L'album di Claudia Cardinale
Ha ventidue anni, non sa guidare l'automobile e non fa vita mondana. Legge, dipinge, è molto timida e non si dà arie da grande diva. Non aveva mai sognato di fare del cinema ed è invece arrivata al successo.
Ho l'impressione che Claudia Cardinale sia una persona tutta intera. Parlo della persona fìsica, dai capelli ai piedi. Che abbia, dico, sotto ai capelli, una testa con la fronte, le sopracciglia, gli occhi, il naso, la bocca, il mento, il collo; e, sotto il collo, le spalle, il torace, il torso (con tanto di braccia attaccate alle spalle); e, sotto il torso, i fianchi, le gambe, le ginocchia, le caviglie e appunto i piedi.
Questa impressione di «persona fisica intera», che è in genere quella che ci danno tutti gli uomini c tutte le donne che incontriamo nella vita, è molto raro ce la diano le attrici del cinema, e in modo particolare le attrici di primo piano, le dive. Il più delle volte le dive dello schermo, al contrario, della loro impalcatura di carne e d’ossa ci danno un’impressione parziale.
Le dive del cinema di prima della guerra (e del muto in particolare) erano un paio d’occhi e basta, per esempio: due occhi ai quali si collegavano ovviamente tutti gli altri elementi costitutivi del corpo, ma in modo secondario e quasi inavvertibile; o erano una bocca, o semplicemente un mento. In ogni caso si riducevano a un lineamento del viso, così più vivo, così più luminoso, così più importante del corpo, che il corpo non si notava, non si vedeva. Le dive d’oggi sono assai spesso, invece, solo un petto; come se la testa, i fianchi, le gambe non esistessero; o solo un fianco, o due gambe (lunghe, solitarie, che si muovono per conto loro nel passo, isolate dal resto del corpo, fantomatiche).
Questo tipo d’attrice è il più recente, quello del dopoguerra. L’attrice-occhio, l’attrice-bocca, l’attrice-fronte fa parte di un mondo che giudicava Venere guardandola diritta in viso, ancora: il mondo dei nostri padri; l’attricc-pctto, l’attrice-fianco, l’attrice-ginocchio eccetera fa parte di un mondo che guarda Venere dal collo in giù, scartando il viso: il mondo nostro.
Un vecchio album di dive dello schermo è una galleria di volti, una collezione di pettinature e di sorrisi : vi si vedono delle poltrone, delle specchiere. Un album di dive dello schermo dei nostri giorni e, salvo qualche eccezione, una galleria dei letti, delle lenzuola. Si direbbe che le teste fossero andate tutte al cinema di ieri, prive dei corpi appunto, come in un museo archeologico che allineasse esclusivamente dei ritratti; e che al cinema di oggi fossero andati solo i corpi, sempre come in un museo archeologico popolato esclusivamente di statue acefale. Il guardaroba delle dive dello schermo di prima della guerra (e del muto) era pieno di pellicce; quello delle dive d’oggi e pieno di sottovesti.
Ho l’impressione, dicevo, che Claudia Cardinale sia un’attrice del mondo di ieri e di quello d'oggi. Questo discorso dell’attrice-occhio e dell’attrice-gamba non lo faccio per il gratuito gusto di giocare con un'idea. Lo faccio per dire che una interprete del film così congegnata ha, probabilmente senza rendersene conto e senza che se ne rendano conto gli stessi produttori e gli stessi registi che se ne servono, il compito di condurre il personaggio femminile del cinema a una interezza che forse non ha mai avuto, ma che in ogni caso oggi gli manca nel modo più assoluto. Vorrei in altri termini affermare che, per il personaggio femminile, il cinema d’oggi si serve più di femmine che di donne, ripetendo in senso opposto l’errore del cinema degli inizi, che si serviva esclusivamente di donne e mai di femmine.
