Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1956




Indice degli avvenimenti importanti nel 1956

19 gennaio 1956 Ad Antonio de Curtis il premio Medaglia d'Oro "Una vita per il cinema" 

Aprile 1956 Conferenze stampa di presentazione della prossima rivista dal titolo "A prescindere". Il 20 novembre l'esordio-pilota a Perugia e il 23 novembre "prima" ufficiale al Teatro Sistina di Roma.

Nel dicembre del 1955 si celebra il processo ai danni dalla professoressa Gemma Traginelli, segretaria del Canonico del Pantheon, accusata di ricatto ai danni di Antonio de Curtis. Il 3 febbraio 1956 la Traginelli viene condannata dal Tribunale di Roma

Nonostante le sentenze giudiziarie a favore del principe de Curtis circa il riconoscimento di legittimità di appartenenza al trono di Bisanzio ai danni di Marziano Lascaris Lavarello, quest'ultimo il 18 novembre 1956 si fa incoronare imperatore in una sfarzosa, suggestiva e folcloristica cerimonia.

20 dicembre 1956 Al teatro Sistina di Roma ha luogo lo spettacolo, a cui partecipa Totò, organizzato dal settimanale "Sorrisi e Canzoni" a favore della Croce Rossa Italiana per i profughi ungheresi

Indice della rassegna stampa dei film per l'anno 1956

La banda degli onesti (Distribuzione 20 marzo 1956)

Totò, lascia o raddoppia? (Distribuzione 24 aprile 1956)

Totò, Peppino e... la malafemmina (Distribuzione 11 agosto 1956)

Totò, Peppino e i fuorilegge (Distribuzione 18 dicembre 1956)

Altri artisti ed altri temi


Totò

Articoli d'epoca, anno 1956

17 Gen 2014

Mario Di Gilio, l'uomo che faceva ridere Totò

E TOTÒ DISSE A DI GILIO: «IO FACCIO RIDERE IL PUBBLICO, TU FAI RIDERE ME» Mario, facciamola finita. Restituisci la mia identità, se no ti taglio i viveri. Me so' scassato 'o cazzo di essere te. Mario di Gilio: «Io e il Principe, le due facce della…
Daniele Palmesi, Federico Clemente, Simone Riberto
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17 Gen 2014

Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata...

Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata... Indice Premessa Cronistoria delle vicende processuali Documentazione ufficiale Sintesi della riconosciuta discendenza nobiliare Galleria fotografica e rassegna stampa Gli antagonisti:…
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13 Set 2014

Marziano II Lavarello, Imperatore di Bisanzio?

MARZIANO II, IMPERATORE DI BISANZIO? Totò e Marziano, in lotta per il titolo di Imperatore di Bisanzio: i fatti La vicenda ha inizio alla fine dell'anno 1952 qundo il Conte Luciano Pelliccioni Di Poli (consulente araldico di Totò) presenta alla…
Daniele Palmesi - Federico Clemente
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«Tempo», 26 gennaio 1956

19 gennaio 1956: Premio Medaglia d'oro "Una vita per il cinema" a Totò con la seguente motivazione: «Per aver creato con la sua inconfondibile personalità di attore, un genere di film che ha suscitato un così vasto consenso di pubblico, contribuendo validamente all'affermazione del film comico in Italia» - Qui la rassegna stampa dell'evento


Il popolare attore Totò si è iscritto al Sindacato attori della Federazione unitaria lavoratori dello spettacolo (Fuls) aderente alla Cisl. Nel consegnargli la tessera, il segretario generale della Fuls, Claudio Rocchi, ha espresso al principe de Curtis la simpatia dei lavoratori dello spettacolo. L'attore ha a sua volta dichiarato di considerarsi lieto di essere entrato a militare nelle file di un sindacato libero.

«La Stampa», 10 gennaio 1956


Dopo «Siamo uomini o caporali» Totò vorrebbe adeguarsi a nuove misure di comicità. Sulla base del comico ormai noto ed amato dal pubblico, egli intende indossare la veste di buffo e un po’ amaro filosofo, di malinconico moralista. Lo ritroviamo così in «Destinazione Piovarolo», un film che ci riconduce — esaminandolo come tema e fatte le debite proporzioni — al binomio Zampa-Brancati. La vita di un capostazione relegato in una sperduta stazioncina dove è costretto a restare dalla vigilia della «Marcia su Roma» ai giorni nostri, rappresenta uno scorcio di storia e di costume la cui scelta pare rifarsi alle influenze moralistiche dello scomparso scrittore siciliano. Gli sceneggiatori. da parte loro, hanno allineato con gusto ed umoristico rilievo le progressioni cronistoriche costituenti gli avvenimenti più notevoli di un periodo in cui superficialità ed assurdo giocarono ruoli importanti.

Per questo le situazioni di «Destinazione Piovarolo» possiedono ampia dose di credibilità anche sotto il disegno macchiettistico impressovi dal protagonista. E per la stessa ragione si sarebbero prestate a sviluppi maggiormente verosimili, ad un vero assommarsi di grottesco e di umano, di patetico e di comico, tale da richiedere allo stesso Totò una più impegnata partecipazione d’interprete come fu per il Taranto di «Anni facili». Ma l'occasione è andata perduta. Si è concesso tutto alla «scenetta» e non si sono creati attorno a Totò personaggi altrimenti intesi dalla azione di contrasto comico i nomi non mancavano; Stoppa, Carotenuto, Viarisio, Foà, Besozzi, Trieste si sono limitati, volta a volta, a funzionare da «spalla».

Tuttavia i tempi di «Totò Tarzan» paiono ormai scomparsi e, rispetto alle precedenti produzioni, l'odierno Totò si presenta mondo di lepidezze da strapazzo, alieno da scurrilità da avanspettacolo. Perchè insistere ancora su alcune sue consuete mimiche o su noti e caricaturali atteggiamenti» serie? Scordiamo il Totò che si muoveva seguito mossa mossa dal batterista e atteniamoci alle sue intenzioni che sappiamo serie ed orientate verso piani artistici. Sono appunti che muoviamo — anche nel caso dell'attuale film — agli scenaristi che si compiacciono di ridicolizzare la scena della fermata del rapido col capostazione che fa segnalazioni come un ragazzino che giochi «al vigile urbano». Lo stesso deve dirsi per il regista che dovrebbe attenersi al non lieve compito di frenare e guidare un attore tanto esuberante.

Tuttavia le nostre parole, più che severità di critica nei confronti del film, vogliono ancora puntualizzare la necessita di non creare attorno a Totò nessuna facile concessione col pretesto di «tanto il pubblico lo vuole cosi». Diversamente, partiti con buoni propositi, si finisce per guastare l'attore e il soggetto.

«Cinema», anno IX, n.159, 25 gennaio 1956


«Corriere della Sera», 4 febbraio 1956

Leggi l'articolo completo sul ricatto ai danni di Antonio de Curtis


Come potranno collaborare Laurence Olivier e Marilyn Monroe. E come il torero Dominguin e Lucia Bosè, marito e moglie. Un matrimonio in pericolo

Il signore blu - Buondì, signore giallo. Che faccia pendente, ha mai oggi. Qualcosa non va?

Il signore giallo - Immagini, per cominciare: hanno avvertito che il film «La banda degli onesti», interpretato da Totò, non avrà più la regia di Gianni Franciolini, come in un primo tempo fu detto, bensì quella di Mastrocinque.

Il signore blu - Quale Mastrocinque, prego?

Il signore giallo - Camillo Mastrocinque, Il Camillo Mastrocinque che firma in tutte lettere Camillo Mastrocinque, come per dire: «Checché ne pensiate. c’era qualcuno dietro la macchina da presa... c'ero io».

Il resto non serve a nulla

Il signore blu - Anzitutto mi risparmi i «checché». Abbia pazienza, li ho in uggia, non sono che modi avverbiali di suono ingrato ma sembrano fotogrammi neorealisti di Giuseppe De Santis, pieni di rumore e di pulci. Quanto ai film di Totò, non si preoccupi. Un film di Totò, da chiunque diretto, non può essere altro che un film di Totò. Nei film di Totò accade Totò e si vede Totò; il resto è cellophane, è involucro, non serve a niente. Mi citi un solo personaggio di Totò che, lasciato da lui, si possa affidare a un interprete diverso. Totò è un romanzo visivo, completo di prologo e di epilogo, non modificabile in nessuna pagina e in nessuna riga. Qualunque vicenda, in mano a Totò, finisce come un agnello sospinto nella gabbia di una giovane tigre digiuna. Qualunque regia è fagocitata, distrutta. Perciò se Mastrocinque ingombra o costa meno di Franciolini, il produttore dell’annunziato «La banda degli onesti» (che è poi lo stesso Totò ha fatto bene a preferirlo. Caro signore giallo, il film ideale per Totò ce l'ho io. Gli direi: «Ascoltate, signor principe. infischiamoci di ogni soggetto e di ogni regìa. Un operatore è sufficiente. Usciamo insieme ogni giorno per un mese o due, io, lui, una efficiente macchina da presa, e voi. Ci limitiamo a seguirvi e a ritrarvi zitti zitti, senza raccomandarvi o suggerirvi nulla. Strade, botteghe, comizi, teatri, abitazioni private, uffici, bettole, eccetera: dovunque voi andiate con il vostro intangibile e indissolubile personaggio, e qualunque cosa buffa o tragica decidiate lì per lì di fare, non ha importanza per noi, che vi ’filmiamo’ e basta. Movimenti, vaghi e improbabili fatterelli, dialogo, tutto è improvvisato da voi, libero come una rondine in cielo a mezzogiorno. D’accordo? Voglio essere impiccato se ogni sera, visionando la pellicola girata, non rideremo fino alle lacrime e non piangeremo fino al riso. In ultimo un po’ di montaggio, un po’ di musica, un titolo grazioso, e il migliore film del migliore Totò sarà pronto».

Il signore giallo - E lei come suppone che Totò accoglierebbe la sua proposta?

Il signore blu - Non ne ho la minima idea. Ignoro se Totò sia un grande amico, o almeno un buon conoscente, di Totò.

Il signore giallo - Senta. Laurence Olivier e Marilyn Monroe appariranno insieme in un film. Il regista John Huston, che lo dirigerà, ha detto: «Mai si sarà avuta, sullo schermo, una combinazione di così opposti talenti».

