Rossana Podestà: la calzamaglia degli uomini d'oro
Diciassette vestiti eccentrici, altrettante parrucche che vanno dal colore bruno corvo a tutte le sfumature del biondo fino all'oro vero, lenti a contatto che rendono gli occhi azzurri, viola, verdi, dorati e di tutte le sfumature dell'arcobaleno, gioielli che nascondono minuscoli transistors o armi micidiali: con questo armamentario e con alcune ore di trucco nasce Giorgia, la vamp dei sette uomini d’oro, bellissima, perversa, calcolatrice, pericolosa, che qualcuno ha già definito «la donna del futuro». Al contrario delle figure femminili dei film di spionaggio o dei polizieschi in voga (che sono sempre pedine inermi nel gioco spietato delle bande in conflitto) Giorgia è una mente che non si fa dirigere ma dirige, che non si fa scegliere ma sceglie. La bellezza, il sesso, sono armi per ottenere ciò che vuole. Tutto è condizionato alle sue ambizioni: denaro, potere, eleganza, successo hanno polverizzato in lei qualsiasi aspirazione romantica. Seminuda o vestita dei suoi eccentrici abiti. Giorgia ha in suo potere tutto e tutti: gli altri lavorano, lei domina. coordina, tradisce più d'una volta per poi riunirsi a chi ha tradito per primo. Chi non ricorda il suo insospettato voltafaccia nel finale dei «Sette uomini d'oro» e il suo imprevedibile ritorno a colui che aveva tradito quando questi ha avuto nuovamente «il coltello dalla parte del manico»? Così è fatta Giorgia.
L'ho vista in questi giorni al lavoro. proprio mentre si calava dall'ottavo piano di un lussuoso e ultramoderno albergo romano, agile come un gatto, da una terrazza a quella sottostante. Indossava una tuta di morbida pelle nera che la fasciava come un guanto e a guardarla a quell'altezza faceva accapponare la pelle. Perchè compisse quella pericolosa impresa è mistero. So soltanto, per averlo visto con i miei occhi, che aveva come unica protezione da un salto nel vuoto una corda legata ad una caviglia e sorretta da qualcuno che non vedevo.
Il cinema si è fatto crudele con le attrici: un tempo per le scene pericolose avevano sempre una controfigura disposta a rischiare la pelle per loro, ma oggi, a causa di quel diabolico apparecchio che si chiama «zum», capace di riprendere un primo piano a notevole distanza e che passa in un attimo dalla visione generale della scena al particolare, diventa difficile farsi sostituire. Poi il pubblico è diventato molto esigente. vuole grandi emozioni, e non è forse più emozionante vedere che aggrappata a quella terrazza all'ottavo piano non c’è un'acrobata di professione, ma Rossana Podestà che non ha mai fatto l'acrobata e che per di più soffre di vertigini?
«Ha visto. — mi ha detto l'attrice terminata la scena e rimessasi dalla fatica — mio marito ha tenuto questa scena per ultima, così se io fossi caduta e me ne fossi andata all'altro mondo non gli avrei lasciato il film a metà».
Scherza, naturalmente. Chè Rossana Podestà e il marito Marco Vicario. produttore, regista e «inventore» dei sette uomini d'oro e del personaggio di Giorgia, sono una coppia ben affiatata, anzi felice, come lei stessa mi dice.
La loro è un'unione singolare: dopo parecchi anni di matrimonio — si sposarono giovanissimi, lei sedici anni e lui pochi di più — solo recentemente hanno trovato una perfetta intesa professionale: fu con il film «Le ore nude» (lui debuttava come regista e lei era la protagonista) ispirato ad un racconto di Moravia, un film maturato dopo anni difficili per entrambi.
Marco Vicario aveva alle sue spalle un'esperienza piuttosto discontinua: aveva fatto l’attore e il produttore di film di relativo impegno artistico, film in massima parte di schiavi e gladiatori in un momento in cui le storie di antichi romani andavano di moda. Lei aveva debuttato ancora adolescente, strappata alla scuola dal regista Léonide Mojuy che la volle nel suo film «Domani è un altro giorno». e dopo quell'esordio brillante era andata a infittire le schiere delle ragazzine tanto belline e tanto promettenti che in quel periodo fiorivano nel nostro cinema.
Ebbe parti più o meno belle in numerosi film («Fanciulle di lusso», «La voce del silenzio», «Guardie e ladri» ecc.) finché l'America se l'accaparrò per una pellicola che doveva lanciarla in campo internazionale, «La rete» di Emilio Fernandez. La lanciò infatti, ma la relegò a ruoli di antica romana o di venere greca. Fu Nausicaa in «Ulisse», fu «Elena di Troia» fu» Regina degli schiavi». Il volto regolare. il profilo vagamente greco e un corpo perfetto, al quale sembrava si addicessero più le tuniche che tailleurs, sembrarono segnare il suo destino di attrice.
Finché due anni fa uscì quel film «Le ore nude» che entusiasmò i critici: una storia moderna, il dramma discreto di una coppia in crisi che vede compromessa la propria unione. Finalmente per Rossana Podestà un personaggio vero e moderno. una donna in tailleur come se ne possono incontrare a migliaia per la strada. E dopo quel primo felice esperimento uscì il secondo film della coppia Vicario-Podestà: «Sette uomini d'oro», che dal suo apparire sugli schermi ad oggi ha incassato la cifra record di un miliardo e ottocento milioni di lire.
