Walter Chiari ci dice: «non mi difendo, accuso»
Dal caso Berger al caso Chiari. L’attore italiano (che identifica in parte le proprie traversie giudiziarie con quelle del suo collega americano) rischia di essere nuovamente arrestato e rinviato a giudizio per la nota vicenda della droga. In questo articolo esclusivo, si dichiara a ogni modo fiducioso nel trionfo della giustizia, ossia della sua innocenza
Io, Walter Chiari, per l'anagrafe e la giustizia Walter Annichiarico, lo conosco bene il pubblico ministero Francesco Fratta: sono stato per 19 ore filate con gli occhi nei suoi occhi; neanche con mio padre avevo mai passato tanto tempo a tu per tu, a parlare di cose ugualmente vitali. Insomma, mi aspettavo che tornasse alla carica nei miei riguardi. Ero sicuro che non avrebbe modificato di una sola virgola la propria linea di condotta. Del resto, la nuova svolta nell’istruttoria a mio carico è parte di un iter giudiziario assolutamente ineccepibile dal punto di vista tecnico.
Neanche la mia, a ogni modo, è una "linea Maginot". Anch’io, voglio dire, sono un mostro di fermezza: non ho mai arretrato di un solo passo nel difendermi, e seguiterò a mostrarmi cocciuto, incrollabile. La mia forza, in parte, la devo alla magistratura stessa. A quella fettina della magistratura che si oppone a Fratta, che impedisce alla slavina Fratta di travolgere, frantumare ogni cosa; anche se non ha potuto evitare che la slavina Fratta scendesse a valle.
Perchè sono cosi calmo? Perchè non mi ribello? E’ semplice: perchè la fettina della magistratura a me favorevole — il giudice istruttore Renato Squillante, cioè — appare anch’essa saldissima, cocciuta, irriducibile. Per tre volte, sinora. Squillante si è opposto alle opposizioni di Fratta. Vedremo come agirà adesso. Se tutt’a un tratto cambiasse idea, allora si, perderei la mia calma, comincerei a preoccuparmi, perchè per la prima volta dall’inizio di questa brutta vicenda mi troverei alla mercè di un munitissimo fronte unico. Ma proprio non credo che Squillante si smentisca, passi di punto in bianco dall’altra parte della barricata. E’ sempre stato molto comprensivo, molto giusto. Ciò, ovviamente. dal mio punto di vista. Fratta non è di questo avviso, si capisce. Fratta pensa che Squillante sbagli. Come io, d’altra parte, penso che a sbagliare sia lui. Vedremo, ho detto. Se giudizialmente, penalmente la cosa volgerà al brutto per me. vedremo in virtù di quale alchimia sarà stato. Vedremo che cosa avrà potuto sovvertire il risultato positivo, secondo me scontato sin dal primo giorno dopo quello dell’arresto.
Incartamenti vecchi di otto mesi senza alcuna modifica
Se dunque non mi ha stupito l’operato di Fratta, il suo riprendere ardentemente l’aìre nei confronti della mia umile persona, mi hanno però molto meravigliato la facilità con cui la notizia relativa è stata fatta trapelare, e le sgradevoli (per me) modalità con cui essa è stata diffusa dalla RAI. Che cosa ha fatto Fratta? Si è svegliato l’altra mattina e ha semplicemente immesso nell’ultimo atto del meccanismo giudiziario che mi riguarda, per la quarta volta consecutiva, degli incartamenti vecchi di otto mesi, senza avervi apportato alcuna modifica, senza avervi aggiunto alcunché di nuovo. Bene: la gente che ha ascoltato la radio ha avuto l’impressione che il pubblico ministero avesse invece scovato una qualche mia colpa supplementare, che si fosse svegliato quella mattina con sulle labbra un certo sorriso e questa frase: «Finalmente ho trovato dei nuovi elementi, Walter Chiari è un uomo incastrato».
Walter Chiari e Vanna Busoni (una delle attrici che interpretano, con lui la commedia "L'ultimo degli amanti infuocati") ringraziano il pubblico milanese del "Nuovo". In camerino Chiari saprà della richiesta del suo rinvio a giudizio.
La RAI (che è tanto, tanto, tanto amante dei sondaggi d’opinione, che rompe tanto le scatole alla gente col telefono per assodare se la Canzonissima del 70 sia piaciuta di più o di meno di quella del ’69), la RAI, dico, avrebbe dovuto sapere bene che, dando la notizia come in effetti l’ha data, non avrebbe reso un buon servizio nè ai suoi ascoltatori nè, tanto meno, a me. O forse lo sapeva perfettamente, questo?
E dire che la RAI non è una donnetta del mercato chioggiotto del tempo delle baruffe. La RAI è, di solito, un organismo molto lucido, riflessivo: conosco molte delle persone che vi lavorano, e sono persone intelligenti, sensate, civili. Dimodoché, io potrei anche sorprendermi a credere che abbia agito sgradevolmente (per me) come ha agito per motivi d’indole non dico giudiziaria, ma etica. Bisogna sapere che la pubblicità radiotelevisiva ha rifiutato di mettere in onda due break di un minuto e mezzo l’uno realizzati e pagati da una società assicuratrice che, per farli, si era valsa dei miei servigi: per la RA1-TV, Walter Chiari è un personaggio indiziato, un cittadino di serie B. Io potrei anche sorprendermi a credere che la RAI abbia volutamente appesantito il senso e l’entità della notizia del mio rinvio a giudizio soprattutto per giustificarsi nei confronti di quella società assicuratrice; insomma, per significarle: «Adesso capirai perchè non abbiamo voluto il tuo Walter Chiari. Il tuo Walter Chiari è un poco di buono, ha sempre un piede in galera». Se fosse sul serio questa la verità, sarebbe molto ma molto brutto: vorrebbe dire che in seno alla RAI agiscono dei gruppi che non sono la RAI. ma in fondo contano più della RAI.
Alida Chelli col figlio Simone, nato nell'agosto scorso durante la detenzione di Walter.
Cose comunque che, se capitano, capitano a uno come me, perchè io non ho mai chiesto niente a nessuno: credo nell’amicizia, detesto il nepotismo. Per esempio, conosco alla perfezione 45 o 90 avvocati, e me ne sono scelti due che non avevo mai visto prima. Nè ho voluto accettare l’aiuto di alcun partito: non voglio consegnarmi ad alcun partito, non desidero la protezione dei politici. Tutto quello che ho fatto sinora l’ho fatto di testa mia. contro tutti e anche contro me stesso: talvolta la conduzione di Walter Chiari è risultata difettosa proprio perchè in mano esclusivamente a Walter Chiari. Sono fatto così. io. Ho detto di no al cinema perchè mi piace il teatro. mi piace guardare in faccia la gente e sentire lo sguardo della gente sulla faccia. Credo nell’individualità, io, nelle capacità difensive del singolo contro quelle offensive del mondo intero.
Certo, se a suo tempo avessi accettato di rifugiarmi sotto l’ala di un qualunque partito, nel momento del bisogno (ossia quello del mio arresto) mi sarei trovato in mezzo a 40 o 50 protettori, tutti a far muro attorno alla mia integrità. Magari avrei inciampato lo stesso, si capisce, ma non mi sarei rotto nient’altro che una scarpa, l’avrei cambiata e tutto sarebbe finito lì. Non sarei rimasto lungo disteso per terra, cioè: lungo disteso e incapace di alzarmi da solo, come sono anche adesso, perchè qualcuno ha ricominciato a camminare sopra di me, a fare di me il proprio gradino per sembrare più alto. Con tutto questo, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello l’idea di arrendermi. Continuerò a fare e a combattere da solo, contro tutti e anche contro me stesso. Tranquillo come prima, fiducioso come prima nel dottor Squillante. Visto sullo sfondo di quella grande istituzione che è la magistratura, il dottor Squillante sembra uguale identico al dottor Fratta, ma in questo momento ha dei compiti di gran lunga superiori a quelli del dottor Fratta, perchè lui deve giudicare ciò che il dottor Fratta propone.
Lelio Luttazzi - già compagno di sventura di Chiari - ha querelato per diffamazione aggravata il dottor Fratta. Secondo il musicista, il magistrato lo riterrebbe tuttora implicato nella vicenda della droga.
Non ho ammesso di avere "fiutato” cocaina
Nei giornali ho letto che Fratta dice: «Walter Chiari è un drogato abituale». Bene: c’è la mia vita a testimoniare il contrario. Io lavoro da anni tutte le sere, tutte le sere sono in qualche posto a recitare, e i miei spettacoli durano molto più di cinque minuti: durano dalle 9 a mezzanotte e passa, e non c’è nessuna droga che permetta di essere lucidi per tanto tempo. Le droghe uccidono la memoria, e io sono uno che va a memoria, e che quand’è il caso fa appello alla propria capacità d’improvvisare, e credo di poter dire che non sono mai i farneticamenti di un ubriaco, di un drogato abituale.
Così si capisce perchè io aspetti il giudizio a testa alta, in tutta serenità. Oddio: se mi prosciogliessero in istruttoria sarebbe molto più bello, sarebbe un atto di giustizia, perchè sono completamente innocente. «Il grammo di cocaina che Walter Chiari ha ammesso di aver annusato» è un’invenzione, i giornali hanno preso un granchio solenne: Walter Chiari non ha mai ammesso di aver "annusato”, mai, mai e poi mai. e del resto di una simile confessione non c’è nessuna traccia in nessuno degli atti. Comunque, se il giudizio si farà, sarò felicissimo lo stesso, perchè così potrò finalmente uscire dal tubo della colpa. Nessuno si faccia delle illusioni: ne uscirò a 260 volt, esattamente come quando ci sono entrato. non a 110. Voglio dire che darò delle belle scosse. Voglio dire che non mi accontenterò di poche parole di riabilitazione da chi ne avrà speso a migliaia nel tentativo di mandarmi a picco.
Walter Chiari (testo raccolto da Antonio Vellani)
L’onorevole Michele Pellicani affronta i problemi sollevati dai casi Berger e Chiari
E’ facilmente comprensibile — esordisce l’onorevole Michele Pellicani — come la notizia di un possibile arresto di Walter Chiari a breve distanza dalla sua scarcerazione (notizia che è di per se stessa una grave violazione dei diritti del cittadino) abbia turbato e disorientato l’opinione pubblica. Del resto, so che ha turbato anche quel settore qualificato che è costituito dai cosiddetti "operatori del diritto”. A questo punto devo fare una premessa: è la prima volta, dopo oltre un anno che sono al ministero della Giustizia, che acconsento a discutere con un giornalista episodi giudiziari, come quello che ha coinvolto Walter Chiari e Lelio Luttazzi e come l’altro, che ha avuto come protagonista l’attore americano William Berger. E’ la prima volta; ma, come deputato, come dirigente socialista, come uomo, non posso tacere, senza venir meno a un dovere, le mie opinioni su queste vicende che hanno aspetti che non esito a definire allucinanti.
Come giudica la richiesta di un nuovo mandato di cattura per Walter Chiari?
Rientra tra i poteri concessi dalla legge al pubblico ministero; ma non ritengo che abbia possibilità obiettive di accoglimento, perchè non sono emersi fatti nuovi che possano giustificare la richiesta e, anzi, il magistrato ha dovuto ammettere che quelli che erano "indizi” sono diventati soltanto dei "sospetti”. Nel formulare le sue richieste, il pubblico ministero deve tener conto, oltre che dei risultati "obiettivi” e "concreti" dell’istruttoria, anche della personalità e del comportamento dell’imputato, in modo che gli invocati provvedimenti restrittivi della libertà personale appaiano anche all’opinione pubblica (in un regime democratico in cui la sovranità appartiene al popolo, nel cui nome viene attuata la giustizia) non come gesti persecutori, ma come atti dotati di fondamento giuridico e rispondenti alle esigenze di tutela dell’ordine e della pace sociale, che è il fine principale del diritto penale. Ciò tanto più in un ordinamento come il nostro, che riconosce e conferisce al pubblico ministero la veste e la funzione del giudice. Se, infatti, si dovesse pensare che le persone addette a tale funzione non hanno, per distorsione psicologica, quella serenità e obiettività che la società richiede giustamente ai propri giudici, si legittimerebbe l’opinione di coloro (e sono molti) che invocano la modifica dell’ordinamento del pubblico ministero in modo da farne, come in altri Paesi, un semplice accusatore.
Conte spiega, onorevole Pellicani, che intorno a queste vicende di droga siano sorte discussioni giuridiche e aspre polemiche?
Lo spiego con le diverse interpretazioni che si danno (e che, secondo me, è corretto dare) alla legge sulla droga. In passato, infatti, alcuni giudici si pronunciarono, sulla scorta di autorevoli opinioni di maestri del diritto, per la non punibilità delle persone sorprese a detenere minimi quantitativi di droga per uso proprio. La Corte di cassazione, però, non accolse tale interpretazione e fu sempre dell’avviso che il reato si configurasse anche nel caso di detenzione di droga per uso proprio. Furono avanzate allora, da più parti, proposte perchè il problema fosse chiarito dal Parlamento con una nuova legge; ma, purtroppo, a tutt’oggi non se ne è fatto nulla. Questo "vuoto” e la ambiguità stessa dell’attuale legge determinano situazioni gravi.
Come quella, gravissima, del caso Berger?
Appunto. Dirò, senza peli sulla lingua. che quella paurosa e medievale vicenda, che è costata la vita a una creatura umana, ha aspetti kafkiani su cui si dovrebbe indagare. La stessa magistratura italiana, che gode nel Paese di meritato prestigio, non può non volere una inchiesta esemplare.
Si sa che l’onorevole Orlandi, socialdemocratico, e deputati di altri parliti hanno presentato un’interrogazione sulla terribile vicenda Berger. E si sa anche — per essere slata affidala ai giornali — la reazione del giudice istruttore Verasani: «L’onorevole interrogante — ha detto il magistrato — non sa quel che dice. Ignora i Codici e va a ruota libera. Il magistrato si attiene alla legge, guai se non fosse cosi. Noi siamo contro quella frangia di sinistra che tenta di sovvertire lo Stato interpretando le leggi. Il giudice che interpreta le leggi è un anarchico». Come giudica questa dichiarazione, onorevole Pellicani?
Inammissibile. Non si deve confondere l’indipendenza della magistratura (che è una grande, irrinunciabile conquista liberale e civile) con la insindacabilità del suo operato. In regime democratico, nessuno è insindacabile: perchè la magistratura dovrebbe essere sottratta a ogni possibilità di critica, quando gli altri poteri dello Stato non lo sono? Del resto, nessun magistrato responsabile, che io sappia, ha mai sostenuto prima d’ora una tesi come quella sottintesa nella risposta spocchiosa del dottor Verasani, che io ritengo, tra l'altro, una offesa a quegli organi dello Stato — Consiglio superiore della magistratura compreso — cui è rivolta direttamente o indirettamente l’interrogazione, la quale deve trovare solo nel Parlamento la risposta. Atteggiamenti da sacerdoti sdegnosi, che si ritengono intoccabili perchè arroccati in un tecnicismo inaccessibile a chi non possieda le carte cifrate, sono da respingere. Conoscere le leggi non è sufficiente. E non basta nemmeno applicarle ad occhi chiusi: ciò sarebbe offensivo per la stessa funzione del giudice, il quale deve invece saper mettere il diritto al servizio della giustizia. «La mediocrità pesa sempre bene — diceva Feuerbach, credo, — ma la sua bilancia è falsa». Il giudice, quando ignora l’uomo per inseguire il diritto astratto, è un cinico. E cinico è quel giudice che conosce il prezzo di tutte le cose e ne ignora il valore. Ricordate la vecchia disputa tra "ciceroniani” e "cristiani”? E’ "ciceroniano", io credo, chi si rinchiude nella norma come la crisalide nel bozzolo, isolandosi dalla società e ignorando l’uomo, e fa del diritto un fine arido e non un mezzo per assicurare all’uomo la giustizia. Ma lo estremo diritto è la più grande ingiustizia. Lo stesso Cicerone ammoniva: «Summus ius, summa iniuria».
