Sempre in gamba questi giovani

1964 07 11 Tempo Evi Marandi f0

I «Giovani», «Compagnia dei giovani»: li chiameremo così anche quando avranno sessantanni? All’esordio di Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Elsa Albani, molti arricciarono il naso. Sul gruppo si facevano pettegolezzi a non finire. Cosa fanno? Ma i critici applaudirono i loro sforzi per una maggiore verità teatrale. Oggi non si parla più di loro con scandalo. E invece sono più bravi. Come mai?

Il panico esplose all'improvviso, alle 21,15 di giovedì, davanti al guardaroba del Manzoni-Simoni. Lo strano pubblico di quella generale, grigi da nozze e qualche gessato gli uomini, uncinetto perline velluto e raso le donne, si accalcava accumulando sul banco, nell'attesa frenetica della contromarca, spigati grigi e redingottine quattro tasche col bavero di pelo. «Presto, presto, per favore signorina, venga anche da questa parte, hanno già incominciato, ma che ora è ?, ho anche l’ombrello, eppure sull'invito dicevano 21,30, c'è il sipario già aperto e ci sono già gli attori sulla scena, grazie, scusi, almeno l'impermeabile».

In sala, infatti, il sipario era aperto e una dozzina di attori erano già sul palcoscenico. Parlavano tra loro e non si sentiva che cosa dicevano, anche perché gli altoparlanti diffondevano un piacevole jazz freddo, come la televisione quando non c'è ancora il programma e c’è solo il monoscopio. In sala tutte le luci erano accese, il che significava evidentemente che per fortuna la rappresentazione non era ancora incominciata. Le maschere in livrea accompagnavano con tutta calma ai loro posti gli spettatori, tutti dipendenti dell’Alfa Romeo, inviati dagli uffici culturali della ditta ad assistere alla prova generale della vecchia commedia di Pirandello, «Sei personaggi in cerca d’autore», nel nuovo allestimento della compagnia De Lullo Falk Valli Albani.

Pirandello piacque molto a quelli dell'Alfa, in gran maggioranza giovani. Passato il primo attimo di sorpresa, videro subito che il sipario aperto era una trovata di regia stabilita dal copione; si guardarono, platea protagonista, nella grande specchiera neo-liberty sistemata in fondo alla scena, al posto della comune; si rilassarono nell’attesa quando una delle ragazze, a luci ancora accese, si mise a ballare un twist suonato al piano da un attor giovane, fecero un bell’applauso di sortita alla Falk e a Valli che appaiono in scena con gli altri prima che la falsa prova incominci, attori fra gli attori; si raccapezzarono immediatamente nel garbato gioco di scatole cinesi (almeno «Otto e mezzo» l’han visto tutti, o ne hanno letto sui rotocalchi) e si divertirono scoprendo che il giovanotto in blu seduto con le spalle al pubblico offriva al momento giusto, fuggevolmente, il proprio profilo alla platea, per rivelare di essere il regista Giorgio De Lullo. Si disposero subito, insomma, ad assistere allo spettacolo con lo stato d’animo più adatto, con interesse, attenzione, curiosità, ma soprattutto guardinghi, vigilanti, diffidenti, non disposti a farsi prendere per il naso, lieti della sfida intellettiva ma pronti al conflitto, decisi a vendere caro il proprio applauso : cioè, guarda caso, lo strano pubblico di quella generale (strano purtroppo: perché sarebbe ben giusto che a teatro andassero soprattutto e spesso i dipendenti dell'Alfa Romeo, ma questo è un altro discorso) si trovata esattamente nello stato d’animo che il diabolico uomo di teatro siciliano volle provocare negli spettatori con le infinite trovate sceniche (tutte a copione, tutte a copione) profuse nella sua trilogia detta del «teatro nel teatro». Inutile nominare Brecht anche stavolta, ci siamo capiti.

1964 04 16 Le Ore aXII n15 Romolo Valli f1La «Compagnia dei Giovani» nei «Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello. Nella foto, da sinistra: Rossella Falk, Giorgio De Lullo, Elsa Albani e Romolo Valli. L'età dei «giovani» supera la quarantina. Resta da scoprire quella delle «giovani». La compagnia ha compiuto in questi giorni il suo decimo anno di attività teatrale.