Se il film muto, cioè, realizzava qualche volta delle figure di avventuriere, o di maliarde, o addirittura di insaziabili cortigiane, usando delle attrici che avevano tutta l’aria di borghesissime e tranquillissime madri di famiglia, il film nastro realizza (quando raramente si propone di realizzarlo) il personaggio tranquillo e casto della madre di famiglia con attrici che hanno l’aria di avventuriere di tre cotte, di maliarde, di cortigiane eccetera. Il cinema di ieri per il personaggio di Boule de suif aveva a disposizione solo delle Lucie Mondella, questo d’oggi per il personaggio Lucia Mondella ha a disposizione solo dei tipi Botile de suif.
Mi sembra, per riprendere il motivo sul quale si articola questo scritto, che la neodiva Claudia Cardinale metta insieme la crudezza di Boule de suif con la riservatezza di Lucia Mondella e che pertanto, a chi se ne serve per il racconto cinematografico, possa dare modo di uscire dalle strettoie d’un genere che rischia di diventare una cifra convenzionale e accademica: la cifra della donna cosiddetta sexy e solo sexy (anche nella struttura mentale e fantastica). Non che un’«attrice intera» possa servire solo a realizzare la cifra opposta; direi che essa è ambivalente; direi, per usare una espressione oleografica, ma l’unica efficace, eh’essa può fornire al personaggio il corpo e l’anima.
Un personaggio femminile, del resto, è sempre il risultato della somma di tante dosi di Lucia Mondella e di tante dosi di Boule de suif, per continuare a servirci della stessa esemplificazione; il fatto poi che esso abbia una certa configurazione piuttosto che un’altra, risulta dalla proporzione quantitativa delle dosi Lucia Mondella e delle dosi Boule de suif. Un personaggio femminile con ottanta parti Boule de suif e venti parti di Lucia Mondella su cento è un personaggio nel quale la forza della femmina è evidentemente più prepotente di quella della donna; e viceversa.
Ma un personaggio femminile nel quale esiste solo il cento per cento d’una dose o dell’altra è una macchietta. Ecco, i personaggi femminili del cinema muto erano delle macchiette nel senso dell’anima, per così dire (sia pure camuffate da vizio, da perdizione e simili): basta rivedere un film tra il 1912 e il 1920 per rendersene immediatamente conto. E tuttavia i personaggi femminili del cinema d’oggi sono macchiette nel senso opposto, del corpo. Noi per ora non ce ne avvediamo, ma fra dieci, vent’anni, alla vista delle dive-senso è chiaro che faremo delle risate non meno grasse di quelle che oggi spontaneamente facciamo alla vista delle dive-anima del principio del secolo.
Il successo che ha arriso sicuro e costante alle interpretazioni di Claudia Cardinale è dunque probabilmente dovuto a questa sua completezza di mezzi da mettere una buona volta a disposizione del personaggio femminile sullo schermo; alla possibilità, che è nel suo fìsico prima ancora che nella sua stessa intelligenza, di non essere un genere, una ricetta, una vogue : insomma una moda (commerciale o intellettualistica, non fa differenza) e una macchietta, che vuol dire una caricatura. E quando dico «fìsico» non intendo l'anatomia nuda e cruda, ma anche la luce dell’occhio, che è essa pure lineamento, il peso del sorriso, la radiazione di simpatia o di malinconia o di gaiezza o d’altro dei quali la persona fìsica umana e capace.
Avanti tutto la Cardinale è ovviamente una bella ragazza. Ma la sua avvenenza non esaurisce la sua personalità, come avviene in genere nel caso delle bellissime del cinema. Voglio dire che si tratta di una bellezza che non esclude la donna corrente, normale, di tutti i giorni; una bellezza che, volendo, può diventare grigia c che può consentirle liberamente, sempre che se ne dia l'occasione e l’obbligo, di essere l'interprete diligente e veridica di un personaggio femminile decisamente brutto.
