Valeria Moriconi: «evitiamo di fare il braccio di ferro»

1964 02 06 Tempo Valeria Moriconi f0

Con questa frase Valeria Monconi e Franco Enriquez spiegano come siano riusciti a trovare la felicità fra i più burrascosi contrasti. Il teatro, che pure li unisce, è la causa più frequente dei loro scontri

Roma, gennaio

La prima cosa che mi colpisce è la loro risata. Ridono in modo identico come se avessero imparato insieme a vivere. A gola spiegata, rovesciando la testa indietro. Il suono della loro allegria è metallico e scandito, si gonfia sempre più, rimbalza sul tappeto a fiori, riempie la stanza. Hanno la risata facile, Valeria Monconi e Franco Enriquez, anche se gli incassi dell'ultimo lavoro messo in scena non vanno bene, anche se i critici spesso non sono benevoli, anche se non possono sposarsi. La loro gioia di vivere assomiglia alla incoscienza degli innamorati giovani troppo felici per lasciarsi, incrinare dagli avvenimenti esterni. In realtà la storia che stanno vivendo non si può certo definire una ragazzata, l'amore immaturo e spensierato di due adolescenti candidi: entrambi hanno sulle spalle il peso di un matrimonio sbagliato e la certezza che nessuno potrà cancellare quello che è accaduto.

«Scegliere di voler bene a Valeria è stata anche una presa di coscienza nei confronti di me stesso», dice Franco Enriquez.

«E prima?».

«Prima non potevo essere coerente perchè ero costretto a vivere due vite, una familiare-sociale e una di lavoro».

«Vuol dire che sua moglie era estranea ai suoi interessi per il teatro?».

«Mia moglie e l'ambiente in cui è immersa e da cui non è possibile isolarla. Quello che mi dava più fastidio era il modo di considerare la mia passione per le scene, come se fosse un gioco di società, un bridge, un flirt, senza neppure il sospetto che possa essere una ragione di vita».

«Di questo si è accorto soltanto dopo qualche anno di matrimonio? Non le era mai venuto il dubbio che la scissione famiglia-carriera sarebbe stata inevitabile?».

«No, non ci pensavo: in principio facevo il regista abbastanza per caso, non con il furore esclusivo di adesso; col tempo è diventata una cosa sempre più seria».

«Non crede di essere sostanzialmente inadatto al matrimonio?».

«No, anzi: ho scelto di sposarmi perchè mi sentivo molto portato alla famiglia. L’errore è stato di non capire che avevo bisogno di una persona che dividesse con me anche le mie "follie" artistiche».

«Allora solo un'attrice può stare nella sua vita senza creare fratture?».

«Non "un’attrice"; solo Valeria. Lei ha cancellato davvero i confini tra l'amore e il teatro».

Valeria Moriconi e Franco Enriquez abitano a Grottaferrata, presso Roma. Il regista ha visto per la prima volta la attrice mentre recitava nel "Gabbiano" di Cecov sul palcoscenico del Teatro comunale di Bologna, nel 1966. Vivono insieme da un paio d’anni. Entrambi sono già sposati. Lei si è unita in matrimonio a diciassette anni, nel 1949, con il pittore Moriconi (il vero nome dell’attrice è Valeria Abruzzetti); il regista ha sposato nel 1958 la contessina veneziana Carla Nani Mocenigo. Recentemente Franco Enriquez ha ricevuto l’invito a partecipare al prossimo Festival di Glyndebourne, in Inghilterra, con "La bisbetica domata" di Shakespeare, lavoro con il quale il regista ha riscosso grande successo sulle nostre scene.

Adesso non ride più. E forse davanti ai suoi occhi passano le immagini un po’ assurde delle sue nozze. Le guarda come si può guardare la storia d'un estraneo o un film piacevole ma che in fondo non ci riguarda. Una cerimonia di quelle che i rotocalchi femminili definiscono "da favola", un cocchio ottocentesco che trasporta i giovani sposi, mille invitati nella grande tenuta di campagna dei conti Nani Mocenigo. i contadini che porgono frutta e animali in dono, la contessina Carla che ride tra le lacrime mentre il vento le solleva il velo. Molto chiasso perchè una delle fanciulle più in vista del l’aristocrazia veneziana sposa un regista fiorentino un po’ bohémien ma di sicuro avvenire. La "favola" è finita in tribunale.

Ma il personaggio più vivo di questa falsa favola, in fondo. è Valeria. Gonna e golf qualsiasi che non si preoccupano di nascondere i fianchi un po’ ingrossati, capelli raccolti in uno chignon casuale, occhiali cerchiati di nero per guardare meglio negli occhi chi parla con lei. neanche un filo di trucco. Non ha bisogno di camuffarsi da diva e neppure da grande "amorosa". C’è addirittura chi dice che da quando ha incontrato il suo regista, fisicamente si è lasciata un po' andare: e questa sarebbe proprio la conferma che Valeria, l’irrequieta sentimentale, è finalmente tranquilla e sicura dei propri sentimenti. Ma a sentire lei la sua nuova serenità è di tipo molto meno epidermico.

«Sa come mi ha chiamata qualcuno, in passato? Divoratrice di uomini. E’ un’espressione che mi fa morire dal ridere». Ride infatti e così fragorosamente che per qualche minuto non riesce più a parlare, soffocata dalla propria ilarità. «In realtà ho avuto meno esperienze di quante me ne hanno attribuite, però ammetto di essere stata abbastanza vivace, senza mai riuscire ad impegnare seriamente i miei sentimenti. Dopo l'incontro con Franco tutto è cambiato e adesso capisco che la mia irrequietezza era solo ricerca di qualcuno che mi assomigliasse. Una ricerca che. per molti anni, mi ha lasciato, ogni volta, con un pugno di mosche».

«Allora il vostro accordo è basato anche su questa somiglianza?».

«Siamo uguali nelle grandi e nelle piccole cose: ci piacciono il teatro d’avanguardia e la buona cucina, le case di campagna e il vino forte. Ingrassiamo nello stesso modo. Siamo perfino dello stesso segno. Scorpione...».

«Di solito due Scorpioni insieme creano la catastrofe».

«Siamo un’eccezione».

Interrompe lui: «Però a te piace dormire alla mattina, quando io vorrei fare conversazione e a me la sera, quando tu salti e canti; tu vai pazza per la neve e io la odio; tu diventi nevrastenica se metto un disco della Callas e io vado in estasi a sentire l'opera...».

«Proprio così. La nostra unione è vera non tanto perchè ci assomigliamo ma soprattutto perchè non ci è mai capitato una volta sola di annoiarci quando siamo insieme».

«Con suo marito si annoiava spesso?».

«Mi sentivo sola. Lui cercava di capirmi .mi ha aiutato molto, ma in fondo ci muovevamo in due mondi separati. Mi capitava di uscire insieme a lui e ai suoi sonici e di accorgermi di essere un’estranea: era una sensazione terribile».

«Certo, perchè noi gente di teatro sembriamo pieni di comunicativa ma in fondo siamo gli individui più asociali del mondo. E più soli», dice lui.

«E’ stato così fin dall’inizio del suo matrimonio?», domando all’attrice.

«Quando mi sono sposata avevo diciassette anni e vivevo a Jesi: ero soltanto una piccola provinciale e lui un figlio di papà insoddisfatto. Poi abbiamo deciso di trasferirci a Roma e ho incominciato ad aprire gli occhi e a guardarmi intorno. Però sono rimasta ugualmente con lui dodici anni e mezzo».

«Come ha reagito alla sua decisione di vivere con Franco Enriquez?».

«E’ stato molto comprensivo e gentile. Ancora adesso siamo grandi amici. Anche Franco ormai è in rapporti discreti con sua moglie. Ma fra me e mio marito esiste un autentico affetto...».

«Adesso state cercando di legalizzare la vostra situazione?», chiedo.

«No, non pensiamo sia importante».

«Il vostro rifiuto alla legalità vuol dire anche rinuncia ai figli?».

«No, assolutamente: anzi, desideriamo molto avere un figlio», dice lei guardando diritto negli occhi Enriquez, «Certo, è l’unica cosa che ci manca», fa eco lui di scatto, quasi che la frase si fosse accesa sulla fronte di Valeria come una scritta luminosa.

«Ma lei, dal suo matrimonio, ha già avuto un figlio; non sente rimorsi verso il bambino?», domando.

