A Milano Walter Chiari lo trovarono più divertente di Pietro Nenni

Nel maggio del 1945 Walter Chiari, comico sconosciuto, salvò dal naufragio uno spettacolo di beneficenza cui presenziava il "leader" socialista in maniche di camicia. Per il giovane attore fu l'inizio d'una brillante carriera
Milano, maggio '45: la capitale lombarda vive nel l'euforia della liberazione. I partigiani percorrono ancora la città aggrappati agli sportelli ed ai parafanghi di lussuose macchine sequestrate, il pomeriggio la gente si divide tra i più strani comizi in piazza ed i cinema dove vengono proiettati i primi film americani doppiati ad Hollywood da calabresi emigrati in America trentanni prima; la sera vanno tutti a ballare, dopo aver accuratamente controllato di avere negli abiti almeno qualcosa di rosso. Si balla dappertutto, nei caffè, negli alberghi, nei cortili, nei capannoni di periferia; il «boogie woogic» impazza, sovente intercalato dalle note di «bandiera rossa» che le coppie di ballerini sudaticci ascoltano con molta serietà e fierezza.
Tra le tante iniziative di svago a tinta benefica, qualcuno pensa di allestire al Teatro Lirico uno spettacolo di arte varia, anzi uno «spettacolissimo», non ricordiamo più bene «pro chi», con la partecipazione di tutti gli artisti di prosa e del varietà residenti a Milano. Tutti, eccezion fatta naturalmente per Navarrini incarcerato e per Vera Roll rapata di fresco per collaborazione con l’Asse. Uno spettacolo «monstre», insomma, che fa un «tutto esaurito», malgrado i prezzi frettolosamente adeguati all'incipiente inflazione. Sulla scena si alternano con un po' di confusione artisti di tutti i temperamenti, da Carlo Dapporto a Marisa Maresca, da Ricci ad Eva Magni, da Maddalena a Laura Adani. Fa una breve apparizione Wanda Osiris. Il pubblico applaude, ma non è soddisfatto, si annoia. Ride un po’ alla caricatura della «Wandissima» fatta dalla figlia di Maddalena e, più che il palcoscenico, guarda con curiosità un palco dove in maniche di camicia risplende Pietro Nenni, salutato al suo apparire dalle note dell’Internazionale» e da un applauso da «vento del nord».
Malgrado il disciplinato ossequio del pubblico all’iniziativa bene filopatriottica, lo spettacolo sta per concludersi in un fiasco, quando a capovolgerne le sorti provvede un giovane comico sconosciuto ai più. Si chiama Walter Chiari, gli hanno messo il nome piccolo piccolo sul cartellone, sul suo ruolino di attore c’è soltanto qualche spettacolo di beneficenza qua e là per l’Italia del Nord. La sua trasferta più lontana è stata Trieste, dove un anno prima è riuscito a rabbonire il pubblico imbestialito e pronto ormai a dare l'assalto al botteghino per farsi restituire i soldi, interpretando la macchietta del giovane timido che si ordina un’aranciata. Anche al «Lirico» esordisce portando in scena il personaggio del dilettante impacciato che per la prima volta si presenta dinnanzi al pubblico d’un teatro. Gli spettatori ormai stanchi di sbirciare Pietro Nenni, sono gradevolmente sorpresi da questo giovinastro con i capelli sugli occhi che blocca chi si alza per andarsene urlando «ehi, tu, aspetta un momento, vedrai che roba adesso!».