E il fatto ancora più strano è che fu un grande successo. Qualcuno quella sera se ne andò a casa più contento, col sospetto che forse il più grande regista italiano non è Sandro Bolchi. Lo spettacolo alle dodici e un quarto era già finito, cosa mica male, non scherziamo, per chi la mattina dopo va a lavorare. Ma quegli spettatori, ormai incredibilmente a loro agio, svegli, commossi e divertiti, avrebbero rinunciato volentieri a un’ora di sonno per avere un'altra ora di Pirandello, nonché di De Lullo Falk Valli Albani. E sia : vogliamo squalificarci una volta per tutte presso i nostri amici intellettuali, ma abbiamo l’inconscienza di scrivere qui che a noi il fatto che De Lullo abbia affidato agli ottimi De Ceresa, Giuffré e Nora Ricci il compito (rischiosissimo) di sottolineare i risvolti comici dell'azione ha fatto molto piacere. Diamine, Pirandello non è la Fiera dei Sogni, ma non è nemmeno giusto che non si possa andare a teatro una sera qualsiasi, dopo l’ufficio, ad affrontare uno spettacolo d’arte; non è possibile che per andare a teatro un lavoratore si debba sempre preparare spiritualmente per giorni c per settimane, come si fa per il «Galileo» ! Perciò ci piace che Giuffré, nella realistica rappresentazione del guitto, invece di «scusi» arrivi a dire «scosi» : un lazzo classico, che fa sempre ridere noi, i bambini e il pubblico dell'Alfa. A difesa di questi ultimi, ci permettiamo umilmente di ricordare, a chi ha deplorato l’eccessiva forzatura degli effetti comici da parte di De Lullo, una definizione dei «Sei Personaggi» : Un misto di tragico e di comico, di fantastico e di realistico, in una situazione umoristica affatto nuova. La definizione, ovviamente, non è nostra, e nemmeno di Brecht : è di Luigi Pirandello (cfr. Pirandello, / Maschere nude /, Voi. I, pag. 8).

Ma a questo punto, un momento, facciamo un passo indietro. Ci accorgiamo che stiamo parlando bene, senza riserve, della compagnia dei «Giovani». Non possiamo permettercelo. Passeremmo per conformisti. Ne parlano talmente bene tutti, che qui l'unica, adesso, è cercare di parlarne male. Di snobbarli un po'. Di chiamarli «gli ex-giovani». Non sarà una gran battuta, ma meglio che niente. Gli elogi bisogna saperli fare, misurarli col bilancino. Sennò si fa la figura dell’ingenuo, che al giorno d'oggi è grave. Ci capitò, anni fa, di far la cronaca di uno spettacolo dei «Giovani», che a noi era piaciuto come altri loro, dei quali non ci è mai capitato di scrivere (come «Anna Frank» o «Lorenzaccio» o «Il buio in cima alle scale» o «Il successo» o «La dodicesima notte» o, per l’appunto, come vi pare) e tra le righe lasciammo trasparire, poiché nulla è meno obbiettivo di una crollata, il nostro cordiale applauso. C'è chi ci sfotte ancora. Amici che più di noi sono esperti di molte cose, e fra l'altro di teatro, ci spiegarono che i «Giovani» sono, sì, bravissimi, ma non esageriamo. Bravi per l’Italia, ecco. Solo provinciali come noi, che non sono mai stati nemmeno in Inghilterra, possono applaudire così ingenuamente. Abbiamo mai visto recitare Gielgud? No, non abbiamo mai visto recitare Gielgud. E dunque, Trevisani, prudenza. Giusto, grazie. Né migliora la situazione il fatto che i «Giovani» abbiano girato mezzo mondo e che siano andati a recitare Pirandello davanti ai russi, popolo notoriamente di rozza civiltà teatrale. Perciò, è deciso. Stavolta, con dispiacere, ma bisogna parlarne male. Addosso. Stroncatura.