«No. Adesso è troppo piccolo, la presenza del padre non gli servirebbe a niente: quando crescerà cercherò di stargli più vicino. Quanto alle sue reazioni, penso che se capirà quello che ho fatto, varrà veramente la pena di volergli bene, se non saprà comprendermi sarà tutto inutile».

La Compagnia dei Quattro (della quale fanno parte, oltre a Enriquez e alla Moriconi, anche l’attore Glauco Mari e lo scenografo Lele Luzzati). porta ora lo spettacolo a Milano. Franco Enriquez è stato in questa stagione teatrale molto impegnato anche con la lirica: ha curato la messa in scena per la Scala della "Cavalleria rusticana", dell’ "Amico Fritz" e del "Barbiere di Siviglia".

Mentre parliamo è arrivata la sarta per qualche ritocco al costume che l'attrice indossa nel "Vantone": è una tunica rosso-fiamma con una cascata di collane formate da vecchi bottoni In pochi istanti Valeria trasforma la sua bellezza aggressiva e insieme dolce in quella volgare e proterva dell’etera che impersona nella commedia. Cammina e si muove come lei, ha perfino cambiato il timbro di voce. Il regista la guarda compiaciuto, con la sicurezza di chi osserva un’opera esclusivamente sua: le rapide metamorfosi dell’attrice, la facilità di cancellare se stessa per immedesimarsi nei ruoli più diversi, sono il suo grande orgoglio.

«La qualità più preziosa di Valeria è il naso». Lei scruta nello specchio i suoi lineamenti come se volesse entrare nel cristallo e ride perchè ha un naso piccolo e perfetto. Ma lui continua: «Si, ha un fiuto da cane da tartufo: sa intuire di slancio l'essenza dei personaggi. Può darsi abbia qualche limite, certi ruoli forse non può affrontarli, ma tutto quello che fa non è mai nè falso nè approssimativo. E' fin troppo vera».

«E lei che cosa apprezza di più in Franco Enriquez regista?», domando alla Moriconi.

«La libertà spirituale che lascia agli attori: tutti possono discutere con lui, esporgli le proprie opinioni, chiedergli perfino di modificare l’impostazione di un personaggio».

«Ma non c'è nessun fatto negativo nel vostro rapporto di lavoro?».

«Certo — grida lei con l'irruenza di chi si libera da un peso a lungo sopportato. — Mi tratta malissimo, peggio di tutti gli altri attori: pretende da me virtuosismi assurdi».

«E’ vero: vorrei che fosse bravissima subito».

«Nessuno mi ha mai trattata cosi».

«Come reagisce a queste strapazzate?».

«Mi chiudo in camerino e verso fiumi di lacrime, perchè sono una gran presuntuosa: anch’io vorrei essere bravissima subito».

«Preferisce lavorare sempre sotto la sua direzione o anche con altri registi?».

«Resterò con lui finché non mi protesta».

Il faccione di Franco Enriquez, che sembra ancora più vasto sotto la massa di ricciolini compatti, si illumina di soddisfazione. Queste frasi devono dargli la stessa beatitudine dei dolcetti abruzzesi che sta sgranocchiando dall’inizio del nostro colloquio, la stessa euforia del bicchiere di whisky che gli splende come un grosso topazio tra le mani grassocce. Ma voglio vederlo col broncio: «Quando prepara il cartellone per la sua compagnia orienta le ricerche sui testi che valorizzano le qualità espressive di Valeria Moriconi?». Il faccione si increspa, ma è solo un attimo: c Assolutamente no: se c’è qualcuno che avrebbe tutte le ragioni di lamentarsi della scelta dei copioni è proprio lei. Non le sono mai state affidate parti da "mattatrice", tranne che ne "La bisbetica domata"».

«Ma se fosse libero di pensare solo a lei quali opere giudicherebbe più adatte alla sua personalità?».

«"L’anima buona di Seciuan" di Brecht, "L’Antigone" di Sofocle, "Santa Giovanna" di Shaw: tutti personaggi di rottura, figure di donne che rappresentano una ribellione e un contrasto nella società in cui si muovono. Lei non è una attrice di tradizione, la parte della fanciulla romantica o della giovane amorosa borghese non le si addice».

«Anche nella realtà Valeria rappresenta un personaggio di frattura rispetto al suo ambiente?».

«Mi piace proprio per questo».

Lei lo ascolta seria come se fosse il suo maestro e come se anche l’elogio di se stessa facesse parte della lezione. Ma a guardarla bene le si scorge in fondo agli occhi una luce che ride e che saltella, come un folletto che si prenda gioco di tutti, divertendosi pazzamente allo spettacolo del mondo, con innocente ferocia.

«Non protesta mai quando le vengono imposti ruoli di scarso rilievo?».

« No. Mi ribello solo alla scelta di certe attrici. Una volta ho dovuto dire: "Se prendi quella lì me ne vado io"».

«Chi era "quella lì"?».

«Non si fanno nomi», interviene lui.

«Si fanno. E come. Lidia Alfonsi», insiste lei.

«Ma quella volta scherzavi».

«Non scherzavo affatto».

«Era gelosa?», domando.

«No, mi sta antipatica».

Simile in tutto alle giovani donne anticonformiste che con tanta disinvoltura impersona sulle scene, Valeria Moriconi non ha paura di dire quello che pensa. Mastica svelta le verità più spiacevoli come caramelle di zucchero, lasciando disorientato chi ha l’abitudine ai giochi di parole dei divi, ai ghirigori diplomatici, ai labirinti dei "se" dei "forse". Per lei tutto deve essere bianco o nero, amore o odio. A costo di sembrare lo spirito di contraddizione in persona, la negazione del buon senso comune. Come accadde probabilmente all'inizio del suo incontro artistico con Enriquez.

«Quando Franco mi chiese di far parte della sua compagnia tutti mi dissero: "Sei pazza. Ti rovinerai la carriera: è il regista più pasticcione, confusionario, superficiale del mondo". Io risposi: "Lasciatemi provare, so quello che faccio"».

«La sua fiducia era già un segno del suo interesse sentimentale per lui?».

«No, affatto. Mi attirava solo il suo modo di lavorare. Infatti l’accordo professionale fu immediato. Ma per quasi un anno non ci fu nessuna scivolata di carattere privato: tanto è vero che lui fu il confidente delle mie storielle sentimentali e le protesse con indulgenza».

«All’inizio Valeria Moriconi le interessò unicamente come attrice?».

«Sì, fu la tipica cotta artistica. In forma grave e del tipo colpo di fulmine. Ero andato al Teatro Comunale di Bologna a vedere "Il gabbiano", perchè tutti parlavano di una rivelazione: una stupenda giovane attrice. Ma appena entrò in scena la detestai profondamente, non sopportavo neppure il suo timbro di voce...». «Era lei?». «No... dimenticavo: era Giuliana Lojodice. Invece impazzii subito per Mascia che non sapevo neppure chi fosse. Rimasi fino alla fine unicamente per lei e poiché ero vicino all'uscita, passai la maggior parte del tempo nel ridotto, rientrando solo quando appariva in scena Mascia-Valeria».

«Fu allora che decise di diventare il suo regista?».

«Volevo scritturarla immediatamente ma l'occasione si presentò qualche mese più tardi. per "Giulietta e Romeo", al Teatro Romano di Verona. Lei disse: "No grazie", senza un attimo di esitazione. Pensai fosse pazza: quale giovane attrice può permettersi il lusso di rifiutare uno dei ruoli più ambiti del teatro classico?».

«Giulietta non mi interessava: avrei potuto farne solo un’interpretazione di maniera, senza portare niente di nuovo e senza ricevere niente. Io, i personaggi ho bisogno di ag-
gredirli, ferocemente, a costo di distruggermi».

«E’ vero: entra in scena come se entrasse nella gabbia dei leoni, pronta a dannarsi. Infatti più tardi accettò di far parte della Compagnia del Teatro Stabile di Napoli che in quel periodo io dirigevo, solo perchè in cartellone c’era un’opera di avanguardia, "Il rinoceronte" di Ionesco».

«Ma come fu che la cotta cessò di essere soltanto artistica?».

Risponde lei: «Due anni fa, a Lucca, in tournée, la vigilia di Natale. Il mio primo Natale fuori di casa. Passeggiammo a lungo tra le bancarelle della Aera luccicanti di giocattoli di celluloide, statuine del presepe, palle di zucchero soffiato. C'era un’aria di grande dolcezza. Lui disse solo: "Valeria, perchè sei cosi triste?". E volersi bene fu molto naturale». Il ruolo della ragazza che s’intenerisce sull'atmosfera natalizia e sulla propria storia d’amore non è previsto dai copioni dell’attrice. Ma lei lo ha dimenticato. Si lascia scivolare dolcemente tra le bancarelle disordinate e festanti della piccola città, respira a
pieni polmoni odore di frittelle calde e di neve. Solo quando incontra lo sguardo sornione del regista capisce di essere fuori registro: scuote la testa bruna per scrollarsi di dosso i ricordi e i suoi occhi tornano duri e fermi. Ora Assa il passato con cipiglio.

«Non c’è proprio niente che la infastidisce nel carattere di Enriquez?».

«Sì, dice molte bugie».

«Sono bugiardo solo per un fatto di fantasia».

«Quante bugie ha detto in questa intervista?».

«Non so... appena inventate le dimentico».

«Qualcuno dice che è anche un gran spendaccione...».

Seguendo le precise istruzioni del regista, Valeria Moriconi prova il costume (una tunica rosso fiamma con lunghe collane di vecchi bottoni) che indossa nel "Vantone" di Pier Paolo Pasolini. L’attrice, che all’inizio della sua carriera ha lavorato unicamente nel cinema ("Gli innamorati", "Gli anni che non ritornano". "I miliardari", "I ragazzi dei Parioli". "Un giorno da leoni", "I nostri anni più belli", "Le cameriere", sono alcuni suoi film), si dedica per ora esclusivamente al teatro.

«Gli piace fare il grandioso: invitare eserciti di amici, regalarmi cose costose, viaggiare come un signore... Cosi siamo sempre senza un soldo».

«Ma in fondo questo è piacevole. Una volta se non avevo il conto in banca stavo male. se non per me, per mia moglie che aveva certe esigenze. Adesso anche senza una lira in tasca provo un senso di grande benessere».

«Vuol dire che Valeria non ha ambizioni nè capricci?», domando, incontrando con lo sguardo una superba pelliccia di visone pastello buttata su una sedia come un plaid.

«Ma certo. Uno la vede col visone e pensa chissà cosa. Invece si veste con niente. I gioielli le danno fastidio... Mangia molto, questo si...».

«Chi di voi due ha la personalità più forte?»

«Lui. Io rinuncio a tutto quello che vuole. Ho rinunciato a tutto».

«Parli tanto per parlare. Nessuno dei due fa il braccio di ferro».

«Questo è vero. Tu non mi hai imposto niente: quando ti sacriAco qualcosa non me ne accorgo neppure».

«Allora non ci sono scontri tra voi?».

«Pochi ma furiosi. Noi non siamo tipi da mezze misure. Se ci azzuffiamo lo facciamo Ano in fondo, con scene da tragedia greca», dice lui.

«Sono guerre di parole?».

«Soprattutto di fatti. In quei momenti siamo capaci di disfare la casa. Possiamo anche riempirci di schiaffi. Lui lo ha fatto due volte; poi si è preso uno spavento terribile perchè io ho avuto la presenza di spirito di svenire al momento giusto».

«Eppure non sono manesco».

«No, ma se diventi geloso non sei più padrone di te stesso».

«La gelosia i il tema fisso della mia vita. Sono arrivato perfino a inferocirmi perchè una pittrice le ha chiesto di posare nuda».

«Adesso capisco perchè Valeria ha interrotto l’attività cinematografica... Non potrebbe lavorare lontana...».

«Lontana? Cosa dice? Chi vuole separarci? — grida lui piegandosi di scatto come se l'avessero pugnalato alla schiena. — Non permetto assolutamente. Al massimo, se proprio fosse un’offerta importante, pianterei il mio lavoro e seguirei Valeria. Ma mi piacerebbe proprio sapere chi le ha messo in testa l’idea di allontanarci...».

«Veramente... io non intendevo...». Il regista è grande e grosso. Non vorrei gli venisse un’altra crisi di gelosia furiosa. Forse questa volta il capro espiatorio sarei io e non so se riuscirei a svenire al momento giusto. Con una delle sue mani larghe ora ha preso la nuca dell’attrice e la scuote forte. Ma è solo il gesto di tenerezza di un orso bruno che confonde facilmente le zampate violente con quelle affettuose.

Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.6, 8 febbraio 1964


Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.6, 8 febbraio 1964