Totò, genio puro come Keaton e Charlot

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1987-04-11-Il_Mattino


Ho lavorato una sola volta con Totò, nel 1951. Il film era «Totò e i Re di Roma» e il mio personaggio, una partecipazione, somigliava a quello di «Mamma mia che impressione!»: un maestro di scuola che bocciava Totò alla licenza elementare. Non l’ho molto frequentato, però ci incontrammo dopo, quando io giravo «Un americano a Roma»; lui espresse il desiderio di conoscermi, di stare insieme, e mi invitò a cena nella sua casa ai Parioli.

Mi chiese subito di dargli del «tu», anche se io gli confessai la mia emozione nel trovarmi di fronte all’esempio vivente del comico tradizionale, colui che, al solo apparire, in teatro o sullo schermo, conquistava il pubblico prima ancora di dire «Buonasera». E infatti certi suoi film venivano snobbati dai critici perché non c’era niente da commentare, c’era soltanto da esaltare la sua immagine che, da sola, bastava a far ridere. Un attore talmente eccezionale e irripetibile che forse ci vorranno cento anni perché ne nasca un altro.

Certo, la mia carriera è stata molto diversa da quella di Totò. Io non facevo ridere di colpo, dovevo studiare per far emergere quell’ironia che avevo dentro e che rispecchiava la realtà del momento, sulla scia del neorealismo; dovevo creare situazioni, storie, personaggi. A lui tutto questo non serviva, ma era molto interessato a capire come si evolveva il cinema, sentiva che stava nascendo un genere in cui, al contrario del passato, il comico non poteva essere solo «presenza» fisica.

Non mi sorprende affatto, quindi, che tra le carte di Totò sia stato ritrovato un foglio di appunti, diviso in due colonne: da una parte c’è scritto «Totò», dall’altra «Sordi», e sotto alcuni titoli di film suoi e miei con accanto i relativi incassi. Non credo che Totò prendesse questi appunti per raffrontarsi con me, considerandomi magari un antagonista. Credo che volesse confrontare il genere dei film suoi con quelli miei, proprio per studiare quell’evoluzione di tendenza del pubblico cui accennavo prima. E credo avesse capito che la nascita della commedia all’italiana faceva emergere altri tipi di personaggi che ugualmente potevano far ridere la gente, anche se lui dominava ancora il cinema comico.

Insomma, Totò era il massimo allo stato puro, all’altezza di Charlot e di Buster Keaton. Oggi si riconosce che lo si può capire dovunque, mentre noi abbiamo parlato una lingua sconosciuta oltre confine, pur rappresentando, comunque, qualcosa di artisticamente diverso.

Se un giorno si affaccerà alla ribalta un altro personaggio come Totò, sarà solo per un miracolo della natura, sarà un’immagine che muoverà istintivamente il riso della gente, una «vis comica» che si baserà, come Totò, sull’istinto e r improvvisazione, non avrà bisogno di testi e tanto meno di registi. Anzi farà, come Totò, la felicità di registi e produttori che non avranno bisogno di scervellarsi troppo: tanto il film, o lo spettacolo che sia, glielo salverà comunque questo nuovo Totò. Ammesso e non concesso, ripeto, che ne nasca un altro.

Alberto Sordi, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992


Il Mattino
Alberto Sordi, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992