Giovanna Ralli: mi sfogo nei miei personaggi
Giovanna Ralli ha trovato finalmente nel film di Rossellini “Era notte a Roma” la possibilità di mostrare il suo talento e di liberarsi al tempo stesso della sua grande timidezza.
Roma, aprile
«Se non aveva piacere di vedermi — mi dice Giovanna Ralli — poteva dirmelo...». Curioso: avevo avuto la impressione esattamente contraria. parlandole al telefono. Forse per il tono chiuso, grave, della sua voce. Che non avesse voglia di vedermi. Cosi era nato l'equivoco. Glielo dico, e «Ah!», esclama Giovanna andando a sedersi su una poltrona di velluto noisette: metà convinta, ma con un’ombra di dubbio ancora nella voce. Gli occhi invece sono tranquilli, sereni.
E mentre mi siedo, oscillo fra la sensazione rassicurante che trasmette il suo sguardo. e il disagio della imprevista accoglienza. «Come mai — mi domando — un’attrice può dubitare che un giornalista voglia veramente vederla?».
Ci mettiamo a parlare e la risposta viene fuori da sola, a poco a poco. Dai suoi silenzi. Da certi impacci. Da alcuni atteggiamenti. Ed ecco che il ritratto della Ralli dello schermo: la ragazza romana semplice, aperta, impulsiva, scompare rapidamente. Intanto è timida. Mi vuol parlare del suo ultimo film: l’occasione più importante della sua carriera: ma non sa da che parte incominciare. Allora vi rinuncia e le viene un’idea. Si alza, esce un momento, rientra con un grande pacco di fotografìe del film Era notte a Roma, e le getta fra me e la sua timidezza. Vi fruga dentro, come un naufrago che ha trovato una tavola.
«Ecco — mi dice — questa è la scena in cui rimprovero Bondarciuk, il russo, perchè è scappato di casa rincorrendo un tacchino...». La guardo di sottecchi: china sulle foto del suo film, una larga ciocca di capelli neri le cade sul volto splendente. Mi accorgo che è giovanissima. Sono tanti anni che lavora nel cinema; ma potrebbe aver cominciato oggi. Ha 25 anni soltanto, «E questa — continua — è la scena in cui scopro che Renato, il mio fidanzato, partecipa alla lotta clandestina. Da qui, capisce. comincia la mia trasformazione...». Alza gli occhi, avvertendo la mia disattenzione, e di colpo respinge le foto lontano da sè.
E' molto sensibile, fino alla permalosità; come certe ragazze romane che nascondono il desiderio di sentirsi stimate dietro una maschera d’orgoglio. Durante la lavorazione del film, Rossellini se n’era accorto: e i primi giorni, mi racconta. era tutto elogi per lei. Ma una sera che fa? Esce dalla proiezione e non la guarda neppure. Lei era li, ad aspettare la sua razione quotidiana di stima. Ora si volta, si diceva; ora mi sorride; ora mi chiama e mi dice "brava”. E invece niente; e anzi. Dio mio che vergogna!, chiama il suo partner e si mette a congrà; tularsi con lui. «Gli occhi — dice Giovanna — mi erano arrivati per terra». Poi di colpo il regista si volta e scoppia in una grande risata.
«L’aveva fatto apposta, capisce — mi spiega — per tenermi sulle spine». E dal tono con cui lo dice e lo ripete: «Lo aveva fatto apposta» capisco che essa teme che io possa fraintenderla. Malgrado non ce ne sia motivo. Ma la Ralli ha poca fiducia nelle sue parole; è addirittura ossessionata dalla paura di non riuscire a comunicare con gli altri. Lo si avverte dai suoi silenzi, dal modo come, dopo aver iniziato un discorso, lo abbandona: ma, soprattutto, dalla sua malinconia. E’ una ragazza chiusa, inibita. Scontenta di questo suo isolamento, ma incapace di vincerlo. «E allora sa che faccio? Mi sfogo nei miei personaggi...».
