Folco (Brunelleschi Lazzeroni)

Folco

Nato a Imola nel 1922, è stato un costumista e bozzettista teatrale.

Nipote dello scenografo Brunelleschi, attivo in Francia, Folco Lazzeroni Brunelleschi lo raggiunge a Parigi nel 1938 per essere introdotto nel mondo della pittura, ma finisce per frequentare soprattutto il teatro. Approfitta del rientro in Italia a causa della guerra per studiare legge all’università di Firenze.

Inizia l’attività professionale realizzando i costumi per Wanda Osiris nello spettacolo L’isola delle sirene (1946) e diventa ben presto il costumista più ricercato del teatro di rivista. Per la Osiris concepisce le famose crinoline che diventano via via più ampie e fastose negli allestimenti di

Si stava meglio domani (1948)
Al Grand Hotel (1948)
Galanteria (1951)
Made in Italy (1953)
Okay fortuna! (1956)
I fuoriserie (1958).


La rivista è sicuramente il genere di spettacolo più difficile per un costumista. I riferimenti sono minimi, voglio dire che, se viene deciso per esempio di fare un quadro coreografico d’ispirazione orientale, il costumista deve dimenticare tutto ciò che ha a che fare con l’oriente tradizionale e lavorare solo di fantasia, in modo però che il pubblico capisca ugualmente che si tratta di costumi orientali.

Un bel figurino ben disegnato non sempre si trasforma in un bel costume, una volta realizzato. È necessario tener conto dei materiali da usare e del contenuto, gambe, fianchi, seni, non sempre perfetti, ma che si deve cercare di fare apparire tali.

È luogo comune che i costumi di rivista siano fatti di lustrini e piume, moltissimi altri materiali possono raggiungere ottimi effetti. Io ne ho adoperati di tutti i generi, dalla paglia alla plastica, dalla gomma al metallo, a questo proposito ricordo che una volta, per uno spettacolo a Las Vegas, ho usato con successo i grembiali di maglia metallica che adoperano i macellai dei Mercati Generali di Parigi per evitare di ferirsi quando dividono i quarti dei bovini appoggiando i grossi pezzi di carne allo stomaco. Naturalmente, parlando dei materiali più usati, è ovvio che i lustrini, le piume, i velluti, le sete, le pellicce, gli strass, sono sempre al primo posto, perché la cosa più importante è di valorizzare al massimo la bellezza femminile e, con l’aiuto del costume, del trucco, delle acconciature, di tutti i mezzi possibili a disposizione del costumista, creare un tipo di donna fuori dalla realtà, quasi di favola. La rivista, in fondo, è proprio la favola dei grandi.

(...) In Italia, dopo il 1945, cominciò un vero periodo d’oro della rivista. In quegli anni, per ogni stagione teatrale, si formavano da dieci a quindici compagnie di rivista e in quasi tutte le vedette era un uomo, il comico, mattatore indiscusso anche se affiancato da nomi femminili più o meno prestigiosi.' Tra i più famosi di questi “comici” Totò, Macario, Renato Rascel, Nino Taranto, Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Billi e Riva, Carlo Dapporto, ecc.

Famose erano le “donnine di Macario”, giovanissime ragazze molto avvenenti e pochissimo vestite; ricordo che in qualche occasione è intervenuta anche la censura che però è sempre stata piuttosto indulgente a differenza di quanto succedeva anni fa per la rivista televisiva. Anche se pare un controsenso, una delle cose più difficili per il costumista di rivista, è disegnare per il “nudo” (cosi si dice in linguaggio tecnico). Proprio cosi, creare costumi sfarzosi lasciando scoperta la maggior parte del corpo non è una impresa delle più semplici, e occorre molta esperienza e buon gusto per ottenere l'effetto spettacolare e non cadere nella volgarità.

È facile capire che per produrre una rivista a grande spettacolo è necessario disporre di grossi capitali, e la spesa maggiore è proprio data dai costumi. Questi vengono eseguiti da sartorie specializzate, trattandosi di una lavorazione completamente diversa da quella di una regolare sartoria, cosi come esistono artigiani opportunamente preparati per la lavorazione delle piume, per i ricami, le acconciature, le scarpe, le parrucche, la bigiotteria. Purtroppo questa categoria di lavoratori dello spettacolo va lentamente scomparendo, anzi in certi paesi non esiste già più. Le riviste che si formano, per esempio, negli Stati Uniti sono fornite quasi esclusivamente di costumi importati dall’Europa.

