Franca Valeri e Vittorio Caprioli, i nemici che si amano

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Franca Valeri e Vittorio Caprioli sono una delle coppie più affiatate del mondo dello spettacolo: lavorano insieme, si completano a vicenda e nello stesso tempo lottano continuamente per difendere la propria personalità, gelosi delle loro idee e della loro indipendenza

Roma, dicembre

La milanese e il napoletano. La signorina snob e il guitto girovago. La ricca borghese dalla solida tradizione che organizza. pianifica, risparmia e il quarantenne eterno ragazzo che vive alla giornata, dorme, scrive, mangia, recita, fa l’amore. lancia idee, compra case in campagna a tutte le ore, quando capita e quando ne ha voglia. Come faranno a vivere insieme, a lavorare insieme due tipi così che il buon senso comune direbbe destinati a stare mille miglia lontani, lei immersa in una sana atmosfera lombarda, tra mobili perfetti e qualche calcolatrice elettronica, lui sdraiato in un dolce sole mediterraneo, tra una giungla di fogli scritti a metà, cuscini di piuma, fotografie di belle ragazze, matite spuntate, orologi fotti e camicie sdrucite?

Il buon senso comune è la saggezza degli stolti. Ecco qua Franca Valeri e Vittorio Caprioli, seduti sullo stesso divano e palesemente felici di esserlo, nella casa romana che ha l’impronta inconfondibile di lei — pulizia svizzera, ordine che rasenta la pignoleria, gusto impeccabile di chi l’arredamento di classe l’ha respirato fin dalla nascita — ma che porta nell’aria anche molte cose di lui, i progetti lasciati a metà per nuove folgoranti trovate. gli appuntamenti che si accavallano come le idee, gli sbalzi di umore.

«Siamo molto diversi ma dopo tanti anni insieme ho finito con assomigliare sempre più a Vittorio», dice Franca Valeri.

«Per forza, anche le mie bestie ormai mi assomigliano», dice Vittorio Caprioli.

«In che cosa soprattutto è cambiata?», domando io.

«Ho perso La parte milanese negativa, quella certa rigidità e quel tanto di convenzionale che c’è nei lombardi di vecchia tradizione. Anche lui del resto è cambiato: si è maturato un pochino...».

I due attori abitano in una villa a Rocca di Papa, una costruitone del ’700 arredata con mobili antichi. Franca Valeri e Vittorio Caprioli, che si sono sposati a Ventimiglia il 16 gennaio 1961, si sono conosciuti a Milano nel 1943 in casa di amici. ”I gobbi”, la spiritosa rivista da camera che fu presentata nel 1951 è il loro primo spettacolo di grande successo.

«Come, non era maturo?». «Eri un vero bambino. Io, quando ti ho conosciuto, ero già discretamente matura: le donne sono sempre più precoci». Gli occhi nerissimi di Franca («la cosa più bella che ha, insieme alla pelle», dicono gli amici) diventano ancora più neri mentre parla del loro incontro. Milano, gli ultimi tempi della guerra, la paura e il coprifuoco, ma focolai resistenti di fiducia e di antifascismo in alcune case della borghesia intellettuale e un gruppo di giovani benestanti ma progressisti che riescono ancora a stare insieme per discutere, fare progetti, perfino per mettere su una piccola compagnia teatrale che recita nei salotti e nelle cantine: le prime attrici sono Bilia Zanuso, poi Bilia Bilia e Franca Norsa, poi Franca Valeri. Una volta vogliono mettere in scena perfino "Nozze di sangue” di Garcia Lorca, ma manca il protagonista maschile: un amico promette qualcosa di sensazionale, un vero attore napoletano, capitato a stilano per caso.

Lo zingaro e la signorina

«Sì, ci siamo presi la cotta subito», dice lei con convinzione.

«E’ stata prima di tutto una intesa sul piano intellettuale?».

«Macché — risponde Caprioli — mi è piaciuta fisicamente». Poi, rivolto a lei: «Sta’ buona Franca, lo so che sei intelligente e brutta, ma che cosa ci vuoi fare? A me piaci cosi. Sarò pazzo ma mi piaci come sei».