Ora insieme stanno terminando «Il grande colpo dei sette uomini d'oro»: sarebbe stato difficile resistere alla tentazione di ripetere l'exploit.
«Sette uomini d'oro nacque per caso — mi racconta Rossana. — Mio marito doveva produrre un film molto importante, ad altissimo costo: «Dinamite a colazione». Il regista avrebbe dovuto essere Alberto Lattuada e il protagonista un attore inglese molto importante. Si era alla vigilia di Natale del 1964 e Marco aveva già composto la troupe. Si aspettava solo di prendere il via. E invece, come accade spesso in cinema, all'ultimo momento le trattative con i produttori stranieri andarono a monte. Quando Marco diede la notizia alla troupe fu un disastro. "Ma come, ci abbandona così, proprio sotto le feste?" dicevano. Eravamo in piena crisi cinematografica e su quel film loro ci avevano fatto i conti. Mio marito non se la sentì di lasciarli sul lastrico e decise di fare un film a basso costo e di modesto impegno. Subito dopo Natale si mise a scrivere il soggetto e il dieci gennaio era già pronto. Lo chiamò "Sette uomini d'oro". Lattuada non era più disponibile e mio marito decise di dirigerlo egli stesso».
E' nato così, come in una favola natalizia per bambini buoni, il film «boom» dell'anno. Il poliziesco italiano che ha richiamato nelle sale cinematografiche tanta gente quasi quanta ne ha richiamata James Bond, che ha rilanciato due attori non più giovanissimi, Philippe Leroy, il cinico astuto freddo capobanda e Rossana Podestà, la sua bellissima amante.
Ma vederla al naturale, gonna e maglietta, un fazzoletto in testa per nascondere i capelli mortificati da ore e ore di parrucca Rossana Podestà non è certo una vamp: è piccola. minuta, fragile. Parla con facilità (sono una chiacchierona, dice) e parla bene, da donna intelligente di buona cultura. Se chiedete il suo parere a proposito dei capelloni o della politica, del divorzio o dell'amore, del divismo e del successo risponde senza reticenze, si sente che ha idee sue e non prese in prestito dagli uffici stampa. Se Giorgia è una donna del futuro Rossana Podestà è una donna di oggi. Ma lei non ama posare a intellettuale, preferisce parlare del suo lavoro che paragona a quello di una brava impiegata. e dei figli, Stefano che ha 12 anni e Francesco che ne ha 6, del viaggio intorno al mondo che ha fatto con il primo e dell'antipatia che il secondo ha rivelato per la scuola. Problemi di una madre che lavora, anche se si tratta di un lavoro molto particolare.
Vedendola così poco vamp e così in contrasto con il suo personaggio cinematografico mi viene in mente una storiella che si racconta a proposito di Carroll Baker: si dice che un giorno il figlio della famosa star hollywoodiana passasse con un amichetto davanti al manifesto di un film interpretato dalla madre. «Guarda, quella bellona di Baby Doll» disse l'amichetto. «Macché bellona, rispose il figlio dell'attrice, è mia madre».
La racconto a Rossana Podestà e lei ride: anche a lei non piace fare la diva nella vita privata, odia gli atteggiamenti studiati, le piace passare inosservata. Ma quando si lavora è un'altra cosa.
Per il suo nuovo film Marco Vicario ha ideato sorprese di ogni genere. ha escogitato accorgimenti tecnici e fantascientifici che la banda userà per attuare il grande colpo. Vedremo all'opera un sommergibile atomico lungo 52 metri, un aereo in grado di ripiegare le ali durante l'atterraggio e trasformarsi in furgoncino, un siluro che diventa la cabina di una funivia e altre diavolerie del genere, care al genere tanto di moda. Ma sulla storia il regista tiene il massimo segreto.
«Posso soltanto dirle che la vicenda, partita dall'Italia, si svolgerà in seguito alle Bahamas, a Tahiti, alle Canarie, a Londra, a Washington e che la banda trafugherà settemila tonnellate d'oro. Ma dove, e come e con quali mezzi riuscirà a sfuggire ad ogni ricerca e a rimanerne in possesso è un segreto per tutta la troupe — mi ha detto. — La nostra segretezza non mira a creare curiosità e quindi pubblicità intorno al film. "Il grande colpo dei sette uomini d'oro" ha per molti aspetti l'andamento di un giallo e rivelarne la fine sarebbe fare un torto al pubblico».
Così mi ha detto il regista del film. E ha tutta l'aria di divertirsi molto a confezionare questo gioco per grandi che è il film poliziesco.
E Giorgia, che ruolo ha nella vicenda?, gli ho chiesto.
«La parte di Giorgia sarà ampliata rispetto al precedente film. Sarà lei l'elemento determinante della vicenda, quello che risolverà con il proprio intuito acutissimo le più disperate situazioni».
Giorgia infatti si fingerà una famosa fotografa di «Life» e riuscirà a mettersi in contatto con un dittatore sudamericano. Poi, travestita da «majorette» di una banda americana finirà addirittura davanti alla Casa Bianca. Andrà da un capo all'altro del mondo per spianare la strada ai sette uomini d'oro. Sfodererà tutte le sue armi per sedurre capi di Stato, per mettere k.o. personaggi pericolosi, come si conviene ad una specie di James Bond in gonnella, anzi in calzamaglia. E che, al pari di James Bond. non ha alcuna pretesa di essere presa sul serio.
Maria Maffei, «Noi donne», anno XXI, n.24, 11 giugno 1966
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Maria Maffei, «Noi donne», anno XXI, n.24, 11 giugno 1966 |