Ci vuole umorismo per vivere in due
Questo è il segreto di Dario Fo e di Franca Rame, coniugi senza pentimenti da dieci anni, perfettamente consapevoli di costituire un caso “classico” nel mondo del teatro. Quando però si scambiano complimenti lo fanno sul serio e senza ironia
Luigino, il falegname di Parabiago, incolla pezzetti di legno proprio sopra il tappeto persiano. Cino, un giovanotto argentino che fa l’arredatore e l’indossatore, sta picchiando chiodi da tutte parti per rivestire la parete dell’ingresso di seta giapponese giallo-oro. Jacopo, il figlio di otto anni di Dario e Franca, dipinge sul tavolo bello una grande crocefissione con sopra una fiammella rossa che sarebbe lo Spirito Santo. E intorno, via-vai concitato di generici e comparse, la cameriera, la "signorina” di Jacopo, paralti e amici vari. Come in teatro, durante gli ultimi preparativi per la prova generale. Ma la scena è il soggiorno di casa Fo-Rame.
«Non si può fare l’intervista con queste martellate sulla testa», dice il Dario buttandosi sul divano. «Le martellate chiariscono le idee», lo tranquillizza la Franca che è in vestaglia.
I due attori hanno lavorato insieme per la prima volta nel ’49 nella compagnia delle sorelle Nava: lei diceva soltanto una battuta, lui interpretava il famoso "sketch” del ”Poer nano”. Poco tempo dopo entrambi lasciarono l’avanspettacolo per il "teatro da camera", con testi scritti e diretti dallo stesso Fo: nei '55 presentarono "Il dito nell’occhio" e, negli anni successivi, "I sani da legare", "Le farse”, "Gli arcangeli non giocano al flipper", "Aveva una pistola dagli occhi bianchi e neri", "Chi ruba un piede è fortunato in amore". L’ultimo lavoro, "Isabella tre caravelle e un cacciaballe", presentato quest’anno, ha realizzato notevolissimi incassi.
«Non creda che questo sia un giorno speciale — mi spiega il capofamiglia. — In due anni e mezzo che siamo in questa casa non ricordo una sola giornata senza tappezzieri o imbianchini o senza mia moglie che sposta i mobili. Vede questo divano? Pesa terribilmente. eppure ha già fatto il giro di tutto l'appartamento, come la credenza, del resto. Gli amici e gli ospiti sono obbligati a spostare mobili. Fra poco si ritroverà anche lei a sollevare tavoli e armadi».
Interrompe la Franca: «Certo. lo dice anche la parola: i mobili sono fatti per muoversi. Ma lui non mi aiuta mai, neppure se crollo a terra sfinita. Quando vede che incomincio a spostare qualcosa grida: "Questi sono lavori da uomini" e esce. Se c’è un trasloco, scappa in riviera. Se c’è da litigare con i fornitori, con i creditori, con gli scocciatori, se ci pignorano la casa, si dilegua».
«E’ un’accusa di egoismo?» domando. «No, per carità. Il fatto è che in lui c’è un’assoluta mancanza di interesse per le cose terrene. Non è che si senta superiore alle questioni di denaro, semplicemente il denaro non esiste per lui».
«Lei invece ha molto spirito commerciale?». «Non molto, ma bisogna pur vivere. No?».
«Non molto! — salta su lui scandalizzato — ma se questa casa è un continuo traffico di pezzi di antiquariato, di vecchi orologi, di quadri astratti, di candelabri, di angiolotti, di tappeti. Solo lei riesce a portare via dai negozi le cose più care ai prezzi più ridicoli.
Mi guardo intorno: casa Fo-Rame è arredata con gusto sicuro anche se è una via di mezzo tra un museo d’arte moderna, una mostra di antiquariato e un magazzino di bric-à-brac: quadri d’autore e mobili autentici ’700 veneziano, ma anche ex-voto di santuari del Sud, pupi siciliani, statuine del presepio napoletano e. in una vetrinetta, come nel salotto della nonna, i tesori più assurdi: un putto che fa da portalampade, un servizio da toeletta liberty che si apre a ventaglio, borse di perline e porta pettini ricamati al piccolo punto, pastorelle di porcellana e tazzine con Pierrot illanguiditi in mezzo ai convolvoli.
«Ha visto come sono mostruosi? Così mostruosi che mi fanno tenerezza. Ma lui queste cose non le capisce. Un giorno stava buttando via tutto: l’ho fermato per miracolo».
«Non le dia retta: oggi è cattiva, non si sente bene. Franca, tesoro, perchè non ti rilassi?».