Folco


LA SETTIMANA INCOM / 00983
Sofia Loren protagonista del film di fracassi "Aida"; Aeroporto di Ciampino: Amedeo Nazzari in partenza per Parigi dove interpreterà un film in costume ambientato nella Vandea del 1793; si prova la nuova rivista di Paone, scritta da Garinei e Giovannini, di cui saranno protagonisti la Osiris e Macario.


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In Sogni di una notte di quest’estate (1949) le cuce addosso un abito di lamé nero che la esalta nel numero della Luna d’oriente , mentre per il solo vestito con cui chiude Festival (1954) spende l’astronomica cifra di 600.000 lire. Viene chiamato a realizzare i costumi di tutte le primarie compagnie di rivista; Remigio Paone gli commissiona quelli di:

Quo vadis? (1950)
Il terrone corre sul filo (1955)
A prescindere… (1957),

per Dapporto crea gli abiti di:

Buon appetito (1949)
Snob (1950),

per la compagnia di Taranto gli estrosi abbigliamenti di:

Nuvole (1948)
Appuntamento in palcoscenico (1950),

con Walter Chiari collabora a:

Gildo (1950)
Tutto fa Broadway (1952)
Oh quante belle figlie Madama Dorè (1955)

e con Macario a L’uomo si conquista la domenica (1955).

Sulla scena veste le soubrette più ammirate come Elena Giusti in Buondì zia Margherita (1949), Lauretta Masiero in Baracca e burattini (1953), Isa Barzizza in Valentina (1955), Valeria Fabrizi in Una storia in blue-jeans (1959), trovando per ciascuna la giusta nota capace di valorizzarla.

I suoi costumi seguono sempre un’idea di teatralità molto forte e vengono concepiti in stretta correlazione con la scenografia e le coreografie dei numeri collettivi. Spesso sono eccessivi e iperbolici ma comunque eleganti e funzionali ai personaggi e alla finzione scenica. Sovrabbondano fino all’esagerazione in lustrini e piume ma si arricchiscono a seconda delle esigenze di materiali tra i più vari come la paglia e la plastica, la gomma e il metallo.

In uno spettacolo a Las Vegas utilizza addirittura i grembiali in maglia d’acciaio indossati dai macellai. Per questa rara capacità di esaltare il corpo femminile sulla scena, il celebre Lido di Parigi lo chiama a prendere il posto di Erté nella realizzazione dei costumi per i propri spettacoli più importanti come:

Désirs (1954)
Voulez-vous? (1956)
C’est magnifique (1957)
Una noche en el Lido de Paris (1956), allestimento prodotto per la tournée in America Latina.



Anche la televisione gli affida la creazione di costumi, prima per trasmissioni di prosa come Il gabbiano (1957), di lirica come Bohème (1954) e di sceneggati a puntate come Il Romanzo di un giovane povero (1957) e successivamente per tutti i più popolari varietà del sabato sera. A partire da Giardino d’inverno (1961), dove firma l’abbigliamento delle Bluebell, sono suoi i costumi delle varie edizioni di Studio Uno (1961-1967) durante le quali veste tanto le gemelle Kessler che Mina. Realizza anche tutti gli abiti degli otto episodi del ciclo della Biblioteca di Studio Uno (1964). In tempi più recenti crea gli abiti di scena per moltissimi spettacoli dei music-hall di Las Vegas e quelli della commedia musicale Se il tempo fosse un gambero (1987) per la compagnia Garinei e Giovanini.


Folco e i suoi costumi

La rivista, forma di teatro di cui la Francia, e più esattamente Parigi, vanta il titolo di caposcuola, è uno spettacolo essenzialmente visivo; è ovvia' perciò la funzione determinante dei costumi, che devono essere creati appositamente tenendo conto sia dell’effetto particolare e collettivo che si vuole ottenere, sia delle molteplici esigenze dello spettacolo stesso.