A questa macchietta fa seguito poi quella del borghese che cerca disperatamente di adeguarsi ai tempi nuovi. Il pubblico, che nel personaggio riconosce molto di se stesso, ride fino alle lacrime, applaude, vuole «bis». All’uscita gli spettatori parlano tutti del giovane Chiari, non si accorgono neppure di Pietro Nenni, che si allontana un po' deluso con la giacchetta sottobraccio. Sarà il trionfo ottenuto con questa recita al «Lirico» a decidere Chiari sulla via da scegliere nel passare dal dilettantismo ai professionismo. Era un attore dilettante ed un pugile dilettante e, sino a quel momento, aveva raccolto più allori come pugile (era persino riuscito a vincere un campionato nazionale dilettanti, come peso piuma). Gli avevano offerto di diventare pugile professionista e gli avevano pronosticato una buona carriera, ma gli applausi milanesi gli fanno scegliere il palcoscenico. E in pochi anni sarà primo attore con la Marisa Maresca, poi capocomico, infine gli si apriranno le porte del cinema, la patente più sicura di «attore arrivato».
Affannosamente i critici si sono preoccupati di definire i motivi per cui Walter Chiari piace al pubblico: qualcuno ha parlato di «comicità spontanea», di «volto nuovo, genuino». Indubbiamente Chiari ha qualcosa che lo «stacca» da tutti gli altri attori comici nostri, ma questo c qualcosa» sta più nella sua personalità che nella sua arte o abilità scenica. Contrariamente a tutti gli altri comici, Chiari è esattamente lo stesso, il medesimo carattere, un uguale modo di gestire e di parlare, sulla scena e fuori della scena, nella vita d’ogni giorno. I casi, per Walter Chiari, sono due: o recita sempre, oppure parla ed agisce con spontanea naturalezza anche sul paiscenico. Siamo per la seconda ipotesi, anche perchè, in fondo a tutte le macchiette di Walter c'è il ragazzo scapestrato e mattacchione che dà del «tu» ad una persona dopo che ha scambiato quattro parole con lei e lascia andare delle gran manate sullo stomaco dei personaggi più austeri che lo avvicinano per parlare di affari. Nei camerini dei primi attori c'è sempre una donnina anziana, col sorriso mesto di chi ha tanta pazienza: è la guardarobiera. Oltre ad avere pazienza, deve voler molto bene all'attore, altrimenti non gli resisterebbe accanto per più d'una settimana, deve anche essere molto piccola e magra, perchè i camerini di teatro sono piccoli e stretti, nonché solitamente pieni di gente che non c'entra. Nella guardarobiera di Chiari, queste qualità sono sviluppatissime: è pazientissima, piccolissima e vuole a Walter una montagna di bene. Tra uno «sketch» e l'altro gli manda indietro i capelli sulla fronte: da anni gli manda indietro i capelli sulla fronte, pur sapendo che è del tutto inutile, che nemmeno una pressa idraulica terrebbe fermi quei capelli; eppure lo fa con animata solerzia, come fosse la prima volta. Quando Walter è in scena tira fuori da chissà dove uno sgabellino, si mette a sedere rassettando i costumi che l’attore indosserà nella scena successiva e mormora in milanese «io non so come fa, io non so come fa, ha tanta energia addosso da far muovere un elettrotreno».