«Certo — prosegue lei come se questi complimenti alla rovescia fossero parte naturale del loro repertorio amoroso — appena lui mi ha visto si è detto: "guarda che bella ragazzotta”. Io poi ero molto vanitosa di fronte alle amiche perchè questo guitto napoletano un po’ bohémien e un po’ dongiovanni rappresentava un ghiotto boccone per noi anemiche borghesissime milanesi».

«Intesa fisica, intesa fisica — insiste Caprioli come se gli importasse molto chiarire questo punto. — Noi non siamo i tipi che per conquistarsi discutono ore ed ore su problemi intellettuali e dissertano sul sesso come di una filosofia e intanto fingono di non osare sfiorarsi».

«Che noiosi quello lì». fa la Franca con l’espressione di uno che ha appena scoperto un ; nido di scorpioni sotto il letto.

«Chi dei due ha fatto il primo passo?».

«Io sono molto femminile, preferisco che l'iniziativa parta dall'uomo; d’altra parte nell’amore come nelle amicizie non sopporto che le cose vadano per le lunghe, mi viene il latte alle ginocchia: cosi ho cercato di chiarire presto i nostri sentimenti».

Non fu però una decisione affrettata quella che portò la signorina Norsa, qualche anno più tardi, a lasciare la casa dei genitori piena di arazzi, moquettes e porcellane di Sèvres, con una valigetta in mano per prendere il treno per Parigi, terza classe, sedili di legno, cestino da viaggio da spartire con Vittorio Caprioli. Non era l’atto di ribellione di una giovane bruciata che tradisce genitori e compagni d’infanzia perchè ha fretta di vivere e neppure il colpo di testa della ragazza imbevuta di romanticherie che vede nella fuga a Parigi con l'artista” un bel gesto da romanzo dell'800. Franca era consapevole che la sua scelta comportava un impegno per tutta la vita, non solo sul piano sentimentale: chiudendo la porta in faccia al suo ambiente borghese — ma delicatamente, col "fair-play" di sempre — affermava di voler ricominciare da sola, senza il comodo cappotto del benessere bell’e pronto. A Parigi, a tentare le prime esperienze del teatro-cabaret ma anche a lavare calzini e camicie. Che non fosse una scappatella dei vent’anni lo dimostrò il tempo: più gli anni passavano e più la coppia diventava inscindibile, sul palcoscenico e fuori, tanto che a un certo punto il terzo componente della minuscola compagnia, Vittorio Bonucci, si sentì importuno come il reggitore di moccoli e sparì.

«Perchè avete aspettato tanto a sposarvi?», chiedo, pensando al loro matrimonio a scoppio ritardato, il 16 gennaio 1961.

Caprioli risponde serafico: «Prima era la stessa cosa, non è cambiato proprio niente».

«Lo so, la vostra vita non è cambiata affatto. Eppure a un certo momento avete preso questa decisione: perchè?».

Parla Franca: «Per quello che mi riguarda, forse ho lasciato passare tanto tempo per quel lato assurdo che abbiamo noi della generazione di mezzo: non vorremmo mai che le cose accadano; la sensazione che tutto debba ancora arrivare ci dà la fiducia di invecchiare più lentamente. E poi la vita con Vittorio scorreva rapida, ci si divertiva, si girava sempre, non c’era il tempo di pensare "ci sposiamo o non ci sposiamo”. Io non so proprio perchè ti ho sposata», dice lui arricciando tutta la faccia come se si sforzasse di ricordare il motivo di un’improvvisa follia.

«Sei stato tu a chiedermelo: io non te l’ho mai suggerito: Ho aspettato che fossi tu il primo».

«Forse mi sono deciso per scaramanzia». Poi, vedendo la espressione trionfale di Franca: «Oh, mica avevo paura che tu scappassi. Già... e dove andavi?...». Ridono tutti e due e nella grande cascata di suoni rauchi e cristallini si sentono solo frasi mozze. «Ti ricordi che momenti terribili. A Ventimiglia. Il freddo. Il sindaco balbettava dal freddo. Una cerimonia tutta da ridere. Che idea assurda sposarsi... Sposarsi a Ventimiglia».

