I genovesi volevano rapire Dario Fo

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Solo un fischio testardo e isolato e qualche debole dissenso agli applausi hanno turbato la prima rappresentazione del nuovo spettacolo di Dario Fo. Ma era corsa voce che qualcuno volesse impedire con la forza al popolare comico la parodia di Cristoforo Colombo

Nel posteggio dell’A.C. di via Santa Radegonda a Milano, due passi dopo l’ingresso del Teatro Odeon, stazionava venerdì sera più di una macchina targata Genova. Fu questo che indusse Enrico Rame, l’amministratore della Compagnia Fo-Rame, che venerdì sera appunto dava sul palcoscenico del teatro Odeon in prima assoluta il suo nuovo spettacolo "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”, a chiedere un rinforzo delle forze di polizia che prestano normalmente servizio in teatro. L’allarme non era del tutto privo di giustificazioni. Già da qualche giorno correva la voce che un gruppo di giovani estremisti genovesi non volessero lasciar passare franca a Dario Fo la satira su Cristoforo Colombo che si riteneva la chiave del suo nuovo lavoro.

1963 09 21 Tempo Dario Fo f1Cristoforo Colombo alla corte di Ferdinando e Isabella di Castiglia si batte per ottenere le navi con le quali raggiungere le Indie. Siamo al primo tempo di "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”, il nuovo lavoro con cui Dario Fo si è presentato al pubblico milanese in questi giorni, inaugurando la stagione teatrale. Accanto a Franca Rame, nelle vesti della regina, è Enrico Conti che ha sostenuto la parte di re Ferdinando. Per i costumi, disegnati da lui come i bozzetti per le scene. Dario Fo si è ispirato ai dipinti di Goja e di Piero della Francesca. Anche l'arazzo sullo sfondo che fa da siparietto, è opera del versatile autore-attore.

Il "Cacciaballe” infatti, che compare nel titolo accanto a Isabella e alle tre caravelle è per l'appunto il navigatore genovese. Si era parlato apertamente, in certi ambienti della città ligure, di un imperdonabile peccato di irriverenza da parte di Dario Fo nei confronti del più illustre e più celebrato dei genovesi di tutti i tempi. E si era detto addirittura che il comico meritava una lezione: il "commando” che sarebbe venuto da Genova a Milano la sera della prima non si sarebbe limitato a contrastare la rappresentazione. Il suo programma era più ambizioso e più avventuroso: si trattava di rapire l’attore al termine dello spettacolo, per restituirlo si il mattino dopo ai suoi spettatori sano e salvo, ma reso in qualche modo concretamente consapevole che una gloria come quella dello scopritore dell’America non deve essere mai messa in dubbio, neppure per ridere.

In realtà al Teatro Odeon venerdì sera non è accaduto nulla di spiacevole. I ragazzi genovesi, se c’erano, e se invece non erano andati al cinema e a ballare, non hanno trovato l'appiglio per interrompere la rappresentazione, o sono stati sommersi dalla generale violenza degli applausi. A meno che non si debba attribuire loro il fischio insistente ma solitario che sottolineò qualche battuta particolarmente vivace del primo atto, o l’esiguo volume di dissensi al termine della rappresentazione. A essere giusti comunque non si può proprio dire che il lavoro di Dario Fo comprometta il buon nome di Cristoforo Colombo al punto da provocare un risentimento legittimo nei custodi più o meno furenti della gloria del navigatore. A parte quel "cacciaballe” del titolo, il Colombo di Dario Fo, che non è poi neppure il vero Colombo, ma una rappresentazione teatrale dello stesso, fatta sul patibolo trasformato in palcoscenico, da un attore condannato a morte dall’Inquisizione, e che spera con questo mezzo di evitare o almeno di procrastinare l’esecuzione. ha sì, qualche punta di gagliofferia, tradisce qualche elasticità nella sua morale, non si sottrae a certe scivolate verso l'uso degli espedienti, ma, se vogliamo, acquista in calore umano e addirittura in simpatia tutto quello che perde in monumentalità. Aggressiva, la satira di Fo lo diventa invece in un’altra sede: quando investe la società nella quale Cristoforo Colombo ha operato, i Re, le Regine, i notabili, i dotti e i meno dotti padroni del vapore di quel tempo. Una società che potrebbe somigliare maledettamente alla nostra e che senza dubbio, e con chiare intenzioni, somiglia a quella della Spagna dei nostri giorni. Tanto è vero che il maggior numero di applausi a scena aperta lo spettacolo se li è meritati proprio sulle battute più
allusive e più scopertamente cariche di riferimento all’attualità.

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Una Franca Rame in parrucca nera, nelle vesti di Giovanna la Pazza, ha ringraziato il pubblico al termine della rappresentazione. Alla sua sinistra è Fiorenzo Carpi, l’autore delle musiche, che sono state applaudite con lo stesso calore di tutto il resto, alla destra il costumista Chino Bert. La platea (a destra) presentava l’affollamento delle grandi occasioni.

Era la prima volta, venerdì sera, che Dario Fo e Franca Rame si presentavano al pubblico dopo le note vicende dello spettacolo televisivo dell’inverno scorso. E tutti e due prima di andare in scena non nascondevano di essere particolarmente emozionati. Ogni "Prima” è per un autore e per un attore una rischiosa incognita: per Dario Fo e Franca Rame questa lo era più delle altre. Per quanto si sentissero tutti e due molto sicuri del fatto loro, per quanto avessero lavorato con straordinario impegno fin dal principio dell’estate, venerdì sera dichiaravano apertamente di essere "molto nervosi”. Ma il pubblico, che riempiva il teatro in modo inverosimile, ha tributato, si può dire senza riserve, un plebiscito di simpatia alla coppia. Gli applausi riguardavano certamente la rappresentazione, ma si può dire che andassero anche un tantino più in là: erano un’esplosione totale di simpatia e di solidarietà. Alla fine Dario Fo era semplicemente felice, e Franca Rame ha sottolineato con molte lacrime e con un piccolo svenimento la sua contentezza per la serata fortunata.

Ottavio Moro, «Tempo», anno XXV, n.38, 21 settembre 1963


Tempo
Ottavio Moro, «Tempo», anno XXV, n.38, 21 settembre 1963