Lei ritiene, dunque, che il giudice debba interpretare la legge prima di applicarla?
Sempre. Sono naturalmente contro l’aberrazione del "diritto libero”, che serve solo alle dittature — Hitler insegni — e mai alla giustizia; e ritengo altresì che l’interpretazione del giudice non debba mai superare quel "coefficiente di elasticità” che ogni legge contiene: facendolo, il giudice si arrogherebbe una funzione legislativa che non gli compete; e talvolta eserciterebbe persino un diritto di grazia che non è suo. Ma interpretare la legge, prima di applicarla, deve sempre. Se il giudice non fosse interprete della legge, la sua funzione scadrebbe a quella del commesso di farmacia che si limita a incartare le specialità. Del resto, su questo punto non vi è dissenso tra i magistrati italiani. II dissenso è sui limiti della facoltà interpretativa.
Ma il giudice Verasani dice che «chi interpreta la legge è un anarchico»...
Lasciamo stare. Espressioni come questa sono sì ”a ruota libera”, perchè prive di ogni aggancio con le dottrine politiche, con la storia del pensiero umano. Comunque, concludendo, io ritengo che, al di là delle insufficienze dei singoli magistrati, la responsabilità sia del nostro sistema giudiziario, arcaico e talvolta anche assurdo e inumano. Confrontate, infatti, la fosca vicenda giudiziaria di William Berger (che per grammi 0,9 di marijuana ha visto morire fra i tormenti sua moglie) con i due anni di carcere interamente condonati, che i giudici di Torino hanno dato l’altro giorno a una vedova che ha ammazzato il suo neonato per "motivi di onore”, e avrete un'idea del nostro sistema giudiziario. Ecco perchè la giustizia è malata. Certo, è malata. Ma, per fortuna, la magistratura è fondamentalmente sana. La classe politica italiana — su cui ricadono le più gravi responsabilità — dovrà provvedere a ristabilire, con un nuovo sistema giudiziario degno di un Paese civile, l’equilibrio "giustizia-società”. La giustizia è entrata in crisi perchè questo equilibrio si è spezzato. Infatti, io credo che non è la società contro il diritto (come comunemente si pensa), ma, spesso, è il diritto fuori della società.
Piero Vigorelli
E’ un problema che i giuristi dibattono da oltre 15 anni: è giusto punire colui che detenga droga, spesso in quantitativi minimi, al solo scopo di farne uso personale? La risposta che si legge sui giornali è questa: colui che fa uso personale di droga e il trafficante sono puniti allo stesso modo, perchè in Italia vige una legge che non distingue fra la detenzione di droga per uso proprio da quella per farne commercio. Onde l’unica cosa da fare è modificare la legge. In verità, la questione non sta affatto in questi semplici termini.