Il signore blu - Lo credo. In realtà Olivier ha tutta la arte che manca a Marilyn, mentre il più aderente, impalpabile e scollato abito del mondo non gli conferirebbe una particolare suggestione cinematografica.

Il signore giallo - Senta quest’altra. Alla vigilia delle elezioni in Francia, un giornale comunista ha dedicato un'intera pagina al messaggi augurali che gli sono giunti da trentacinque attori del cinema, del teatro, del varietà e della televisione. Fra essi notiamo Ingrid Bergman, Jean-Louis Barrault, Martine Carol, Suzy Delair, Danielle Delorme, Robert Lamoureux, Tino Rossi, Yves Montand, Charles Trenet, Jean Vilar. Un quotidiano di Parigi ha commentato: «Si tratta di poveri attori che guadagnano in media 900 milioni all’anno e che sentono il bisogno di appoggiare alla vigilia delle elezioni la propaganda del partito comunista».

il signore blu «E con ciò? Non abbiamo anche in Italia un mucchio di nababbi marxisti, i quali muoiono dalla voglia di privarsi della ricchezza alla quale sono condannati dalla vigente democrazia? Non si capisce perchè il Governo attuale non esaudisca 1 loro voti.

Il signore giallo. - Come? Lei vagheggia defenestramenti. confische?

Il signore blu. - Ma no. Propongo una stazione sperimentale italiana della falce e del martello. In fondo, i canoni sovietici possono essere applicati da chiunque. Statalismo in tutto, no? Ebbene, pigliamo una ragione d'Italia e diamole un ordinamento sociale e politico alla russa. Non c’è affatto bisogno di cambiare il Governo, per questo. Basta affidare ogni ricchezza e o-gni potere alla burocrazia. Lo Stato imprenditore, i colcos, le elezioni a lista unica. i lavoratori d’assalto, e cosi via. I Barrault e le Carol indigeni si trasferirebbero immediatamente nella zona, c vi prospererebbero. Contenti loro, contenti noi. E’ mostruoso che l'odierno regime «con la scusa di essere liberale» debba costringerli a denunziare al Fisco sì e no la decima parte del loro favolosi guadagni, mentre essi non desiderano che di versarli completamente, o quasi, a un erario di pianificatori. Insomma il Governo sia (nulla di più semplice. di più tranquillo e di più giusto» liberale con i liberali e comunista con i comunisti. Ci vuol tanto?

Il signore giallo. - Forse no. Ma badi: il principe De Curtis, in un telegramma a Lauro, si è qualificato «apolitico». Sono anch’io della stessa parrocchia, e dunque cambiamo argomento. Ha notizie di Carlo Campogalliani?

Il signore blu - Gira un commovente film, dal titolo «Mamma sconosciuta». Vedremo, grazie a lui, un cantante italiano che prende moglie in America. Situazione di enorme interesse, alla quale si aggiunge, come un protesto a una cambiale cinematografica, il fatto che la donna aveva già un marito locale. Essa lo riteneva morto, insieme con la figlia avuta da lui. Ma nei film di Campogalllani, siccome niente vive, niente muore. Ecco riapparire l’individuo in questione; che diavolo può fare se non un tentativo di vendere a caro prezzo il suo silenzio alla mancata vedova? Il caso è talmente nuovo che ha una quotazione regolare nelle principali Borse italiane ed estere; alla fine il ricattatore perisce e la risposa, recuperata la figlia, sarà inenarrabilmente felice con l’adorato cantante. Mi spiego? Il Campogalllani, dopo aver trascorso un’ora al buio con il soggetto di «Mamma sconosciuta», fu vinto dall’irragionevole paura di chi a notte alta costeggia un cimitero; egli invocò ed ottenne l’aiuto di Anton Giulio Majano. il quale sarà pertanto coautore del film.

Escogitato il titolo ideale

Il signore giallo - Su che verte il film che Luis Dominguin e Lucia Bosè preparano in Spagna?

Il signore blu - Sulla vita di un toro, dalla nascita fino ai combattimenti c alla morte nell’arena. Allenamenti e catene all’inizio; poi rosso negli occhi, bandcrillas nel groppone,, corse furiose contro un bersaglio introvabile, un palmo di spada nel cervello. Ahimè. Io e Alessandro Blasetti, vagando l’altra sera per le vie di Roma ingiuriate dalla neve, abbiamo escogitato il titolo ideale per questo film. E cioè «La fortuna di essere bue».

Il signore giallo - Splendido. bravi. Sa che Carmine Gallone sarà, d’ora innanzi, anche il produttore dei suoi film? Per non far torto al Gallone regista, egli inizierà questa sua attività realizzando una versione cinematografica del melodramma «Tosca». Don Carmine è sempre stato un avanguardista. un rivoluzionario; chi lo frena più, oggi che i suol film se li finanzia lui?

Il signore blu - Temperamenti simili, conviene lasciarli sfogare. Il tempo, l’esperienza. l’età, non dubiti. convertiranno adagio adagio Gallone a un cinema più facile e redditizio. Ma occupiamoci degli, avvenimenti di Hollywood, è meglio. La polizia ha identificato e arrestato gli autori dei recenti furti nella casa di Kirk Douglas e in quella di Ginger Rogers. Della banda facevano parte la giovane attrice Dawn Marshall e il giovane attore Johnny Franco. Pare che il giudice offrirà loro la deportazione in Italia, dove potranno interpretare qualche grande film neorealista.

Il signore giallo - Che cosa dobbiamo pensare, stando alle voci secondo le quali Grace Kelly, dopo le sue nozze con Ranieri III, non abbandonerebbe il cinema?

Il signore blu - Che si può essere un’ottima principessa di Monaco tra un film e l’altro.

Il signore giallo - Legga qua, mi vengono i brividi. Il matrimonio di Audrey Hepburn e Mel Ferrar è in pericolo. Audrey ha testualmente dichiarato: «Due artisti non possono assoluta-mente vivere insieme». Inaudito. Un’attrice e un attore del cinema: per amor di Dio. quali altri coniugi, per la vita che fanno, sono meno soggetti ad abituarsi l’uno all’altra? Quando lei interpreta un film a Hollywood. lui ne interpreta uno in Italia; quando lui ha una «conferenza-stampa» a Milano, lei è indaffarata con il sarto Schubert a Roma, e cosi via. Talora passano lunghi mesi, prima che l’attore-marito, nell’infilarsi a letto stanco morto, noti fra le coltri qualcosa (un arruffio di capelli e di trine) ed esclami: «Cara! Tu qui?».

Il signore blu - Già. Non nego che il suo veloce ritrattino della nuzialità cinematografica sia fedele ed intenso. Ma comincia a nevicare (o è ancora la neve di ieri, supposto che non sia quella di domani?) e ho impegni altrove. Insomma: io vado verso quel pezzo di marciapiede ghiacciato, per assistere al divertente scivolone di qualche generale o di qualche senatore; e lei?

Giuseppe Marotta, «Corriere dell'Informazione», 22 febbraio 1956


LA BANDA DEGLI ONESTI

Distribuzione: 20 marzo 1956

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


All'interno del nostro articolo, la rassegna stampa completa della rivista "A prescindere"



Totò cerca una soubrette perché ha deciso e confermato di tornare al teatro, e precisamente a quello di rivista. Vero e certo altresì che il suo impresario, il signor Errepì è alla ricerca della «stella», che dovrà brillare intorno al nostro astro maggiore, e del satelliti minori per inserire nel firmamento Totò.

Al riguardo - strano, incredibile, ma vero - Remigio Paone tace e non interviene con le sue abituali chilometriche lettere, lasciando correre tutto ciò che zelanti e fantasiosissimi cronisti scrivono per far noto all'inclita che Totò ritornerà in passarella, di volta in volta altalenando i nomi più vari, con Diana Dors, Abbe Lane, Sheree North e ultima, in ordine di tempo, Yvonne Ménard, la fulgida «stella» che nel '46 riuscì ad entrare alle «Folies Bergère - come «mannequin» nudo e si affermò definitivamente nella rivista «Une vraie folie».

Mentre si può smentire che Totò e Paone non hanno mai pensato seriamente alle prime tre menzionate, occorre rilevare che trattative sono state iniziate e intercorrono con la bellissima Yvonne Ménard che... ha 30 anni, bruna, con due occhi verdi un po' perfidi, un grazioso nasetto all'insù e forme scultoree: m.1 e 72 di altezza, 90 cm di petto, 57 di vita, 89 di anche, 34 di polpacci, 20 di caviglia...! Canta e danza, e veste elegantissima. Il suo splendido corpo le ha permesso di far carriera, ma non è detto che le sue pretese permetteranno a Paone di farla apparire accanto a Totò.

In quanto a nomi «nostrani » si son fatti quelli di Franca Gandolfi e di Luciana Florenzano. Franca Gandolfi — per chi nol sapesse — è la moglie del chitarrista Modugno e la debuttante sedicenne Luciana è la sorella di Anna Maria Moreno attualmente subrettina di Macario.

Le musiche spettacolo saranno di Armando Trovaioli, le coreografie di Gisa Geert, i costumi di Folco, l’autore del copione ancora sconosciuto. Il debutto, previsto al romano Sistina, in ottobre.

Andrea De Pino, «Momento Sera», 4 aprile 1956


«Corriere della Sera», 23 aprile 1956


Totò, l'argutissimo Totò, l’inesauribile Totò, è a Milano. Ma da buon napoletano soffre di nostalgia della sua terra. Cosi, ieri nel pomeriggio scortato da Remigio Paone e da Peppino De Filippo, ha voluto essere fra la «sua gente emigrata» nel Settentrione. Dove poteva andare se non al «Club Napoli», un circolo di recente inaugurato e di cui è presidente l’instancabile Paone?

Ma Totò ha un’altra, segreta nostalgia: quella del teatro di rivista. Fra la «sua gente», ha annunciato ufficialmente II suo ritorno al palcoscenico. Torna nel suo mondo dopo quasi sette anni di assenza con Io stesso entusiasmo di un attore giovanissimo al primo debutto. Totò ha detto: «Io fremevo dal desiderio di ricalcare le tavole del palcoscenico. Paone l’ha saputo, s’è commosso e mi ha fatto la compagnia».