Importantissimo, per la creazione di una rivista, una buona équipe ben affiatata (per équipe intendo: l’autore, il coreografo, il musicista, lo scenografo e, naturalmente, il costumista). Si tratta di un lavoro di strettissima collaborazione in quanto non ha senso, per esempio, disegnare costumi con i quali il coreografo non possa far muovere i ballerini oppure usare colori che non armonizzano con le scenografie. Questo discorso, naturalmente, vale per ogni componente dell’équipe nei confronti degli altri, ed è essenziale arrivare ad un accordo generale prima di iniziare il lavoro vero e proprio di preparazione.

La rivista è "sicuramente” il genere di spettacolo più difficile per un costumista. I riferimenti sono minimi, voglio dire che, se viene deciso per esempio di fare un quadro coreografico d’ispirazione orientale, il costumista deve dimenticare tutto ciò che ha a che fare con l’oriente tradizionale e lavorare solo di fantasia, in modo però che il pubblico capisca ugualmente che si tratta di costumi orientali.

Un bel figurino ben disegnato non sempre si trasforma in un bel costume, una volta realizzato. È necessario tener conto dei materiali da usare e del contenuto, gambe, fianchi, seni, non sempre perfetti, ma che si deve cercare di fare apparire tali.

È luogo comune che i costumi di rivista siano fatti di lustrini e piume, moltissimi altri materiali possono raggiungere ottimi effetti, lo ne ho adoperati di tutti i generi, dalla paglia alla plastica, dalla gomma al metallo, a questo proposito ricordo che una volta, per uno spettacolo a Las Vegas, ho usato con successo i grembiali di maglia metallica che adoperano i macellai dei Mercati Generali di Parigi per evitare di ferirsi quando dividono i quarti dei bovini appoggiando
i grossi pezzi di carne allo stomaco.

Naturalmente, parlando dei materiali più usati, è ovvio che i lustrini, le piume, i velluti, le sete, le pellicce, gli strass, sono sempre al primo posto, perché la cosa più importante è di valorizzare al massimo la bellezza femminile e, con l’aiuto del costume, del trucco, delle acconciature, di tutti i mezzi possibili a disposizione del costumista, creare un tipo di donna fuori dalla realtà, quasi di favola. La rivista, in fondo, è proprio la favola dei grandi.

È chiaro, con questo, l’importanza del rapporto di amicizia e di comprensione con le persone per le quali si lavora. Le vedettes sono tutte difficili e facili a seconda di come si prendono - di solito le più difficili sono quelle che non sono sicure dei propri mezzi, comunque hanno tutte estremamente bisogno di essere aiutate dal costumista che deve riuscire a nascondere i difetti e a mettere in valore i pregi fisici di ognuna. - È quasi il rapporto di confidenza e fiducia che si instaura fra medico e paziente.

La mia vedette preferita? Un balletto, le "Bluebell girls" - giovani, belle, gambe lunghe, alte minimo un metro e settantacinque, e disciplinate, il che non guasta quando, in uno spettacolo, si ha a che fare con quaranta o cinquanta ragazze ognuna delle quali ha una infinità di problemi, tipo la scarpa stretta, l’orecchino che cade, l’acconciatura che le va di traverso quando balla, il colore che, in fondo, non le dona ecc. ecc.

I colori stessi possono creare dei problemi: in Italia non piace il viola (Wanda Osiris aveva decretato che porta male), in Francia è il verde perché pare significhi scarso successo finanziario (“essere al verde”), in Spagna non amano il giallo, negli Stati Uniti il nero, lo non mi sono mai preoccupato di queste fisime, i colori sono tutti belli ed è opportuno che siano ben dosati e bilanciati nell’arco dello spettacolo.

La moda ha sempre influenzato moltissimo il costume di rivista, parlo al passato perché, in questi ultimi anni, è piuttosto il costume che ha influenzato la moda.

