Scilla Gabel sembrava nata nel deserto
Le tempeste di sabbia hanno reso Scilla Gabel allegra ed euforica: era l’unica attrice della troupe del film “Sodoma e Gomorra” che non soffrisse per il caldo e per il desolato paesaggio del Marocco
Roma, giugno
«Sì, è stato un po’ seccante», ha detto con sobrietà Scilla Gabel al suo rientro in Italia; ma non alludeva alle condizioni climatiche proibitive che hanno reso così difficile l'ambientazione in Marocco della foltissima troupe del film Sodoma e Gomorra; non alludeva al caldo soffocante di Ouazazat, 60 gradi di media, all’atmosfera arsa che metteva addosso una sete terribile, al freddo pungente della notte, al cibo pesante (con la carne di cammello come piatto forte), a tutti quegli inconvenienti che hanno gettato Annamaria Pierangeli in uno stato di crisi nervosa, reso Stewart Granger, veterano di film africani, più che mai malinconico e scontroso, faticosissime le giornate di tecnici e generici, e hanno fatto ammalare Rossana Podestà, costringendola a lasciare la troupe e a rientrare in Italia.
Il "seccante” di Scilla si riferiva semplicemente a certe particolarità del suo lavoro, per cui dovendo interpretare la parte di una ragazza di Sodoma che tradisce il suo re, questi la sottopone ad un supplizio degno di Sade, mettendola in una segreta insieme ad un prigioniero cieco, che indossa una corazza irta di pungiglioni; e per quanto gli aculei fossero spuntati, recitare in quelle condizioni non era davvero l’ideale. Secondo un machiavello inventato dal regista Aldrich, quando il suo compagno di cella respirava gli spunzoni fuoriuscivano dalla corazza e andavano a piantarsi nella sua pelle. «Era un po’ seccante», ha ripetuto Scilla; ma, a parte ciò ( «e del resto — ha aggiunto — la professione è fatta anche di queste cose...»), tutto il resto non ha minimamente intaccato nè la sua salute nè il suo buonumore.
Il caldo, invece di deprimerla, le dava una certa euforia; le tempeste di sabbia l’incuriosivano e l’eccitavano; il desolato paesaggio di terra rossa, cento chilometri dopo l’Atlante in faccia al deserto, fino al quale Aldrich aveva trascinato la troupe alla ricerca di una probabile Sodoma, l’affascinava; e mentre gli altri soffrivano, si rimpinzavano di pillole, lei si trovava perfettamente a suo agio, come se fosse nata e avesse sempre vissuto lì, alle soglie del Sahara. In Marocco, Scilla ha trovato perfino il modo di divertirsi. Ha partecipato ad una caccia al muflone, si è fatta predire il futuro da una chiromante, ha acquistato enormi cappelli di paglia e camicie trasparenti al mercato di Marrakesh; e al momento della partenza, era fresca e rosea, nemmeno un dito di tintarella, come quando era arrivata.
Appassionata di nuoto, Scilla Gabel dedica a questo sport tutti i suoi momenti di libertà. La foto ritrae l'attrice mentre si riposa lungo il Tevere.
Il segreto di questa "salute” è anche il segreto del successo di Scilla Gabel, cioè di una ragazza che è riuscita a trasformare se stessa, a forza di volontà, ginnastica, studio, caparbietà, cura del corpo, vitamine, libri, operazioni chirurgiche, esperienza ed umiltà nei confronti del lavoro, in un prodotto tecnicamente perfetto. Scilla ha fatto carriera e il lavoro certamente le piace, ma il mondo del cinema non ha certo influito sulla sua personalità. E’ rimasta la ragazza di un tempo, contraddittoria e inquieta. Non ha rinunciato, per il suo mestiere, a nessuna sfumatura del suo carattere; è rimasta fedele a se stessa e ne è fierissima, consapevole, come di una grande conquista.
La dura lotta che ha dovuto ingaggiare per superare, fuori e dentro di sè, il "complesso” della controfigura di Sofia Loren, la necessità d’inventare una nuova Gabel, diversa da come sua madre la aveva fatta e il cinema inizialmente adoperata, il successo riportato in questa difficile operazione, hanno creato in lei un abito mentale squisitamente professionistico, un’abitudine all’efficienza, per cui Scilla si trova a suo agio in qualsiasi situazione, sotto qualunque clima, ed è adatta a tutti i ruoli. Forse si può anche arrivare a dire che quella snervante e puntigliosa cura usata dall’attrice per differenziarsi dalla Loren, è stata alla fine utile a creare un’interprete che sa vedere dentro di sè e sa valutare criticamente con esattezza, le "cose" della professione.
