Scarpe di serpente per Claudia Cardinale

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Anghiari, un paesino non lontano da Firenze, vive giorni di festa perchè Claudia Cardinale, nel panni di Mara, la “ragazza di Bube”, vi sta girando una delle più patetiche scene del nuovo film di Luigi Comencini

Anghiari, maggio

Carabinieri e guardie alacremente s’accodarono alla folla estraendo dalle bandoliere le foto di lei, già pronte per la firma. A spintoni riuscimmo ad isolare Claudia in.un angolo della piazza e poi a scortarla sino alla casa dell’antiquario che aveva invitato a pranzo l’intera "troupe” de ”La ragazza di Bube”, giunta appunto nel remoto paese di Anghiari a cento chilometri da Firenze, il giorno precedente, da Siena. Quello fu il momento in cui Anghiari, addormentatasi pacificamente all’indomani della celebre battaglia tra fiorentini e viscontei del 1440 parve doversi risvegliare a cronache tumultuose.

Ci rifugiammo salvi nella straordinaria sala da pranzo di questo antiquario. Comparvero le tagliatelle, innalzate a rango baronale da fette di funghi porcini, e Claudia non le volle. Vennero i crostini di milza con salcicce, e furono respinti. La stessa sorte ebbero i polli e gli arrosti di vitello: nel piatto di Claudia fu ospite, soltanto, un pezzetto di sformato di zucchina «O non le piace mangiare — osservai — oppure ha una volontà al tungsteno».

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Con la sua voce velata, come pescata fuori da remote profondità, mi disse che aveva fatto una specie di voto: quello di non dar mai fastidi ai registi, ai produttori, agli operatori dei film nei quali era impegnata. «Hanno già tante grane, perchè devo aggiungere anche i capricci dell’attrice, le sonnolenze dopo i pasti, le emicranie. Non mi pagano per divertirmi».

Dall’altra parte della tavola il suo "partner", l’americano Chakiris vestito nei panni sdruciti di ”Bube”, il partigiano, la guardava, incerto. Si era gettato con la sua aria di bravo ragazzo educato, quella stessa che aveva fatto la sua fortuna ad Hollywood, in "West side story” e nel "Dominatore”, su quelle memorabili vivande, ben deciso a cogliere l’attimo fuggente: ma quando gli tradussero le parole di Claudia, respinse il pollo, con gli occhi contriti. E mi accorsi che da lei veniva una straordinaria autorità morale, assieme a quel fascino che ho detto prima: bastava parlasse, e non alzò mai la voce, che tutti si mettevano ad ascoltarla, anche il regista Luigi Comencini. Dalla piazzetta venne un rauco e marziano suono di sirena, come il lamento di una enorme cicala: Claudia balzò in piedi, e tutti si alzarono all’unisono, abbandonando torte e caffè.

Quando fummo in piazza ed i carabinieri ebbero di nuovo fatto largo attorno al piccolo caffè nel quale avvenivano le riprese, mi detti da fare per cercar di capire. Il film non mi interessava, se non come "supporto”, come occasione dello svilupparsi di una personalità: andavo in cerca di questa, poiché non mi era mai successo di osservare un'altra donna, come Claudia Cardinale, che concentrasse in se stessa tanta autorità.

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Scopersi intanto che aveva un modo di guardare semplice e diretto, senza alterigia e senza schermi. Guardava con semplicità, senza che si udisse lo scatto di quel piccolo meccanismo di valutazione automatica che la maggior parte di noi reca incastrato nel cervello. Un macchinista, un "ciacchista”, una comparsa a mille lire l’ora, devono sentirsi qualcosa di più, guardati a questo modo. E non stupisce che la "troupe” adori la sua primadonna, e le stenda davanti invisibili manti di ermellino, perchè ci cammini sopra con quel suo leggero passo danzante.

Poi mi accorsi della sua straordinaria umiltà. Mi ero preparato alle solite risposte, convenzionali, falsamente spiritose, preparate dall’ufficio stampa. Invece venne fuori una vera conversazione.

Respingeva i complimenti con molta dignità, con un desiderio evidente di ripristinare se stessa di fronte ad una macchina pubblicitaria: «Non sono una brava attrice, ma faccio il possibile. Cerco di non stancarmi mai, e di capire cosa si vuole da me: per questo film ho letto tre volte il libro di Cassola, eppoi guardo bene la Toscana in cui ci muoviamo, la gente, le abitudini, il modo di parlare. Mara, la ragazza di Bube, era una di qui, un poco bugiardella, un poco "neghittosa”, molto donna: confesso che, se mi lasciassi andare, sarebbero i miei difetti. Ma invece voglio far bene e me li dimentico».

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Chiedo a Comencini se pania mai con Claudia dello "spirito” del film che sta girando: uno spirito difficile, di vicende quasi sognate, sospese nel ricordo più che nei fatti, in una Toscana che non esiste più, e che appunto bisogna andarsi a cercare faticosamente in questi angoli dimenticati, come Anghiari, paese solitario di un solitario Appennino. Scuote la testa. «Non ce n’è bisogno. Claudia ha una duttilità straordinaria, basta lasciarla fare e correggerla, guidarla di tanto in tanto. Ci sono due teorie di regia: quella che vede l’attore come un robot, che può fare qualunque cosa nelle mani del regista, e quella che addossa all’attore la facoltà di "creare” il personaggio, come se gli uscisse dai precordi. Non credo nè all’una, nè all’altra, ma ad una via di mezzo: e questa via di mezzo, con Claudia, è facile».

Franco Bandini, «Tempo», anno XXV, n.22, 1 giugno 1963


Tempo
Franco Bandini, «Tempo», anno XXV, n.22, 1 giugno 1963