Quando si dice rivista, si pensa ragazze, tante e belle, ma anche l’uomo ha la sua funzione importantissima: la soubrette, per esempio, deve essere circondata dai ballerini per avere una deqna cornice, ma qualche volta anche per evitare confronti che potrebbero essere non tutti a suo vantaggio. Impensabile una coreografia senza i "boys” che, tuttavia sono spesso tenuti un po’ in secondo piano.

In Italia, dopo il 1945, cominciò un vero periodo d’oro del'a rivista. In quegli anni, per ogni stagione teatrale, si formavano da dieci a quindici compagnie di rivista e, in quasi tutte la vedette era un uomo, il comico, mattatore indiscusso anche se affiancato da nomi femminili più o meno prestigiosi. Tra i più famosi di questi "comici” Totò, Macario, Renato Rascel, Nino Taranto, Wa'ter Chiari, Ugo Tognazzi, Billi e Riva, Carlo Dapporto, ecc.

Famose erano le “donnine di Macario” giovanissime ragazze molto avvenenti e pochissimo vestite; ricordo che in qualche occasione è intervenuta anche la censura che però è sempre stata piuttosto indulgente a differenza di quanto succedeva anni fa per la rivista televisiva.

Anche se pare un controsenso, una delle cose più difficili per il costumista di rivista, è disegnare per il "nudo” (così si dice in linguaggio tecnico). Proprio così, creare costumi sfarzosi

lasciando scoperta la maggior parte del corpo non è una impresa delle più semplici, e occorre l'effetto spettacolare e non cadere nella volgarità.

Parlando della grande abilità di questi “artigiani-artisti”, fra i quali gli italiani eccellono, mi rammento di un fatto capitatomi alcuni anni fa.

Preparavo un grosso spettacolo per l’America, tutti i costumi, e gli accessori connessi, erano stati preparati a Parigi e già spediti per aereo cargo a destinazione, io dovevo seguire alcuni giorni più tardi.

Il mattino della mia partenza, la persona che aveva fabbricato tutta la bigiotteria occorrente allo spettacolo, su miei disegni naturalmente, mi telefona per dirmi di aver dimenticato di unire al materiale già partito, una serie di ventiquattro paia di orecchini di strass.
È facile capire che per produrre una rivista a grande spettacolo è necessario disporre di grossi capitali, e la spesa maggiore è proprio data dai costumi. Questi vengono eseguiti da sartorie specializzate, trattandosi di una lavorazione completamente diversa da quella di una regolare sartoria, così come esistono artigiani opportunamente preparati per la lavorazione delle piume, per i ricami, le acconciature, le scarpe, le parrucche, la bigiotteria. Purtroppo questa categoria di lavoratori dello spettacolo va lentamente scomparendo, anzi in certi paesi non esiste già più. Le riviste che si formano, per esempio, negli Stati Uniti sono fornite quasi esclusivamente di costumi importati dall’Europa.

Trattandosi di un pacchetto non ingombrante, mi offro di portarlo io stesso, e lo metto nella mia valigia.

Rivedo ancora l’espressione del giovane doganiere yankee quando, esaminando il contenuto del mio bagaglio, e aperto il pacchetto in questione, gli è scivolata fra le dita questa cascata rutilante di diamanti, i suoi occhi tradivano l’eccitazione di trovarsi di fronte alla grande occasione, al colpo grosso smascherato, al contrabbando internazionale.

Non è stato né facile né piacevole convincerlo a rinunciare alla torta che si aspettava; finalmente si è dovuto ricorrere ad un esperto e dimostrare come e perché ero in possesso di questa roba.

Devo dire che nel nostro mondo capitano spesso situazioni che ad un occhio profano possono sembrare assurde ed incredibili e che invece fanno parte della logica particolare del “nostro mondo". Perché è proprio speciale, e differente completamente da quello del cinema e della televisione per il contatto tangibile con quel giudice indiscusso che è il pubblico dei teatri di tutto il mondo e che richiede alla rivista qualche ora di evasione dalla monotonia della realtà, senza la preoccupazione di afferrare il messaggio, saziandosi di luci, di musica, di tutti belli, tutti sorridenti, tutti felici, e LEI... stupenda!

Ora cosa posso dire della rivista nel nostro paese, oggi? “C’era una volta la rivista...”

Folco


Riferimenti e bibliografie: