Mario Mattoli batte Walter Chiari in due tempi

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1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari intro

Erano da poco cominciate le repliche di «Dove vai se il cavallo non ce l’hai?» al Teatro Nuovo di Milano, quando il comico dello spettacolo inaugurò un diversivo nel corso della recita. Si sa, o almeno è una tacita consuetudine della rivista italiana, che il protagonista, meglio se si tratta del comico, esca in passerella poco prima del «finale» e sgrani barzellette su barzellette per dar tempo ai macchinisti di montare, dietro il velario, l'apparecchiatura per la scena conclusiva. La quale si compone, solitamente, di immensi scaloni, lampadari, tendaggi, con gran dispendio di lustrini per un più vistoso effetto. Il comico di cui parliamo è Ugo Tognazzi, e proprio Tognazzi, nel cor.so dell’esibizione in «a solo», mutando timbro (cioè riprendendo la sua voce normale, senza le falsature di scena) domandò al pubblico delle prime file: «Ma vi sembra proprio brutta la rivista? Perché un critico, un certo Egidio Possenti (disse Egidio e non Eligio, la sera in cui inaugurò questo bizzarro interrogatorio) garantisce che essa è terribile. L’unica cosa che gli è andata giù è quella scena con le ragazze che saltano e fanno...» E qui esegui alcuni balzi, il pubblico rise, molti dissero: «No, no», in risposta alla domanda di prima e l’esibizione finì tra applausi calorosi. Era necessario questo allo di umiltà da parte di Tognazzi? Non ci sembra; alle repliche la rivista, come si dice, «filava» e il pubblico aveva l'aria d’essere soddisfatto. Comunque il commiato del comico che chiede agli spettatori se sono stati ben serviti ricordò a molti il finale delle commedie antiche e non dispiacque.

1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari f1 LWalter Chiari con la sua nuova soubrette Ondina Maris, al secolo Maria Luisa Poluzzi, nota anche come la principessa Branciforte di Leonforte. La Maris doveva tuffarsi in scena, secondo le intenzioni degli autori della rivista, ma il rischio, per le scarse dimensioni della vasca parve troppo grande e così Ondina rinunciò all’esibizione.

Una diecina di giorni dopo, un fatto quasi analogo si ripete al Teatro Lirico. Ma ora non si trattava di una replica, bensì di una première. E il comico aveva ragione di scusarsi col pubblico, di dire: «E" andata così stavolta, abbiate pazienza. Provvederemo a rendere la rivista migliore, taglieremo, metteremo a posto, vedrete». Colpito il pubblico una volta tanto volle scindere le responsabilità; e al comico così preoccupato sparò una clamorosa salva di applausi, ma appena si aprì il sipario sul quadro del «gran finale» si risentirono le disapprovazioni che avevano accompagnato la rivista sin dalla metà del primo tempo. E’ stata di consolazione, per il comico della rivista del ”Lirico”, leggere il giorno dopo, su un influente quotidiano, gli elogi per la sua recitazione nel film «Era lui sì, sì»? L’ha rincuorato il fatto che tutti abbiano detto, a fine rivista, «Quel ragazzo è un fenomeno. Ha tenuto in piedi lo spettacolo»? Lo può mettere in pace il sapere che la rivista non è un -film, e quindi è suscettibile di modifiche quasi radicali nel corso delle repliche in modo da operare persino dei miracoli («Black and White» insegni)?

Tutte buone notizie, tutte consolanti. Ma il comico in questione è Walter Chiari, un giovane con una sensibilità portata all’estremo limite, addirittura pericolosa in un ambiente che spesso richiede impassibilità e un forte «potere di ricupero». Inoltre, non ci si deve dimenticare che il titolo stesso del lavoro, Sogno di un Walter, indica che la rivista è fatta su misura, senza limitazione, per Chiari. Anche se Chiari non è il capocomico ma solo uno scritturato.

1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari f2 LAncora Chiari tra Dorian Gray e Ondina Maris. La Gray si chiama in realtà Marisa Mangini, ha vent’anni ed è oriunda di Bolzano.

Le repliche raddrizzano molti torti, aiutano a far giustizia e offrono l’occasione agli autori di ripulire gli sketches meno indovinati. Questo, c’è da esserne certi, avverrà anche per Sogno di un Walter. Quindi lasciamo al tempo l’incarico di correggere. Osserviamo piuttosto che una rivista di costo medio, come è appunto Sogno di un Walter, non sempre s’addice ad un palco-scenico enorme come quello del Teatro Lirico, uso ormai allo sfarzo totale e dispendiosissimo di uno spettacolo Macario od Osiris. E sarebbe sensato, da parte degli impresari, far cronometrare le scene durante le prove generali per non avere brutte sorprese alla «prima»: il primo tempo dello spettacolo di Chiari è terminato verso mezzanotte, il secondo è durato in proporzione. E questa massiccia parata di balletti e scene non sempre dispone il pubblico ad un commiato entusiasta.

Come si è arrivati alla scelta di «Sogno di un Walter» per il titolo? Chiari spiega allegramente: «Era un vecchio gioco di parole. Posso dire che lo conosco sin da quando ero bambino. Con Silva e Terzoli, che sortogli autori della rivista, ci siamo messi d’accordo e l’abbiamo adottato stavolta. Così non ci penso più». Conviene dire che nel corso dei colloqui, Walter è interrotto almeno una ventina di. volte, e sempre trova il tempo per rispondere a tutti. La carica di energia che possiede non affatto è messa all’opera per impressionare il visitatore, tra le quinte del ”Lirico” ; realmente l’attore è in grado di provare, e subito dopo di saltare in platea, suggerire alcune modifiche al regista Mattòli (sì, lo spettacolo, pur non essendo firmato, era diretto dal regista dei telefoni bianchi, che attualmente è a Milano per girare Vendetta sarda). Indi, un balzo e di nuovo in palcoscenico: c’è Durian Gray che deve chiedergli un favore: «Vedi un po’ Walter se mi lasciano spostare il quadro delle piume sino a...». Chiari ascolta, dice di sì, e intanto canticchia.

1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari f3 LMilano. Quattro subrettine della rivista «Sogno di un Walter», rappresentata al Teatro Lirico, cantano sulla passerella nel Quadro del «biglietto da diecimila lire». Fra le subrettine sulla passerella è riconoscìbile, a destra, Lilo Welbel, già nota come «Miss Austria».

Il mugolìo diventa un urlo, arriva un compagno di scena in volata; Walter lo afferra, due giravolte, e via verso il camerino! Tre amici, entrati non si sa come, chiedono dei biglietti-omaggio. «Ragazzi, non sono il capocomico... Be’, adesso vado a chiederli a Sirri. Aspettatemi qui, eh!». E con un altro volo è in palcoscenico. «Walter è Campanini che parla — vuoi provare il quadro del figlio ritrovato?». «Subito, mi metto dietro quella quinta». E torna a lavorare. Poi: prova della sfilata in passerella. Snervante, se si pensa che Chiari ha al suo attivo altre scenette, e che per tutto il giorno è stato negli studi della Icet a recitare in Vendetta sarda. Eppure, mentre la compagnia è schierata, in silenzio, alla ribalta e Mattòli decide gli spostamenti (una questione di cerimoniale, e gerarchia, che in rivista ha la sua enorme importanza) il comico saltella ancora e canta alcuni versi improvvisati: «Caro pubblico - noi ti vogliam bene - Tu vieni qui - e ci aiuti a lavorar...». Anche Carlo Campanini, a due passi da Walter, riprende un poco d’entusiasmo e comincia a scherzare col compagno di lavoro. Battono le mani come bambini le soubrettes, le attrici, le ballerine guardano e non si muovono. Ridono. E Mattòli, disarmato, tace.

Possiamo sbagliarci, ma le iniezioni di elettricità che la dinamo Chiari fa alla compagnia con la sua esagitata presenza sono una fortuna per la disciplina interna. Se c’è una questione delicata da dirimere e la soubrette (le riviste sono soprattutto il campo dell’antagonismo femminile) e la soubrette, dicevamo, non sa come affrontare la situazione, ci penserà Walter che, pur avendo l’aria di scherzare, metterà tutto a posto nel più serio dei modi. Poi, finalmente uscito dal palcoscenico, deciso a tornare a casa, indosserà un consumatissimo cappotto col cappuccio (il classico «duffel-coat» del surplus bellico), calcherà sul capo un berrettuccio azzurro da meccanico e salterà (è il verbo adatto) sulla sua Aprilia «con compressore». Alt! Ha visto che il portinaio del “Lirico” regge una sporta piena di pane. Sono le tre del mattino ; l’attore ne acciuffa un pezzetto e comincia a masticare. Ha sete: apre il rubinetto del cortile del teatro, dietro il magazzino delle scene. «Che buono il pane con l’acqua. Avete mai provato?». E dal pane coll’acqua passa alle poesie che scriveva anni fa (confessa di tenerne una ventina nel cassetto). Poi propone un parco dei divertimenti per soli adulti: «Sarei il frequentatore più assiduo». Idee per nuovi quadri di rivista? «Sì, certo. Un quadro sui luoghi -comuni. Viene un signore, ha un cane al guinzaglio. Tu lo accarezzi. il cane, si capisce.