Proviamo. Quella Guarnieri, per esempio. Che fa parte dei «Giovani» e non ne fa parte. Che al pomeriggio è lì al Manzoni a chiacchierare con quelli che sono stati i suoi colleghi fino all’anno scorso, e la sera invece va al Nuovo a recitare in un’altra compagnia. A far l'Ofelia. E’ vero che Albertazzi l’aveva già scritturata al principio della stagione, quando sembrava che quest'anno i «Giovani» non dovessero agire. Ma è vero anche che l’Ofelia di questa stagione della Annamaria c’entra un po' poco col resto del lavoro da lei fatto negli ultimi dieci anni; è soltanto un saggio di bravura, una partecipazione straordinaria, un piedistallo di popolarità, un po' come far la moglie di Alberto Lupo nel teleromanzo della domenica sera. Un’Ofelia strappacuore, più stra-sberghiana che stanislavskiana, calata addirittura nelle profondità del personaggio, un’Ofelia con maschera e pinne. E’ vero che la responsabilità è di Zeffi-relli (chi ha paura di Guglielmo Shakespeare?), ma se non ci lasciate dire qualche cattiveria, se diciamo solo che la Guarnieri è sempre brava e simpatica e che ben fece a non fermarsi ad Anna Frank, dove finisce la stroncatura? Andiamo. E la Falk? Un’attrice sofisticata e semplicissima, antidiva e primattrice, snob, concreta, ambiziosa, calcolatrice e matta: questa, almeno, la leggenda che la circonda. Rossella Falk riesce ad essere, contemporaneamente, la beniamina degli intellettuali, un personaggio ospitato sempre con entusiasmo e rispetto nelle pagine dei rotocalchi femminili, una gran brava attrice e persino, per una volta, una maschera femminile che Fellini rapisce e trasporta, così com'è, nel suo circo privato. Se non erriamo, fu Oriana Fallaci che, in omaggio al temperamento d’assalto di Rossella, la definì «la Pan-zerfalk». Ebbene, questa signora è, sì, una Figliastra come si deve, e un po' più, ma bella forza : bisogna sapere che Rossella Falk la Figliastra l’aveva già fatta altre volte ; addirittura, il suo debutto d'attrice avvenne in quella parte alla ,«Fenice». Dall’inizio della sua carriera ci avrà pensato, ci avrà riflettuto, dunque si spiega che sia brava. Va bene come stroncatura?

Elsa Albani, anche lei. Sì è brava, sorprendente persino, ma infine Pirandello ha impiegato, per spiegare il suo punto di vista sul personaggio della Madre, anche in polemica con i critici, pagine e pagine: l’Albani le avrà lette, ecco tutto. E di De Lullo che si può dir male? E di Valli? Sempre più difficile. Vediamo. Ecco, l’idea di dare una bella imbiancata di ducotone al palcoscenico vuoto (a parte il fatto che un lungo giro in provincia di questo spettacolo avrebbe anche la funzione di pulizia pasquale per tanti palcoscenici comunali) è certo un'idea; ma leggemmo, su un quotidiano, un'intervista di Luchino Visconti che rivendicava la paternità dell'idea, e ne fummo lieti perché solo i detrattori di Visconti possono sostenere che non ha più idee; Visconti spiegava anche che dare i «Sei Personaggi» in abiti attuali è un sistema per spendere poco. A noi non è sembrata, questa, un'ecli-zione fatta con tre lire, vorremmo sapere quanto costa la specchiera di fondo, ma non ce ne intendiamo. Però, la prossima volta che si fa un’edizione dei «Sei Personaggi», se c'è qualche soldo in più da spendere, ci farebbe tanto piacere che il regista finalmente accettasse anche quel consiglio sempre dimenticato dell’autore, cioè di far comparire i «Sei» con maschere di plastica e abiti ugualmente di plastica; la plastica non c’era, nel 1921, ma è chiaro che Pirandello (quando si dice il genio) già presentiva l’opera di Natta: «maschere d’una materia che per il sudore non s’afflosci e pertanto sia lieve agli Attori che dovranno portarle», «ve-stiario di stoffa e foggia speciale con pieghe rigide e volume quasi statuario». Plastica, insomma oggi che la plastica c'è, e costa poco, si potrebbe una volta provare a dar retta a quel suggerimento, non importa se farà un po' espressionismo. Forse che l'espressionismo non c’entra niente con Pirandello?