I suoi capelli a brocca, con frangetta, possono essere quelli di Paolina Borghese e di una vecchia; la sua fronte ampia e allo stesso tempo ignara può essere quella di una principessa e quella di una serva; i suoi larghi occhi rotondi possono essere quelli di una Venere e quelli di una zitella inacidita; la bocca è sensuale fino a un certo punto, ma con una piccola piega delle labbra può diventare quella di una «Figlia di Maria»; il viso rotondo non ha finito di essere quello di una piccola borghese che già sembra quello di una contadina; e non ha finito di sembrare quello di una contadina che ci si può vedere dentro persino una certa regalità. L’espressione complessiva dei lineamenti è quella di una bravissima figliola, con una acerbità addirittura impacciata, verginale: la si immagina senza fatica col velo di monaca, tutta incorniciata di tele inamidate, qualcosa come una Madonna del Sassoferrato, con quel tanto di maternità latente, piena di latte, che c’è appunto nelle Madonne del Sassoferrato; ma si capisce che basta dirle una parola in sala di posa, per cambiarla nel giro di un minuto in una Didone abbandonata.
La prima qualità di questa attrice, direi pertanto che consistesse nel non essere un tipo, pur essendo una personalità spiccatamente originale; e mi sembra un requisito di prim’ordi-ne per una completa attrice dello schermo. Di non essere una maschera, insomma, come la quasi totalità degli attori, uomini e donne, del cinema, non solo in Italia ma un po’ in tutto il mondo. Di non far parte, dico, di quel colossale teatro di marionette di carne che con i loro «segni caratteristici», con i loro tic, con le loro pose, con le loro particolari e inconfondibili «doti eccezionali», con la loro stessa bellezza, con le loro stesse anomalie, finiscono col soverchiare e soffocare il personaggio più che realizzarlo.
Se c’è un difetto inconfondibile nella diva dello schermo dei nostri giorni è quello che essa assomiglia terribilmente a se stessa. La Bardot assomiglia in modo irreparabile alla Bardot, la Loren alla Loren, la Mansfield alla Mansfield. Combattere la somiglianza con se stesse è per esse una partita perduta in partenza. È la ragione per la quale esse non possono che realizzare sempre se stesse, magnifiche bambole, eccezionali manichini, preziose modelle. È facilissimo per una donna qualunque imitare la Loren o la Lollobrigida, per tenerci a nomi italiani. E infatti il mondo è pieno di Loren e di Lollobrigide. Quel che è difficile è, per la Loren e la Lollobrigida, imitare una donna qualunque. Ma non mi sembra che per una donna qualunque possa essere facile imitare la Cardinale, appunto per la sua possibilità di essere un numero infinito di donne. In questo senso, con i suoi rapidi successi, la Cardinale potrebbe annunciarci un riorientamento del pubblico sul tipo classico dell’attore e una stanchezza del classico attore-tipo.
Del resto, vista al di fuori dello schermo, direttamente, in casa sua, conferma le impressioni che la sua immagine dà a chi la segue dal buio della sala di proiezione: una creatura grande e forte, ma con una radiazione di fragilità ancora fanciullesca; che se nel viso ha una felice maliziosità di scolara di terzo liceo, nelle movenze delle braccia, nei gesti, nelle positure che accompagnano la conversazione ha una prepotenza femminile già inconfondibilmente teatrale. La salute di un umore fino a questo momento integro, non privo di una carica di umiltà, spiega come mai questa ragazza di ventidue anni, italiana di Tunisi, figlia di un impiegato, sia arrivata al cinema, senza mai averne avuto la più pallida vocazione. Diplomata al Magistero di Tunisi, io penso sia la prima maestra elementare, la prima «maestrina» si sarebbe detto un tempo, divenuta stella dell’arte meno didattica della terra. E non sa guidare l’automobile e veste come una qualsiasi ragazza borghese, con un mazzolino di ciliege finte fissate con una spilla sopra il cuore.
Un’attrice di questo stampo non andrebbe coinvolta solo dentro una certa vague già oggi non più assolutamente nouvelle, destinata in ogni caso a divenire ancienne in breve volger di tempo. Nella grande orchestra del cinema non solo italiano essa mi sembra uno strumento completo. Servirsene per eseguirci solo musica leggera sarebbe davvero imperdonabile.
Virgilio Lilli, «Epoca», anno XII, n.542, 19 febbraio 1961 - Fotografie di Carlo Bavagnoli
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Virgilio Lilli, «Epoca», anno XII, n.542, 19 febbraio 1961 - Fotografie di Carlo Bavagnoli |