Quando ridono cosi, facendo tremare tutto il divano, si capisce cos’è la complicità che li lega e che gli amici definiscono "a volte perfino irritante".

"L’irritante complicità” diventa ancora più stretta e misteriosa sul piano del lavoro: un meccanismo ad incastro, quasi un gioco degli anelli cinesi.

«Lui butta fuori le idee, io le organizzo», dice la Valeri.

«E’ lei che col suo modo di parlare, di muoversi, di fare il verso a personaggi noti o soltanto tipici mi fa scoppiare le idee», dice Caprioli, «E quando questi personaggi non li ha mai visti o esistono solo nella mia testa lei li coglie al volo, in un attimo entrano nella sua pelle, come se in qualche precedente vita fosse già stata la loro incarnazione».

Nell’ultima stagione teatrale, l’attrice presentò una commedia scritta da lei stessa, "Le catacombe". In questi anni la coppia ha alternato l'attività teatrale con quella cinematografica offrendo le prove più convincenti con i due film "Parigi o cara” e "Leoni al sole".

Una ditta matrimoniale

«E’ vero, tutte le mie "Donne” sono saltate fuori cosi».

«Sa come è nato il nostro film "Parigi o cara"? — continua lui. — Una sera venga a casa e le racconto della prestitutella di Trastevere che conosco, un tipo straordinario di arrampicatrice sociale, con alcune idee fisse in testa, i soldi, lo appartamento, l’organizzazione del suo lavoro su basi da grande azienda. Subito Franca si mette a muoversi e a parlare come lei, tanto che mi viene il dubbio che l’abbia già incontrata cento volte: invece non sapeva neppure che esistesse. In poche ore è nata la protagonista di "Parigi o cara", qui, in questo salotto».

«Il lato più straordinario di Franca — dice ancora Caprioli — è questo: qualsiasi idea mi salta in testa, lei la trova logica. Come quella mattina in cui mi sono svegliato con il soggetto di "Leoni al sole" che mi ronzava nel cervello. Lei ha detto: va bene, giriamolo pure, però spicciati perchè ho voglia di fare i bagni. Anzi, cerca di scegliere un posto di mare, così posso nuotare».

Franca Valeri e Vittorio Caprioli si rimbalzano le idee dall’uno all’altro, come palline da ping-pong. Tac-tac. Tac-tac. Due giocatori da campionato nazionale. Prontezza di riflessi e virtuosismi. Non sono avversari sul serio ma non si risparmiano i colpi duri, i servizi tagliati e le palline "schiacciate". Tutto quello che lei scrive, ad esempio, passa sotto gli occhi spietati di lui.

«Sempre, sempre c’è qualcosa che non va». sospira la Valeri.

«Certo, c’è un conflitto eterno fra noi perchè qualsiasi cosa lei crea si sente che è scritto da una donna e io leggo da uomo».

«Per lui i miei personaggi femminili non finiscono mai abbastanza tragicamente: vorrebbe per loro le peggiori catastrofi, la peste, il naufragio, la ghigliottina, sedotta e abbandonata... E sì che io non li tratto mica coi guanti».

«Forse è vero: nei soggetti che scrivo io, gli uomini sono sempre vittoriosi, però fanno pena».

«E le donne?». domando io.

«Le donne? Come fanno a fare pena le donne?».

«Egoistaccio schifoso. Passeresti sopra a cento cadaveri di Franca».

«Taci, bruttona».

«Il guaio è che Vittorio mi conosce troppo bene: quando scrivo sa quali sono i miei talloni d’Achille e lì mi colpisce, da vile. Mi mortifica e allora io divento una belva.

«E poi cosa succede?», domando.

«Succede che per farmi perdonare di essere diventata una belva riscrivo tutto e faccio un capolavoro. Ma prima di arrivare a questo devo passare attraverso tutti i gironi dell'inferno. Sa che lui non mi concederebbe nessun isterismo? Gli isterismi, dico io, spettano di diritto alle donne. Oppure. quando proprio vuole darmi una punizione terribile, adotta la tecnica del silenzio. Io chiedo spiegazioni, grido, piango, imploro e lui zitto. Sbatto la testa contro il pavimento (vede, in questo punto la moquette è consumata) e lui muto. E’ una cosa che fa impazzire perchè se manca la discussione che gusto c’è a litigare?».