Franca May e Yvonne Ménard saranno al suo fianco: avranno i loro nomi sulla «locandina» alla stessa altezza, del medesimo corpo tipografico. Saranno, in definitiva, due «stelle» alla pari. L’una sarà la «soubrette» italiana, che reciterà, canterà; l’altra rappresenterà la grande attrazione internazionale. Il «cast» comprenderà anche Mario Castellini, la fedele «spalla» del comico napoletano, Dino Curdo, Franca Gandolfi, Antonio La Raina e molte ballerine già appartenenti al corpo delle «Bluebell». Gisa Geert curerà le coreografie; Trovajoli e De Curtis, alias Totò, penseranno alle musiche.

La rivista si intitolerà «A prescindere», oppure «Sono un uomo di mondo»: segretissimo il nome dell’autore del copione. Si parla di Michele Galdieri, ma non è certo.

Rivista, commedia musicale o operetta? Totò è esplicito. «Farò una rivista all'italiana, alla maniera mia con tre ingredienti fondamentali: ilarità, eleganza e belle donne. Ripeterò vecchi sketches solo nelle serate d’onore e se il pubblico li richiederà».

Il debutto i previsto a Perugia per la metà di novembre. Totò col suo complesso si trasferirà poi al teatro Sistina di Roma e, nel febbraio 1957, al Nuovo di Milano. Un’altra informazione: giovedì, Totò e Franca Faldini saranno ospiti della rubrica televisiva di «Lascia o raddoppia»

L. Bar., «Corriere della Sera», 25 aprile 1956


[...]Dunque anche Totò, molto probabilmente lo vedremo come ospite dopodomani a «Lascia o raddoppia»[...]

«Corriere della Sera», 25 aprile 1956


Milano, 25 aprile - Il personaggio più atteso della trasmissione di domani sera di « Lascia o raddoppia » è senza dubbio l’anziana signora genovese a nome Teresita De Barbieri, che vien considerata dalla RAI-TV come un tipo che può accendere l’interesse del telespettatori.

La TV ha poi avuto l’idea di invitare davanti alle telecamere — insieme agli aspiranti ai cinque milioni — attori famosi come Danny Kay giovedì scorso e Totò per domani sera. [...]

«Il Messaggero», 26 aprile 1956


Ieri sera, solo il previsto intervento di Totò è riuscito a ravvivare per qualche attimo una fra le più deludenti edizioni di «Lascia o raddoppia». Ma quello di ieri sera era soprattutto il principe Antonio de Curtis, un personaggio dall'aria ufficiale che solo a tratti ha lasciato il posto a Totò, all'irresistibile Totò dalla battuta pronta e pittoresca. Tuttavia la sua breve apparizione sul palcoscenico del quiz ha avuto il potere di dare un pizzico di brio a una scialba serata [...]

«La Stampa», 27 aprile 1956


«Il Messaggero», 28 maggio 1956


Roma 4 giugno.

Totò torna in passerella. Totò farà ancora la rivista. La notizia non è nuova: è già stata diramata, ufficialmente, or è un mese e più. Tuttavia molto restava ancora oscuro. Totò aveva annunciato i nomi di due «stelle»: Ivonne Ménard e Franca May. Per il resto era reticente. Reticente era Paone, l'impresario di ferro che rientra nell'agone teatrale soltanto perché si tratta di mettere In piedi la compagnia di Totò. Ignoto era il nome dell'autore del copione. Si parlava di un incarico affidato generalmente a Michele Galdleri. Ma la voce, come ora si è rivelato, non aveva il benché minimo fondamento. Soltanto oggi si é saputo che il copione lo scriveranno non uno, ma due autori: e precisamente Nelli e Mangini.

Dopo oltre un mese di segretissimi riserbi, ecco finalmente l’Indiscrezione: Nelli e Manglnl (e naturalmente Totò) sono già sotto pressione: la trama ò già cosa fatta, qualche sketch potrebbe già essere messo in scena. Un'altra indiscrezione: Totò, che sarà il protagonista massimo di «A prescindere» (è questo il titolo definitivo della rivista) indosserà i panni di un «uomo di mondo» burlone e svanito, costantemente alle prese con la propria coscienza. Totò parlerà, intavolerà lunghe discussioni con la coscienza. E si tratterà di una coscienza tangibile, corposa, La coscienza di Totò sarà Franca May.

«Corriere della Sera», 5 giugno 1956


Franca May, la soubrette che Totò ha voluto al suo fianco per il rientro in teatro, ha ricevuto sabato nel pomeriggio il premio «passerella club», istituito per premiare le qualità di quell'attrice che mostra, per capacità ed attitudini, di poter diventare la «stella eli domani». Capacità ed attitudini che Franca May ha ampiamente dimostrato di possedere, al punto da inserirsi, nel breve volgere di due anni, fra le vedettes della rivista. Nel corso di un cocktail, Franca May ha ricevuto il distintivo del «passerella club»: un pentagramma sovrastato da un paio di gambe stilizzate. Un distintivo tutto d'oro che ogni giovane soubrette desidererebbe avere nello scrigno porta gioielli.

Franca era commossa sorrideva e ringraziava. Ringraziava soprattutto i compagni di lavoro della Scarpettiana, che le erano intorno per festeggiarla: Franco Sportelli, Beniamino Maggio, Vera Nandi e tutti gli altri. Distribuiva sorrisi e strette di mano a Pina Renzi, a Giustino Durano, a Franca Gandolfi, a Ettore Conti, a Domenico Modugno. Ma un grazie particolare deve aver sussurrato, mentre gli invitati le si serravano intorno, a Remigio Paone, all'impresario che praticamente la aveva «scoperta», al vecchio (d'esperienza) uomo di teatro che aveva intuito le sue possibilità e che in lei aveva avuto fiducia.

A Franca May é stato attribuito il «passerella club» per la brillante Interpretazione nella rivista «Siamo tutti dottori», uno spettacolo messo in scena da Remigio Paone e animato dai due comicissimi fratelli siamesi della passerella: Riccardo Blli e Mario Riva.

E' la quinta soubrette, alla quale viene consegnato l'ambito pentagramma: prima di lei, l'hanno avuto Marina Doge, Flora Medini, Dorian Gray e Delia Scala.

La sera, qualche ora dopo la premiazione, il camerino della attrice, al teatro Nuovo, era invaso di fiori, mentre sulla toilette si ammucchiavano lettere e telegrammi. Un telegramma affettuoso di Totò e una lettera anche più affettuosa di Wanda Osiris, che si diceva spiacente di non poter essere presente a causa del postumi della brutta caduta in palcoscenico, di cui rimase vittima al Lirico mesi or sono. In un angolo del camerino, appeso come un trofeo beneaugurale, il ricco abito che Franca May ha indossato in occasione dell'investitura del «passerella club»: un vestito ampio, sfarzoso in taffetà di seta a fiori.

Gilda Marino andrà con Totò?

Una voce, soltanto una voce. Pare certo che prima ballerina della Compagnia, che il redivivo Totò capeggerà nella prossima stagione, sarà Gilda Marino. L'interessata, attualmente a Cannes, é irrintracciablle: quindi non si può avere una conferma o una smentita. Come è noto. Gilda Marino è rimasta assente dal teatro per un anno, gestendo un atelier di moda. Ma, dopo dodici mesi, la nostalgia della passerella ha avuto il sopravvento.

L. Bar., «Corriere della Sera», 11 giugno 1956


Mario Di Giglio (Di Gilio, n.d.r.), l'imitatore fenomeno, l'autentica sorpresa di «Senza titolo» che si replica al Nuovo, la sera della prima tradiva una violentissima emozione. Non si aspettava tanti applausi, nè si immaginava di poter suscitare un così fragoroso entusiasmo. Poi, in camerino, durante l'intervallo, sono cominciate le soddisfazioni: i complimenti dei compagni di lavoro, degli amici che gli assestavano vigorose manate sulle spalle, di sconosciuti che gli ripetevano all'orecchio un simpatico ritornello: «Bravo!».
Ma la visita più attesa doveva essere quella di Remigio Paone, il quale è stato [...]

«Corriere della Sera», 22 giugno 1956


RUDI BAUER é stato uno dei primi scritturati da Totò per la rivista «A prescindere». Il nome di Rudi Bauer dirà ben poco a coloro che degli spettacoli non conoscono i retroscena: infatti Bauer è il più apprezzato direttore tecnico di palcoscenico da almeno trenta anni cioè da quando venuto in Italia con la compagnia Schwarz non ne riparti più trattenuto dapprima dal regista Mattoli poi da tutti coloro che cominciarono ad apprezzare le qualità dolcemente dittatoriali del piccolo viennese.

Dal 1916, quando ha cominciato a Vienna la sua attività, Rudi Bauer, ha allestito oltre 1000 spettacoli. I maggiori comici Italiani sono stati da lui tenuti a battesimo (Dapporto, Rascel, W. Chiari) e cosi pure la «regina della passerella », Wanda Osiris, Con Totò fu anche in Africa Orientale, nel 1939. Ora Totò ha voluto di nuovo, tra le quinte, il prezioso Rudi. Nelli e Mangini hanno pensato a scene di particolare difficoltà tecniche e Rudi avrà, come al solito, brillanti soluzioni. Le prove della rivista di Totò cominceranno a metà ottobre al Sistina di Roma, dove é pure previsto il debutto, un mese dopo.

«Corriere della Sera», 4 agosto 1956


«Corriere della Sera», 20 settembre 1956


«Epoca», 14 ottobre 1956


«Epoca», 28 ottobre 1956


Roma 18 ottobre.

«Ho ubbidito al richiamo della foresta. Torno alla rivista dopo sette anni, e posso affermare che mi sento emozionato al solo pensiero di incontrarmi di nuovo con il mio pubblico. Farò una rivista classica, stile francese, anche se con spirito moderno. Non è vero che la rivista sia morta, come sostengono alcuni. La commedia musicale, che talvolta ha preso il sopravvento, non è nè una rivista nè una commedia: è una formula ibrida. Mi farò alcuni nemici, affermando ciò, ma non me ne importa niente».

Il principe Antonio De Curtis, il popolare «Totò», ha annunciato con queste parole, nell’atrio di un albergo di via Veneto, il prossimo esordio della sua Compagnia, che avverrà il 23 novembre al teatro Sistina, in Roma.

Totò era attorniato da uno stuolo di bellissime donne: «soubrettes», ballerine, attrici che lo hanno sollevato di peso dopo l'annuncio e l’hanno condotto in giro nell'atrio.