«Dario smettila di fare il clown, non vedi che non ci sono spettatori?». Un fuoco di fila di battute "cattive", una catena di piccole accuse senza rancore, la contraddizione continua di due persone le cui vite sono cucite insieme ma si snodano su temperamenti opposti. Il pepe nelle parole e la dolcezza negli sguardi. Ecco un colloquio qualsiasi, in un giorno qualsiasi, tra Franca Rame e Dario Fo. Quasi dieci anni di matrimonio, nessuna separazione neppure di "prova”, nessun flirt extraconiugale, neppure i letti divisi, all'americana, nella grande camera di stile romanico. Si stuzzicano, si prendono in giro, fanno i gelosi e i permalosi, aguzzano le unghie ma hanno le zampe di velluto, cercano di ringhiare ma hanno i dentini di latte.
Nonostante l’attività teatrale, Franca quest’anno ha interpretato anche un film, "Lo straniero”; Dario sta già scrivendo una nuova commedia. L’attrice è figlia d’arte, ma prima di entrare nel teatro ha tentato anche, per poco, la professione di infermiera; Fo ha fatto invece studi artistici all’Accademia di Brera.
«I coniugi che non litigano sono dei mostri», dice lei. «Il matrimonio senza umorismo non è una cola seria», dice lui. Ma non si accorgono di vivere in un ambiente che favorisce i distacchi e le dispersioni sentimentali? Risponde Dario Fo: «E’ vero, le unioni fra gente dello spettacolo sono sempre precarie, ma il nostro è un caso particolare, quasi unico nel teatro italiano. E' la condizione classica della Commedia dell'Arte: il capocomico che è anche autore dei copioni, sa che la primadonna sarà la moglie e costruisce il personaggio della protagonista su misura per lei e per nessun’altra attrice. E’ lo stesso meccanismo che si verificava nella famiglia di Franca: i testi che suo padre metteva in scena si chiamavano "Giulietta e Romeo” o "Le due orfanelle’. ma erano sua moglie, i suoi figli e i suoi nipoti e interpretarli. La nostra compagnia è un nucleo familiare: non è possibile intrecciare amori stagionali».
Risponde Franca Rame: «E’ vero. Se io recitassi a Pieve di Livinallongo e lui ad Alberobello forse non avremmo resistito. Però non si tratta soltanto di questo: noi stiamo bene insieme perchè c’è da parte di tutti e due un impegno molto forte. Voglio dire che il lavoro in comune è una molla importantissima».
«L’angelo del focolare — riprende Franca — non è la moglie che fa la calza accanto al caminetto; è una donna che vive a contatto con i problemi degli altri. Guardi, io non sono neppure negata per l'economia domestica. So preparare anche il risotto. Ma piuttosto che fare sempre la casalinga mi farei assumere come domestica a ore: almeno vedrei gente diversa».
Mamma Barnum
«Ma come si inseriscono i figli in questa concezione "antiborghese” del matrimonio?».
Dario: «I figli non sono indispensabili». Franca (guardandolo con l’espressione della tigre ferita): «Cosa dici? Dio, sei una jena. Io senza figli non potrei stare. In questo senso sono la tipica "mammona" italiana».
«Una madre di tipo viscerale?».
«No, questo no. Solo cerco di educare personalmente Jacopo».
Mentre parla Franca si è raggomitolata tutta nella sua vestaglia fatta in casa, come una grossa gatta. Ecco qui la biondona dalle scollature senza complessi, la maliarda che ama il lamé e il cincillà. «Mamma Barnum la chiamano quelli della compagnia, attori, suggeritori, elettricisti, trovarobe, tutti, insomma».
«Che cosa vuol dire?» chiedo. «Mamma Barnum era la vecchia terribile proprietaria del circo. Quando passava lei tacevano perfino i leoni».
«Ma io sono un agnellino: si è mai visto un agnello che fa paura alle belve?», dice Franca senza convinzione.
«A volte, durante le prove, può succedere che i miei attori si lascino un po’ andare, o meglio. recitino un po’ sopra le righe: è facile strafare quando si interpretano certi ruoli grotteschi. Ma poi. improvvisamente. come se fosse scattata una molla, tornano al tono giusto. E’ il segnale che è arrivata Franca: si nasconde in platea per indagare meglio, la nostra mammina Barnum. Bella lei». «Non gli crederà per caso? Nessuno sa raccontare le storie meglio di lui...». «Ma Franca non è domatrice solo in questo senso: il suo camerino sembra un confessionale. Tutti le chiedono consigli, per fare un acquisto, una cambiale che scade. il colore del rossetto, come comportarsi con la ragazza. Beni immobili e delusioni sentimentali, problemi di galateo e crisi religiose: tutto passa dalle sue fragili mani».
«Anche le questioni che riguardano soltanto voi due?», chiedo.
«Soprattutto quelle. Ogni copione nuovo le viene sottoposto, scena per scena. E quasi sempre è una crisi. Discutiamo ore ed ore e quando usciamo non camminiamo abbracciati come sempre ma a una certa distanza, per far capire a tutti che non ci siamo mai conosciuti. Poi, immancabilmente, mi chiudo nello studio e riscrivo da capo a fondo».
«E’ una resa per amore?». «No. per fiducia. Franca ha più intuito dei vecchi autori e dei registi incalliti perchè il teatro l’ha respirato fin da bambina, anzi ancora prima di nascere».
«Lei è gelosa del successo di suo marito?». «No, vorrebbe dire essere gelosa di me stessa, ma certe volte ci rimango male se in scena lui mi tronca una battuta. Non lo fa apposta: è trascinato dalla sua enorme vitalità di attore. Ma mi viene una rabbia... A proposito Dario, perchè ieri sera non mi hai lasciato finire la mia splendida risata di Giovanna la pazza? Credi che io sia la tua controfigura?».
Jacopo, otto anni, vive insieme ai genitori che ne seguono personalmente la educazione, nonostante i molti impegni teatrali. Le abitudini di casa Fo sono infatti semplici e senz’altro casalinghe.
Dario ride, mostrando tutti i suoi famosi denti sporgenti. Gli piace vedere la moglie che finge di arrabbiarsi. Non perchè sia un sadico ma perchè in quei momenti gli sembra che sia ancora più sua. Invece di rispondere si stira con soddisfazione nel suo grande pullover di cachemire grigio. Interrompo la sua beatitudine: «Ma anche lei è geloso del successo di sua moglie. Un mese fa, quando era impegnata nel film "Lo straniero”, le sue lamentele non finivano mai».
«Cosa c’entra la gelosia? Franca ha una salute di carta velina, non può sopportare due interpretazioni contemporaneamente. Infatti si è slogata un piede. E poi so che lontano da me, con un altro regista, non può lavorare». «Storie. Finalmente ero trattata come una vera primadonna: fiori, premure, pause continue, pensieri carini. Quando provo con te mi sento una schiava».
Mentre l’attrice fa la parodia della primadonna di tipo tradizionale, muovendo le labbra in una smorfia da schizzinosa e disegnando nell'aria grandi cerchi di fumo tipo Mata Hari, mi sembra di capire un'altra ragione dell'accordo di questa coppia: entrambi sanno prendere in giro se stessi. entrambi conoscono il rischio quotidiano dell'amore che diventa abitudine e lo allontanano, momento per momento, con l’umorismo che sdrammatizza i contrasti con la curiosità di nuove scoperte che rende impossibile la ruggine coniugale. Ma mi domando se queste qualità esistevano a priori, indipendenti dal loro incontro o se è stata l'influenza reciproca a maturarle. «Che cosa ha pensato di sua moglie la prima volta che l’ha vista?», domando a Fo «Che bona!», risponde mettendosi improvvisamente a fare capriole sul tappeto.
Il “Poer nano''
Ma Franca è diventata seria: «Ho incontrato Fo perchè lavoravamo insieme nella compagnia di rivista delle Nava. Mi ha colpito subito il fatto che era un gran timidone. Forse perchè era nuovo dell’ambiente — un intellettuale che veniva da Brera — non si comportava come gli altri, tutti baci, abbracci e manate sulle spalle. Se ne stava per conto suo e assomigliava al personaggio del suo sketch il "Poer nano". Era anche l'unico che non mi spogliasse con gli occhi. Se non fosse stato per la sua indifferenza non mi sarei mai messa in testa di conquistarlo.
«E’ stato faticoso?». «Eh si, ci sono voluti quindici giorni; non avevo mai impiegato tanto tempo prima di allora. Finalmente una sera l’ho tirato dietro una tenda, tra le quinte, e gli ho dato un bacio memorabile. Era fatta».
Non ho mai visto Dario Fo arrossire: è uno spettacolo buffo. Per darsi un contegno racconta: «La Franca non aveva una gran parte nella compagnia: troppo timida (anche lei) per spogliarsi, troppo vistosa per fare la comparsa. Cosi le avevano affidato una battuta: doveva dire "Il Coriolano in cinque atti”. Poi le avevano tolto anche quella, poverina, e l’avevano messa a suonare l’arpa, muta». «Già — riprende lei — ero piena di complessi, la vera negazione della soubrette, forse perchè con i miei avevo recitato soltanto in parti molto drammatiche, "La figlia maledetta”. ”Il povero spazzacamino della Val d’Aosta”, ”La cieca di Sorrento", "Il ponte dei sospiri” e così via. Se non fosse stato per Dario sarei ancora là a pizzicare le corde di una falsa.
Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXV, n.52, 28 dicembre 1963
![]() |
Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXV, n.52, 28 dicembre 1963 |