«Dura molto il silenzio?».

«Anche una notte intera».

Salta su lui. come se a sentir parlare di notte si fosse svegliato: «I nostri litigi ormai hanno una meccanica così surreale che se ci sono altre persone credono di trovarsi di fronte a personaggi di Ionesco. Ma io so che affinchè certe cose entrino nella testa di Franca bisogna far scattare una molla speciale».

«Sì, la molla del bruto, dell’aguzzino...».

«Pochi giorni fa — continua impassibile — registravamo una canzone per il nuovo film e lei doveva tirar fuori una voce da Mina. Franca non è una cantante e tanto meno un’urlatrice, ma doveva farlo. Prova una volta, due volte: un disastro. Allora urlo io ma per farle una scena terribile, per umiliarla davanti a tutti. Tremava lei, tremavano i tecnici, gli assistenti, i microfoni. Poi ho mandato a chiamare una cantante perchè la sostituisse; non ha fatto in tempo ad arrivare: Franca si è ritrovata improvvisamente i polmoni e la laringe della tigre di Cremona. E qualcosa di più».

«Certo, e in questo film canterò anche l’opera».

«Io lo so, a Franca si può far fare tutto, tutto, purché sia pungolata».

«E lei accetta le critiche di sua moglie?», domando a Caprioli.

«No, certo. Una volta avevo già firmato il contratto per un film: il soggetto era scritto da capo a fondo, tutto era pronto, perfino i soldi del produttore. Poi lei lo legge e sentenzia che non va: c’è dentro un messaggio, è troppo scoperto, il risvolto comico è debole, che ne so. Ho stracciato copione e contratto».

«E dice che non segue i consigli...».

«Ma è successo una volta. Una volta sola».

«Lavorate volentieri separati?».

«Quando giro con altri registi rischio continuamente di strozzarli. Quante volte ho dovuto telefonare a Vittorio perchè venisse subito a impedire un assassinio e soprattutto a convincerli a fare quello che volevo io».

«Franca sembra forte, imperturbabile. E’ soltanto cocciuta, ma da sola perde tutta la fiducia in se stessa. Quando ha presentato a Parigi il suo "recital” ”Le donne" io non ho potuto assistere alla prima. Alle sei del mattino squilla il telefono. Mi dicono: "Vieni subito, Franca sta proprio male”. Io prendo il primo aereo tutto spaventato e la trovo in ottima salute ma col morale a terra, perchè durante lo spettacolo aveva visto una mezza fila di poltrone vuote».

«Non erano le poltrone vuote: il fatto è che senza Vittorio mi sembra di far tutto male. O non mi interessa di fare bene».

A questo punto viene naturale la domanda: «Ma allora il vostro è un matrimonio o una solida ditta teatralcinematografica?».

Risponde lei per tutti e due: «L'uno e l’altro. E’ assurdo pretendere che l’intesa professionale non sia importantissima. ma da sola non basterebbe. Comunque senza un’attività impegnativa io sarei un fallimento di moglie, vero Pappo?».

1964 01 04 Tempo Valeri Caprioli f3Un’immagine dei coniugi Caprioli, non cosi disinvolti come vorrebbero apparire, soprattutto la Valeri. Caprioli ha preso parte come attore al film "Le voci bianche”, di Festa Campanile, e sta preparandosi a dirigere un nuovo film ambientato a Napoli in una strana famiglia di napoletani patiti per il bel canto.

Pappo naturalmente è lui, oggetto dei nomignoli più insolentemente teneri che si riferiscono quasi sempre alla sua natura di gattone indolente e un po’ menefreghista, il tipo dal pelo sempre arruffato, con gli occhi di sonno che in realtà indagano e aspettano il momento opportuno per saltare sulla preda. Infatti lui è convinto di non appartenere affatto alla specie dei felini sornioni: «Lo dicono tutti; il vero milanese sono io, attivista, igienista, muscoli e cervello sempre tesi; la vera napoletana è Franca, sempre pronta ad addormentarsi al sole come una lucertolona».