«Attualmente — ha detto quindi l'attore — sto terminando la lavorazione di un film, in cui vi sono, naturalmente, Totò, Peppino, e alcuni fuorilegge. Ho dovuto portare a termine i miei impegni precedenti. Non mi son lasciato suggestionare, alla mia rentrée, dal miraggio di altre formule artistiche: secondo me, la rivista classica è l’ossigeno per il pubblico».

Remigio Paone, impresario della Compagnia, ha detto che il titolo dello spettacolo è «A prescindere».

«Si tratta di uno dei famosi slogans di Totò — hanno soggiunto gli autori, Mangini e Nelli —. La rivista non è legata da altro filo conduttore che la presenza dell'attore. Niente politica, molte battute».

Le «soubrettes» si facevano fotografare con il principe.

«Corriere dell'Informazione», 19 ottobre 1956


Il principe Antonio de Curtis in arte Totò, si ripresenterà fra breve tempo sui palcoscenici, dopo alcuni anni di assenza, durante i quali si è dedicato a una intensa attività cinematografica. Il debutto avverrà naturalmente a Roma, dove il simpatico attore gode larga popolarità. Ieri mattina, nella sala di un grande albergo della nostra città, la compagnia si è riunita per la prima volta ed ha avuto luogo un cordiale incontro dei suoi componenti con i giornalisti.

Totò ben volentieri ha lasciato che fotografi lo ritraessero accanto alla bella Franca May, Franca Gandolfi, Franca Faldini, Elvy Lissiak, e Yvonne Menard, interpreti con lui della nuova rivista, e, come qui lo vedete, tra le seducenti e longilinee ragazze dai nomi esotici che formeranno il balletto.

Lo spettacolo che segnerà l'atteso ritorno di Totò alla ribalta, ha per titolo una locuzione resa ormai proverbiale dal comico napoletano, «A prescindere». Il copione è stato scritto da Nelli e Mangini, la coreografia verrà curata da Gisa Geert, i costumi da Folco, le scene da Artioli; le musiche saranno di Carlo Alberto Rossi.

«L'Unità», 19 ottobre 1956


Roma 19 ottobre.

Sketches, battute, riferimenti, allusioni, legati, soltanto dal filo conduttore dell’arte inimitabile di Totò, costituiranno la rivista con la quale il popolare comico tornerà sulle scene, la sera del 23 novembre prossimo, dopo una parentesi cinematografica di sette anni. L'annuncio del «ritorno» è stato dato dall’attore nella hall di un albergo di via Veneto, dove é stata presentata, dall’impresario Remigio Paone, la nuova Compagnia. Totò ha precisato di aver sentito il «richiamo della foresta» verso la formula classica della rivista, al di fuori di ogni esperimento di spettacoli ibridi quali le commedie musicali degli ultimi anni. Lo spettacolo si intitola «A prescindere», da un frequente modo di dire di Totò. Si tratta di uno slogan che gli autori, Nelli e Mangini, hanno applicato alla rivista come già ad un film fu applicato un altro detto del comico. «Siamo uomini o caporali?» [...]

«Corriere della Sera», 20 ottobre 1956


«Noi donne», 20 ottobre 1956


«Settimana Incom», ottobre 1956


Perugia, mercoledi sera.

Dopo un'assenza di cinque anni, il popolarissimo comico Totò è tornato sulle scene, ieri sera al teatro Morlacchi, richiamando un pubblico d'eccezione che gremiva la sala. E' stata data la prima rappresentazione della rivista "A prescindere", di Nelli e Mangini", che ha ottenuto un caloroso successo. Insieme a Totò sono stati applauditi gli attori della sua nuova compagnia, tra cui Franca May, per la prima volta nel ruolo di soubrette, e la ballerina Yvonne Ménard.

«La Stampa», 21 novembre 1956


Tournée 'A prescindere' - Roma, Teatro Sistina, novembre-dicembre 1956

«Il Messaggero», 22 novembre 1956


«Il Messaggero», 23 novembre 1956


«Il Messaggero», 26 novembre 1956


«Il Messaggero», 5 dicembre 1956


«Il Messaggero», 25 dicembre 1956


Stasera alle 21:15, serata di gala per il ritorno alle scene dopo sette anni di assenza, di Totò, nella rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Lo spettacolo, presentato da Remigio Paone, coreografie di Gisa Geert, scene di Artioli, costumi di Folco, musiche di C.A. Rossi ed un cast di primissimo ordine: l'attrice Franca May, Yvonne Menard, celebre soubrette delle Folies-Bergère, Enzo Turco, Franca Gandolfi, Mario Di Gilio, Elvy Lissiak, Alvisi Curcio, La Raina, sette coppie di ballo e sette showgirl. Orchestra di Mariano Rossi. Il teatro, ad eccezione di parte della galleria è completamente esaurito.

«L'Unità», 23 novembre 1956


«Corriere della Sera», 24 novembre 1956


Il ritorno di Totò alle scene ha richiamato al «Sistina» il più bel pubblico di Roma che ha gremito la sala per festeggiare il suo beniamino. E al suo primo apparire gli applausi sono stati eccezionalmente calorosi. Dopo una presentazione alquanto lunga durante la quale Totò, sotto le vesti di un uomo di mondo che sa abilmente barcamenarsi, ha presentato un campionario delle sue più tradizionali formule comiche, la rivista ha preso felicemente avvio con un seguito di quadri indipendenti l'uno dall'altro, ma felicemente congegnati ed eseguiti con incalzante vivacità.

Le originali coreografie di Gisa Geert dominate dal sapiente e raffinato stile di Ivonne Menard, svolte con ritmo intenso e serrato dal bravissimi gruppi di soliste e di solisti coadiuvati dalle show-girls (notevoli una drammatica «Makumba» e un frenetico «Rock and Roll»); le variate apparizioni di Franca May che canta, balla e recita con maliziosa grazia; le riuscite e gustose parodie di Gandolfi delle quali è stato chiesto un bit; i briosi intermezzi affidati alla Gandolfi, alla Lissiak, all'Aloisi al Curcio, al La Raina; il valido e rapido avvicendarsi di sketches di balli, di canzoni, di cori sullo sfondo dei pittoreschi scenari di Artioli fra lo sfolgorio dei costumi di Folco, hanno costituito una rappresentazione colorita, stimolante, mossa e quanto mai gradevole. Anche se il testo non è molto ricco nè molto spiritoso, la parte visiva sostenuta da una vivida fantasia di coreografie e di variazioni, ha pienamente approvato l'aspettativa del pubblico che si molto divertito.

Su questa attraente trama spettacolare si sono inseriti e intrecciati gli interventi di Totò, sul quale pesano, evidentemente, i sette anni di attività cinematografica che lo hanno disabituato dall'improvvisazione scenica e, soprattutto, gli hanno impedito di aggiornare l'estro inventivo. La sua comicità è rimasta legata a espedienti alquanto superati, qualche volta perfino di gusto dubbio, basati su doppi sensi ed equivoci verbali che non trovano più la rispondenza di una volta. Ciò non toglie che l'innato umorismo di Totò, il suo istinto del grottesco e le sue trovate mimiche abbiano a poco a poco, nel calore della recita, ritrovato slancio e sapore: cosicchè alla fine anche le sue scene hanno avuto piena risonanza.

Il pubblico lo ha vivamente applaudito insieme a Enzo Turco e a tutti gli altri bravissimi esecutori chiamandoli e richiamandoli innumerevoli volte sulla passerella. Lo spettacolo, che ha un tono, un livello e un entrain del tutto insolito, si replica da stasera.

E. C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 24 novembre 1956


L'applauso interminabile che è scrosciato ieri sera all'apparire di Totò sulla ribalta del Sistina ha testimoniato in maniera evidente la affettuosa cordialità con cui il pubblico accoglie il ritorno del popolare attore alla rivista, dopo sette anni di assenza. E Totò ha ben ripagato i suoi spettatori, mettendo in opera tutte le sue risorse mimiche e di recitazione che lo rendono inconfondibile e che fanno di lui un maestro del lazzo, dello sberleffo, della comicità scatenata al limite dell'assurdo e dell'irreale. Peccato, grosso peccato che il copione di Nelli e Mangini servisse molto mediocremente le straordinarie doti del protagonista e dell'ottimo complesso di interpreti che gli erano accanto.

"A prescindere" si presenta come un seguito di quadri o volutamente slegati l'uno dall'altro, ma privi anche (e qui è il guaio) di un minimo di coesione tra loro, nel contenuto e nella forma. Non mancano gli spunti tratti dal costume corrente o dalla cronaca: i concorsi televisivi, la crisi del cinema e i colossi di cartapesta, il Rock'n'Roll; la materia è però elaborata quasi sempre con superficiale facilità, e scade a più riprese in situazioni e battute accentuatamente sboccate.

La parte coreografica, curata da Gisa Geert, offre momenti di buon gusto accanto a soluzioni risapute e anche stantie, ma ha comunque modo di dare sostegno alle esibizioni di Yvonne Menard, una ballerina francese dalla splendida corporatura e dalle movenze conturbanti, e a quelle della brava e simpatica Franca May.

Si deve a loro soprattutto (oltre che a Totò) se allo spettacolo, nonostante i difetti cui si accennava, è arriso un successo lietissimo. Da ricordare anche l'eccellente Enzo Turco, il Curcio, l'Alvisi, il La Raina, sacrificati purtroppo dalla fiacchezza del testo, la Graziosa Franca Gandolfi, Elvy Lissiak, la Maver, la Silli, lo strabiliante imitatore Di Gilio, i due gruppi di danzatrici e il gruppo di danzatori. Scene adeguate, di Artioli; costumi eleganti, di Folco, musiche di normale livello, del maestro C.A. Rossi. Passerelle in gran numero. Da oggi si replica.

ag. sa., «L'Unità», 24 novembre 1956


Roma 24 novembre, matt.

Poche battute sono state necessarie ieri sera a Totò, per annullare di colpo i sette anni che è restato lontano dalla rivista: presentando al teatro Sistina lo spettacolo «A prescindere», l'attore ha dimostrato di ritrovare se stesso. la sua insuperabile arte di comico, la sua comunicativa con il pubblico ormai rassegnato a vederlo comparire soltanto sullo schermo.

