Gianna Maria Canale: «sono stanca di fare la regina»

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Gianna Maria Canale, dopo aver interpretato in trentacinque film ruoli regali, sente ora il desiderio di una parte di donna vera, ricca di umanità

Roma, ottobre

«lo sono come un lupo...», dice sorridendo Gianna Maria Canale, «che esce dalla sua tana quando ha fame...». Poco prima, al telefono, mi aveva detto: «L’aspetto a casa mia, a via del Babuino...», ma non è una casa, aveva precisato, è una tana. Se prima alludeva alla piccolezza degli ambienti, (la villa sulla Cassia che ha lasciato cinque mesi fa è grande dieci volte tanto), ora allude ad altro; e cioè alla sua condizione di attrice del tutto staccata dall’ambiente, insoddisfatta del suo lavoro, che ogni tanto depone gli abiti borghesi e indossa, per necessità, i costumi delle belle e fatali "regine" dello schermo; allude alla sua situazione psicologica di donna sola, (sono ormai quattro anni che ha lasciato il regista Riccardo Freda), abituatasi ormai alla solitudine, «ed è brutto — dice — essere arrivata a questo punto... la solitudine è peggio di una droga». 

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Gli anni non hanno inciso sulla sua bellezza, se non impercettibilmente agli angoli degli occhi; l’esperienza ha inciso sul suo carattere, esasperandone certi lati, addolcendone altri. L’umore della Canale oscilla di continuo fra il tono amaro dell’autocritica, per cui non passano dieci minuti senza che denigri se stessa. («Noi donne siamo un po’ tutte delle sciagurate; quasi nessuna riesce a trovare il suo giusto posto nella vita...»), e una saggezza da filosofo. Ogni volta che la incontra, una sua collega ricchissima, famosissima, le chiede piena di stupore: «Ma dove vai? Sei di nuovo di partenza? Mi dici come fai a trovare tanto tempo per le vacanze?...»; e la Canale, pronta: «Bisogna saper trovare il tempo per se stessi; altrimenti finisce che si vive soltanto per gli altri».

Lei ci è riuscita in modo eccellente, dividendo nettamente la sua vita privata da quella professionale. Se il suo nome non apparisse ogni tanto sui manifesti in tricromia dei film in costume, pochi si ricorderebbero dell’esistenza di Gianna Maria Canale. Essa non fa parte di nessun ”giro” mondano, non frequenta via Veneto, non ha mai avuto un premio; e il suo nome non è stato mai coinvolto in nessuno scandalo.

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Chi la vede fuori del set non pensa certamente a un’attrice. Pensa ad una bella donna, molto elegante, raffinata, che ha probabilmente, (come ha), una certa propensione per il gioco della canasta, molto gusto, e una spiccata sensibilità per gli oggetti d’arte, i mobili autentici, i quadri d’autore. Da quando ha lasciato la villa sulla Cassia e i cani lupi che facevano la guardia alla sua misantropia, e si è trasferita, con Papi, un barboncino vivace ed educato, nella "tana” di via del Babuino, la sua trasformazione in questo personaggio è completa. Il piccolo appartamento è pieno di quadri preziosi, di mobili che hanno una storia; la sua proprietaria, che ora mi sta davanti, vestita di un abito rosa tenero, su cui fanno spicco tre sobri fili di perle, ha in certi momenti la compiaciuta tran-, quillità di chi si sente al centro di un ambiente eletto, e l’educata civetteria di chi non gli dà importanza.

«Oh — si schermisce — non è poi granché...»; ma se le chiedete di mostrarvelo scoprite a ogni parete un piccolo tesoro. Davanti a me c’è un grande quadro del Magnasco; alle mie spalle un mobile, che Maria Antonietta regalò al proprio ambasciatore a Roma, degno di un museo; nell’angolo, una poltrona Luigi XIII. Tre piatti appartenuti alla Pompadour illuminano la parete di fondo del soggiorno; una Madonna à gouache di Francesco Guardi sovrasta il letto dell’attrice; e due quadretti e un disegno di Breughel concludono gloriosa-mente la collezione. Via via che mi aiuta a scoprire queste meraviglie, la voce di Gianna Maria Canale si addolcisce di piacere, palesando l’autenticità, la sincerità della sua passione per queste cose. Nulla di snob, di artificioso. Del resto lo confessa: «I quadri e i viaggi — dice — sono le uniche gioie della mia vita; se non avessi queste...».

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Sono il compenso, la rivincita sulle delusioni che il cinema le ha inflitto, bloccandola in un ferreo cliché dal quale ormai ha poca speranza di uscire. Altre erano le aspirazioni della ragazza che un giorno dovettero trascinare a forza, tanto era timida, («e lo sono ancora — dice — mentre la gente pensa che io sia superba...») al cospetto di Riccardo Freda: voreva diventare attrice, una vera attrice. E invece dei trentacinque film che ha girato fino ad oggi, essa non ne salva nessuno; nessuno è degno, secondo lei, d’essere ricordato. L’ultimo è stato L’assedio di Corinto. «Che parte facevo? Che parte voleva che facessi? L’aristocratica, la solita... Io faccio sempre la regina o la figlia di re o la moglie di un nobile. — Sorride: — Dicono che sono alta, che porto bene i costumi. — E poi, in un impeto d’amarezza: — Mi disprezzo perchè non sono riuscita ad essere quella che potevo essere. Sono stanca, ormai, di girare le stesse parti di regina, ora vorrei interpretare parti di donne vere».

E’ raro il caso di un’attrice che parli in questo modo di sè. Ormai è lontano il periodo in cui, quando girava solo con Freda, Gianna Maria Canale era diventata famosa per i suoi scatti d’ira, le impennate improvvise, le scenate sul set, le sue fughe; oggi il suo nome è sinonimo di puntualità, rendimento, abilità, coraggio. Anche coraggio. I film in costume sono delle specie di caroselli, dove bjsipgna saper fare di tutto e affrontare spesso dei rischi. Gianrta Maria Canale non si tira mai indietro, anzi rifiuta sempre, terrorizzando i produttori, la controfigura. Si butta da cavallo, combatte con la spada, entra nelle gabbie dei leoni.

«Il lavoro mi piace — dice — non mi piacciono i film...». Appena finiti, se li dimentica. Li abbandono tutti — precisa — sulla porta della chiesa...».

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Li dimentica e corre a chiudersi nella sua ”tana”, oppure parte. I viaggi sono un altro sfogo alla sua amarezza, un cardine dell’equilibrio che, malgrado tutto, da quando si è separata da Freda è riuscita a conquistarsi. Parte a bordo della sua auto, fa tappa dove le capita, sta lontana da Roma spesso anche mesi interi. Parigi, Londra, Montecarlo, Madrid sono le sue mete preferite; ma Madrid soprattutto. Ora è un anno che manca dalla Spagna e ne sente, dice, una nostalgia acutissima.

«Una volta —- comincia — camminavo per strada, era estate...»; e si abbandona tutta al ricordo di quel giorno luminoso in cui all’improvviso un giovane vestito tutto di nero le si parò davanti, la fissò e le disse: «Tu in un’altra vita sei stata una regina...». «Non fu un complimento bellissimo?», f esclama. Certamente bellissimo; ma esso dà ragione, non se ne accorge?, ai produttori italiani. Si vede proprio che era il suo destino.

A. D., «Tempo», anno XXIII, n.42, 21 ottobre 1961


Tempo
A. D., «Tempo», anno XXIII, n.42, 21 ottobre 1961