Recitare è per lei una specie di liberazione. Appena mette piede sul set, si trasforma. E’ come se, dentro, le si accendesse una lampadina verde: via libera: alle lacrime, alla gioia, alla dolcezza, all’ira. «Da quel momento — dice — io non vedo più niente intorno a me. Regista. Operatore. Tecnici. Macchina da presa. Niente. Credo a tutto quello che dico e che faccio, dimenticando il resto». E da ragazza chiusa, timida, malinconica co-m’è, diventa allegra, aggressiva, disinvolta, impulsiva. Non è un recitare il suo; è un modo di vivere. E guai se si accorge. per un motivo qualsiasi, che sta recitando: smette. Una volta le accadde a Bologna, in teatro, e mentre cantava, interruppe la canzone a metà.
Così, da questo "negativo” del suo carattere, sono nati tutti i suoi personaggi: dalla ragazza spensierata di Villa Borghese alla popolana semplice, che si matura con l’esperienza, del film di Rossellini. Tutti personaggi veri, perchè altrimenti non saprebbe crederci; e tutti romani, il che. dice, non significa una limitazione, perchè un’attrice non è mica brava quando cambia di continuo parte, ma quando (vedi la Magnani, la Monroe) approfondisce un tipo. Sotto questo aspetto, il personaggio che ha interpretato nel nuovo film di Rossellini costituisce un prolungamento del suo passato, e un grande salto in avanti. Renata infatti è una ragazza romana, semplice, vitale, che fa la borsa nera e pensa a sopravvivere; ma gli avvenimenti cui partecipa la cambiano fino al punto che prende coscienza di certi doveri di carattere morale.
La tensione con cui ha girato questo film, il nervosismo, l’ansia, la passione. I primi giorni tendeva a strafare, e Rossellini, calmo, «vacci piano» le ripeteva. «Aveva ragione — dice — perchè è facile sbragare un personaggio romano. Sarebbe riuscito più divertente, ma meno vero». E poi, preso il ritmo giusto, le emozioni non sono affatto finite; anzi, ogni giorno una nuova. In scena e fuori scena. Rossellini lo conosceva già, da vari anni, ma non aveva mai lavorato con lui. Che fascino, che sobrietà, che calma: pochi suggerimenti prima di girare, e via. E poi recitare con quegli attori! Leo Genn, così fine, così inglese; e Bondarciuk, così umano e sincero, un uomo di un altro tempo; e Peter Baldwin.
Nel corso di un solo film, la Ralli ha totalizzato una quantità di esperienze: artistiche e umane. Ha interpretato un ruolo che, per tanti aspetti, è stato paragonato a quello della Magnani in Roma, città aperta. «E’ una Magnani giovane» è stato detto da chi ha visto il film. Giovanna ne è lusingata e preoccupata. «Ma sono due ruoli diversi» dice. Ha lavorato con tre attori, di tre Paesi diversi: un inglese, un russo e un americano. E’ come aver visitato tre Paesi. E ha imparato a conoscere e giudicare, vivendo la sua parte, fatti e avvenimenti della nostra storia recente, di cui le era giunta solo un’eco nell’adolescenza: la guerra, il fascismo, la resistenza, la necessità della lotta, della scelta dei sacrifici.
Da un anno circa, l’attrice vive nell’orbita di Rossellini e dei suoi amici. Va a cena con sceneggiatori e artisti. Ascolta, discute. Ha imparato il significato di certe espressioni culturali. Si reca a tutte le mostre, s’interessa di pittura. «Vuol vedere i miei quadri?» mi dice d’improvviso; e, senza attendere la mia risposta, mi fa strada verso un’altra stanza, dove conserva tre grandi disegni di Rosai. Una strada di campagna e due trattorie, piene di omini e di fumo. «Belli vero? E poi sono del ’32. Adesso vorrei comprare alcuni quadri di Spazzapan, ma non degli ultimi, quelli del periodo astratto. Perchè io — aggiunge con il suo modo semplice e sincero, da cui esula ogni snobismo, — non capisco l’astrattismo. Perchè complicare le cose, quando la realtà è così bella!».
A. D., «Tempo», anno XXII, n.16. 16 aprile 1960 - Foto Paolo Costa
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A. D., «Tempo», anno XXII, n.16. 16 aprile 1960 - Foto Paolo Costa |