Costruita con facile brio, la rivista ha dato modo a Totò di «ringraziare la marcia» sul palcoscenico: il pubblico ha ritrovato il suo vecchio beniamino, ma ha ritrovato, contemporaneamente. la genuina forma della rivista. «A prescindere» non è una commedia musicale, come se ne sono viste molte In questi ultimi tempi: è una vera «rivista», così chiamata perché passa in rassegna in chiave umoristica ed a volte lievemente satirica, •le manifestazioni più appariscenti della vita. Tòtò ha voluto prescindere, come egli stesso ha affermato, da ogni schema, da ogni cliché prefabbricato. Ed il successo con il quale il pubblico romano lo ha accolto ha dimostrato che egli ha avuto ragione. E con Totò sono state applauditissime Franca May, soubrette bionda, fresca e spumeggiante; la bella e brava Franca Gandolfi; Jvonne Menard, delle «Folies Bergère»; oltre al simpatico Enzo Turco.

Al debutto della compagnia di Totò la folla é accorsa numerosissima. Anna Magnani, Gina Lollobrigida con il marito Milko Scofic, Eleonora Rossi Drago, Alberto Sordi ed una miriade di «stelline» del cinema e della rivista erano presenti al Sistina, dove erano convenuti pure il sottosegretario allo spettacolo Giuseppe Brusasca e numerose altre personalità dei mondo politico ed artistico. Se la serata ha registrato il successo di Totò, un vero trionfo é toccato a Remigio Paone, l'impresario che é riuscito a riportare li comico dallo schermo al palcoscenico. Ma per questo, Paone ha avuto come ottima complice la nostalgia, quel sentimento che Totò ha già definito «il richiamo della foresta». E l'attore, ieri sera, era sensibilmente emozionato: un'emozione che gli veniva dal ritrovarsi a diretto contatto con il pubblico.

«A prescindere» porta la firma di Nelli e Mangini, ed è stato uno spettacolo riuscito anche se, a volte, il copione denunciava qualche lentezza rieccheggiando motivi conosciuti. Buona la regia. La personalità esuberante di Totò si è imposta anche nella parte musicale: molte canzoni, oltre a quelle dei maestro Carlo Alberto Rossi, sono sue. Apprezzati i costumi di Folco e le scene, eseguite su bozzetti di Artioli. Misurati, piacevoli e quindi applauditi gli altri attori componenti il cast: Dino Curcio, Antonio La Raina. Alvaro Alvise, il simpatico e bravissimo Imitatore Mario di Giglio, le belle Elvi Lissiak. Marisa Mayer, Luana Silli.

Sette danzatrici del balletto di Gisa Geert, sette «show-glrls», sette danzatori, come i sette anni di assenza, hanno compiuto miracoli: il quadro del «Rock and roll» ha rivelato, insieme ad intenti satirici, la loro bravura. La critica romana ha accolto favorevolmente lo spettacolo, che non era soltanto una «prima», ma un avvenimento nel campo artistico. Per questo forse il teatro è riuscito a stento a contenere tanto pubblico. Applausi, bis e «passerelle» a ripetizione.

«Corriere della Sera», 24 novembre 1956


Dopo sette annidi assenza dalle scene, Totò si è ricordato che Giuseppe Verdi sosteneva «torniamo all'antico e faremo del nuovo» ed ha chiesto al suoi autori Nelli e Mangini non la solita commedia musicale ora di moda, bensì una semplice rivista, sapida di belle donne, allegra e sgambettante in libertà, senza quel filo conduttore che spesso imbriglia l’estro. Infatti «A prescindere» è uno di quei motti cari a Totò perché dicono tutto e non dicono niente!

Lo spettacolo, sotto l'egida Errepi, è giunto a Roma dopo due giorni di rodaggio a Perugia. Pochi. Fra una settimana godrà di quella carburazione perfetta di cui ieri sera difettiva. Amico di Paone, amico di Totò, non amico del giaguaro, ma soprattutto amicissimo dei miei lettori, scrivere una critica del debutto al Sistina non è cosa facile. Dire che ha deluso, è indubbiamente eccessivo. Dire che è stalo inferiore alla aspettativa, è onesto. Remigio Paone ed Antonio De Curtis sono uomini di teatro di tale probità artistica da rendersi lealmente conto delle zone grigie di ieri sera.

Totò ci ha detto qualche cosa di nuovo? No. Anzi ha drogato il testo con le trovate sceniche ed i lazzi a lui sempre cari, anche se oramai velati dalla patina del tempo, a costo di farla da padrone sugli autori, travolti — talora forse loro malgrado — da una personalità artistica talmente violenta da annullare qualsiasi copione: ci fosse o non ci fosse. Le sue caratterizzazioni umoristiche (il viveur, il già noto Commissario di P.S., il produttore cinematografico, Napoleone e persino Otello) sono sempre irresistibili. Mi consente duuque di risparmiargli il solito, sia pure meritato, inno. La sua carriera teatrale, quanto ad inni, é tutta — ed ancora — una marcia trionfale dell'Aida. Due quadretti di preparazione e si salta di palo in frasca: Elvis Presley, il cantante isterico, il ragazzone sportivo che preferisce la partita di calcio a quella propostagli dall'ardente fidanzatina, le generichette «tuttofare» in cerca di produttori, eccetera. Le coreografie di Gisa Geert incidono notevolmente sulla classe dello spettacolo. La Makumba, in cui ammiriamo Yvonne Ménard nel ruolo di una vergine offerta al mulatto Bob Curtis, in funzione di coccodrillo sacro (ma di buon appetito), e il Notturno sulla nave, ove vediamo una passeggera (Franca May), sofferente d’insonnia, concedersi una rapida espeirenza erotica con un robusto fochista negro (Ted Barnett) mi sembrarono quadri di ordinaria amministrazione. Ma il travolgente Rock and Roll, l'arioso finalissimo, e soprattutto la Leggenda siciliana, racconto d'amore e di morte, sono composizioni pantomimiche degne delia magistrale firma di Gisa Geert.

Per Franca May sciolgo volentieri le riserve fatte in altre occasioni, relative alla mancanza di maturazione per un ruolo tanto impegnativo, frutto di una carriera troppo accelerata: tipo «Tutto l'Inglese in 24 lezioni», oppure «Imparate a ballate per corrispondenza». Elegante, avvenente, volenterosa, allorché nel monologo romanesco, non più ossessionata dalle pastoie di un subrettiname di maniera, ha recitato sinceramente e - facile facile -, si è rivelata valida attrice.

Yvonne Ménard, quanto a mezzi vocali, è una chanteuse de charme, ma — vedi la canzoncina dello « spogliarello * — di quale delizioso charme! Come ballerina ha dimostrato che non a torto il suo veccho impresario parigino, Paul Derval, la definì «un vrai démon qui mec le feti aux planches». Benché evidentemente spaesata in uno spettacolo italiano, tenne costantemente i vigili del fuoco in preallarme.

Franca Gandolfi ha avuto tutto dalla vita teatrale: un bel marito, e per di più armato di chitarra. Domenico Modugno; una bellezza tale da farla apparire. come l’amato oggetto del tenore del «Ballo in maschera», tutta estasi, raggiante di pallore, un aspetto da figurino di Vague ed ora persino un successo secondo ruolo, nel quale sfoga brillantemente. Avrei veduto volentieri affidare ad Elvi Lissiak, che è ottima attrice, parti di maggior rilievo.

Marisa Mayer e Luana Silli fanno con lodevole impegno quel poco che (non) hanno dato loro da fare. Eccellente in bravura, un tantino meno in misura, Enzo Turco. Ammirevoli Aivisi, Curcio e La Raina nel cavar fuori sangue dalla rapa dei vari personaggi loro adeguati. L'imitatore Mario Del Giglio — rifacendo l'esteta Muriannini, il gastronomo avv. Rossi, Tina Pica ed altri — è stato uno spasso. Il pericolante primo tempo gli mandi un telegramma di ringraziamento per grazia ricevuta.

Musiche di C. A. Rossi oneste quanto insignificanti, malgrado gli sforiz eroici del Maestro Mariano Rossi per armonizzarle con la sua orchestra. Scene di Artioli diligenti: di gradevole effetto il finalissimo. Costumi di Folco: un altalenare di buonissime o di banali idee. Ottime le sette coppie di danza, dalle quali emergono per particolare bravura, la svitata Josè Hargreaves, in evidente cura dimagrante, lo stilizzato Sandro Domini ed il plastico mulatto Ted Barnett ,con le svettanti show girl, le coppie sono state a volte pregevole quadro ed altre preziosa cornice.

La celebre «cosetta» di tutta la Compagnia al seguito di Totò, sul patriottico motivo della marcetta del Bersaglieri, ha concluso la serata in bellezza, coprendo qualche lieve dissenso e galvanizzando la platea, mentre dall'alto dei dell'italico Stellone — che è sempre una grande risorsa — faceva da faro e da moccolo.

Nino Capriati, «Momento Sera», 25 novembre 1956


Al termine di un “rodaggio” di tre giorni a Perugia è andata in scena a Roma la rivista “A prescindere”, che segna il ritorno al palcoscenico di Totò dopo una lunga parentesi cinematografica

TOTO’ ha voluto, tornando alle scene dopo sette anni di attività cinematografica, che la rivista con cui si ripresentava al pubblico portasse come titolo una sua celebre interlocuzione: ”A prescindere...”. E’ una rivista all’antica, afferma Totò; una rivista che vuol soltanto divertire, non far sensazione. Nel copione di Nelli e Mangini, ha larga parte il commento . ..all'attualità, la satira della vita di ogni giorno. Un paio di quadri si ^ tqcc^ipano della mania del momento, il "Rock and roll”, e di "Guerra e pace”.

FRANCA MAY e la francese Yvonne Ménard sono le prime donne della rivista. Con loro è una terza soubrette, Franca Gandolfi. Lo spettacolo, che costa circa un milione per sera, è andato in scena in ”anteprima” a Perugia, dove è stato presentato per tre sere; poi ha debuttato ufficialmente a Roma pochi giorni fa, il 23 novembre. Nella foto in basso: l’impresario Remigio Paone si congratula con Totò dopo il successo che ha coronato la "prima” romana.