La legge che regola la materia è stata emanata, anche su sollecitazione della Commissione stupefacenti dell’ONU, nell’ottobre del 1954. La Commissione sosteneva che la regolamentazione italiana allora vigente era insufficiente ad evitare che sostanze stupefacenti prodotte nel nostro Paese andassero a incrementare il traffico clandestino internazionale. Pertanto, la legge 1041 del 22 ottobre 1954 fissò una severa regolamentazione e le norme sulle pene da infliggere. L’articolo 6 della legge stabilisce: «Chiunque, senza autorizzazione, acquisti, venda, ceda, esporti, importi, passi in transito, procuri ad altri, impieghi o "comunque detenga” sostanze o preparati indicati nell’elenco degli stupefacenti, è punito con la reclusione da tre a otto anni e con la multa di lire 300mila a lire quattro milioni».
La frase "comunque detenga” è quella che permette l’incriminazione anche di coloro che siano in possesso di droga per uso personale. Senon-chè le leggi vanno interpretate, bisogna ricercarne il contenuto, che spesso non coincide con quello che può sembrare chiaro a una prima lettura. Ragionandoci un po’ sopra, si rileva che la legge ha voluto regolare la produzione, il commercio e l’impiego industriale delle sostanze stupefacenti, e non ha stabilito alcuna sanzione per chi faccia uso di droga. Per costui ha previsto soltanto, nell’articolo 21, l’internamento coattivo in una casa di cura, quando sia tossicomane pericoloso o desti pubblico scandalo. E la cosa è in armonia con i più elementari princìpi sia di politica criminale sia di ordine medico. Chi fa uso di droga non è infatti da punire ma, eventualmente, da curare.
Non essendo punito l’uso personale, ne dovrebbe derivare, come logica conseguenza, la non punibilità della detenzione che a tale uso sia legata. E’ infatti assai difficile fare uso di droga senza prima averla "detenuta”, sia pure per pochissimo tempo. A meno che non si pensi alla sigaretta di hascisc fumata mentre un'altra persona la teneva in mano, o alla iniezione di morfina praticata da altri. In questi casi si avrebbe infatti uso di droga senza detenzione, e colui che agisse in tal modo non potrebbe essere incriminato; mentre lo sarebbe chi fumasse la sigaretta tenendola in mano o si praticasse da solo l’iniezione. Ma è evidente che si cade nell’assurdo, quando si giunge a ritenere accettabili simili cavilli.
Si obietta: c’è il "comunque detenga” che non permette distinzioni. E si preferisce l’interpretazione estensiva come quella più sicura, che pone al riparo da possibili errori nei casi singoli, che evita indagini difficili, che assicura — si dice — uniformità di trattamento. E non vale replicare che il "comunque detenga" va inquadrato nello spirito di tutta la legge e interpretato come la detenzione che avvenga per uno dei fini dalla legge regolati: produzione, commercio, impiego industriale.
L’opinione che non considerava reato la detenzione di droga per uso personale sembrò dovesse prevalere nei primi anni dell’applicazione della legge. Senonchè la Corte di cassazione, nel 1957, con una dotta sentenza, bocciò questa interpretazione per adottare quella più rigorosa della punibilità anche della detenzione di droga per uso personale.
Questi i termini giuridici della questione, ridotti all’essenziale. I giuristi hanno scritto in proposito fiumi di parole, esaminando, soppesando, distinguendo, sottodistinguendo, eccetera. Il profano è portato a osservare — e i giudici farebbero bene a uscire dal freddo mondo delle astrazioni per immergersi in quello "profano”, ma reale, delle condizioni umane — che fra le due interpretazioni sarebbe bene scegliere quella che permette di non emettere decisioni di sostanziale ingiustizia. Ripugna, infatti, alla coscienza di tutti che il trafficante di droga e colui che ne fa uso personale siano puniti allo stesso modo, e cioè con un minimo di tre anni di reclusione.
Michele Coiro
«Tempo», anno XXXIII, n.17, 24 aprile 1971
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«Tempo», anno XXXIII, n.17, 24 aprile 1971 |