Mai l’aggettivo "professionista" è stato usato così a proposito come nei suoi confronti. Ex campionessa di nuoto, essa continua ancora a dedicare alla ginnastica un’ora di tempo tutte le mattine, e il suo corpo è un ingranaggio sempre perfettamente oliato. Attrice di cinema, non sdegna la controprova del teatro, e anzi se ne serve come un tirocinio per migliorare la sua recitazione. Il lavoro finora è la sua unica "distrazione”, e sono poche le attrici che come lei sanno stare al loro posto, comportarsi come il faut con tutte le persone, dai giornalisti ai fotografi ai produttori, che hanno a che fare con il suo lavoro. Con la stampa Scilla è cordiale, priva di pose ma non di malizia; fatale se si tratta di un uomo, diventa angelica con le giornaliste; e per i fotoreporter è un soggetto ideale.
Giorni fa si è recata nello studio di un noto fotografo, a posare per un "servizio” a colori. Questi servizi richiedono di solito una laboriosa preparazione, l’attrice o non sa posare o ha paura di venir male, fra una cosa e l’altra se ne va quasi una giornata. Scilla ha cominciato alle 9 e alle 9.45 aveva finito. Il fotografo era stupefatto, non tanto della disinvoltura di Scilla davanti all’obiettivo, quanto della sua abilità nel posare e della incredibile rapidità con cui s’era cambiata toilette. Arrivata con una gonna a pieghe e una camicetta celeste, ha utilizzato questo vestito per una serie di foto; poi se l’è tolto ed è rimasta con un costume a strisce; infine, e qui il fotografo cominciava a preoccuparsi, si è levata anche il costume a strisce, rivelando che sotto ne aveva uno rosso.
NATA IN ROMAGNA, Scilla Gabel abita a Roma con la famiglia. Ha appena finito di girare "Sodoma e Gomorra”; un film del regista americano Robert Aldrich, che racconta le vicende delle due bibliche città del vizio e della corruzione. Ha ora in programma, in Jugoslavia, un film storico: ”Il ratto delle Sabine”, nel quale interpreta la parte della prima moglie di Romolo.
Si tratta di un piccolo episodio, che però dà un’idea del suo modo di concepire il lavoro di attrice come un mestiere qualsiasi, da farsi senza perdite di tempo e senza smancerie inutili, con esattezza, precisione, senso pratico e conoscenza di causa: in tutti i suoi settori, da quello pubblicitario a quello interpretativo vero e proprio. E del resto, quando Scilla dice: «Basta con i sentimentalismi: l’era dei gigioni è finita, e con essa è finita la possibilità d’imporre al pubblico quello che si vuole avallandolo con un certo nome...; noi attori siamo dei professionisti seri, coscienti del nostro dovere», dice una cosa giusta e ormai valida per tutti. Lo dimostrano gli insuccessi di alcune "grandi” attrici, appena si trovano fuoriposto, in ruoli non adatti a loro, o l’inutile affannarsi di alcune "piccole", e tuttavia notissime perchè pompate dalla pubblicità. Scilla non è nè l’uno nè l’altro tipo di attrice.
Essa appartiene ad una terza categoria, composta da coloro che hanno una modesta notorietà e realizzano molto, che non fanno parlare di sè ma allineano nella loro scheda filmografica una notevole quantità di titoli, che al cinema "si vedono” e stanno bene nel loro ruolo, di qualsiasi genere sia, drammatico o brillante. I produttori l’hanno capito e la Gabel, che ha girato in sei anni 19 film, passa da un film all’altro, da un Paese all’altro. Mentre era in Marocco, è corsa in Francia a terminare Il pozzo delle tre verità, con la Morgan e Brialy; ora è andata in Jugoslavia, a girare un film in costume sul ratto delle Sabine; a luglio si recherà a Londra a interpretare una storia moderna, prodotta dalla "Metro”.
«Sì, ma non ha ancora sfondato...», si dice di lei. E’ vero, e si sente; cioè si sente lo sforzo continuo che fa per essere alla pari con le altre, quelle che su di lei hanno il vantaggio di avere alle spalle chi le sostiene e non sono partite come lei in modo sbagliato, dal limbo delle controfigure; ma è vero anche che il cinema sarà sempre più fatto da attori e da attrici che «non hanno sfondato», da professionisti seri, perchè l’ "epoca dei gigioni" è veramente finita.
A.D., «Tempo», anno XXIII, n.26, 1 luglio 1961 - Fotografie di Angelo Frontoni
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A.D., «Tempo», anno XXIII, n.26, 1 luglio 1961 - Fotografie di Angelo Frontoni |