UN TOTO’ NAPOLEONICO compare qui alla ribalta, affiancato dai suoi principali collaboratori. Per la prima volta, dopo molti anni, Totò si è presentato in scena senza la sua "spalla” prediletta, Mario Castellani, che da tempo si è dedicato alla prosa. Il suo posto è stato preso dal notissimo comico napoletano Enzo Turco. Il complesso artistico si è riunito molto presto. Ha provato a lungo nei deserti teatri di posa della "Safa-Palatino", poi si è trasferito a Palazzo Brancaccio, nei saloni che tradizionalmente vengono utilizzati per le prove di tutte le compagnie che si formano a Roma. In uno dei quadri, Totò doveva arrivare in scena su un motorscooter; ma il quadro è stato soppresso, perchè la prima prova si è risolta in un ruzzolone, fortunatamente senza conseguenze.

LE COREOGRAFIE, curate da Gisa Geert, sono affidate ad un balletto di sette uomini e sette donne. Grande curiosità hanno destato le "Show Girls”: sette ragazze inglesi la più piccola delle quali è alta soltanto un metro e novanta. Nella foto a sinistra si vede, dietro un ballerino, Yvonne Ménard (conosciuta a Parigi come ”la femme nue”: in Italia, naturalmente, si è vestita un po’ di più). Le musiche che accompagnano lo spettacolo sono state composte dal m° Carlo Alberto Rossi.

«Tempo», anno XVIII, n.49, 6 dicembre 1956


Alla «prima» romana il celebre comico piangeva come un bambino, Franca Faldini singhiozzava perdutamente dietro le quinte e Paone si raccomandava, senza alcun successo, perchè fossero risparmiate certe battute alquanto pesanti

Sergio Sollima, «La Settimana Incom Illustrata», anno IX, n.49, 8 dicembre 1956


Prima dell’andata in scena a Roma, Remigio Paone aveva trasferito a Perugia l’intera compagnia per un debutto d’affiatamento. Doveva essere una rappresentazione un po’ alla buona, qualcosa di più di una prova generale, ma il Morlacchi di Perugia fu quella sera invaso dal pubblico più esigente...

L.N., «Settimo Giorno», anno IX, n.50, 8 dicembre 1956


L'altra sera al teatro Sistina Totò si è ripresentato al suo pubblico dopo sette anni di disputabili successi cinematografici [...] . Un applauso interminabile alla sua prima uscita e poi acclamazioni e risate durante quasi tutto il primo tempo sino alla improvvisa esplosione del Rock and Roll. Il secondo tempo è piaciuto meno e io credo che tutto lo spettacolo guadagnerebbe parecchio se lo si ridimensionasse, tagliando con coraggio in quella seconda parte a cominciare dal finalissimo e sostituendolo con il Rock and Roll. Anche riequilibrato in questo modo nessuno griderebbe al capolavoro. Per un ritorno cosi importante era lecito attendersi un testo più vivo e serrato e invenzioni più divertenti. Siamo ben lontani dal Totò a Capri e dal Totò nel vagone letto delle sue grandi stagioni di alcuni anni fa. E tuttavia lo spettacolo vale la spesa. Totò era più disorientato che stanco, e mi dicono che ha fatto presto nelle recite successive a ritrovare quasi tutta la sua verve e il suo scatto. E, in ogni modo, egli è sempre e di gran lunga l'apparizione più esilarante del nostro teatro di rivista [...].

Sandro De Feo, «L'Espresso, Roma», 2 dicembre 1956


[...] Totò rimane il comico di razza che tutti conosciamo.

Raul Radice, "A prescindere da Totò la rivista continua a decadere", «L’Europeo», n. 51, 16 dicembre 1956


Il palcoscenico ci restituisce, oggi, un attore che il cinema ci aveva usurpato. Chiudiamo finalmente una parentesi di lontananza aperta, nella stagione 1950-1951, con le ultime repliche di Bada che ti mangio! Totò ci ha detto due mesi addietro: - Non ne potevo più -. Queste parole valgono assai più di qualunque altro commento.

I. Mormino, dal programma di sala, 1956


TOTO' LASCIA O RADDOPPIA?

Distribuzione: 24 aprile 1956

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


Bandiera svizzera per la bella italiana. Franca Faldini insieme a Totò s'è concessa quest'anno un periodo di vacanze a bordo del panfilo personale del principe De Curtis. Sul pennone di poppa sventola la bandiera svizzera. Totò ha preferito una lunga crociera sulle coste italiane — giorni or sono era a Portofino — proprio per riuscire a sottrarsi alla curiosità della gente. A Portofino l'isolamento di Totò è durato addirittura due giorni; per conservare l'incognito scendevano a terra solo i marinai per le provviste mentre Totò e Franca Faldini prendevano il sole sulla tolda tenendosi prudentemente al largo. Totò ha importanti programmi per il prossimo inverno: c’è il ritorno al teatro che ha già messo al lavoro, oltre che gli autori d’un copione — Nelli e Mangini — anche gli scenografi e i coreografi. La rivista che Totò porterà in teatro sarà del tipo tradizionale «a quadri staccati» con un debolissimo filo conduttore. Accanto a Totò saranno Franca May e la francese Yvonne Menard. Il ritorno di Totò in passerella sarà uno degli avvenimenti più notevoli della «stagione»: il comico si prepara con cura a questo rientro. La sua rivista, a quanto si dice, sarà particolarmente sfarzosa e brillante.

«Corriere della Sera», 30 luglio 1956


TOTO', PEPPINO E... LA MALAFEMMINA

Distribuzione: 11 agosto 1956

 

RICEVIMENTO. — Marziano Lavarello, che si proclama erede del trono di Bisanzio in antitesi con li principe Antonio De Curtis, «Alias» Totò, ha dato un ricevimento in occasione del secondo anniversario della sua «incoronazione». La madre ha ricevuto gli invitati, fra cui facevano spicco grossi nomi, indossando una sontuosa «dalmatica».

«Corriere d'Informazione», 20 novembre 1956


Una fastosa cerimonia in una chiesa metodista. Si attende ora la reazione del principe de Curtis, che la magistratura ha ritenuto il legittimo erede del trono di Bisanzio.

Roma, mercoledì sera.

Marziano Lascaris Lavarello, che per anni nelle aule giudiziarie ha contrastato il trono di Bisanzio al principe Antonio De Curtis, alias Totò, è passato all'offensiva; e incurante delle molte sentenze della magistratura si è fatto Incoronare imperatore nel corso di una fastosa cerimonia svoltasi domenica pomeriggio nella chiesa evangelica metodista di via XX Settembre.

Per l'occasione, Marziano Lascaris Lavarello vestiva un abito regale, in testa aveva una splendida corona, e mentre nella mano destra teneva lo scettro, con la sinistra reggeva una palla raffigurante il mondo. Un pubblico numeroso e sceltissimo assisteva al rito. Il pretendente all'impero sedeva in trono (una grande poltrona dai molti fregi dorati e ricoperta di damasco color vermiglione); accanto a lui sedevano i «fedelissimi» con emblemi e stendardi e l'imperatrice madre che indossava un magnifico ermellino.

Officiava un pastore metodista che aveva gentilmente accondisceso a venire da Parigi. La notizia dell'incoronazione è stata per tre giorni mantenuta scrupolosamente segreta, ma ora che è stata ugualmente conosciuta è logico chiedersi quale sarà la reazione del popolare comico Totò, o. meglio del principe Antonio De Curtis, che la magistratura ha ritenuto essere 11 legittimo erede del trono dell'antica Bisanzio.

«Stampa Sera», 21-22 novembre 1956


Roma, giovedì sera

Le prime reazioni all'incoronazione di Marziano Lascaris Lavarello a imperatore di Bisanzio non sono state del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, che per anni ha contestato al rivale l'ambito titolo ottenendo infine dalla magistratura un verdetto in base - al quale deve ritenersi il legittimo erede del trono dell'antica Bisanzio, bensì del signor Mario Sbaffi, pastore della chiesa metodista di Roma, nel cui tempio di via XX Settembre si è svolta la cerimonia

Il signor Sbaffi ha infatti dichiarato che il «venerabile» che ha proceduto al rito — non quindi un pastore metodista venuto appositamente da Parigi — ha ottenuto l'uso del tempio con l'inganno, essendosi presentato come vescovo di una chiesa appartenente al movimento ecumenico e chiedendo di poter celebrare, trovandosi di passaggio a Roma, un semplice «culto» per un gruppo di amici residenti nella capitale. « E' evidente — ha aggiunto il pastore della chiesa metodista — che se avesse menomamente accennato al rito che intendeva compiere, la chiesa metodista — per il proprio de coro — si sarebbe rifiutata di prestargli benevolmente il proprio tempio».

«Stampa Sera», 22-23 novembre 1956


Napoli, 1 dicembre

Dinanzi alla prima sezione della Corte di appello di Napoli si è svolto il dibattimento nel giudìzio intentato dal Principe Antonio De Curtis — al secolo Totò — contro l'avvocato Battaglia del foro romano. Quest'ultimo fu condannato in primo grado, nel 1954, a quarantamila lire di multa per diffamazione. Fu allora prodotto appello e oggi l’avvocato De Simone, che rappresentava Totò impegnato a Roma, ha ribadito la responsabilità dell’avvocato Battaglia. La Corte, accogliendo la richiesta, ha rigettato l’appello negando all’imputato anche le attenuarti generiche. Sarà ora prodotto ricorso in Cassazione.

«Il Messaggero», 2 dicembre 1956


L’annosa questione relativa a chi possa, con pieno diritto, fregiarsi del titolo di Imperatore di Bisanzio, che pareva risolta col riconoscimento, da parto del Tribunale, al principe Antonio De Curtis, meglio noto col nome d’arte di Totò, di aggiungere al propri cognomi anche quello che gli permette di proclamarsi l'ultimo discendente degli imperatori di Bisanzio, minaccia di avere altri strascichi. Contro la recente messa in scena, in una chiesa metodista romana, della cerimonia dell'incoronazione di Marziano II a «Imperatore di Bisanzio» da parte del pittore Marziano Lavarello, é insorto non solo il De Curtis, ma anche il principe e conte del Canavese, Vittorio Emanuele di San Martino Valperga Làscaris Ventimlglia.

