronuncia esatta di numerose parolacce italiane, imparate evidentemente dai ragazzini figli di nostri emigrati con i quali ha giocato per anni nelle piazzette e lungo i marciapiedi di Brooklyn. Ma quelle parolacce non le servono per la tournée in Italia. Per questo l’ho sentita ripetere, con la pazienza di una scolaretta, le frasi «Mi dispiace di non parlare l’italiano» e «Je m’excuse de ne pas parler le français», che pronuncerà sulla scena.
Abbe Lane la chiamano «Golden voice singer», la cantante dalla voce d’oro, ma dato che a questa qualità unisce un corpo da Venere di Milo completa, è comprensibile come anche i parigini si siano voltati nel vedere passare sui Campi Elisi quella giovane straniera dal capelli fulvi e dalle braccia nude. Non soltanto gli italiani si voltano:
Lorenzo Bocchi, «La Settimana Incom Illustrata», anno VII, n.31, 31 luglio 1954
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Lorenzo Bocchi, «La Settimana Incom Illustrata», anno VII, n.31, 31 luglio 1954 |