1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari f4 LSi è giunti al finale della rivista. Sfila Bella Tildy, meglio nota come «la Titdy», già apparsa nella precedente rivista di Walter Chiari, «Gildo». Pur essendo di origine italiana, l’attrice rivela nei suoi atteggiamenti interpretativi il tirocinio del music-hall francese

Lo trovi hello, espressivo. Il padrone ti guarda, spiritato. Ti mette una mano sulla spalla. Una confidenza? Sembra. E infatti lui attacca: ”Sa? Gli manca solo la parola!”. Ma dove l’ho già sentito dire?». Il pane bagnato arriva alla fine e Walter si decide a partire. Invita il visitatore a salire e chiede l’indirizzo. Poi attacca la prima curva a una velocità clic di giorno, con il traffico, sarebbe per lo meno mortale. «Se sono stato all'estero? E come no! A Lugano. Non più in là. Vorrei sì andare a Parigi ma non trovo il tempo. Ma che delusione Lugano! Mi ero ripassalo quelle quattro frasi di tedesco che conosco e invece laggiù parlavano comasco... Spero che a Parigi non sia la stessa cosa». Sfiora un carrettino della nettezza urbana che sembrava ormai perduto sotto le ruote della Aprilia, ignora il cartello di senso unico sistemato in via Orefici e intanto: «Danny Kaye? Sì, un ottimo comico e un bel ragazzo, in verità. Non capisco perché ogni tanto salti su qualcuno a fare un parallelo tra me e lui. Io ho un repertorio diverso. Odio i numeri musicali; lui invece pratica quasi soltanto quel genere». Tocchiamo testi più personali, e lui risponde: «In due anni tni sono preso solo quattro giorni di vacanza. Il perché non lo so. Ma ho almeno avuto la consolazione di poter dare ai miei genitori una bella casa nella zona Monforle. Una casa che piace tanto anche a me quindi (e qui Walter sorride) ho paura che andrò ad occuparla cercando per i miei un altro alloggio. Magari più hello».

1951 12 13 Settimo Giorno aIV n50 Walter Chiari f5 LUn’occhiata tra le quinte, durante lo spettacolo al «Lirico». Al di là dei palloncini, delle ballerine e dei macchinisti si scorge Carlo Campanini in vestaglia. Seminascosto dal macchinista, a destra, Mario Mattòli, che ha diretto lo spettacolo senza figurare sui manifesti.

Toccare l'argomento «casa» significa inevitabilmente cadere nel capitolo «affetti». E lui, un po’ sgomento: «No, per favore, non ne parlate. Complichereste troppo le cose, che sono già abbastanza complicate. Un giorno, quando anche le ultime difficoltà saranno esaurite, e spero non sia lontano quel momento, vi dirò tutto quello che vorrete. Ora no, ragazzi, ora non mettetemi nei guai». Quel giorno, è chiaro, Walter ordinerà all’arredatore una camera matrimoniale. E saranno le più belle nozze dell’anno. Per ora limitiamoci a dire che l’oggetto delle sue attenzioni non si trova nella compagnia del Teatro Lirico c aggiungiamo, parodiando il titolo di un suo film, che non sarà l’amore a rovinare Walter.

L’Aprilia, deposto l’intervistatore, riparte con uno schianto. Sul radiatore stanno le insegne del ”Milan F. C.”. Sono quasi le quattro del mattino. In corso Vercelli 7, in casa Annichiarico, stanno lavorando attorno ai fornelli per Walter (Chiari è il cognome di scena). Cos’è quel pasto che ora il comico butta giù di premura? Lina cena? Una colazione? E chi lo sa! «Walter, non potresti essere un po’ più regolare nei pasti?» domanda la madre. «Sì», risponde Walter, «tra qualche mese». Tra qualche mese, correggiamo noi, quando nella nuova casa di zona Monforte entrerà l’arredamento matrimoniale.

Franco Berutti, «Settimo Giorno», anno IV, n.50, 13 dicembre 1951


Settimo Giorno
Franco Berutti, «Settimo Giorno», anno IV, n.50, 13 dicembre 1951