Quest'ultimo, nel corso di una conferenza stampa da lui stesso convocata ieri sera, ha detto che la cerimonia romana è stata una mascherata con costumi presi a nolo a Cinecittà. Il principe di San Martino ha rivendicato a sé il diritto di fregiarsi, eventualmente, del titolo di effettivo discendente degli imperatori di Bisanzio, aggiungendo tuttavia di non avere ora intenzione di iniziare nuove polemiche o beghe giudiziarie al proposito. Egli ha tuttavia pubblicamente invitato il principe De Curtis. ora che una sentenza di tribunale gli ha riconosciuto la aggiunta del nuovi cognomi al suo originarlo, di esibire tutti i documenti che confermino storicamente il suo inoppugnabile diritto a proclamarsi Imperatore di Bisanzio.

Quale azione immediata, il principe di San Martino ha intanto indirizzato al Pontefice e al Presidente della Repubblica due lettere in cui, «quale erede legittimo di Casa Làscarls e come cittadino italiano e studioso di storia», protesta vibratamente per l’assurda «incoronazione» del pittore Lavarello, che ha offeso, oltre che la sua famiglia, anche l’Italia e la Chiesa cattolica. Alla riunione sono intervenute anche personalità dell’aristocrazia.

«Corriere della Sera», 5 dicembre 1956


TOTO', PEPPINO E I FUORILEGGE

Distribuzione: 18 dicembre 1956

Qui la rassegna stampa e la scheda completa del film


«Il Messaggero», 19 dicembre 1956


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Dopo un mese trascorso con i figli nella suntuosa villa di Cap Martin, Silvana Mangano s’imbarcherà per l’America e poco più tardi per l'Estremo Oriente, dove l’attende “La diga sul Pacifico”

«Tempo», 1956


La storia dei rapporti fra la "bella di Roma" e il produttore greco che voleva sposarla cominciò col film "Noi cannibali" e finisce con una battaglia per 31 milioni di oggetti preziosi davanti al Tribunale di Roma

«Tempo», 1956


«Epoca», 1956 - Recensioni riviste di Macario e Walter Chiari


La colpa più grave della cinematografia italiana — quella che i tecnici di queste cose assegnano alla categoria dei «peccati contro lo Spirito Santo» e giudicano senza possibilità di remissione — è nell'aver ecceduto nell’esportazione di carne.

«Toujours perdrix»: l’abbondanza ha provocato la noia. La noia, il fastidio. Il fastidio» lo scandalo. Già in molti Paesi a fondo quacquero questa carne italiana d’esportazione è guardata con diffidenza e sospetto. L’ignoranza delle cose nostre all’estero è grande e di certo non giovano a dissiparla le «ambasciatrici d’italianità» che, di quando in quando, diramiamo ai quattro angoli del mondo, con Io scopo principale di richiamare l’attenzione sulla nostra produzione pellicolare e quello subordinato di rinfrescare la memoria sulla nostra terra di santi, di eroi e di poeti. Care ragazze, brave ragazze, splendide ragazze, le «ragazze-carne», come le chiamano gli inglesi, han tutto da guadagnare — al pari di certa pittura — ad essere viste in distanza: più cresce la distanza più ci guadagnano. Imperdonabile leggerezza, quindi, quella di coloro che s’ostinano a farle toccar con mano ora dai turchi, ora dagli svedesi, ora dai tedeschi. Errore enorme: sia pur lentamente, com’è loro costume, questi popoli «realizzano» che esse sono «effettivamente» carne, «tutta» carne, «solo» carne. E se ne sgomentano, e cessano di adorarle; perché eran persuasi, senza aver troppo approfondito, ch’esse fossero concetti platonici. Solo noi, loro compatrioti, sappiamo da sempre che non lo sono e soffriamo (moderatamente) per loro quando ci accade di cogliere nelle cronache dì giornali stranieri il sottinteso ironico onde sono descritti i fatti memorabili delle nostre dive in trasferta e riportati — ahimè — i loro detti.

Una almeno si salva, lodiamo Iddio (o chi per Esso), la quale non ha bisogno di far inchini c riverenze ai potenti, né pellegrinaggi in nessuna terra più o meno santa e neppure di tenerci al corrente delle proprie vicissitudini anatomiche per occupare — senza sottintesi ironici — le cronache dei giornali di tutto il mondo.

Si chiama Anna Magnani, attrice drammatica» e il suo nome è legato a quanto di più durevole ha prodotto li cinema italiano dal 1945 in qua, da «Roma, città aperta» a «Bellissima» ; l’unica che sia stata chiamata a interpretare un film in America non in seguito a complicate alchimie finanziarie ma proprio e soltanto per se stessa, perché si chiama Anna Magnani; perché non è il prodotto d’uno dei tanti, formidabili «uffici stampa», sui quali poggiano le fortune di così gran parte della nostra industria cinematografica, ma perché ha il temperamento di Anna Magnani, il talento di Anna Magnani: qualità che non si possono fingere, non a lungo quantomeno. Ora le è stato assegnato dal critici di New York con 13 voti su 16 il premio per la miglior interpretazione femminile dell’anno (quella di Serafina nel film «The rose tattoo», «La rosa tatuata» tratto dalla commedia di Tennessee Williams). E nessuno — caso raro — ha trovato niente da ridire: non ci sono state riserve, non contestazioni, non recriminazioni.

La stampa, per spiegare con un esempio la qualità dei sentimenti provati assistendo alla prima del film ha evocato come termini di paragone i nomi di Eleonora Duse e Greta Garbo. Scrive il «New York Times»: «Mai prima d'ora ci è accaduto di essere posseduti da un’emozione così intensa, nemmeno quando sui nostri schermi appariva Greta Garbo. Forse soltanto Eleonora Duse avrebbe potuto eguagliare in sensibilità l’attrice di ”Roma, città aperta”». Rincalza la «Saturday Reviev of Literature»: «...un evento del genere si verifica una volta sola nel corso di un’Intera generazione. Mal Hollywood ha avuto occasione di vedere un’interprete come Anna Magnani. Nulla ha potuto l’apparato hollywoodiano contro la personalità dell’attrice: essa non si è lasciata travolgere. Ha vinto. Per la prima volta un’attrice straniera si è preso il lusso di ignorare Hollywood, di sconfìggere Hollywood...».

L’elenco delle citazioni potrebbe seguitare: ma non è il caso di riproporre alla Magnani, tradotti, i ritagli stampa che le sono ormai pervenuti in lingua originale. Constatiamo invece, che il successo di Anna Magnani in America — di questi tempi in cui la dignità dell’attore è ogni giorno più compromessa, complice il complesso autolesionistico degli stessi interessati — rappresenta qualcosa come una inconsapevole, splendida, generosa vendetta. Senza attore non vi può essere vero teatro né vero cinema ma, tutt’al più, ingegnosi surrogati dell’uno e dell’altro. E’ una verità che tutti quanti fingiamo, spesso e volentieri, di aver scordato.

Anna Magnani è giunta in tempo a farcela tornare a mente: sarà opportuno che i primi ad esserne di nuovo convinti siano i suoi colleghi ìn arte, i meno solleciti, i più dimentichi della loro essenziale funzione nel nascere di questo mistero creativo che si chiama spettacolo. Che quella di «Annarella nostra» sia stata un’enorme interpretazione è ancora dimostrato da un particolare su cui le cronache non si sono — a nostro avviso — soffermate abbastanza. Se n’è accorta persino Marilyn Monroe che, domandata di che cosa pensasse di Anna Magnani: «What do you think of Magnani?», ha risposto con un sospiro: «Divine, just divine», «è divina, semplicemente divina...».

Questa «Rosa tatuata», questa Magnani nella «Rosa tatuata», dicono i critici americani, è veramente una cosa che muove le montagne. Lo crediamo.

Gigi Cane, «Noi donne», 1956


Edy Campagnoli, personaggio discreto del grande spettacolo di “Lascia o raddoppia?”, ha intenerito gli italiani, che le mandano tremila lettere la settimana. Ma la ragazza è costretta a una doppia faticosissima vita e dorme solo poche ore per notte

«Tempo», 1956 - Fotoservizio


«Il Messaggero», 17 gennaio 1956


«La Stampa», 6 gennaio 1956


«Stampa Sera», 10 gennaio 1956


Se a qualcuno venisse in mente, in una qualsiasi parte del mondo, di indire un referendum o di tentare comunque un sondaggio tra gli uomini su quanto a loro sembra più degno d'attenzione in Italia, potremmo trovarci davanti a risultati di questo genere: prima assoluta, con grande scarto di voti, Sophia Loren; secondo il Vesuvio, terza la torre pendente di Pisa. E se le preferenze in fatto d’arte o di attrattive del paesaggio potrebbero subire delle variazioni, è certo che al vertice ci sarebbe sempre lei. la nostra attrice dalla bellezza immediata e prepotente. Ne avrebbe più che a sufficienza, la bella Sophia, di motivi per guardare il resto del mondo come se lei si trovasse su un reattore ed il resto dei mortali in fondo alla Fossa dette Filippine, ma il successo, la popolarità, il denaro non l'hanno guastata, non hanno trovato l'occasione buona per trasformare una ragazza spontanea ed intelligente in una melensa e tragicomica diva invaghita di sé.

Sulla nostra seconda diva nazionale si appunta dunque l'attenzione generale. Sta girando un film? Ha in programma una tournée all'estero? Va ad una festa di beneficenza? I giornali sono tutti per lei, pronti magari ad aumentare le pagine pur di poter descrivere minuziosamente le sue giornate, e presentarne le ultime allettanti immagini. Gli ammiratori, donne comprese, vorrebbero conoscere sempre nuovi particolari della sua vita, anche nel suo passato, di quando era una ragazza come tante altre e al cinema nemmeno ci pensava, se non in sogno. Per accontentare tutti, Sophia Loren dovrebbe ripetere la sua storia cento volte al giorno, perchè nessuno sembra rendersi davvero conto di cosa significa essere baciati in fronte, di punto in bianco, dalla celebrità : dovrebbe «confessarsi» senza soste, raccontare le proprie esperienze, dire delle sue speranze di un tempo, dei timori e dei batticuori, delle ansie e delle grandi, immense | soddisfazioni che le sono toccate. Ma Sophia fa l'attrice e meglio non poteva mostrarsi quale essa è se non recitando: davanti ad una macchina da presa, naturalmente, dietro alla macchina questa volta c’era Alessandro Blasetti, un regista di sicuro nome, che si è specializzato negli ultimi anni girando film soltanto divertenti all'apparenza, ma che in realtà tengono in serbo amiche una amabile lezione di costume. Da questo incontro è nato un film che è davvero una confessione, la trasposizione in chiave romanzata di un'avventura che a Sophia è capitata davvero e che potrebbe accadere anche a tante altre: l'incontro a tu per tu con la fortuna. La fortuna: come si può averne tanta da arrivare al successo? E' semplice, risponde la Loren, basta essere donne: solo per modestia essa non aggiunge «donne... carine». E per convincere gli increduli che è proprio cosi ci racconta una storia che, se è inventata nei particolari, ha però un fondo di verità tutt'altro che trascurabile.