A De Lullo potremmo chiedere, poi, perché del Giovinetto ha fatto un bambino, portandolo da quattordici anni a otto o nove, al punto che risulta strano che il Capocomico gli si rivolga con il lei ; ma De Lullo potrebbe facilmente rispondere che i tempi sono cambiati, che oggi a quattordici anni è difficile che un Giovinetto se ne stia zitto così, si dissughi, cresca solo negli occhi e infine si spari ; avrebbe anche ragione lui. A Romolo Valli potremmo chiedere perché mai si ostina a stare per tutto lo spettacolo con l'impermeabile, a parte il caldo che deve soffrire, anziché in calzoni chiari e giacca scura, come dice il copione : ci sembra questo l'unico suo tradimento al personaggio del Padre, che per il resto è perfetto.

Piuttosto, perché si chiamano «Giovani»? De Lullo è del '21, anche se sembra del '24; Valli è del '25, anche se sembra del '23. Gli altri non sappiamo, le donne certo più giovani, ma più o meno la media di compagnia dev'essere verso i quaranta. Su questo punto, forse, riusciamo a prenderli in giro. A meno che, tenendo conto del fatto che sono stati loro i primi, nelle celebrazioni del loro decennale di attività, a scherzare su questo argomento, vogliamo aggirare l’ostacolo e cercar di accettare il termine «giovane» in un significato un po' diverso : un significato che fa più comodo a tanti di noi.

C'era già stata, in Italia, una Compagnia dei Giovani. Durò due trienni (come allora usava), dalla quaresima del '900 al carnevale del '905. Era la leggendaria T alli-Gramatica-Calabresi, attore giovane Ruggero Ruggeri. Che età avevano quei «Giovani»? Talli e Calabresi più di quaranta, Irma Gramatica (si può dire l’età di una donna quando non è più viva) era del 1870. Può darsi dunque che in teatro, e non solo in teatro, giovane non significhi sempre avere venl’anni. Anzi, c’è proprio da dire che giovani, almeno per il lavoro, si diventa col passar degli anni. Quando incominciamo, siamo tutti vecchi, vecchissimi. Poi, a poco a poco, se ci riusciamo, diventiamo giovani. Come lo diventò quel siciliano che, a cin-quant'anni, diventò Pirandello. Non a caso fu proprio il più «giovane» fra gli impresari italiani, Paone, a battezzare la Compagnia De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli. Li nominò giovani. Fu una specie di investitura. E il titolo di giovane, almeno ci piace pensarlo, una volta conquistato non è ìrasmittibile, ma è a vita. C'è di più: richiamandosi alla gloriosa Ditta dei giovani quarantenni Talli-Calabresi-Gramatica, Remigio Paone compì anche una specie di sortilegio : evocò il ricordo di un tempo in cui la cosa più importante per le compagnie teatrali era considerato, come si diceva, «l’affiatamento», e fissò senza volere una delle caratteristiche principali della nuova compagnia, la leggendaria amicizia dei quattro, la formula del tutti per uno: in una parola, vecchia ma sempre buona, «l’affiatamento». E' forse per questo che questo gruppo di non più ragazzi sono diventati adesso veramente giovani. Giovani come tutti speriamo di restare o diventare, giovani come il pubblico dell’Alfa Romeo. E basta, adesso, perché abbiamo l’atroce sospetto che come stroncatura quest’articolo non sia riuscito troppo bene. Vuol dire che sarà per una altra volta.

Giuseppe Trevisani, «Le Ore», anno XII, n.15, 16 aprile 1964


Le Ore
Giuseppe Trevisani, «Le Ore», anno XII, n.15, 16 aprile 1964