Durante il suo soggiorno romano siamo stati vicini a Chiari per una giornata intera, dal mattino alle ore piccole della notte, e nemmeno noi, ora, riusciamo a capire cerne diavolo faccia, anche noi siamo convinti che muoverebbe un elettro-treno, se gli si potesse allacciare al ciuffo una presa di corrente. Chiari s’è alzato alle nove, e dopo tre minuti tutto il piano dell'albergo dove abitava lo sapeva. Crediamo che a Chiari la tecnica del camminare in punta di piedi sia del tutto ignota. Non era trascorsa neanche mezz'ora, ed era già in macchina diretto a velocità incivile verso i teatri di posa della «Titanus» per girare gli interni di «E’ l’amor che mi rovina», il suo ultimo film, diretto da Soldati e interpretato, con lui, da Lucia Bosè, Aroldo Tieri ed Eduardo Ciannelli. Lungo il tragitto mi spiega che a Roma, in fondo, il lavoro è facile: stancava un po’ di più quando giravano gli esterni al Sestrière e lui ogni sera doveva precipitarsi a Torino per la recita in teatro. Costretto ad un ritardo per una panne, una sera telefonò al teatro, I'«Alfieri», per avvertire che sarebbe arrivato all'ultimo momento, che cominciassero pure Io spettacolo. Gli rispose il custode: «Va bene. va bene, avvertirò. Ma Lei chi è? Chiari? Ma che fa, lavora in compagnia, Lei, o è un macchinista?». «Una bella soddisfazione professionale» dice Chiari, e ci ride sopra di gusto. Un altro ci avrebbe fatto una malattia; comunque non ne avrebbe parlato con un giornalista. Mentre entriamo di corsa nel teatro di posa. Chiari sta già togliendosi camicia e calzoni: è raro che abbia indosso qualcosa di più che camicia e calzoni. Si dimentica o non ha tempo di mettersi altro, non si sa. Tra i sorrisi generali, solo una donna con i calzoni da sci. le scarpe da pallacanestro ed un pellicciotto da cacciatore di foche lo guarda con odio. E' la segretaria di produzione; sapremo dopo la ragione dell'odio: Chiari non lavora mai, sembra che lavori, in realtà si diverte, sia che stia girando un film, sia che interpreti uno «scketch» in teatro. E’ per questo che riesce a star sulla breccia diciotto ore su ventiquattro, senza crollare mai.
«E' l’amor che mi rovina i è ii secondo film che gira — il primo è stato «Arrivano i nostri» — senza interrompere una sola sera le lecite in teatro. Per fare dei film. Totò ha sciolto la sua compagnia. Chiari non ci pensa neppure, anzi ha già in mente di formare una compagnia di prosa.
Per uno che considera il lavoro un divertimento, niente di strano che, proprio mentre si gira, afferri un vaso di fiori minacciando con grandi urla di romperlo in testa ai Araldo Tieri. Perchè? Gli andava di fare così, ecco. Naturalmente bisogna rifare la scena e l’odio della signorina vestita da cacciatore di foche ingigantisce. Anche perchè da Soldati, alle comparse, all’ultimo macchinista, tutti sono felici di lavorare divertendosi, cioè perdendo tempo. C'è un'ora di riposo per il pranzo: pensiamo sia fi momento adatto per chiedere a Chiari di raccontarci qualche aneddoto curioso della sua carriera di attore. Strabuzza gli occhi e con voce soffocata mormora: «Una volta, in un camerino di teatro, Alda Mangini ha tentato di baciarmi» e non c’è verso di cavargli altro. Arriva Lucia Bosè e la faccia di Walter s'illumina come la faccia di un giovane innamorato pazzamente; prende per mano Lucia e si allontana, come se andasse in cerca di un prato con margherite. Ricerca inutile, pur essendo gli stabilimenti della «Titanus» quasi in aperta campagna. Intanto la signorina vestita da foca che gioca a pallacanestro strilla che è l’ora di ricominciare: è impresa ardua staccare Walter da Lucia.
Quando è già sera inoltrata. Chiari si precipita a teatro per la recita della sua rivista: arriva in camerino fresco come se si fosse appena alzato. Tra uno scketch e l'altro starà in scena qualcosa come due ore, interpretando parti faticosissime, «E’ uno stakhanovista della scena», dicono i macchinisti. L'intervallo tra un tempo e l'altro della rivista è dedicato agli affari: nel piccolo camerino, Chiari riceve un sacco di gente: produttori, impresari, agenti di pubblicità. Urla, sbraita, fa il verso ai compagni di lavoro, tira fuori le più impensate cianfrusaglie — regali di altri capocomici —, preoccupato di dimostrare che tutti gli vogliono un gran bene, poi saluta rumorosamente tutti: «siamo d'accordo, eh? siamo d'accordo», e quelli si allontanano affatto convinti che un accordo sia stato raggiunto.
Giorgio Berti, «Settimana Incom Illustrata», 10 marzo 1951
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| Giorgio Berti, «Settimana Incom Illustrata», 10 marzo 1951 |