«Davvero lei è convinto di non essere pigro?».

«Certo, per me ogni ora è un’avventura meravigliosa, sempre nuova: infatti cerco di dormire il meno possibile». Intanto annega sempre' più fra montagne di cuscini, in un ron-ron dolcissimo di soriano felice. E mi viene in mente il suo risveglio mattutino nella villa di Rocca di Papa, raccontato dagli amici e ormai famoso nella sua cerchia. Più di tre ore per passare dal dormiveglia a uno stato di quasi-coscienza, nel gran letto col baldacchino incorniciato da rosei angiolotti. Salti da tricheco e grugniti da orso tra le coltri scomposte e tutta la corte intorno costretta ad assistere e benedire il "dolce” risveglio del suo signore, così simile a un insolente principe settecentesco: Franca naturalmente, ma anche la servitù al completo, il guardiacaccia, i cani, il giardiniere e gli ospiti. Ognuno porta un omaggio particolare: frutta appena colta e fagiani appena uccisi, fazzoletti di pura batista e critiche sul suo ultimo film (solo quelle bellissime). Presto la stanza è una reggia festante, ma su latrati e mormorii di ammirazione domina sempre il grugnito del dio beato che emerge nudo dal mare in tempesta delle lenzuola.

Proviamo a sentirli sul tema della gelosia.

«E’ assurdo essere gelosi quando si è sicuri di se stessi, vero Franca?».

«Uhm...», fa lei.

«Come, non sei d’accordo? Già. perchè tu appena mi piace un po’ una ragazza e io te la presento, tu la geli subito con uno sguardo o con una delle tue frasi famose, sempre indirette».

«Sembra che la cosa più importante per te, il gesto che risolve tutto, sia presentarmele».

«Quando non te le presento le geli ugualmente. Come quella ragazza che mi cercava tutti i giorni, adesso non telefona più. Per forza. L’ultima volta, quando ti ha chiesto se c’ero, tu hai appena allontanato un po’ il ricevitore e fingendo di parlare con la cameriera ti sei messa a urlare: «Ma guarda che camicie luride, un vero sozzone, i colletti neri, che schifo». Poi, rivolta alla ragazzina: «No, Vittorio non c’è» e giù il telefono.

«Non sono gelosa, ma quella era una tale insolente».

«Perfino nelle tue commedie le metti, le poverine. Quella battuta de "Le catacombe"; "Un petto cosi, un vitino cosi, due gambe lunghissime, ma cosa ci trovi?" l’aveva detta a me due mesi prima».

«Non è vero. Quel tipo lì non è mai esistito: l’ho inventato io».

«Del resto io mi sono stancato di fare la corte alle ragazze. Anche questa è una tattica: non corteggiarle affatto».

Squilla il telefono. Risponde la Franca con aria sospetta, ma subito si scioglie. «Tesorone... Sei stato di un carino a mandarmi... Oh si, facciamo un tòte à rete. Ti va, bene il vestito foglia tremante d’autunno col peluche?...».

Fa la parodia di sè stessa signorina snob.

«Mi piace che Franca sia corteggiata — confessa Caprioli — è una gran civettona». Ma aspetta che la telefonata sia finita e che lei sia tornata al suo posto per dire, serio serio: «No, in realtà noi non siamo vittime della gelosia. Siamo morbosamente gelosi delle nostre cose, questo sì. Di tutto: dalla sedia all’idea».

«Lo so — rispondo io — è una forma di amore esasperato: l’attaccamento a quello che si costruisce insieme che arriva all’egoismo verso gli altri, all’esclusione di tutti dal proprio mondo».

E penso che forse anche la loro rinuncia ai figli è un risultato di questo rapporto amore-gelosia-egoismo. Le parole della Franca lo lasciano trasparire: «Sì, io li avrei anche voluti... li vorrei ancora. Non so. Lui è un uomo troppo impegnativo; un figlio vorrebbe dire trascurare uno dei due. Per questo forse Vittorio lo teme».

«Ma Franca, cosa vuoi? Non sono già io il tuo bambino?».

«Certo Pappo».

Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.1, 4 gennaio 1964


Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.1, 4 gennaio 1964