«La fortuna di essere donna», oltre che il titolo di un film diventa quindi una «massima» di moralità, una regola di vita, ricavata dalle vicende di questo nostro tempo. Il film insegna in quale modo una ragazza fisicamente «aplomb» riesce a fare strada nel mondo d’oggi: le basta entrare in quello improvvisato ingranaggio creato per sfruttare le risorse della bellezza femminile, in quell’ambiente che ruota attorno agli studi dei fotografi, alle redazioni dei rotocalchi e, ultima meta, negli «studi» delle società cinematografiche. Niente di più semplice: Antonietta, la giovane protagonista di «La fortuna di essere donna» si trova all'improvviso «lanciata» in un mondo che non è più il suo per un banalissimo incidente. Per una smagliatura alle calze è costretta a scoprirsi per pochi secondi le gambe: un fotoreporter che passa di li per caso non si lascia sfuggire l'occasione di scattare un'immagine un po’ ardita e di correre poi a venderla. Il gioco è fatto: la ragazza è già «lanciata» nel più efficace dei modi, solo che lei voglia avrà ai suoi piedi uomini blasonati o ricchi a dismisura ed i registi più in voga se la disputeranno. Preferisce invece ancorarsi a quei pochi valori sicuri che, nella sua vita, ha imparato a distinguere dagli altri: l'amore sincero, una sicura vita familiare. La ragazza finisce per accorgersi di quanto sia importante essere donna proprio nel momento in cui dà un addio alle tentazioni che le baluginavano d'intorno e ritorna ad essere una ragazza come le altre.

Il film, evidentemente, vuol dare una lezione di ottimismo, anche a quanti abitualmente riflettono amaramente sui costumi non sempre adamantini della gioventù di i oggi. Anche Marcello Mastroianni, che interpreta nel film di Blasetti il ruolo del fotoreporter volante (ricordate la coppia Loren-Mastroiannt di «Peccato che sia una canaglia?» vuol dare una conferma in questo senso: la sua regola fondamentale è quella di arrangiarsi a fare i propri affari, e quella di sfruttare le occasioni che si presentano senza pensarci su tanto. Un po' cinico e un po' calcolatore, anche lui però non sa resistere agli slanci del cuore: ad un certo punto dà un calcio al suo baraccone delle meraviglie, che pur gli procura avventure e una indiavolata aureola da «cacciator di talenti» e chiede in sposa la ragazza che lui ha tentato di lanciare fuori dalla sua orbita.

Blasetti non fa del moralismo ad oltranza, ma non intende nemmeno travisare la realtà a fini scandalistici: penetrante com'è nelle sue indagini egli ha voluto questa volta ricorrere ad una testimonianza diretta, di una bella ragazza che ha davvero raggiunto la notorietà grazie alla sua bellezza, alla sua fresca spontaneità. La cosa più bella è che Sophia Loren abbia accettato questa parte, che, in molti punti, può essere considerata autobiografica. Nella finzione' del film essa rinuncia alla celebrità per restare ancorata al proprio mondo, nella realtà della vita ha invece ottenuto ciò che desiderava sema rinunciare a nulla. E' una fortuna quindi, essere donna, ma — bisogna aggiungere — donna di carattere. In altri termini è una fortuna essere onesti e sinceri con se stessi : sconfitti finiscono per essere sempre gli uomini come il «conte Cecchetti», co-j lui che, impersonato da Charles Boyer in questo film, dovrebbe essere maestro di belle maniere, ma in realtà ha un compito più impegnativo e più ingrato: quello di dare alla «fortuna di essere donna» un significato che non è quello voluto da Blasetti, da Sophia Loren, da Marcello Mastroianni e, buoni ultimi, da noi.

Piero Volta, «La Gazzetta di Mantova», 12 gennaio 1956


Taranto, 17 febbraio.

La bella Isa Barzizza — che la foto mostra accanto al marito — è stata ieri sera al centro di un arroventato «fuori programma» i cui echi confusi sono giunti dal palcoscenico alle prime file di poltrone. La commedia musicale «Valentina» dove Isa Barazizza sostiene la parte di una sposina alla quale il malizioso e benevolo mago Saturnino concede di superare in un «flat» gli anni difficili del suo matrimonio, era giunta felicemente nel porto del secondo tempo. Da pochi minuti era ricominciato lo spettacolo quando dietro le quinte è scoppiato un putiferio che aveva per protagonisti il regista Carlo Alberto Chiesa, marito, secondo la legge, di Isa, e l'attore Renzo Giovampietro, marito secondo il copione e la finzione scenica, della stessa. Il sortilegio del mago Saturnino questa volta non è valso a far superare il momento difficile che si è sviluppato e concluso secondo tutte le regole che presiedono alle scenate del genere. Dopo un primo scontro iniziale in mezzo a quinte, fondali, «tiri» e «cantinelle», la colluttazione fra il regista e l’attore si è spostata nel camerino di quest'ultimo dove Chiesa era riuscito a sospingere l'avversario.

Invano gli altri attori, le attrici e le ballerine battevano i pugni sull’uscio e scongiuravano i due di finirla: dal camerino giungevano colpi sordi e brevi grida soffocate, mentre nella «buca» il maestro incitava i suonatori a suonare più forte per coprire la eco di quel frastuono. E Isa? Sfuggita, sembra, alle ire del marito che in un primo tempo parevano riversarsi anche su di lei, si era chiusa a singhiozzare nel suo camerino dove è rimasta fino alla fine dello spettacolo. E' toccato al sorridente Viarisio venire alla ribalta e spiegare che un lieve malore impediva alla bionda «soubrette» di apparire ancora davanti al pubblico. Che deluso e immusonito ha assistito al fiacco trascinarsi dello spettacolo nulla sospettando dell’altro piccante spettacolo che stava svolgendosi dietro alle quinte.

«Corriere della Sera», 18 febbraio 1956



Mario dell'Arco, «Il Piccolo di Trieste», 28 aprile 1956


In alto, nel legno della libreria che copriva una parete del suo piccolo studio, Raffaele Viviani aveva fatto incidere queste parole: • Ce ne stanno fatiche! •. Ce n’è di fatica, nei libri. L’osservazione non era di un letterato, ma di un artista che alla poesia era faticosamente, istintivamente arrivato attraverso le quotidiane esperienze piuttosto che dalla pratica dell’alfabeto.

Lo scugnizzo, tema conduttore della sua produzione, maschera e personaggio attorno al quale si addensa un mondo tragico ed estroso, è la memoria della propria condizione di fanciullo, identica alla condizione di altre migliaia di ragazzi che formicolavano, laceri e affamati, nella Napoli fine Ottocento. Ma lo scugnizzo Raffaele Viviani prende coscienza (questo, il suo segreto) di una realtà fino ad allora deformata, in sede letteraria, dalle lusinghe del pittoresco.

« ...A dudece anne, a tridece - cu 'a famma, e cu 'o ccapì (cioè, con la fame e col capire) - dicette: Nun pò essere, - 'sta vita ha da fernì! - Pigliaio 'nu sillabario: - Rafele mio fa tu! - E me mettetto a correre -cu a e i o u». Ce n’è di fatica, nei libri: a cominciare dal sillabario.

Così il bambino che a quattro anni aveva iniziato a lavorare in uno squallido teatrino di marionette, scopriva — adolescente — la parola scritta: strumento per fissare una verità che nasceva e si sviluppava nei vicoli sopra Toledo, nei bassi di Santa Lucia, nelle stra-dette di basso porto. Una verità che andava rivelata senza compiacimenti folcloristici. Per questo. Raffaele Viviani si fece interprete di se stesso, dell'ambiente che lo aveva espresso, prima ancora che autore delle proprie pagine: di volta in volta pescatore o zingaro, posteggiatore o camorrista, guitto o mendicante.

Portentoso mimo — lo ricordava Silvio D’Amico — con un fisico che a cinquantanni pareva ancora quello agile e snodato di un ginnasta adolescente, rimasto perpetuamente scugnizzo aggressivo, riottoso, animalesco e sentimentale.

Questo è il ritratto del popolaresco protagonista di 'O vico, ’O fatto ’e cronaca, 'E piscature, ’O guappo 'e cartone: un artista che della matrice dialettale assimilò il mordente, la vivezza, la sincerità, ma non quell’approssimato moralismo fatto di inerzia, di rassegna-zio ne amara alle sventure, di scetticismo, di fatalismo convenzionale. Raffaele Viviani, lo scugnizzo che da solo aveva affrontato l’alfabeto, credeva che il mondo possa essere migliorato dalla solidarietà degli uomini, dal loro quotidiano fervore. Era soprattutto falso, per lui, il proverbio napoletano secondo il quale «chi nasce quadro non può morire tondo». Con questo pensiero, tradotto nelle rime di una poesia, chiuse nel 1950 la sua giornata terrena.

Ghigo De Chiara, «Radiocorriere TV», aprile 1956


Elsa Merlini ritornerà presto al teatro, in una commedia musicale: intanto, con una punta di malinconia, racconta in questa intervista i momenti più importanti della sua vita di attrice e confessa cosa farebbe se avesse “tanto denaro”

«Tempo», maggio 1956


Leo Penna, «Cinema», 25 maggio 1956



Franca May si è convinta che il numero quattro le porti fortuna...

Giuseppe Dicorato, «Tempo», anno XVIII, n. 36, 6 settembre 1956


L’arresto dell’attore e il mandato di carcerazione per Augusto Torlonia sono un’inattesa appendice dello scandalo degli stupefacenti di quattro mesi fa...

U.d.F., «Tempo», anno XVIII, n.43, 25 ottobre 1956


Giacomo Rondinella, che aveva subito da poco una leggera operazione alla gola ha voluto tornare in palcoscenico senza il consenso dei medici, per evitare alla sua compagnia un disastro finanziario.

Gigi Movilia, A. E., «Sorrisi e Canzoni», 30 dicembre 1956



 

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