Ecco Rossellini

1948-Rossellini

1948 10 30 Tempo Roberto Rossellini intro

Questo è il famoso regista italiano apprezzato in tutto il mondo: un tipo bizzarro pieno di manie e di genialità. Nella sua educazione occupa un posto di primo piano una zia stravagante alla quale piaceva passeggiare con un'oca tenuta al guinzaglio.

Roma, ottobre

Roberto Rossellini che, secondo il giudizio dei tecnici di tutto ii mondo, è uno dei migliori registi esistenti, ha, nel libro della propria vita, dei capitoli che recano il sigillo del destino. Il destino della celebrità. Ebbe la solita giovinezza tumultuosa e il pungolo del vagabondaggio alla schiena. Se ne andò da casa ancora ragazzo e ricomparve quando nessuno più l’aspettava. Non per chiedere perdono; per avere forse la possibilità di macchinare qualcosa che potesse ancora saziare il suo spirito di avventura. Alla base delle sue stranezze sta una sensibilità che è addirittura morbosa. Rossel-lini è di un altruismo talvolta eccessivo; per chi non lo conosce profondamente, potrebbe sembrare addirittura studiato, mentre invece lo porta con sé dall'infanzia; da quaudo regalò il suo cappotto a un amico indebitato e trovò fuori posto i rimproveri mossigli dal padre. Per lui i legami familiari sono una cosa tutta speciale; gli affetti una manifestazione cerebrale con quel tanto di istintivo che gli fornisce la natura.

Nella sua vita occupa un posto di primo piano il ricordo di una zia dalla quale ereditò il senso dell'humor e il bagaglio di manie che l'accompagnano. Quella zia si chiamava Fortù e morì a ottant’anni, cadendo dalla bicicletta. Fortù viveva a Ladispoli, a pochi chilometri da Roma, sulla strada di Civitavecchia. Trascorreva le giornate in una specie di confino, impostole dai familiari che non tolleravano assolutamente le sue stranezze. Veniva in città ogni tanto, a dispetto dei parenti, e si portava al guinzaglio un’oca. Rossellini racconta di lei senza ridere; sorridendo e alzando una mano quasi a garanzia dell'autenticità del racconto e arrotondando la bocca, come se stesse per lanciare un fischio. «Veniva a Roma», dice, «con dei vestiti, davanti di una foggia e dietro di un’altra.

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«Roma città aperta» diede il via alla celebrità. Rossellini trovò nel verismo di Anna Magnani la leva più indicata per il suo estro. Da allora si rese conto dell’inesisteuza dell'impossibile. Infatti, anche davanti alle situazioni più difficili, egli sa imboccare la strada per districarsi. Discute, briga, insiste, recita, ma alla fine la spunta. La sua vita si svolge costante-mente su un piano lirico, in un clima quasi eroico, con un eroe al centro: se stesso. Tutto il resto è in funzione della sua fantasia che non conosce soste. Adora parlare e raccontare; per liberarsi forse da qualcosa che viene accumulandosi in lui e che deve invece smaltire per lasciar posto ad altri progetti che lui solo vede a contorni definiti anche se sa di non poterli talvolta realizzare. Attraverso il racconto gli si concretizzano i sentimenti, gli prendono corpo sulle labbra; allora, mentre convince gli altri, Rossellini sente di persuadere anche se stesso.

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Vive senza orari; se li fissa non è capace di attenersi perché le sue giornate correrebbero il rischio di tornare sul binario dal quale devono invece scostarsi per rimanere n " atmosfera di cui ha bisogno. Un’atmosfera di continua eccitazione. Solo una persona si stupisce ancora di ciò; il suo segretario, Manni, che lo 9egue come un'ombra paziente. È un uomo magro e tranquillo, con gli occhi sospinti fuori dalle orbite, come in uno stato di perenne meraviglia. Rossellini lo guarda e forse l'incomprensione è reciproca. Quello sguardo gli suggerisce solo una battuta: «Manni ha bisogno del reggipetto agli occhi».

La sua stanza, all'Excelsior, è la sala d’aspetto di un ministero. Mentre la gente attende, lui sbriga gli affari con gli impegni e gli appuntamenti spostati di ore. Fra Rossellini e le sue intenzioni non corre buon sangue; le intenzioni sopravanzano spesso le sue reali possibilità ed è per questo che non gli si può addebitare una promessa mancata.

Rossellini è, in un certo qual senso (e la cosa non deve dispiacergli), una vittima di se stesso, della sua fantasia e dei suoi tormenti. Soltanto così sa di poter assecondare le proprie manie e il proprio estro. Uno o due amici non gli bastano; ecco perché al ristorante di Nino, in via Borgognona, dove si reca a mangiare, i primi tavoli, accanto all'ingresso, sono quasi sempre occupati dalla sua troupe. Con molti non scambierà neppure una parola; basta che l'occhio li veda e che sappia che al momento opportuno c'è una persona di più con la quale discutere. Fuori dal film continua la regia di se stesso. Gli piace che chi gli vive intorno senta il suo dima. Anche il cuoco del ristorante, il paffuto Bertelli che si vede uscire col busto dal puipito dei fornelli, ha avuto una iniezione di "mal di cinematografo". Si è presentato a Rossellini con alcuni fogli dattiloscritti, un copione di film dal titolo «La gallinella di S. Eufemia, ovvero le avventure del cavalier Bassetti».

Parlando, Rossellini gesticola in maniera uniforme. Pare che le mani abbiano dei punti obbligati verso i quali dirigersi: quasi sempre la testa o la fronte. £ nervoso; i suoi scatti sono improvvisi ma brevi. Non ostante ciò beve decine di caffè al giorno. Dorme poco, quando se ne ricorda. Quando sta per addormentarsi deve però sentire un profondo dispiacere perché sa che il sonno è il vero nemico della sua fantasia che ha bisogno di essere in continuo movimento. Conoscendolo a fondo, non si nota alcuna differenza fra il Rossellini che dirige un film e quello che racconta le avventure di zia Fortù.

Vive come lavora, senza copione e sceneggiatura. Sarebbe forse più appropriato dire che lavora come vive, lasciando che la realtà, diriga lo svolgimento delle sue vicende cinematografiche al centro delle quali lui gioca il ruolo, indiscutibilmente diffìcile, di regista della verità.

Roberto Mari, «Tempo», anno X, n.44, 30 ottobre 1948


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Roberto Mari, «Tempo», anno X, n.44, 30 ottobre 1948